Sentenza n. 335/2001

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 335

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO            

- Massimo VARI                     

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 4, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988, n. 65 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 7 novembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi), come autenticamente interpretato dall'art. 29 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30, ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi e di attività estrattive), promosso con ordinanza emessa il 14 gennaio 2000 dal Tar per il Friuli-Venezia Giulia sul ricorso proposto da Gesteco s.p.a. ed altra contro la Provincia di Udine ed altra, iscritta al n. 412 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visto l'atto di costituzione della Gesteco s.p.a. ed altra, nonchè l'atto di intervento della Regione Friuli-Venezia Giulia;

udito nell'udienza pubblica del 10 luglio 2001 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi gli avvocati Bruno Barel, Nicola Corbo per la Gesteco s.p.a. ed altra e l'avv. Gino Marzi per la Regione Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

1. — Nel corso di un giudizio instaurato da due imprese – esercenti l'una, "una discarica per rifiuti solidi urbani e speciali assimilabili ... ed entrambe una discarica di rifiuti speciali non tossici e non nocivi" – contro il decreto assessorile che aveva fatto loro divieto di smaltire rifiuti di provenienza extraregionale, il Tar per il Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza del 14 gennaio 2000, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 4, della legge del Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988, n. 65 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 7 novembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi), come autenticamente interpretato dall’art. 29 della legge regionale 14 giugno 1996, n. 22 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30, ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi e di attività estrattive). Ad avviso del rimettente, il combinato delle due disposizioni impugnate, vietando il conferimento nelle discariche della Regione dei rifiuti prodotti al di fuori della Regione medesima, violerebbe gli articoli 4, 5 e 6 dello statuto speciale della Regione, nonchè gli articoli 3, 41 e 120 della Costituzione.

Il Tar premette di aver già sollevato la medesima questione di costituzionalità nel corso dello stesso giudizio, e che la Corte costituzionale, con ordinanza 22 novembre 1999 n. 442, ha disposto che gli fossero restituiti gli atti del processo in ragione del sopravvenuto art. 6 della legge regionale 9 novembre 1998, n. 13, recante una nuova disciplina delle autorizzazioni allo svolgimento dell'attività di smaltimento dei rifiuti. Detta disposizione non implicherebbe però, ad avviso del Tar, il venire meno della rilevanza della questione, poichè "ha come destinatari soltanto gli impianti che necessitano di autorizzazione alla realizzazione o all'esercizio", e "non contempla affatto quei gestori, come le società ricorrenti, che sono già titolari di autorizzazioni e non intendono modificare le condizioni di esercizio dei loro impianti".

2. — Per quanto attiene al merito della questione, il rimettente considera che il divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale si porrebbe in contrasto con i principi della legislazione statale posti dagli articoli 1, 4, lettera h), e 6, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915 (Attuazione delle direttiva CEE n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi) – applicabile al giudizio principale ratione temporis – i quali impongono il perseguimento delle finalità "di evitare danni e pericoli per la salute nonchè inquinamenti di ogni tipo e di salvaguardare l’ambiente e il paesaggio", nonchè stabiliscono "poteri statali di coordinamento interregionale". Ad avviso del rimettente, "le norme sospettate di incostituzionalità, infatti, rendono indisponibile il territorio della Regione alle iniziative (...) che lo Stato, a mezzo del Ministero dell’ambiente (...) deve apprestare, per garantire anche a livello nazionale il conseguimento delle finalità predette". Sarebbe leso anche un interesse nazionale infrazionabile, in quanto lo smaltimento di rifiuti in discariche situate in ambito regionale diverso da quello di produzione costituirebbe in determinati casi una necessità non eludibile, la quale andrebbe "soddisfatta in via d’emergenza", fenomeno che non sarebbe governabile da alcuna regione, ma "unicamente dallo Stato".

Secondo il rimettente, inoltre, le norme impugnate contrasterebbero con gli articoli 3 e 41 della Costituzione, a causa del deteriore trattamento previsto per le imprese che smaltiscono rifiuti nella Regione Friuli-Venezia Giulia, e per l’indebita restrizione alla libertà di iniziativa economica; ed ancora con l’art. 120, per la limitazione alla libera circolazione di cose fra le Regioni nonchè al libero esercizio da parte dei cittadini della loro professione nel territorio nazionale.

Neppure inciderebbero sui termini della questione di costituzionalità, secondo il rimettente, le innovazioni apportate dal successivo decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), in quanto l’art. 5 del decreto stabilisce un divieto "analogo a quello stabilito dalle leggi regionali contestate", ma con riferimento ai soli rifiuti urbani, mentre il giudizio a quo avrebbe ad oggetto lo "smaltimento di rifiuti speciali". Lo stesso art. 5, prosegue il Tar, confermerebbe "la necessità del ricorso ad una rete integrata di smaltimento dei rifiuti", anche al fine di poterli smaltire "in uno degli impianti appropriati più vicini". Infine, anche il decreto legislativo n. 22 del 1997 prevede il mantenimento del catasto nazionale dei rifiuti, disponendone agli articoli 11 e 18 la riorganizzazione e la tenuta ad opera dello Stato, e mantiene in forza dell'art. 13 e dello stesso articolo 18 funzioni statali di indirizzo e coordinamento nonchè di intervento in via d’urgenza, in caso di inerzia delle Regioni.

3. — E' intervenuta in giudizio la Regione Friuli-Venezia Giulia, deducendo l'irrilevanza della questione di costituzionalità. Secondo la Regione, difatti, la legge regionale n. 13 del 1998 avrebbe implicitamente abrogato l'art. 29 della legge regionale n. 22 del 1996, oggetto del giudizio, ed avrebbe altresì stabilito un nuovo regime autorizzatorio delle discariche di rifiuti operante anche per le strutture "in esercizio od autorizzate", come quelle cui il giudizio principale si riferisce.

Nel merito, la difesa della Regione ricorda la natura transitoria della disciplina regionale impugnata, finalizzata a fronteggiare una situazione contingente di emergenza nell'attesa dei piani di smaltimento e nega che dal decreto presidenziale n. 915 del 1982 si possa ricavare "un principio di libera circolazione dei rifiuti". In particolare la difesa regionale osserva che l'art. 6 del decreto ha previsto un potere di pianificazione delle Regioni in materia di impianti di smaltimento, potere confermato dal decreto-legge 31 agosto 1987, n. 361 e dalla relativa legge di conversione, nonchè attuato dalla disciplina secondaria, che ha imposto di tenere conto tanto della quantità dei rifiuti prodotti in ciascuna regione, quanto della popolazione ivi residente. Tale funzione sarebbe del tutto vanificata, ad avviso dell'intervenuta, ove negli impianti regionali potessero "essere riversate quantità incontrollabili di rifiuti provenienti da ambiti territoriali ... esterni alla Regione".

Ad avviso della Regione, infine, non sussiste il contrasto con gli articoli 3 e 41 della Costituzione, per il carattere prevalente della tutela della salute e dell'ambiente sulla libertà di iniziativa economica privata, e neanche vi sarebbe violazione del principio di uguaglianza, in ragione sia del carattere transitorio della disciplina regionale, sia delle sue finalità "palesi, logiche e giustificate ".

Per quanto attiene al principio di libera circolazione stabilito dall'art. 120 della Costituzione, la previsione andrebbe considerata "alla luce del criterio generale della ragionevolezza", non essendo precluso al legislatore regionale adottare misure limitative per ragioni di pubblico interesse.

4. — Si sono costituite in giudizio le Società Gesteco e Prefir, ricorrenti nel giudizio principale, svolgendo argomentazioni a favore dell'accoglimento della questione.

Secondo le parti private, dal decreto presidenziale n. 915 del 1982, dal successivo decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397 e dalla relativa legge di conversione si ricaverebbe il principio dell' "efficace smaltimento dei rifiuti prodotti nel territorio nazionale a garanzia dell'ambiente e della salute pubblica", cosicchè il sistema sarebbe fondato sul presupposto che "il rifiuto debba poter "circolare" se necessario, per essere smaltito adeguatamente".

In particolare il decreto n. 915 del 1982 recherebbe una disciplina differenziata per la gestione dei rifiuti urbani, da un lato, e la gestione dei rifiuti speciali e pericolosi, dall'altro lato. Per i primi varrebbe il principio dello smaltimento in ambiti territoriali delimitati ed autosufficienti, per i secondi, invece, "il principio della autosufficienza "nazionale" nello smaltimento, a tutela dell'ambiente e della salute pubblica", con la conseguenza che il loro smaltimento, ove necessario, debba poter avvenire anche in regioni diverse da quelle di produzione.

Le predette conclusioni non muterebbero a causa del sopravvenuto decreto legislativo n. 22 del 1997, il quale, ad avviso delle parti private, mentre non pone alcun limite alla circolazione dei rifiuti speciali, il cui smaltimento continua ad affidare alla libera iniziativa economica, riferisce ai soli rifiuti urbani non pericolosi il divieto di smaltimento in regioni diverse da quelle di produzione. Per tutte le altre categorie di rifiuti la disciplina statale sopravvenuta attuerebbe invece il principio comunitario "di correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente", confermando il principio della prossimità nello smaltimento.

Le parti private, infine, sottolineano che le norme impugnate colpiscono "in modo diretto ed esclusivo gli imprenditori" del Friuli-Venezia Giulia, "sia in sede di produzione che in sede di smaltimento dei rifiuti", con conseguente violazione degli articoli 3 e 41 della Costituzione.

5. — In prossimità dell'udienza, le società costituite hanno depositato una memoria difensiva, nella quale insistono per l'accoglimento delle conclusioni già formulate, contestando in particolare che la norma impugnata possa dirsi transitoria, e deducendone l'illegittimità proprio in quanto essa dichiara espressamente di operare nelle more dell'esercizio del potere regionale di pianificazione.

Considerato in diritto

1. ― La questione di legittimitΰ costituzionale sollevata dal Tar per il Friuli-Venezia Giulia con l'ordinanza indicata in epigrafe concerne l'art. 16, comma 4, della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988, n. 65, così come interpretato autenticamente dall'art. 29 della legge regionale 14 giugno 1996, n. 22, nella parte in cui "nell'impedire che sia autorizzato lo smaltimento di rifiuti eccedenti il fabbisogno calcolato su base regionale e nel consentire che essi siano conferiti in discarica soltanto se di provenienza regionale" viola gli artt. 4, 5 e 6 dello statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, nonchè gli artt. 3, 41 e 120 della Costituzione.

Secondo il giudice rimettente, infatti, le predette norme regionali non si conformano ai principi fondamentali posti dall'allora vigente d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 in quanto, violando interessi nazionali unitari, ostacolano "il funzionamento di un'organizzazione a livello nazionale dello smaltimento che permetta anche alle Regioni la cui produzione di rifiuti ecceda le capacità di smaltimento di collocarli in discariche controllate e non abusive di altre Regioni, senza pericoli per la salute pubblica". Inoltre le stesse norme sarebbero in contrasto, secondo il giudice a quo, anche con gli artt. 3, 41 e 120 della Costituzione a causa dell'arbitraria ed "illegittima imposizione di ostacoli e limitazioni (...) alla libera circolazione di cose e all'esercizio della professione" in danno degli esercenti lo smaltimento dei rifiuti nella Regione Friuli-Venezia Giulia.

2. ― In via preliminare va respinta l'eccezione di inammissibilitΰ per irrilevanza sollevata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia in riferimento alla sopravvenienza della legge regionale 9 novembre 1998, n. 13, che avrebbe introdotto un nuovo regime autorizzatorio delle discariche di rifiuti. Il Tar per il Friuli-Venezia Giulia -al quale erano stati, per sopravvenienza legislativa, restituiti gli atti con ordinanza di questa Corte n. 442 del 1999, dopo una precedente restituzione disposta, per analogo motivo, con ordinanza n. 22 del 1998- ha infatti non implausibilmente motivato la permanenza della rilevanza in base alla circostanza che la normativa sopravvenuta non ha carattere retroattivo e riguarda quindi solo il regime delle nuove autorizzazioni.

3. ― La questione θ fondata nei limiti di seguito prospettati.

Le censurate norme della Regione Friuli-Venezia Giulia, che sostanzialmente dispongono il divieto di smaltimento nelle discariche regionali dei rifiuti di provenienza extraregionale anche rispetto, secondo il giudice a quo, ai "rifiuti speciali non tossici e non nocivi", vanno scrutinate tenendo conto, in particolare, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che ha sostituito, confermandone peraltro i principi, il previgente d.P.R. n. 915 del 1982 e che disciplina la "gestione dei rifiuti" mediante disposizioni che si autoqualificano principi fondamentali della legislazione statale, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, nonchè "norme di riforma economico-sociale" nei confronti delle regioni a statuto speciale.

La giurisprudenza costituzionale si é occupata più volte del problema, posto dalla legislazione regionale, relativo al divieto di smaltimento in ambito regionale di rifiuti di provenienza extraregionale, pervenendo sostanzialmente ad una duplice soluzione in relazione alla tipologia dei rifiuti in questione. Da un lato, infatti, si é statuito, proprio in riferimento alle stesse norme regionali in esame, che alla luce del principio dell'autosufficienza -stabilito espressamente dall'art. 5, comma 3, lettera a), del decreto n. 22 del 1997- il divieto di smaltimento dei rifiuti di produzione extraregionale é pienamente applicabile ai rifiuti urbani non pericolosi nonchè ai rifiuti speciali assimilabili (sentenza n. 196 del 1998); dall'altro lato, si é invece statuito che il principio dell'autosufficienza locale ed il connesso divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale non possono valere per quelli "pericolosi" -comprensivi quindi anche, secondo la disciplina introdotta dal decreto n. 22 del 1997, di quelli che la previgente normativa del d.P.R. n. 915 del 1982 definiva "tossici e nocivi"- i quali necessitano di processi di smaltimento appropriati e specializzati (sentenza n. 281 del 2000).

E' pertanto nell'ambito di questa duplice soluzione giurisprudenziale che va inquadrata la questione in esame che riguarda i rifiuti "speciali" non pericolosi, antecedentemente definiti "non tossici e non nocivi", per i quali occorre dunque verificare se valga o meno il criterio prioritario della autosufficienza nello smaltimento, tenendo conto che la disciplina legislativa dei conferimenti nelle discariche prende in considerazione sia il luogo di produzione sia le caratteristiche di pericolosità dei rifiuti.

Ed invero il criterio del luogo d'origine, valutato insieme con l'assenza di elementi di pericolosità, é stato seguito nei confronti dei rifiuti urbani non pericolosi, rispetto ai quali "l'ambito territoriale ottimale per lo smaltimento" é considerato "logicamente limitato e predeterminabile in relazione ai luoghi di produzione", stabilendo infatti l'art. 23 del decreto n. 22 che esso coincida di regola con il territorio provinciale, in modo da garantire al suo interno l'autosufficienza dello smaltimento (sentenza n. 281 del 2000). Invece il criterio della pericolosità é stato ritenuto prevalente rispetto a quello del luogo di produzione in riferimento ai rifiuti che si definiscono appunto "pericolosi", giacchè per il loro smaltimento, date le loro caratteristiche, appare prioritaria, alla luce del principio desumibile dall'art. 5, comma 3, lettere b) e c), del decreto n. 22, l'esigenza di impianti appropriati e specializzati e di tecnologie idonee; esigenza che contrasta con una rigida predeterminazione di ambiti territoriali ottimali e con la connessa previsione di autosufficienza locale nello smaltimento.

Ciò premesso, va ricordato che i rifiuti "speciali", secondo la classificazione dell'art. 7 del citato decreto n. 22, costituiscono una variegata tipologia comprensiva, prescindendo dalle caratteristiche di eventuale pericolosità, di ben dieci categorie di rifiuti di diversa origine. La loro produzione é generalmente connessa ad attività lavorative: di tipo agricolo, edilizio, industriale, artigianale, commerciale, sanitario e così via, sicchè la loro localizzazione normalmente non é distribuita in modo omogeneo sul territorio e comunque non é facilmente predeterminabile, così come non é facilmente prevedibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire. Va inoltre considerata, in relazione a questa tipologia di rifiuti che presentano caratteristiche così diverse tra di loro, la necessità che siano utilizzati impianti di smaltimento appropriati o addirittura, per qualcuna delle categorie indicate, come ad esempio i rifiuti sanitari o i veicoli a motore, impianti "specializzati", secondo quanto appunto prevede l'art. 5, comma 3, lettera b), del decreto n. 22 del 1997, che, sul punto, oltre tutto, conferma l'impianto del previgente d.P.R. n. 915 del 1982.

Risulta dunque evidente la ragione per cui anche per i rifiuti "speciali", al pari di quelli pericolosi, il legislatore statale non predetermina un ambito territoriale ottimale, che valga a garantire l'obiettivo specifico dell'autosufficienza nello smaltimento, fissato in modo espresso dall'art. 5, comma 3, lettera a), del decreto n. 22 per i soli rifiuti urbani non pericolosi. In questa ottica appare quindi incongruo il divieto di conferimento nelle discariche regionali, imposto dalle norme censurate, di rifiuti speciali provenienti da altre regioni, in quanto tale divieto non solo può pregiudicare il conseguimento della finalità di consentire lo smaltimento di tali rifiuti "in uno degli impianti appropriati più vicini" (art. 5, comma 3, lettera b del decreto n. 22 del 1997), ma introduce addirittura, in contrasto con l'art. 120 della Costituzione, un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le regioni, senza che sussistano ragioni giustificatrici, neppure di ordine sanitario o ambientale (cfr. sentenze n. 207 del 2001, n. 362 del 1998 e n. 264 del 1996).

Del resto, anche alla luce della normativa comunitaria il rifiuto é pur sempre considerato un "prodotto", in quanto tale fruente, in via di principio e salvo specifiche eccezioni, della generale libertà di circolazione delle merci. In questo senso va in particolare segnalato che la Corte di giustizia delle Comunità europee ancora recentemente ha statuito, a proposito di certi rifiuti speciali non pericolosi, che l'art. 34 del Trattato CE (ora art. 29 CE) si oppone ad un sistema di raccolta e di presa in carico che costituisca, di fatto o di diritto, un ostacolo all'esportazione; "tale ostacolo non può essere giustificato alla luce dell'art. 36 del Trattato CE [divenuto, in seguito a modifica, art. 30 CE], o mediante il richiamo a finalità di tutela dell'ambiente (...), in mancanza di qualsiasi indizio di pericolo per la salute o la vita delle persone o degli animali, o per la preservazione delle specie vegetali, ovvero di pericolo per l'ambiente" (Corte di giustizia, sentenza 23 maggio 2000, causa C-209/98).

Va quindi esclusa la possibilità di estensione ai rifiuti diversi da quelli urbani non pericolosi del principio specifico dell'autosufficienza locale nello smaltimento e va invece applicato -come questa Corte ebbe modo di affermare nella ricordata decisione n. 281 del 2000 a proposito dei rifiuti "pericolosi"- anche ai rifiuti "speciali" non pericolosi il diverso criterio, pure previsto dal legislatore, della specializzazione dell'impianto di smaltimento integrato dal criterio della prossimità, considerato il contesto geografico, al luogo di produzione in modo da ridurre il più possibile la movimentazione dei rifiuti, secondo la previsione dell'art. 22, comma 3, lettera c) del citato decreto n. 22 del 1997.

In definitiva, le argomentazioni che precedono dimostrano che il divieto di smaltimento nelle discariche regionali di rifiuti di provenienza extraregionale contenuto nelle norme della Regione Friuli-Venezia Giulia denunciate contrasta, nella parte in cui riguarda i rifiuti diversi da quelli urbani non pericolosi, con l'art. 120 della Costituzione ed inoltre non si adegua alle citate norme di riforma economico-sociale introdotte in materia dal decreto n. 22 del 1997. Restano così assorbiti gli ulteriori profili di censura.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale degli artt. 29 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi e di attività estrattive) e 16, comma 4, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988, n. 65 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi), limitatamente al divieto di smaltimento nelle discariche regionali dei rifiuti di provenienza extraregionale diversi da quelli urbani non pericolosi.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 ottobre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 19 ottobre 2001.