SENTENZA N. 289
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Aldo CAROSI;
Giudici: Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere d), f) e u), della legge della Regione Campania 8 agosto 2018, n. 29, recante «Modifiche alla legge regionale 26 maggio 2016, n. 14·(Norme di attuazione della disciplina europea e nazionale in materia di rifiuti)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato l’8-11 ottobre 2018, depositato in cancelleria il 10 ottobre 2018, iscritto al n. 72 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;
udito nell’udienza pubblica del 3 dicembre 2019 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi l’avvocato dello Stato Beatrice Gaia Fiduccia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Almerina Bove per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato in data 8-11 ottobre 2018 e depositato in cancelleria il 10 ottobre 2018 (reg. ric. n. 72 del 2018), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettere p) e s), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere d), f) e u), della legge della Regione Campania 8 agosto 2018, n. 29, recante «Modifiche alla legge regionale 26 maggio 2016, n. 14 (Norme di attuazione della disciplina europea e nazionale in materia di rifiuti)».
1.1.− In primo luogo, la difesa statale censura l’art. 1, comma 1, lettera d), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, che ha sostituito l’art. 12, comma 4, della legge della Regione Campania 26 maggio 2016, n. 14 (Norme di attuazione della disciplina europea e nazionale in materia di rifiuti e dell’economia circolare), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in riferimento all’art. 196, comma 1, lettere n) e o), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 («Norme in materia ambientale»; da qui: cod. ambiente).
La disposizione novellata prevede che «[n]elle more della definizione e/o aggiornamento dei criteri per l’individuazione da parte delle Province, sentiti gli Enti d’Ambito ed i Comuni dell’Ambito Territoriale Ottimale, delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti, ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 196, comma 1, lettera n), 197, comma 1, lettera d) e 199, comma 3, lettera l), del decreto legislativo 152/2006 e dell’adeguamento ed aggiornamento del PRGRU, in coerenza con le norme sulla pianificazione paesaggistica di cui alla legge regionale 2 agosto 2018, n. 26 (Misure di semplificazione in materia di governo del territorio e per la competitività e lo sviluppo regionale. Legge annuale di semplificazione 2018) e comunque non oltre ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nelle aree individuate come: A - sistemi a dominante naturalistica - tra i sistemi territoriali di sviluppo del Piano territoriale regionale (PTR), non è consentita la realizzazione di nuovi impianti che prevedano il trattamento anaerobico, nonché in tutto o in parte, il trattamento di rifiuti speciali, ove il Comune interessato, previa delibera del Consiglio comunale, comunichi la propria motivata contrarietà durante le procedure autorizzative o di approvazione dei progetti. Nelle medesime aree l’autorizzazione regionale è comunque rilasciata per impianti previsti in conformità alle norme vigenti e riguardanti: a) il trattamento dei rifiuti da attività agricole e agro-industriali, codici CER con primi numeri 02 01, esclusi quelli contenenti sostanze pericolose; b) il trattamento dei rifiuti da demolizione e costruzione, nonché da attività di scavo, codici CER con primi numeri 17, esclusi quelli provenienti da siti contaminati o contenenti sostanze pericolose; c) lo smantellamento dei veicoli fuori uso codici CER con primi numeri 16 01».
1.1.1.– Tanto premesso, la parte ricorrente richiama l’assetto delle competenze vigenti in tema di localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, quale delineato dalla legislazione statale nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (su cui è citata la sentenza di questa Corte n. 285 del 2013).
L’art. 195, comma 1, lettere f) e p), cod. ambiente rimette allo Stato l’individuazione degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale, nonché l’indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti. Il successivo art. 196, comma 1, lettere n) e o), demanda invece alla competenza delle Regioni – nel rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente e dalla parte IV cod. ambiente, ivi compresi quelli di cui al citato art. 195 – la definizione dei criteri per l’individuazione, da parte delle Province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, nonché la definizione dei criteri per l’individuazione dei luoghi o degli impianti idonei allo smaltimento. L’art. 197, comma 1, lettera d), infine, affida alle Province il compito di provvedere all’individuazione delle zone idonee e non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti.
Secondo la difesa statale la versione originaria dell’art. 12, comma 4, della legge reg. Campania n. 14 del 2016 avrebbe dettato un criterio certo e definito per la localizzazione degli impianti, conforme al riparto di competenze previsto dal cod. ambiente, in quanto stabiliva che «[g]li impianti per la gestione dei rifiuti non possono essere localizzati nelle aree individuate nel Piano Territoriale Regionale della Campania (PTR) come “Sistemi territoriali di Sviluppo: Dominanti” a matrice Naturalistica (Aree A); fatti salvi gli impianti di trattamento aerobico della frazione organica a servizio dei Consorzi di Comuni, nonché gli impianti di compostaggio di comunità». L’attuale formulazione della disposizione, invece, consentirebbe, sia pure in via transitoria e salva motivata opposizione dei Comuni interessati, la localizzazione nella Regione di nuovi impianti di trattamento dei rifiuti.
In tal modo, la Regione Campania non si limiterebbe a prevedere criteri generali per l’individuazione, da parte delle Province, delle aree non idonee alla localizzazione dei suddetti impianti, ma individuerebbe essa stessa le aree nelle quali non è consentita la realizzazione di nuovi impianti. La qual cosa altererebbe quanto previsto dal cod. ambiente, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
1.2.– In secondo luogo, oggetto di censura è l’art. 1, comma 1, lettera f), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, che ha introdotto l’art. 12-bis della legge reg. Campania n. 14 del 2016, nella parte in cui disciplina i controlli sugli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale (da qui: AIA), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in riferimento all’art. 29-decies, comma 11-ter, cod. ambiente.
In particolare, l’art. 12-bis, al comma 1, prevede che la «Giunta regionale, in collaborazione con I’ARPAC, approva entro il 30 novembre 2018 ed entro la medesima data per le annualità successive, il Piano annuale dei controlli per gli insediamenti soggetti ad Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA)»; al comma 2, invece, si stabilisce che «nel determinare la frequenza dei controlli per gli impianti di gestione rifiuti, si tiene conto: a) del contesto ambientale del territorio e del prevedibile impatto sulle matrici ambientali nel caso di incidenti; b) delle tipologie dei rifiuti che ogni singolo impianto è autorizzato a gestire».
1.2.1.– Le disposizioni indicate contrasterebbero con l’art. 29-decies, comma 11-ter, cod. ambiente, ove si dispone che: «il periodo tra due visite in loco non supera un anno per le installazioni che presentano i rischi più elevati, tre anni per le installazioni che presentano i rischi meno elevati, sei mesi per installazioni per le quali la precedente ispezione ha evidenziato una grave inosservanza delle condizioni di autorizzazione. Tale periodo è determinato, tenendo conto delle procedure di cui al comma 11-bis, lettera d), sulla base di una valutazione sistematica effettuata dalla Regione o dalla Provincia autonoma sui rischi ambientali delle installazioni interessate, che considera almeno: a) gli impatti potenziali e reali delle installazioni interessate sulla salute umana e sull’ambiente, tenendo conto dei livelli e dei tipi di emissioni, della sensibilità dell’ambiente locale e del rischio di incidenti; b) il livello di osservanza delle condizioni di autorizzazione; c) la partecipazione del gestore al sistema dell’Unione di ecogestione e audit (EMAS) (a norma del regolamento (CE) n. 1221/2009».
1.2.2.– La normativa statale, quindi, prevedrebbe intervalli temporali massimi tra le due visite in loco puntualmente definiti e correlati alla pericolosità dell’impianto, ovvero all’eventuale inosservanza delle condizioni di autorizzazione. Le disposizioni regionali impugnate, invece, svincolerebbero la frequenza dei controlli da qualsiasi limite, consentendo che gli intervalli tra le ispezioni possano anche eccedere la scansione temporale dettata dal legislatore statale, con evidente possibile pregiudizio degli standard di tutela ambientale posti dallo Stato.
1.2.3.– Per altro verso, le norme regionali, nello stabilire i criteri per la determinazione della frequenza dei controlli, assumerebbero a riferimento solamente il contesto ambientale del territorio, il prevedibile impatto sulle matrici ambientali nel caso di incidenti, nonché la tipologia dei rifiuti che ogni singolo impianto è autorizzato a gestire. Verrebbero esclusi, in tal modo, gli ulteriori parametri indicati dalla normativa statale, quali: da un lato, quelli relativi all’impatto, potenziale e reale, delle installazioni sulla salute umana e sull’ambiente, tenendo conto dei livelli e dei tipi di emissioni, della sensibilità dell’ambiente locale e del rischio di incidenti; dall’altro, quelli relativi al livello di osservanza delle condizioni di autorizzazione.
Anche sotto questo profilo, pertanto, le norme impugnate derogherebbero in peius agli standard di tutela ambientale stabiliti dallo Stato in materia di gestione dei rifiuti.
1.3.– L’art. 12-bis della legge reg. Campania n. 14 del 2016, limitatamente al comma 5, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, è censurato altresì per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., in particolare perché in contrasto con l’art. 1, comma 85, lettera a), della legge 7 aprile 2014. n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni).
La disposizione indicata prevede uno specifico programma di controlli anche per gli impianti di gestione dei rifiuti autorizzati in via ordinaria ovvero semplificata, anch’esso approvato dalla Giunta regionale entro il 30 novembre di ciascun anno, con frequenze di controllo stabilite in base agli stessi criteri utilizzati per gli impianti soggetti ad AIA.
1.3.1.– La difesa statale sottolinea che, sulla scorta del quadro normativo di riferimento, i controlli sugli impianti di gestione dei rifiuti non competerebbero alle Regioni, bensì alle Province. In particolare, l’art. 197, comma 1, cod. ambiente stabilisce che a queste ultime spettano le funzioni amministrative concernenti la programmazione e l’organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, ivi compreso, tra l’altro, il controllo periodico su tutte le attività di gestione, d’intermediazione e di commercio dei rifiuti. Tali compiti rientrerebbero senz’altro tra le funzioni fondamentali che il legislatore statale è competente in via esclusiva ad attribuire alle Province ex art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., attuato dall’art. 1. comma 85, lettera a), della legge n. 56 del 2014, che elenca, tra le funzioni provinciali, la «tutela e valorizzazione dell’ambiente», in cui sarebbe compreso, appunto, il citato controllo periodico sugli impianti.
Ne consegue che la disposizione impugnata avrebbe illegittimamente surrogato la Regione alle Province campane, alterando così il riparto di competenze risultante dalla normativa statale.
1.4.– Da ultimo, è impugnato l’art. 1, comma 1, lettera u), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, che ha aggiunto il comma 5-bis all’art. 49 della legge reg. Campania n. 14 del 2016, per contrasto con l’art. 97 Cost.
Il comma 1 del suddetto art. 49 stabilisce che i soggetti attuatori del programma straordinario di cui all’art. 45 della stessa legge (vale a dire i Comuni, le unioni e le associazioni di Comuni, la Città metropolitana di Napoli e le Province della Campania) utilizzino a tal fine il personale dei consorzi di bacino, costituiti ai sensi della legge della Regione Campania 10 febbraio 1993, n. 10 (Norme e procedure per lo smaltimento dei rifiuti in Campania), nonché delle società da essi partecipate. L’impugnato comma 5-bis prevede che tali soggetti possano beneficiare di ulteriori sostegni finanziari da parte della Regione se dichiarino in convenzione, all’atto dell’avvio delle attività progettuali, d’impegnarsi alla stabilizzazione del personale dei consorzi di bacino, di cui al citato comma 1, al termine del programma e del periodo di assegnazione temporanea.
1.4.1.– Secondo la difesa statale le norme impugnate, consentendo ai soggetti attuatori di procedere all’assunzione nei propri ruoli anche del personale delle società partecipate dai consorzi di bacino, prevedrebbero una stabilizzazione di personale con un rapporto di lavoro di natura squisitamente privatistica. Peraltro, tale stabilizzazione avverrebbe senza concorso pubblico, in violazione del precetto di cui all’art. 97, quarto comma, Cost.
2.− Con atto depositato il 19 novembre 2018 si è costituita in giudizio la Regione Campania, nella persona del Presidente della Giunta regionale, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate e articolando poi le proprie difese soltanto nella memoria presentata in prossimità dell’udienza del 18 giugno 2019.
2.1.– In relazione al primo motivo di ricorso, la difesa regionale eccepisce, in primo luogo, l’imprecisione e la genericità dei rilievi dell’Avvocatura generale dello Stato, sia per quanto concerne la ricostruzione del contenuto precettivo della norma regionale impugnata, sia per quanto riguarda l’individuazione delle norme statali che si assumono violate.
Infatti, il lamentato contrasto con le previsioni del cod. ambiente – riguardo al quale, tra l’altro, si ometterebbe di richiamare l’art. 197, concernente le funzioni provinciali, facendosi riferimento al solo art. 196, comma l, lettere n) e o) – non verrebbe in alcun modo argomentato, non indicandosi quali criteri generali stabiliti dal legislatore statale sarebbero violati, né censurandosi i criteri per l’individuazione dei luoghi o impianti idonei previsti dalle norme regionali.
Inoltre, l’originaria formulazione delle disposizioni impugnate, nel ricorso espressamente qualificata come legittima, prescriveva, nelle aree individuate nel piano territoriale regionale (da qui: PTR) come sistemi territoriali di sviluppo a dominante naturalistica (aree A), il divieto di realizzazione di impianti anaerobici e speciali. L’attuale formulazione, invece, sancirebbe il medesimo divieto, salvaguardando però maggiormente le prerogative degli enti locali e facendo salva una diversa localizzazione. Non si comprenderebbero, quindi, le ragioni dell’impugnativa di tale formulazione, che graduerebbe la previgente norma regionale.
2.1.1.– Le censure sarebbero in ogni caso infondate, tenuto conto che, com’è noto, la «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» rappresenta una materia naturalmente trasversale, che interseca materie di competenza concorrente o residuale delle Regioni, innanzi tutto quella del «governo del territorio», con la conseguenza che, ferma restando la riserva allo Stato del potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, possono dispiegarsi le competenze proprie delle Regioni per la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. A tal proposito, non verrebbe allegata né provata dalla difesa dello Stato una violazione della normativa statale, ravvisabile ove mai i criteri sopra descritti fossero in contrasto con quelli ivi individuati, tenuto conto che si tratterebbe pur sempre di un intervento legislativo che persegue finalità attinenti a competenze regionali (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 151 del 2018).
2.2.– Altresì infondata sarebbe la questione relativa all’art. 1, comma 1, lettera f), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, per la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Infatti, dalla lettura delle disposizioni impugnate non emergerebbe alcun elemento atto a far ritenere che, nel determinare la frequenza dei controlli per gli impianti di gestione dei rifiuti, debba tenersi esclusivamente conto dei parametri posti dalla Regione. Al contrario, le prescrizioni dettate dalla legislazione regionale si aggiungerebbero a quelle di cui alla normativa nazionale. Peraltro, la VII commissione consiliare avrebbe evidenziato, con nota inviata alle strutture regionali competenti, che la novella legislativa sarebbe volta a prevedere elementi ulteriori di tutela, al fine di consentire una compiuta applicazione delle disposizioni di legge statale nel contesto regionale, mediante il superamento delle criticità di gestione del ciclo integrato dei rifiuti.
Ciò troverebbe conferma anche in sede di applicazione concreta delle norme impugnate, attraverso l’approvazione, con deliberazione della Giunta regionale 26 marzo 2019, n. 115, del piano d’ispezione ambientale (su cui vi sarebbe stato anche il parere positivo del ministero competente), in cui risulterebbe assicurato il rispetto delle disposizioni statali, facendosi diffuso riferimento ai parametri interposti che nel ricorso si assumono violati. Inoltre, frequenti rinvii alla normativa statale e al diritto europeo sarebbero presenti, in particolare agli artt. 1 e 5 della legge reg. Campania n. 14 del 2016.
Delle disposizioni oggetto di censura, pertanto, sarebbe possibile, anzi doverosa, un’interpretazione costituzionalmente orientata (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 215 del 2018), che imporrebbe di ritenere i criteri individuati dal legislatore regionale come cumulativi e non alternativi a quelli previsti dalla legislazione statale.
2.3.– Del tutto infondata risulterebbe anche la questione relativa all’art. 1, comma 1, lettera f), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, nella parte in cui introduce il comma 5 dell’art. 12-bis della legge reg. Campania n. 14 del 2016, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.
L’art. 1, comma 85, della legge n. 56 del 2014 e l’art. 197, comma l, cod. ambiente, evocati come parametri interposti, andrebbero letti, infatti, in combinato disposto con l’art. 196 dello stesso cod. ambiente, che disciplina le competenze regionali in materia, relative alla regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compresa la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, anche pericolosi, nonché alla costruzione di un ciclo integrato in ambito regionale, sia sotto il profilo ordinamentale (cioè l’allocazione delle funzioni amministrative ai diversi livelli di governo, provinciale e comunale), sia sotto il profilo della pianificazione e programmazione degli interventi e del dimensionamento degli impianti di gestione.
L’attività di programmazione degli interventi, sebbene concerna il controllo degli impianti di gestione dei rifiuti rimesso alle Province dal legislatore statale, dovrebbe essere ricondotta al generale potere di programmazione regionale, anche al fine di rendere omogenei su tutto il territorio la normativa e i criteri per l’esecuzione dei controlli che, nello specifico, resterebbero assegnati alle competenze provinciali. Infatti, in assenza di criteri regionali uniformi per l’esecuzione dei controlli sulla gestione dei rifiuti, si consentirebbe una disparità nell’esercizio di tale attività sul territorio, a scapito della tutela dell’ambiente. Peraltro, il comma contestato non sostituirebbe né eliminerebbe la competenza provinciale nell’esecuzione dei controlli, da effettuarsi secondo criteri di omogeneità e uniformità su tutto il territorio regionale.
Una tale ricostruzione interpretativa sarebbe coerente, pertanto, con le norme statali interposte. L’art. l, comma 85, lettera a), della legge n. 56 del 2014, infatti, sebbene affermi che le Province sono competenti in materia di pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché di tutela e valorizzazione dell’ambiente, specifica che ciò vale per «per gli aspetti di competenza». Inoltre, le funzioni provinciali indicate dal cod. ambiente, concernenti la programmazione e l’organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti, sarebbero previste «in linea generale», cioè nel rispetto delle norme statali o regionali, che potrebbero anche disporre diversamente. Se così non fosse, d’altronde, si dovrebbe affermare l’illegittimità di ogni legge regionale che attribuisca alla Regione la programmazione e l’organizzazione del ciclo integrato in ambito provinciale, vale a dire della quasi totalità delle leggi regionali approvate in materia.
Ne deriva che la disposizione impugnata si limiterebbe a rimettere la programmazione degli interventi, costituiti dai controlli sugli impianti di gestione dei rifiuti, alla Giunta regionale, ma non pregiudicherebbe le attribuzioni delle Province, chiamate a eseguire i controlli programmati a livello regionale di governo.
2.4.– Infine, sarebbe infondata anche la censura relativa all’art. 1, comma 1, lettera u), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, per contrasto con l’art. 97 Cost., nella parte in cui aggiunge il comma 5-bis all’art. 49 della legge reg. Campania n. 14 del 2016.
Infatti, sebbene l’art. 49, comma 1, della legge reg. Campania n. 29 del 2018 faccia riferimento all’utilizzazione del personale dei consorzi di bacino e delle società partecipate, il citato comma 5-bis dello stesso articolo, pur richiamando il comma 1, si riferirebbe in maniera del tutto evidente al solo personale dei consorzi di bacino, prevendo soltanto per la stabilizzazione di quest’ultimo la possibilità di beneficiare di risorse aggiuntive da parte degli enti utilizzatori. In tal caso, si tratterebbe evidentemente di personale dipendente da un ente pubblico non economico e, quindi, già inserito nel pubblico impiego (sono richiamate la sentenza di questa Corte n. 226 del 2012, la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, 16 febbraio 2015, n. 802 e i pareri del Consiglio di Stato 24 settembre 2012, n. 4033 e n. 4030).
3.− All’udienza del 18 giugno 2019, su istanza dell’Avvocatura generale dello Stato – motivata dal fatto che le argomentazioni della difesa regionale sono state illustrate esclusivamente nella memoria depositata, l’ultimo giorno valido, in prossimità dell’udienza del 18 giugno 2019, impedendo così la possibilità di replica scritta – è stato disposto il rinvio della trattazione del giudizio ad altra udienza, successivamente fissata al 3 dicembre 2019.
4.− In prossimità di tale udienza, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria, tesa principalmente a replicare alle difese della Regione Campania.
4.1.– Con riferimento alla prima questione, relativa all’art. 1, comma 1, lettera d), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, la difesa statale sottolinea la corretta argomentazione del ricorso introduttivo, in cui si evidenzierebbe che le norme impugnate non solo non conterrebbero la definizione di alcun criterio generale e astratto per l’individuazione, da parte delle Province, delle aree, dei luoghi e degli impianti per lo smaltimento dei rifiuti, ma, al contrario, individuerebbero direttamente le aree a tal fine idonee. Ciò determinerebbe un’alterazione evidente del riparto di competenze previsto dal cod. ambiente, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., non residuando alle Province alcuno spazio d’intervento per l’esercizio del potere d’individuazione delle aree alle stesse attribuito.
4.2.– Riguardo alle censure relative all’art. l’art. 1, comma 1, lettera f), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, la parte ricorrente prende atto dell’interpretazione delle disposizioni impugnate fornita dalla Regione Campania nelle proprie difese, secondo cui non verrebbe affatto esclusa la necessaria applicazione dei criteri fissati dallo Stato per i controlli sugli impianti soggetti ad AIA, né la tempistica ivi prevista. Tuttavia, l’assenza di qualsiasi riferimento alla cadenza temporale dei controlli e la presenza, al contrario, di un esplicito richiamo ad alcuni soltanto dei criteri di determinazione della frequenza degli stessi, potrebbero comunque lasciare il dubbio che il legislatore regionale abbia inteso escludere, almeno in parte, l’operatività dei principi statali non richiamati.
In tale ottica, la mancata impugnazione del piano d’ispezione ambientale non risulterebbe decisiva, essendo evidentemente basata su una valutazione in concreto dello stesso piano, che non escluderebbe di per sé l’illegittimità costituzionale delle norme di cui esso costituisce attuazione. Inoltre, il rinvio alle norme statali effettuato dagli artt. 1 e 5 della legge reg. Campania n. 14 del 2016, recanti, tra l’altro, enunciazioni generali, sebbene certamente rilevante sul piano interpretativo, non esimerebbe dalla necessità di verificare la concreta compatibilità costituzionale delle specifiche previsioni della stessa legge.
4.3.– Venendo alla questione relativa all’art. 12-bis, comma 5, della legge reg. Campania n. 14 del 2016, secondo l’Avvocatura generale dello Stato sarebbe artificiosa la distinzione, effettuata dalla difesa regionale, tra programmazione dei controlli, di competenza regionale, e concreta esecuzione degli stessi, spettante alle Province.
Al contrario, l’art. 197, comma 1, cod. ambiente sarebbe chiaro e inequivoco nell’attribuire alla competenza provinciale le funzioni amministrative concernenti la programmazione e l’organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale e, in particolare, il controllo periodico sulle attività di gestione, d’intermediazione e di commercio dei rifiuti, ivi compreso l’accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui alla parte IV cod. ambiente. L’art. 1, comma 85, lettera a), della legge n. 56 del 2014, inoltre, confermerebbe tale tesi, poiché, nel prevedere che le funzioni sulla tutela e valorizzazione dell’ambiente spettino alle Province «per gli aspetti di competenza», rinvierebbe alle norme attributive delle funzioni fondamentali previste dalla legislazione statale, ossia il cod. ambiente.
La violazione delle citate norme interposte non potrebbe escludersi neppure in virtù dell’accordo tra la Regione e lo Stato tradottosi in seguito nel Protocollo d’intesa del 19 novembre 2018, come asserito dalla difesa regionale. Tale protocollo, istitutivo in via sperimentale del «Piano d’azione per il contrasto dei roghi di rifiuti», prevede che «la Regione Campania suddivide il territorio in sub-ambiti adottando […] un programma di interventi e di controlli volto ad accertare il rispetto delle prescrizioni autorizzative e normative degli impianti […]» (ambito d’intervento 3 - azione 4.c). Si tratterebbe, dunque, di un intervento teso a individuare, in via sperimentale, forme di sinergia e di coordinamento tra i diversi livelli di governo per il contrasto del fenomeno dei roghi di rifiuti. Il relativo programma d’interventi, quindi, avrebbe l’evidente finalità di consentire un censimento delle aree potenzialmente interessate dai roghi, in modo da garantirne il presidio e il controllo in vista del contrasto di tale fenomeno. Una finalità ben diversa da quella dei controlli periodici previsti dagli artt. 197 e 216 cod. ambiente. In ogni caso, lo strumento del protocollo d’intesa non sarebbe certamente in grado di derogare a norme di legge, operando uno spostamento delle competenze da queste inderogabilmente previste.
4.4.– Da ultimo, relativamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera u), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, la difesa statale prende atto delle argomentazioni svolte dalla Regione nelle proprie difese, ove si è precisato che la stabilizzazione prevista dalle disposizioni impugnate riguarderebbe il solo personale dei consorzi di bacino e non si riferirebbe a quello delle società partecipate. La qual cosa consentirebbe di ritenere superate le dedotte censure di legittimità costituzionale.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso iscritto al n. 72 del registro ricorsi 2019, ha impugnato l’art. 1, comma 1, lettere d), f) e u), della legge della Regione Campania 8 agosto 2018, n. 29, recante «Modifiche alla legge regionale 26 maggio 2016, n. 14 (Norme di attuazione della disciplina europea e nazionale in materia di rifiuti)».
2.− In primo luogo, oggetto d’impugnazione è l’art. 1, comma 1, lettera d), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, che sostituisce l’art. 12, comma 4, della legge della Regione Campania 26 maggio 2016, n. 14 (Norme di attuazione della disciplina europea e nazionale in materia di rifiuti e dell’economia circolare).
Le norme novellate, nella specie, prevedono che, nelle more della definizione e dell’aggiornamento dei criteri per l’individuazione, da parte delle Province, delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti, nonché dell’adeguamento e aggiornamento della pianificazione regionale, nelle aree individuate come sistemi a dominante naturalistica (aree A) tra i sistemi territoriali di sviluppo del piano territoriale regionale (da qui: PTR) non è consentita la realizzazione di nuovi impianti che prevedano il trattamento anaerobico, nonché in tutto o in parte, il trattamento di rifiuti speciali, ove il Comune interessato comunichi la propria motivata contrarietà durante le procedure autorizzative o di approvazione dei progetti. Ivi è invece consentito, in conformità alle norme vigenti, il rilascio dell’autorizzazione regionale per taluni impianti riguardanti, tra gli altri, il trattamento dei rifiuti da attività agricole e agro-industriali, da demolizione e costruzione, da attività di scavo, nonché lo smantellamento dei veicoli fuori uso.
2.1.− Secondo la difesa statale tali disposizioni lederebbero l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto la Regione avrebbe ecceduto dalle competenze alla stessa spettanti ai sensi dell’art. 196 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 («Norme in materia ambientale»; da qui: cod. ambiente), con violazione delle funzioni attribuite alle Province dal successivo art. 197.
2.2.− In via preliminare, deve respingersi l’eccezione d’inammissibilità, sollevata dalla Regione Campania, per genericità della motivazione ed erronea indicazione delle disposizioni statali interposte.
2.2.1.− Lo Stato lamenta il fatto che, nelle aree in questione, un’eventuale inidoneità alla localizzazione degli impianti non deriverebbe né da un divieto legislativo, né dall’esercizio da parte delle Province delle funzioni alle stesse spettanti, ma dall’iniziativa dei Comuni interessati, con una disciplina che, pertanto, andrebbe ben oltre la fissazione di criteri generali, come previsto dall’art. 196, comma 1, lettere n) e o), cod. ambiente. Dunque, seppure con alcuni passaggi poco chiari, risulta desumibile che le doglianze della parte ricorrente siano tese a censurare l’illegittimità della fissazione, da parte del legislatore regionale, di aspetti della materia allo stesso non attributi dal cod. ambiente, eccedendo dalle proprie competenze, che dovrebbero limitarsi a fornire criteri per le Province; eccedenza che sarebbe, appunto, alla base della violazione delle attribuzioni di queste ultime.
Da ciò deriva anche la corretta individuazione dell’art. 196, comma 1, lettere n) e o), cod. ambiente quale parametro interposto, non rilevando la mancata invocazione del successivo art. 197, comma 1, lettera d), tenuto conto, altresì, che quest’ultimo ha un contenuto speculare al primo, elencando dal lato delle Province quelle funzioni su cui la Regione deve limitarsi a porre criteri generali.
2.3.− Nel merito la questione non è fondata.
2.3.1.− Com’è noto, la disciplina dei rifiuti va ricondotta alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (tra le più recenti, sentenze n. 231, n. 142, n. 129 e n. 28 del 2019), materia naturalmente trasversale, idonea perciò a incidere sulle competenze regionali (ex multis, sentenze n. 215 e n. 151 del 2018, n. 54 del 2012, n. 380 del 2007 e n. 259 del 2004).
Tale pervasività della legislazione statale, integrando quei livelli di tutela uniforme inderogabili dalle Regioni, caratterizza anche le disposizioni di natura organizzativa, con le quali lo Stato alloca le funzioni amministrative tra i livelli di governo, con particolare riferimento alla disciplina dettata dal cod. ambiente (ex plurimis, sentenze n. 215, n. 151 e n. 150 del 2018, n. 58 del 2015, n. 285 del 2013 e n. 314 del 2009). Così, l’art. 195, comma 1, lettere f) e p), cod. ambiente attribuisce allo Stato l’individuazione degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale, nonché l’indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti. Il successivo art. 196, comma 1, lettere n) e o), invece, demanda alla competenza regionale la definizione dei criteri per l’individuazione, da parte delle Province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, nonché la definizione dei criteri per l’individuazione dei luoghi o degli impianti idonei allo smaltimento. Infine, l’art. 197, comma 1, lettera d), affida alle Province, appunto, il compito di provvedere all’individuazione delle zone idonee e non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti.
Siffatte norme individuano soglie inderogabili di protezione ambientale, dovendo la Regione, pertanto, procedere nel rispetto di criteri e procedure stabiliti a livello statale, pur restando impregiudicata la possibilità per le stesse Regioni di esercitare, nel rispetto di tali limiti, le proprie competenze sulla pianificazione territoriale (da ultimo, sentenze n. 142 e n. 129 del 2019).
2.3.2.− Ciò premesso, la versione originaria dell’art. 12, comma 4, della legge reg. Campania n. 14 del 2016, riconosciuta come legittima dalla difesa statale, prevedeva che gli impianti per il trattamento dei rifiuti non potessero essere localizzati nelle aree A del PTR, salvi gli impianti di trattamento aerobico della frazione organica a servizio dei consorzi di Comuni, nonché gli impianti di compostaggio di comunità.
In tal senso, quindi, il vincolo posto dalle disposizioni regionali vigenti appare più lieve della precedente formulazione. La Regione Campania, infatti, non ha escluso, in quanto tale, la possibilità di localizzare gli impianti per il trattamento anaerobico dei rifiuti sul territorio regionale, prevedendo per le sole aree A una procedura, svolta in collaborazione con i Comuni, che potrebbe portare all’inidoneità della localizzazione degli stessi impianti in dette aree. Non vi è, pertanto, una diretta individuazione di aree non idonee, come avveniva, anzi, in virtù dell’originaria formulazione della disposizione oggetto di censura.
Si consideri, inoltre, che le disposizioni impugnate hanno natura transitoria e non fissano, di per sé, un criterio generale di localizzazione, compito che spetterà invece ai successivi atti regionali e in particolare al piano regionale di gestione del ciclo integrato dei rifiuti urbani (da qui: PRGRU). Si tratta, pertanto, di prescrizioni tese a valere soltanto nelle more dell’aggiornamento dei criteri regionali e comunque non oltre ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge oggetto di censura.
3.− In secondo luogo, è impugnato l’art. 1, comma 1, lettera f), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, nella parte in cui introduce l’art. 12-bis, commi 1 e 2, nella legge reg. Campania n. 14 del 2016, ove sono disciplinati le modalità e i tempi di esecuzione dei controlli sugli insediamenti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale (da qui: AIA). In particolare, si prevede che la Giunta regionale, in collaborazione con l’Agenzia regionale per la protezione ambientale in Campania (da qui: ARPAC), approvi, entro il 30 novembre di ciascun anno, un piano annuale dei controlli per gli insediamenti soggetti ad AIA, determinando la frequenza di tali controlli in ragione del contesto ambientale del territorio e del prevedibile impatto sulle matrici ambientali nel caso di incidenti, nonché delle tipologie dei rifiuti che ogni singolo impianto è autorizzato a gestire.
3.1.− Secondo lo Stato tali disposizioni violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto consentirebbero una frequenza dei controlli diversa da quella indicata dal legislatore statale all’art. 29-decies, comma 11-ter, cod. ambiente, con una differente individuazione, altresì, dei criteri per determinare tale frequenza.
3.2.− La questione non è fondata.
3.2.1.− L’art. 29-decies, comma 11-bis, cod. ambiente prevede che le attività ispettive sugli impianti soggetti ad AIA (di cui al precedente art. 29-sexies) vengano definite in un piano d’ispezione ambientale a livello regionale, periodicamente aggiornato a cura della Regione, sentito il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ove siano indicati la frequenza dei controlli e i relativi criteri. È la stessa normativa dello Stato, dunque, ad attribuire alla Regione una competenza pianificatoria in materia di controlli, pur vincolandone l’attività al rispetto dei criteri indefettibilmente fissati dal legislatore statale.
Le disposizioni regionali censurate intervengono, appunto, nell’esercizio di tale competenza ed enunciano criteri parzialmente diversi da quelli indicati dall’art. 29-decies, comma 11-ter, cod. ambiente, non richiamando in particolare quelli relativi all’impatto, potenziale e reale, delle installazioni sulla salute umana e sull’ambiente, tenuto conto dei livelli e dei tipi di emissioni, della sensibilità dell’ambiente locale e del rischio di incidenti, nonché quelli relativi al livello di osservanza delle condizioni di autorizzazione. Inoltre, manca una precisa fissazione degli intervalli temporali massimi per le visite in loco, che la normativa statale interposta fissa in un anno per le installazioni che presentano i rischi più elevati, in tre anni per quelle con rischi meno elevati, in sei mesi per quelle in cui la precedente ispezione abbia evidenziato una grave inosservanza delle condizioni di autorizzazione.
Tali diversità, tuttavia, non manifestano, di per sé, la volontà del legislatore regionale di eludere quanto previsto dalla legge statale, non rilevandosi elementi atti a considerare i criteri regionali come esclusivi, il che li renderebbe illegittimi. Anzi, proprio l’assenza di una disciplina degli intervalli temporali massimi in piani annuali fa ritenere che rimangano comunque fermi quelli previsti dalle norme statali. Allo stesso modo, la necessità di tener conto di taluni specifici criteri d’interesse regionale non esclude l’applicabilità delle norme dettate dal legislatore statale nell’esercizio di una sua competenza esclusiva, tenuto conto, altresì, che l’art. 5 della legge reg. Campania n. 14 del 2016 esplicitamente richiama, tra le proprie finalità, la coerenza con la legislazione statale.
Ciò trova conferma anche nei successivi provvedimenti attuativi. Infatti, il piano d’ispezione ambientale, approvato dalla Regione Campania con deliberazione della Giunta regionale n. 115 del 2019, espressamente richiama tra i criteri per i programmi d’ispezione quelli previsti dall’art. 29-decies, comma 11-ter (paragrafo 3), stabilendo altresì un intervallo temporale tra le due visite in loco coerente con quello indicato dalla stessa disposizione (paragrafo 4).
4.− La difesa statale censura l’art. 1, comma 1, lettera f), della legge reg. Campania n. 29 del 2018 anche nella parte in cui introduce il comma 5 dell’art. 12-bis della legge della stessa Regione n. 14 del 2016, prevedendo l’adozione da parte della Regione di un apposito programma di controlli per gli impianti di gestione rifiuti autorizzati in via ordinaria ovvero semplificata, approvato dalla Giunta regionale entro il 30 novembre di ciascun anno, con i tempi e i criteri già previsti per gli impianti soggetti ad AIA.
4.1.− Secondo la difesa statale ciò determinerebbe una violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., in riferimento all’art. l, comma 85, lettera a), della legge n. 56 del 2014 e all’art. 197 comma l, cod. ambiente – quest’ultimo non espressamente richiamato nella rubrica dei motivi d’impugnazione, ma ben individuato quale parametro interposto nella relativa argomentazione, nonché nella deliberazione del Consiglio dei ministri – poiché verrebbero sottratte alle Province le funzioni a esse attribuite in materia di controlli sugli impianti di gestione dei rifiuti.
4.2.− La questione non è fondata.
4.2.1.− L’art. l, comma 85, lettera a), della legge n. 56 del 2014 individua quale funzione fondamentale delle Province la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché la tutela e valorizzazione dell’ambiente, «per gli aspetti di competenza».
Come già chiarito da questa Corte nella sentenza n. 129 del 2019, si tratta di un’espressione generica, che deve però necessariamente richiamarsi alla disciplina delle competenze che il cod. ambiente attribuisce alle varie amministrazioni, quale, appunto, quella prevista dell’art. 197, comma l. Tale disposizione stabilisce una potestà provinciale in materia di «programmazione e organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale», che comprende il controllo periodico su tutte le attività di gestione, di intermediazione e di commercio dei rifiuti, incluso l’accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui alla parte IV cod. ambiente. In virtù di siffatta previsione normativa, dunque, questa Corte ha censurato l’intervento del legislatore della Toscana con cui si attribuivano alla Regione le competenze, già esercitate dalle Province, concernenti l’effettuazione del citato controllo periodico.
Nel caso di specie la disciplina introdotta dalla Regione Campania appare di portata diversa.
Le funzioni provinciali, infatti, non sono escluse dalle disposizioni impugnate, restando attribuita alle Province la potestà sull’esecuzione dei controlli sul proprio territorio, con la possibilità di disciplinare anche le modalità attraverso cui tali controlli devono essere organizzati.
L’adozione di un programma regionale dei controlli anche per gli impianti autorizzati in via ordinaria o semplificata è riconducibile alle funzioni attribuite dall’art. 196, comma l, cod. ambiente alle Regioni, a cui spetta la competenza relativa alla regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compresa la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, nonché alla promozione della gestione integrata dei rifiuti. Si tratta, in altri termini, dell’esercizio da parte della Regione di un potere di pianificazione e programmazione, necessariamente limitato a dettare criteri uniformi sul territorio regionale, che, sebbene non espressamente previsto dalla disciplina statale, come per gli impianti soggetti ad AIA, rientra tra le competenze istituzionali regionali.
5.− Da ultimo, oggetto d’impugnazione è l’art. 1, comma 1, lettera u), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, che introduce il comma 5-bis all’art. 49 della legge reg. Campania n. 14 del 2016, ove si prevedono risorse finanziare aggiuntive per i soggetti che provvedano alla stabilizzazione del personale dei consorzi di bacino della Regione Campania, al termine dell’utilizzazione temporanea dello stesso personale.
5.1.− Secondo la difesa statale la disposizione impugnata contrasterebbe con l’art. 97 Cost., consentendo di stabilizzare anche il personale delle società partecipate dagli stessi consorzi, con rapporto di lavoro di natura privatistica, peraltro in assenza di pubblico concorso.
5.2.− La questione non è fondata.
5.2.1.− I consorzi di bacino sono stati costituiti, ai sensi dell’art. 6 della legge della Regione Campania 10 febbraio 1993, n. 10 (Norme e procedure per lo smaltimento dei rifiuti in Campania), quali consorzi obbligatori tra Comuni per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. Essi hanno altresì costituito società, alle quali hanno partecipato.
Va precisato che, come più volte sottolineato anche dalla giurisprudenza amministrativa (da ultimo, Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 16 febbraio 2015), i consorzi di bacino sono enti pubblici non economici, riconducibili, pertanto, alle amministrazioni pubbliche, anche per quanto concerne la regolamentazione del rapporto di lavoro (sentenza n. 226 del 2012).
Tali consorzi sono stati successivamente posti in liquidazione e, nonostante i numerosi interventi legislativi statali e regionali, è ancora cospicuo il numero di dipendenti in attesa di collocazione. A tal proposito, l’art. 49, comma 1, della legge reg. Campania n. 14 del 2016, ha previsto che i soggetti attuatori del programma straordinario di cui all’art. 45 della stessa legge (vale a dire i Comuni, le unioni e le associazioni di Comuni, la Città metropolitana di Napoli e le Province della Campania) sono tenuti a utilizzare a tal fine il personale dei consorzi di bacino e delle società da essi partecipate. L’utilizzo di tale personale avviene mediante assegnazione temporanea presso i soggetti attuatori (art. 49, comma 2), ai sensi dell’art. 23-bis, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). L’assegnazione è disciplinata da convenzioni ai sensi del precedente art. 46 della stessa legge, previa sottoscrizione di protocolli di intesa tra i commissari liquidatori dei consorzi di bacino e i soggetti attuatori degli interventi.
5.2.2.− Ciò precisato, l’impugnato comma 5-bis dell’art. 49 della legge reg. Campania n. 14 del 2016 stabilisce che, ove i soggetti attuatori dichiarino in convenzione, all’atto dell’avvio delle attività progettuali, d’impegnarsi alla stabilizzazione del personale dei consorzi di bacino di cui al precedente comma 1, al termine del programma e del periodo di assegnazione temporanea, gli stessi soggetti possano beneficiare di ulteriori sostegni finanziari da parte della Regione.
Dunque, sebbene l’art. 49, comma 1, nel menzionare l’utilizzazione del personale faccia riferimento sia ai consorzi di bacino, sia alle società partecipate, il censurato comma 5-bis, pur richiamando la precedente disposizione, si riferisce al solo personale dei consorzi di bacino in liquidazione. Soltanto riguardo a questi ultimi, quindi, sono previste risorse aggiuntive nel caso d’impegno alla stabilizzazione, da intendersi in realtà come un riassorbimento nei ruoli di altre pubbliche amministrazioni, quali sono, appunto, i soggetti attuatori sopra richiamati.
Ne deriva, in conclusione, che, come d’altronde riconosciuto anche dalla difesa statale, la limitazione del campo d’applicazione della disposizione impugnata al solo personale consortile, già inserito nell’ambito del pubblico impiego, consente di escludere il contrasto con l’art. 97 Cost.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera d), della legge della Regione Campania 8 agosto 2018, n. 29, recante «Modifiche alla legge regionale 26 maggio 2016, n. 14·(Norme di attuazione della disciplina europea e nazionale in materia di rifiuti)» – che sostituisce l’art. 12, comma 4, della legge della Regione Campania 26 maggio 2016, n. 14 (Norme di attuazione della disciplina europea e nazionale in materia di rifiuti e dell’economia circolare) – promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera f), della legge reg. Campania n. 29 del 2018 – nella parte in cui introduce l’art. 12-bis, commi 1 e 2, nella legge reg. Campania n. 14 del 2016 – promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera f), della legge reg. Campania n. 29 del 2018 – nella parte in cui introduce l’art. 12-bis, comma 5, nella legge reg. Campania n. 14 del 2016 – promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera u), della legge reg. Campania n. 29 del 2018, che aggiunge il comma 5-bis all’art. 49 della legge reg. Campania n. 14 del 2016, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 97 Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2019.
F.to:
Aldo CAROSI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2019.