SENTENZA N. 153
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giuliano AMATO;
Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge della Regione Valle d’Aosta 13 luglio 2021, n. 16 (Disposizioni in materia di funzionamento e limiti ai compensi degli organi societari di Finaosta S.pA., nonché di operazioni societarie. Modificazioni alla legge regionale 16 marzo 2006, n. 7), nella parte in cui sostituisce l’art. 14, comma 4, della legge della Regione Valle d’Aosta 16 marzo 2006, n. 7 (Nuove disposizioni concernenti la società finanziaria regionale FINAOSTA S.p.A. Abrogazione della legge regionale 28 giugno 1982, n. 16), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 13 settembre 2021, depositato in cancelleria il 21 settembre 2021, iscritto al n. 50 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste;
udito nell’udienza pubblica del 24 maggio 2022 il Giudice relatore Stefano Petitti;
uditi l’avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Francesco Saverio Marini per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste;
deliberato nella camera di consiglio del 24 maggio 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 13 settembre 2021, depositato il 21 settembre successivo e iscritto al n. 50 del registro ricorsi 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 2, comma 1, della legge della Regione Valle d’Aosta 13 luglio 2021, n. 16 (Disposizioni in materia di funzionamento e limiti ai compensi degli organi societari di Finaosta S.pA., nonché di operazioni societarie. Modificazioni alla legge regionale 16 marzo 2006, n. 7), nella parte in cui sostituisce l’art. 14, comma 4, della legge della Regione Valle d’Aosta 16 marzo 2006, n. 7 (Nuove disposizioni concernenti la società finanziaria regionale FINAOSTA S.p.A. Abrogazione della legge regionale 28 giugno 1982, n. 16), in riferimento all’art. 2, lettera a), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) e all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, relativamente alla materia del coordinamento della finanza pubblica.
1.1.– Il ricorrente premette che, nell’ambito delle disposizioni introdotte con la legge reg. Valle d’Aosta n. 16 del 2021, il legislatore valdostano è intervenuto, mediante la disposizione impugnata, a disciplinare i limiti ai compensi degli organi societari di Finaosta spa, prevedendo in particolare che «[i] compensi spettanti al Presidente e ai membri del consiglio d’amministrazione sono stabiliti dall’assemblea in misura non superiore al doppio di quella prevista per i componenti in carica alla data di approvazione del bilancio relativo all’esercizio 2020».
Tale previsione contrasterebbe con la normativa statale di principio contenuta nell’art. 11, comma 7, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), secondo il quale, per la determinazione dei compensi degli amministratori delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni, trovano applicazione, in attesa dell’emanazione del decreto ministeriale di cui all’art. 11, comma 6, del medesimo d.lgs. n. 175 del 2016, le disposizioni di cui all’art. 4, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135.
Tale ultima disposizione, in particolare, stabilisce che «[a] decorrere dal 1° gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di tali società, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l’80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell’anno 2013».
1.2.– Per il fatto di consentire all’assemblea di Finaosta spa di deliberare un incremento dei compensi degli organi della stessa in deroga al limite massimo dell’80 per cento dei costi complessivamente sostenuti nel 2013, la norma impugnata contrasterebbe con l’art. 4, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012, che è stato ritenuto da alcune sezioni regionali della Corte dei conti principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, rientrante quindi nella competenza legislativa statale ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. (sono richiamate le delibere delle sezioni regionali di controllo per la Basilicata del 29 marzo 2018, n. 10, e per la Liguria del 27 marzo 2020, n. 29).
Muovendo dalla ricostruzione della giurisprudenza contabile, l’Avvocatura osserva come la finalità dell’art. 4, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012 consista nel contenimento dei costi delle società pubbliche e il suo contenuto non possa essere derogato dal legislatore regionale, né facendo valere le aumentate competenze della società, né invocando la necessità di dare attuazione alle previsioni dei piani di razionalizzazione delle partecipazioni mediante operazioni di alienazione o aggregazione. Solo laddove il costo per l’anno 2013 non sia in concreto rinvenibile, sarebbe possibile considerare «l’onere sostenuto nell’ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso a tale titolo, nel rispetto della stretta necessarietà e del limite massimo di 240 mila euro» di cui all’art. 11, comma 7 (recte: comma 6), del d.lgs. n. 175 del 2016 (sono richiamate la già citata deliberazione della sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Liguria, n. 29 del 2020, e quella della sezione regionale di controllo per il Veneto del 5 febbraio 2018, n. 31).
Secondo il ricorrente, quindi, il limite in parola avrebbe carattere tassativo e, in difetto di espressa previsione di legge statale, non potrebbe «essere derogato dalla Regione in conseguenza di un’evoluzione rispetto alla configurazione originaria della società e neppure invocando una pretesa incongruenza degli emolumenti attribuibili in base all’applicazione di siffatti limiti».
Non troverebbe peraltro applicazione l’art. 36 Cost., perché il rapporto tra amministratore e società non sarebbe riconducibile né a un contratto d’opera, né a un contratto di lavoro subordinato o parasubordinato, ma a un rapporto di tipo societario, «con conseguente disponibilità e rinunciabilità del compenso e piena legittimità di ogni previsione statutaria restrittiva finanche, al limite, della eventuale gratuità dell’incarico».
A fronte di tale contrasto, la disposizione impugnata esorbiterebbe pertanto dalla competenza primaria attribuita alla Regione dall’art. 2, lettera a), dello statuto speciale nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione e stato giuridico ed economico del personale», invadendo così l’ambito riservato alla competenza legislativa statale in relazione al principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica ricavabile dal combinato disposto di cui al richiamato art. 4, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012 e all’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 175 del 2016.
2.– In data 11 ottobre 2021 si è costituita in giudizio la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in persona del suo Presidente pro tempore, chiedendo che il ricorso venga dichiarato non fondato.
2.1.– Secondo la difesa regionale, l’impugnativa del Governo sarebbe inammissibile, o comunque non fondata, perché le norme interposte di cui si lamenta la violazione non sarebbero applicabili nella Regione Valle d’Aosta.
L’art. 23 del d.lgs. n. 175 del 2016, infatti, stabilisce che le disposizioni in esso contenute si applicano nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano «compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione», mentre l’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, come convertito, prevede che le disposizioni contenute nel decreto medesimo si applichino agli enti ad autonomia speciale «secondo le procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, anche con riferimento agli enti locali delle autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, agli enti ed organismi strumentali dei predetti enti territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento regionale o provinciale».
In virtù del principio pattizio che governa l’ordinamento finanziario in Valle d’Aosta, secondo quanto previsto dagli artt. 48-bis e 50 dello statuto speciale, anche ammettendo che quelli richiamati nel ricorso siano principi di coordinamento della finanza pubblica, essi non sarebbero comunque vincolanti perché non individuati secondo il principio dell’accordo, «inteso come vincolo di metodo (e non già di risultato) e declinato nella forma della leale collaborazione» (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 58 del 2021 e n. 250 del 2020).
Tale metodo, osserva la resistente, ha trovato conferma nell’accordo sottoscritto il 16 novembre 2018 tra il Ministro dell’economia e delle finanze e il Presidente della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, i cui contenuti sono stati recepiti nell’art. 1, commi da 876 a 879, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021). Questo accordo, rileva ancora la difesa regionale, non contempla specifiche previsioni nella materia interessata dall’odierna impugnazione, limitandosi a quantificare complessivamente gli effetti del contributo della Regione al risanamento della finanza pubblica. Né la situazione sarebbe mutata negli accordi intervenuti successivamente.
Da tanto discenderebbe la non diretta applicabilità dell’art. 4, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012, richiamato dall’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 175 del 2016, e la conseguente inammissibilità o, comunque, non fondatezza del ricorso governativo.
2.2.– Anche ove tali disposizioni fossero da ritenersi applicabili alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, esse comunque non integrerebbero un principio fondamentale «in assoluto non derogabile» da parte di quest’ultima.
Il limite di cui al citato art. 4, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012, infatti, troverebbe applicazione, in virtù del richiamo ad esso effettuato dall’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 175 del 2016, nelle more dell’adozione del decreto ministeriale previsto dall’art. 11, comma 6, del medesimo decreto legislativo. Nonostante il tempo trascorso dall’entrata in vigore del Testo unico sulle società a partecipazione pubblica e il fatto che quest’ultimo abbia potenziato i requisiti qualitativi e le competenze richieste agli organi di amministrazione di tali società, il decreto di cui al citato art. 11, comma 6 – osserva la Regione – non è stato ancora adottato, con l’effetto che l’inerzia statale avrebbe consolidato, in modo illegittimo, una situazione che nasceva come transitoria e che impone, oggi, di «individuare soluzioni costituzionalmente orientate anche nell’interpretazione del limite in discussione, sulla scorta dei principi di ragionevolezza e buon andamento ex artt. 3 e 97 Cost.».
Proprio tale esigenza avrebbe spinto alcune sezioni regionali di controllo della Corte dei conti a sottolineare, nel momento in cui si deroga al limite di cui al citato art. 4, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012, la necessità di combinare le norme pubblicistiche e privatistiche rilevanti nella materia de qua, orientando le soluzioni a una «attenta combinazione del rispetto di tutti i limiti stabiliti a tutela di un corretto utilizzo delle pubbliche risorse, e del contestuale interesse alla massima efficacia dello svolgimento delle funzioni, atta a consentire una proficua operatività dello stesso» (sezione regionale di controllo per il Friuli-Venezia Giulia, deliberazione del 30 aprile 2020, n. 15).
Ciò ha condotto, nel caso in cui non vi fosse un parametro di costo per l’anno 2013, ad assumere quale riferimento l’onere sostenuto nell’ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso da utilizzare, purché contenuto entro i limiti della stretta necessità, ovvero a far ricorso allo stesso principio allorché il costo di riferimento, pur desumibile, risulti «talmente esiguo da essere considerato sostanzialmente inesistente, soprattutto se si abbia in considerazione la necessità di garantire un proficuo e professionalmente adeguato funzionamento degli organi societari», sempre che i compensi vengano contenuti entro «limiti riconducibili ai parametri di sana gestione».
2.3.– Entro tali coordinate si collocherebbe l’impugnato art. 2, comma 1, della legge reg. Valle d’Aosta n. 16 del 2021.
La difesa regionale precisa che il compenso percepito nell’anno 2020, invariato dal 2015, dai membri del consiglio di amministrazione di Finaosta spa è pari a euro 4.464, mentre quello del presidente del consiglio di amministrazione ammonta a euro 25.200.
Si tratterebbe di un compenso quasi simbolico e che risulterebbe vieppiù inadeguato oggi alla luce della maggiore qualificazione e delle corrispondenti responsabilità richieste per gli amministratori, secondo quanto prevede proprio la legge regionale impugnata, alla luce delle nuove attività svolte dalla società.
Dando attuazione al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 23 novembre 2020, n. 169 (Regolamento in materia di requisiti e criteri di idoneità allo svolgimento dell’incarico degli esponenti aziendali delle banche, degli intermediari finanziari, dei confidi, degli istituti di moneta elettronica, degli istituti di pagamento e dei sistemi di garanzia dei depositanti), la legge reg. Valle d’Aosta n. 16 del 2021 – precisa la resistente – ha infatti dettato specifici criteri e requisiti di idoneità in capo agli amministratori, tra cui assume rilievo la non cumulabilità dell’incarico di presidente del consiglio d’amministrazione e di direttore generale, il che avrebbe reso ancora più irrisorio il compenso riconosciuto al presidente in base al criterio storico.
Per effetto della disposizione impugnata, pertanto, si sarebbe determinato un riallineamento dei compensi degli organi della società, che, rimediando alla sostanziale irrilevanza del loro ammontare fino al 2020, resterebbe tuttavia rispettoso del principio di efficacia perché commisurerebbe la remunerazione a un criterio di adeguatezza alla luce delle competenze attribuite agli organi e dei nuovi requisiti che impongono una maggiore qualificazione dei membri di questi ultimi.
Ciò sarebbe dimostrato dal fatto che il compenso massimo riconoscibile ai membri del consiglio di amministrazione di Finaosta spa sarà pari a euro 8.928 annui, mentre il presidente si vedrà riconosciuti al massimo euro 50.400 all’anno. Si tratterebbe di una «misura pienamente razionale e proporzionata», se solo si pensa ai compensi percepiti dagli organi di altre società analoghe (è riportato il caso di Finlombarda spa, il cui presidente ottiene un compenso pari a euro 102.720 annui e i membri del consiglio d’amministrazione pari a euro 34.240 annui).
Ne deriverebbe, in conclusione, che la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste non avrebbe né esorbitato dalle sue attribuzioni statutarie nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione [e] stato giuridico ed economico del personale», né avrebbe violato un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, essendosi «limitata a declinarlo, nei limiti in cui lo stesso “diritto vivente” lo consente, per garantire la proporzionalità tra funzioni e compenso, senza tradire la logica di sana gestione finanziaria».
3.– In ulteriore subordine, laddove non venissero accolte le ragioni di non fondatezza di cui ai punti precedenti, la difesa regionale chiede a questa Corte di promuovere davanti a se stessa la questione di legittimità costituzionale delle norme invocate a parametro interposto (art. 11, comma 7, d.lgs. n. 175 del 2016 e art. 4, comma 4, d.l. n. 95 del 2012), per contrasto con plurimi parametri costituzionali.
3.1.– La rilevanza della questione sarebbe evidente in ragione del fatto che proprio su tali parametri interposti si fondano le ragioni governative a sostegno della dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Valle d’Aosta n. 16 del 2021.
3.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, la difesa regionale osserva come le finalità di contenimento dei costi perseguite dalle disposizioni richiamate nascevano nel contesto di una disciplina emergenziale quale quella di cui al d.l. n. 95 del 2012 e venivano trasfuse nel corpo del testo unico di cui al d.lgs. n. 175 del 2016 con l’obiettivo di approntare una disciplina temporanea, in attesa che venisse adottato il decreto ministeriale previsto dall’art. 11, comma 6, del medesimo decreto legislativo.
Il protrarsi dell’inerzia avrebbe reso oggi non più tollerabile la sopravvivenza di una disciplina transitoria che palesemente colliderebbe con l’introduzione, ad opera del medesimo decreto legislativo, di peculiari requisiti di qualificazione per gli amministratori delle società in questione e di ulteriori competenze assegnate a questi ultimi rispetto alla disciplina previgente.
Ciò si tradurrebbe, in primo luogo, in una menomazione delle competenze legislative della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, che si vedrebbe impossibilitata ad adeguare i compensi delle società di cui è socio unico, con conseguente violazione degli artt. 2, lettera a) (in relazione all’ambito di competenza legislativa primaria nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione e stato giuridico ed economico del personale»), 3, lettera f) (con riguardo alla competenza integrativa in materia di finanze regionali e comunali), 48-bis e 50 dello statuto speciale, nonché dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla materia «coordinamento della finanza pubblica», in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
Vi sarebbe, poi, un contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., perché il protrarsi dell’utilizzo del criterio della spesa storica sarebbe inadeguato alla luce delle novità introdotte dal testo unico di cui al d.lgs. n. 175 del 2016, che ha ancorato il modello operativo delle società a partecipazione pubblica a una logica di sana gestione finanziaria, al contempo mirando al perseguimento della massima efficacia nello svolgimento delle relative funzioni.
Sarebbero lesi, inoltre, gli artt. 3 e 41 Cost., per il sacrificio subito dall’autonomia imprenditoriale delle società a partecipazione pubblica in ragione del protrarsi del vincolo della spesa storica nella determinazione del compenso degli amministratori, come anche gli artt. 3 e 36 Cost., perché tali compensi non sarebbero più adeguati e proporzionati «rispetto ai nuovi e maggiori incarichi da questi assunti, alla complessità delle funzioni svolte e alla relativa assunzione di responsabilità».
Pur se tra amministratore e società non sia configurabile un rapporto di lavoro, secondo la difesa regionale l’imposizione del tetto di spesa colliderebbe col principio, chiaramente fatto proprio dall’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 175 del 2016, che vuole gli emolumenti crescere proporzionalmente rispetto alla quantità e alla qualità delle funzioni svolte, ciò che si tradurrebbe, appunto, in una violazione dell’art. 36 Cost.
Da ultimo, osserva la difesa regionale che l’invocazione di parametri estranei a quelli attinenti il riparto delle competenze tra Stato e Regione è comunque ammissibile, attesa la ridondanza della eccepita lesione sulle competenze regionali richiamate.
4.– In prossimità dell’udienza pubblica, la difesa della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha depositato memoria, insistendo affinché questa Corte dichiari non fondate le censure formulate dal ricorso governativo.
5.– Anche l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato memoria, insistendo nelle conclusioni già rassegnate e replicando alle deduzioni svolte dalla difesa regionale nell’atto di costituzione.
Ad avviso dell’Avvocatura, le clausole di salvaguardia evocate dalla difesa regionale a sostegno dell’inapplicabilità dell’art. 4, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012 e dell’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 175 del 2016 «valgono soltanto a regolare la partecipazione delle Regioni autonome agli obiettivi di finanza pubblica nell’ambito del patto di stabilità e non sembra possano condizionare, nel caso sottoposto a giudizio, l’applicazione di una norma che dispone un limite generale alla spesa corrente». Limiti alla spesa di enti pubblici regionali, pertanto, sarebbero consentiti purché essi pongano obiettivi di riequilibrio della stessa «intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente» e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento di tali obiettivi. Proprio tali caratteristiche connoterebbero le richiamate disposizioni, da cui si ricava il limite di spesa per i compensi degli amministratori delle società a partecipazione pubblica, senza che quindi le autonomie speciali, e la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste nel caso di specie, possano sottrarsi al rispetto di quest’ultimo.
Né un limite all’applicabilità di tali previsioni potrebbe essere rinvenuto nel principio pattizio, perché con gli accordi in parola vengono regolati «complessi rapporti finanziari» tra Stato e Regioni ad autonomia speciale, laddove una disposizione come quella impugnata, che si limita a introdurre un limite generale e temporaneo, non richiederebbe di essere recepita tramite accordo.
Quanto, poi, alla derogabilità del limite fissato dall’art. 4, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012, l’Avvocatura ribadisce come essa sia impedita anche nel caso in cui alle società in questione vengano attribuiti nuovi compiti o esse siano investite da un processo di riorganizzazione. Non sussisterebbero, infine, i presupposti perché questa Corte, in accoglimento della richiesta avanzata dalla difesa regionale, sollevi di fronte a se stessa questione di legittimità costituzionale delle richiamate norme interposte. La dedotta violazione deriverebbe, infatti, unicamente dal ritardo nell’adozione del regolamento previsto dall’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 175 del 2016, ciò che, tuttavia, costituirebbe un inconveniente di mero fatto, non rilevante ai fini del controllo di legittimità costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 117 del 2012, n. 303 del 2011 e n. 329 del 2009).
Considerato in diritto
1.– Con ricorso notificato il 13 settembre 2021, depositato il 21 settembre successivo e iscritto al n. 50 del registro ricorsi 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 2, comma 1, della legge della Regione Valle d’Aosta 13 luglio 2021, n. 16 (Disposizioni in materia di funzionamento e limiti ai compensi degli organi societari di Finaosta S.pA., nonché di operazioni societarie. Modificazioni alla legge regionale 16 marzo 2006, n. 7), nella parte in cui sostituisce l’art. 14, comma 4, della legge della Regione Valle d’Aosta 16 marzo 2006, n. 7 (Nuove disposizioni concernenti la società finanziaria regionale FINAOSTA S.p.A. Abrogazione della legge regionale 28 giugno 1982, n. 16), in riferimento all’art. 2, lettera a), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) e all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, relativamente alla materia del coordinamento della finanza pubblica.
1.1.– La disposizione impugnata, nell’ambito di un più ampio intervento di riforma sugli organi e le funzioni della società finanziaria regionale Finaosta spa, stabilisce che «[i] compensi spettanti al Presidente e ai membri del consiglio d’amministrazione sono stabiliti dall’assemblea in misura non superiore al doppio di quella prevista per i componenti in carica alla data di approvazione del bilancio relativo all’esercizio 2020».
Il ricorso lamenta che tale autorizzazione all’incremento dei compensi si porrebbe in contrasto con il principio di coordinamento della finanza pubblica ricavabile dal combinato disposto degli artt. 11, comma 7, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica) e 4, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135.
La prima di tali disposizioni prevede infatti che, per la determinazione dei compensi degli amministratori delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni, continuino ad applicarsi, fino all’emanazione del decreto ministeriale di cui all’art. 11, comma 6, del medesimo d.lgs. n. 175 del 2016, il richiamato art. 4, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012 e il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 24 dicembre 2013, n. 166 (Regolamento relativo ai compensi per gli amministratori con deleghe delle società controllate dal Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’ex articolo 23-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214).
La seconda (art. 4, comma 4, d.l. n. 95 del 2012), nel testo attualmente vigente, introdotto dall’art. 16, comma 1, lettera a), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, stabilisce che, «[a] decorrere dal 1° gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori di tali società, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l’80 per cento del costo complessivamente sostenuto nell’anno 2013».
Ad avviso dell’Avvocatura, questa disposizione integrerebbe un principio di coordinamento della finanza pubblica, sicché, non essendo stato sinora emanato il decreto previsto dall’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 175 del 2016, l’impugnato art. 2, comma 1, della legge reg. Valle d’Aosta n. 16 del 2021 violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. e, ad un tempo, esorbiterebbe dalla competenza legislativa primaria attribuita alla Regione dall’art. 2, lettera a), dello statuto speciale nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione e stato giuridico ed economico del personale».
2.– La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste replica a questi motivi rilevando, in via preliminare, che l’impugnazione sarebbe inammissibile, o comunque non fondata, in quanto né l’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 175 del 2016, né l’art. 4, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012 sarebbero direttamente applicabili in Valle d’Aosta. Tale inapplicabilità si ricaverebbe, in particolare, dalle clausole di salvaguardia contenute nell’art. 23 del d.lgs. n. 175 del 2016 e nell’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, le quali subordinano l’applicabilità delle previsioni in essi rispettivamente contenute alla compatibilità, sostanziale e procedurale, con quanto previsto dagli statuti degli enti ad autonomia speciale.
Nel caso della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, tale applicabilità sarebbe specificamente da escludersi perché l’ordinamento finanziario regionale è retto dal principio pattizio, che trova espressione soprattutto negli artt. 48-bis e 50 dello statuto speciale, così che i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica contenuti in leggi statali non si applicherebbero «in assenza di una specifica previsione mediante un apposito accordo».
3.– L’esame di tale argomento richiede di riepilogare brevemente quanto questa Corte ha affermato, in linea generale, relativamente ai presupposti e agli effetti delle clausole di salvaguardia, talvolta contenute in leggi statali, con le quali il legislatore intende preservare gli enti ad autonomia speciale dalla necessità di dare applicazione a talune delle disposizioni in esse contenute, nel caso in cui queste intervengano in ambiti riservati all’autonomia statutaria di tali enti.
3.1.– Ferma restando la necessità di apprezzarne di volta in volta il contenuto e la portata, è costante l’orientamento di questa Corte per cui tali clausole non possono essere qualificate come mere formule di stile, prive di significato normativo, perché ad esse deve essere, di volta in volta, riconosciuta «la precisa funzione di rendere applicabili le disposizioni della medesima legge agli enti ad autonomia differenziata, a condizione che tali disposizioni non siano lesive delle prerogative regionali e provinciali» (sentenze n. 94 del 2018 e n. 191 del 2017; nello stesso senso, sentenze n. 273 del 2015 e n. 241 del 2012). In generale, esse rivestono pertanto la funzione di «limite per l’applicazione delle disposizioni della legge statale in cui ciascuna clausola è inserita e implica[no] che le disposizioni della legge statale non siano applicabili nei confronti degli enti a statuto speciale, se in contrasto con gli statuti e le relative norme di attuazione» (sentenze n. 107 del 2021 e n. 191 del 2017; analogamente, sentenza n. 46 del 2022).
La presenza di dette clausole di salvaguardia nella legislazione statale, tuttavia, non consente di ritenere per ciò solo inapplicabili, nel territorio degli enti ad autonomia speciale, le disposizioni cui accedono, poiché esse impongono una valutazione caso per caso circa il rispetto delle norme statutarie da parte delle singole disposizioni impugnate (sentenze n. 46 del 2022, n. 107 del 2021 e n. 231 del 2017). In particolare, in più occasioni questa Corte ha precisato che la sola presenza di una clausola di salvaguardia non determina, di per sé, l’inapplicabilità alle autonomie speciali delle disposizioni di legge statale cui essa rimanda, allorché gli ambiti investiti da tali disposizioni siano ascrivibili a materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato «prevalente sulle competenze degli enti ad autonomia speciale» (sentenza n. 46 del 2022) o rispetto alle quali «la Regione resistente non può opporre […] alcuna attribuzione fondata sullo statuto o sulle norme di attuazione statutaria» (sentenza n. 37 del 2021). Lo stesso è, inoltre, a dirsi nel caso in cui specifiche disposizioni di legge statale, malgrado le predette clausole, facciano comunque espresso riferimento ad uno o più enti ad autonomia speciale, ovvero al complesso di essi (sentenze n. 107 del 2021, n. 103 e n. 94 del 2018, n. 151 del 2017, n. 40 del 2016), con la conseguenza che l’operatività di tali clausole «deve essere esclusa nei particolari casi in cui singole norme di legge, in virtù di una previsione espressa, siano direttamente e immediatamente applicabili agli enti ad autonomia speciale» (ex multis, sentenze n. 231 del 2017 e n. 40 del 2016).
4.– Poste tali premesse, la questione deve essere dichiarata non fondata.
La portata delle disposizioni statali di principio che il ricorso ritiene siano state violate nel caso di specie, infatti, non può che essere inquadrata alla luce di quanto prevedono le clausole di salvaguardia contenute nell’art. 23 del d.lgs. n. 175 del 2016 («[l]e disposizioni del presente decreto si applicano nelle Regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3») e nell’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, come convertito.
Quest’ultima, in particolare, stabilisce che «[f]ermo restando il contributo delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano all’azione di risanamento così come determinata dagli articoli 15 e 16, comma 3, le disposizioni del presente decreto si applicano alle predette regioni e province autonome secondo le procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, anche con riferimento agli enti locali delle autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, agli enti ed organismi strumentali dei predetti enti territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento regionale o provinciale».
Questa Corte ha già chiarito che l’introduzione di tale clausola, in sede di conversione, è avvenuta proprio per garantire che il contributo delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome all’azione di risanamento della finanza pubblica, allora intrapresa, venisse realizzato «rispettando i rapporti e i vincoli che gli statuti speciali stabiliscono tra livello nazionale e Regioni a statuto speciale», con l’effetto che «[l]a previsione di una procedura “garantita” al fine di applicare agli enti ad autonomia speciale la normativa introdotta esclude, perciò, l’automatica efficacia della disciplina prevista dal decreto-legge per le Regioni a statuto ordinario» (sentenza n. 236 del 2013; nello stesso senso, sentenze n. 22 del 2014 e n. 215 del 2013).
4.1.– Inoltre, nella sentenza n. 229 del 2013, questa Corte ha affrontato la questione relativa alla portata della clausola di salvaguardia contenuta nel richiamato art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, con riguardo all’applicabilità agli enti ad autonomia speciale di diverse disposizioni contenute proprio nell’art. 4 del medesimo decreto-legge.
In quell’occasione, essa ha ritenuto che i commi 1, 2, 3, 7 e 8 del citato art. 4 del d.l. n. 95 del 2012, impugnati dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia per aspetti legati alla loro portata di principi di coordinamento della finanza pubblica, non fossero applicabili al complesso delle autonomie speciali alla luce della predetta clausola di salvaguardia, la quale prefigura «“un percorso procedurale, dominato dal principio consensualistico, per la modificazione delle norme di attuazione degli statuti speciali, con riguardo all’eventualità in cui lo Stato voglia introdurre negli enti ad autonomia differenziata, quanto alle materie trattate nel decreto-legge, una disciplina non conforme alle norme di attuazione statutaria” (sentenza n. 241 del 2012)» (punto 8.1. del Considerato in diritto).
Nella medesima sentenza, questa Corte si è inoltre pronunciata su analoghe doglianze, promosse, tra gli altri, dalla Regione autonoma Sardegna, aventi ad oggetto anche il comma 4 dell’art. 4 del d.l. n. 95 del 2012, ma nella formulazione allora vigente, precedente all’introduzione del richiamato tetto di spesa dell’80 per cento, operata, come detto, dall’art. 16, comma 1, lettera a), del d.l. n. 90 del 2014, come convertito.
In particolare, tali previsioni, successivamente abrogate dall’art. 28, comma 1, lettera o), del d.lgs. n. 175 del 2016, erano state allora impugnate nella parte in cui determinavano il numero massimo dei componenti dei consigli di amministrazione delle società a partecipazione pubblica, individuando anche le modalità di composizione dei predetti consigli e le funzioni dei relativi componenti.
Limitatamente a tali profili di censura, che pertanto non investivano la previsione transitoria relativa al tetto ai compensi degli amministratori, la richiamata sentenza n. 229 del 2013 ha rilevato allora la non fondatezza delle doglianze regionali perché «la disciplina puntuale delle modalità di composizione dei consigli di amministrazione di tali società, nonché l’individuazione del numero e delle funzioni dei componenti deve […] essere ricondotta alla materia dell’“ordinamento civile”, di competenza esclusiva del legislatore statale» (punto 10.3. del Considerato in diritto).
4.2.– L’unica previsione attualmente contenuta nell’art. 4, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012, che si limita a fissare in via transitoria il tetto ai compensi degli amministratori delle società partecipate e che il ricorso governativo assume sia stata violata dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, persegue invece indubitabilmente finalità di contenimento della spesa pubblica, tanto più evidenti se si considera che il richiamo ad essa, da parte dell’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 175 del 2016, dimostra l’intenzione del legislatore, che ha riformato il settore delle società a partecipazione pubblica, di dettare specifiche misure di coordinamento della finanza pubblica necessarie a garantire l’effettività dell’azione riformatrice allora intrapresa, rispetto alla quale il vincolo di spesa in questione mostra pertanto un evidente «rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione» (sentenze n. 166 del 2021 e n. 186 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 64 del 2020).
Diversamente invece è a dirsi per la disciplina contenuta nell’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 175 del 2016, la quale demanda al Ministro dell’economia e delle finanze l’adozione di un decreto contenente «indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce» per la classificazione delle società a controllo pubblico, a ciascuna delle quali andrà commisurato, in proporzione, «il limite dei compensi massimi al quale gli organi di dette società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione del trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai titolari e componenti degli organi di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti».
Rispetto a tale disposizione, non direttamente evocata nel presente giudizio se non in ragione della sua (ad oggi) mancata attuazione, questa Corte ha già precisato che «[l]a disciplina dei compensi di amministratori, dirigenti e dipendenti, la puntuale regolamentazione del conferimento e della pubblicità degli incarichi di consulenza, di collaborazione e degli incarichi professionali, le previsioni sul pagamento dei relativi compensi, attengono alla materia dell’“ordinamento civile”, di competenza esclusiva del legislatore statale» (sentenza n. 191 del 2017).
5.– Le disposizioni statali interposte non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome perché rientrano nell’ambito operativo delle richiamate clausole di salvaguardia. Esse, inoltre, non afferiscono ad ambiti riconducibili alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (peraltro non evocati nel presente giudizio), ma ricadono nell’alveo del «coordinamento della finanza pubblica», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
A ciò si aggiunga che la disposizione impugnata, per il fatto di autorizzare l’assemblea di Finaosta spa a innalzare fino al doppio i compensi previsti per i membri del consiglio di amministrazione alla data di approvazione del bilancio relativo all’esercizio 2020, risulta funzionalmente e materialmente connessa con la competenza legislativa primaria della Regione nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione e stato giuridico ed economico del personale» (art. 2, lettera a, dello statuto speciale) e risulta in ogni caso inidonea a incidere sull’obiettivo di coordinamento della finanza pubblica perseguito dal legislatore statale.
Nell’ambito della richiamata competenza legislativa regionale, infatti, rientra anche l’obiettivo di un più efficace svolgimento dei compiti istituzionali di un ente strumentale della Regione come Finaosta spa. L’innalzamento dei compensi degli amministratori è rivolto a tale finalità ed è stato realizzato, nel caso di specie, entro limiti non incompatibili con requisiti di sana gestione finanziaria.
D’altra parte, l’obiettivo del coordinamento finanziario, che costituisce un limite all’esercizio della potestà legislativa delle Regioni, anche ad autonomia speciale, in tanto può essere perseguito, in quanto, nel condizionare gli interventi legislativi regionali rispetto ai quali venga evocato, sia ragionevolmente rapportato alle situazioni sostanziali che si intendono regolare. E, nella specie, a escludere che le situazioni concretamente regolate dal legislatore regionale possano attingere i principi di coordinamento finanziario richiamati dal ricorso, assumono rilievo sia l’esiguità del costo derivante dall’applicazione della disposizione impugnata (i compensi dei membri del consiglio di amministrazione passerebbero dagli attuali euro 4.464 a un importo non superiore a euro 8.928 annui e quelli del presidente dagli attuali euro 25.200 a un importo non superiore a euro 50.400 annui), sia la riferibilità dello stesso esclusivamente al bilancio di Finaosta spa, stante la clausola di invarianza finanziaria di cui all’art. 8 della legge reg. Valle d’Aosta n. 16 del 2021, peraltro non oggetto di specifica impugnazione con riguardo al principio di copertura dei nuovi oneri, di cui all’art. 81, terzo comma, Cost.
In conclusione, ricorrendo nel caso in esame le condizioni di operatività delle clausole di salvaguardia richiamate al precedente punto 3.1. e tenuto conto delle ora esposte considerazioni, all’esercizio della potestà normativa da parte della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste non è opponibile il rispetto di quanto previsto dalle disposizioni statali introduttive del tetto di spesa di cui alle evocate norme interposte.
6.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Valle d’Aosta n. 16 del 2021 deve quindi essere dichiarata non fondata, restando così assorbita la richiesta, avanzata dalla Regione resistente, di autorimessione delle questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto l’art. 11, comma 7, del d.lgs. n. 175 del 2016 e l’art. 4, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012.
Peraltro, questa Corte non può fare a meno di rilevare che la fondamentale necessità di contemperare, con misure adeguate, un’efficace azione amministrativa delle società a partecipazione pubblica con requisiti organizzativi che siano espressione di sana gestione finanziaria, messa in luce da diverse deliberazioni delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti richiamate da entrambe le parti, induce ad auspicare la sollecita approvazione del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze previsto dall’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 175 del 2016, con il quale, adottata la disciplina a regime sui compensi degli amministratori delle società partecipate, si eviterebbero le ulteriori disfunzioni derivanti dall’ultrattività di un regime dichiaratamente transitorio (quale quello contenuto negli artt. 11, comma 7, del citato d.lgs. n. 175 del 2016 e 4, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012), per di più incentrato unicamente sul criterio della spesa storica.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge della Regione Valle d’Aosta 13 luglio 2021, n. 16 (Disposizioni in materia di funzionamento e limiti ai compensi degli organi societari di Finaosta S.pA., nonché di operazioni societarie. Modificazioni alla legge regionale 16 marzo 2006, n. 7), nella parte in cui sostituisce l’art. 14, comma 4, della legge della Regione Valle d’Aosta 16 marzo 2006, n. 7 (Nuove disposizioni concernenti la società finanziaria regionale FINAOSTA S.p.A. Abrogazione della legge regionale 28 giugno 1982, n. 16), promossa, con il ricorso indicato in epigrafe, dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 2, lettera a), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) e all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Stefano PETITTI, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2022.