SENTENZA N. 120
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giuliano AMATO;
Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 2, della legge della Regione Puglia 22 febbraio 2005, n. 3 (Disposizioni regionali in materia di espropriazioni per pubblica utilità e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2005), promosso dalla Corte di cassazione, sezione prima civile, nel procedimento vertente tra il Comune di Rutigliano e M. T., con ordinanza del 14 aprile 2021, iscritta al n. 120 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visti l’atto di costituzione del Comune di Rutigliano, nonché l’atto di intervento della Regione Puglia;
udita nell’udienza pubblica del 22 marzo 2022 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;
uditi gli avvocati Michele Di Donna per il Comune di Rutigliano e Anna Bucci per la Regione Puglia, quest’ultima in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021;
deliberato nella camera di consiglio del 22 marzo 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 14 aprile 2021, iscritta al n. 120 del registro ordinanze 2021, la Corte di cassazione, sezione prima civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 117, commi secondo, lettere l) ed m), e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19 della legge della Regione Puglia 22 febbraio 2005, n. 3 (Disposizioni regionali in materia di espropriazioni per pubblica utilità e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2005), nella parte in cui, al comma 2, prevede che sono da considerarsi, comunque, sempre legalmente edificabili tutte le aree ricadenti nel perimetro continuo delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, secondo le definizioni di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), comprese anche le aree destinate a standard.
2.– In punto di fatto, la Corte di cassazione riferisce che M. T., con atto di citazione notificato in data 8 aprile 2011, aveva convenuto in giudizio, dinanzi alla Corte d’appello di Bari, il Comune di Rutigliano, contestando la provvisoria determinazione in euro 38.217,81 dell’indennizzo per l’espropriazione di un fondo di sua proprietà.
Il terreno, incluso nel perimetro della zona «A» (centro storico) del territorio comunale, tipizzato «F2-21» (verde pubblico attrezzato, giardini) dal piano regolatore generale comunale, era stato espropriato dal citato Comune, con decreto 8 marzo 2008, n. 29, per la realizzazione di un parcheggio pubblico alberato e attrezzato.
2.1.– La Corte rimettente precisa che l’appellante si era opposto alla stima provvisoria, in quanto l’inclusione del fondo nel perimetro della zona «A» del territorio comunale avrebbe comprovato la natura legalmente edificabile del suolo espropriato, in virtù di quanto disposto dall’art. 19, comma 2, della legge reg. Puglia n. 3 del 2005.
Per converso, il Comune aveva insistito per la correttezza della quantificazione dell’indennità già determinata, poiché la tipizzazione «F2: verde pubblico attrezzato (giardini)», assegnata al fondo dal vigente piano regolatore generale comunale, avrebbe escluso la sua natura edificabile.
La rimettente riferisce, inoltre, che il giudice d’appello, dopo aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio – la quale aveva determinato l’indennità di espropriazione in euro 47.876,40, mediante «l’impiego del metodo estimativo c.d. “sintetico-comparativo”» – non aveva condiviso il criterio di stima adottato nella CTU. In particolare, in mancanza di un indice fondiario medio, aveva quantificato «in via equitativa l’indennità di esproprio in € 74.400,00, oltre interessi legali dall’8/3/2011 all’effettivo saldo sulla somma differenziale non depositata dal Comune».
2.2.– Il giudice a quo espone, di seguito, che, avverso la sentenza della Corte d’appello, il Comune di Rutigliano, con atto del 23 dicembre 2015, ha proposto ricorso per cassazione, svolgendo due motivi.
2.2.1.– Con il primo, il Comune ha denunciato la violazione o falsa applicazione dell’art. 32 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), lamentando che il terreno in questione, «non edificabile», in quanto destinato a «F2 verde pubblico attrezzato», era stato valutato alla stregua di un’inammissibile liquidazione equitativa, sul presupposto che un’area adibita a parcheggio non potesse avere un valore di molto inferiore rispetto alle corrispondenti aree destinate alla edificazione.
Con il secondo motivo, il ricorrente ha rilevato la falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 1226 e 2056 del codice civile, per aver la corte territoriale indebitamente utilizzato il criterio equitativo, dettato dal legislatore per il risarcimento del danno, al fine di determinare l’indennità di esproprio.
2.2.2.– La Corte rimettente precisa, inoltre, che, con atto notificato il 3 febbraio 2016, la proprietaria del fondo ha proposto controricorso e ricorso incidentale, chiedendo, a sua volta, di cassare la sentenza impugnata con il supporto di tre motivi.
Con il primo ha denunciato la «violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 19, comma 2, della legge regionale pugliese n. 3 del 2005 che sancisce l’edificabilità legale di tutte le aree ricadenti nel perimetro delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, comprese quelle destinate a standard». Secondo la ricorrente incidentale, si sarebbe dovuta accertare la sussistenza nella fattispecie dei requisiti di omogeneità della zona A, all’interno della quale ricadeva il suolo espropriato, con la conseguenza che «la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare alla lettera la normativa regionale richiamata, senza operare alcun decremento nella misura del 50%».
Con il secondo motivo, la proprietaria del fondo ha contestato la «violazione o falsa applicazione di legge dell’art. 32, decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001 per la mancata applicazione del criterio di valutazione “sintetico-comparativo”, come aveva disposto la Corte territoriale nella formulazione del quesito e nonostante la produzione di numerosi documenti di paragone da parte della ricorrente incidentale».
Infine, con il terzo motivo ha addotto l’omesso esame di fatto degli «atti di paragone prodotti in giudizio dalla ricorrente all’atto della sua costituzione in giudizio e [de]gli ulteriori atti di paragone prodotti al fine di sopperire alle carenze delle indagini del C.t.u.».
3.– Così riferite le vicende processuali a monte del giudizio principale, la Corte di cassazione ricostruisce il ragionamento svolto dalla Corte d’appello e procede a valutare – alla luce dei motivi fatti valere dalle parti – la necessaria applicazione nel giudizio a quo della disposizione oggetto delle questioni di legittimità costituzionale.
3.1.– In particolare, la rimettente rileva che secondo la Corte d’appello la determinazione dell’indennità di esproprio dei «suoli destinati a interesse pubblico (giardini, fasce di rispetto, fasce stradali, spazi collettivi e simili), ricadenti in zone urbanisticamente dedicate alla edilizia», si sarebbe dovuta alternativamente effettuare tramite l’indice fondiario medio pertinente all’intera zona, oppure tramite una riduzione del valore dei terreni più prossimi, destinati all’edificazione, sì da rispettare le caratteristiche essenziali del suolo in questione finalizzato a soddisfare un interesse collettivo. Nella specie, difettando ogni dato sull’indice fondiario medio, la Corte d’appello aveva ritenuto che la valutazione dovesse essere operata «necessariamente su base equitativa», con una riduzione del 50 per cento del valore unitario del suolo edificabile.
3.2.– Il giudice a quo riferisce che il descritto ragionamento della Corte d’appello veniva censurato dalle parti sotto diverse e opposte prospettive, idonee a palesare la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito all’art. 19, comma 2, della legge reg. Puglia n. 3 del 2005.
Secondo il Comune, la sentenza impugnata sarebbe stata viziata, in quanto avrebbe violato il «fondamentale canone normativo» che impone la considerazione del regime di edificabilità legale del terreno espropriato, nella specie insussistente, a beneficio di una «inammissibile e metagiuridica liquidazione in via equitativa».
Secondo la proprietaria del fondo, la sentenza impugnata sarebbe stata, viceversa, viziata per non aver applicato i criteri fissati dall’art. 19 della legge reg. Puglia n. 3 del 2005, che avrebbero conferito l’edificabilità legale a tutte le aree ricadenti nel perimetro delle zone omogenee di tipo A, B, C, e D, comprese quelle destinate a standard. La disposizione regionale viene, dunque, invocata sia per resistere all’impugnazione avversaria sia per richiedere l’eliminazione dell’abbattimento equitativo del 50 per cento del valore venale del bene, considerato come edificabile.
3.3.– La Corte di cassazione conclude che, per decidere il giudizio a quo, è tenuta ad applicare l’art. 19, comma 2, della legge reg. Puglia n. 3 del 2005 e, pertanto, ravvisa la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti della citata previsione regionale.
Al contempo, esclude che, «a fronte dell’inequivocabile tenore letterale della disposizione in esame», si possa pervenire, «nel rispetto della valenza testuale e semantica» della normativa censurata, «a un’interpretazione costituzionalmente orientata che le attribuisca un significato e una valenza conformi a Costituzione».
4.– Di seguito, l’ordinanza di rimessione ricostruisce il quadro normativo e giurisprudenziale in materia di indennità di esproprio.
Sottolinea come siano determinanti il valore reale del bene espropriato e la sua stima di mercato, tant’è che il legislatore, «pur non avendo l’obbligo di commisurare integralmente l’indennità al valore di mercato, non può trascurare tale parametro» (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 90 del 2016, n. 187 del 2014, n. 181 del 2011, n. 349 e n. 348 del 2007).
In particolare, ai fini dell’individuazione del valore reale, la Corte di cassazione rammenta quanto dispone l’art. 32 del d.P.R. n. 327 del 2001 e richiama la sua stessa giurisprudenza, che specifica il senso del riferimento ai parametri della edificabilità legale e di quella di fatto.
Così ricostruite le premesse fattuali, normative e giurisprudenziali, la Corte rimettente afferma di condividere la tesi sostenuta nel ricorso principale, che lamenta la violazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 327 del 2001 e del criterio, ivi disposto, dell’edificabilità legale per la determinazione dell’indennità di espropriazione.
Al contempo, rileva che la ricorrente incidentale invoca l’applicazione dell’art. 19 della legge reg. Puglia n. 3 del 2005 che, dopo aver richiamato, al primo comma, l’art. 32 del d.P.R. n. 327 del 2001, al secondo comma, dispone che «[s]ono da considerarsi, comunque, sempre legalmente edificabili tutte le aree ricadenti nel perimetro continuo delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, secondo le definizioni di cui al decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 [...], comprese anche le aree a standard a esse riferite».
Tale previsione integrerebbe, ad avviso della Corte rimettente, una significativa deroga rispetto alla disciplina statale, imponendo di considerare «legalmente edificabili» terreni che edificabili non sono, in quanto destinati a standard. La disposizione fungerebbe dunque da fictio legis, introducendo una nozione di edificabilità legale ai soli fini della determinazione del trattamento indennitario espropriativo, priva di ogni ripercussione sul versante urbanistico ed edilizio.
5.– Di riflesso, la Corte rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 2, della legge reg. Puglia n. 3 del 2005, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 117, secondo comma, lettere l) ed m), Cost., e, in subordine, degli artt. 3, primo comma, e 117, terzo comma, Cost., in relazione alla materia di legislazione concorrente «governo del territorio».
5.1.– Quanto al primo gruppo di censure, che vengono presentate come logicamente prioritarie, il giudice a quo motiva la non manifesta infondatezza, rilevando che la normativa regionale invaderebbe «la competenza statuale incidendo sulla definizione uniforme dell’indennizzo spettante ai soggetti espropriati, qualificando – a quel solo limitato fine e cioè senza incidere sul regime urbanistico ed edilizio del terreno e nel “governo del territorio” – come “edificabile” un terreno che “edificabile” non è»: sarebbe, pertanto, manifesta l’ingerenza nello statuto del diritto di proprietà e, in particolare, nella regolazione del diritto all’indennizzo.
In via preliminare, il giudice a quo si sofferma ampiamente sull’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte con riferimento all’ordinamento civile.
Si rammenta come l’originario «limite del “diritto privato” per la legislazione regionale» (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 72 e n. 7 del 1956) si fosse, sin dall’inizio, radicato nell’esigenza di garantire l’uniformità, a livello nazionale, delle regole fondamentali che disciplinano i rapporti fra privati, attingendo alle ragioni del principio di eguaglianza, nonché dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica (sono richiamate le sentenze n. 82 del 1998, n. 462 e n. 35 del 1995, n. 154 del 1972 e n. 36 del 1957).
Viene poi ricordato come, dopo la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, la giurisprudenza costituzionale abbia plasmato la nozione di «ordinamento civile» da «“materia” in senso stretto» a «limite trasversale capace di fondare una competenza del legislatore statale idonea a investire tutte le materie, per le quali è necessario garantire a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle» (sono invocate, a sostegno di tale affermazione, le sentenze n. 282 del 2004 e n. 359 del 2003).
Da ultimo, la Corte rimettente sottolinea come l’ordinamento civile non configuri un limite assoluto, ma consenta alla legislazione regionale di intervenire, sia pur marginalmente, nella stessa disciplina dei rapporti privatistici, al fine di consentire taluni adattamenti, purché l’intervento intersechi una materia di competenza regionale e risponda a criteri di ragionevolezza (sono richiamate le sentenze n. 94 del 2003, n. 282 del 2002 e n. 352 del 2001).
In sintesi, il giudice a quo sostiene che l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. debba «leggersi in combinato disposto con l’art. 42 Cost., che si riferisce alla legge dello Stato sia per “riconoscere e garantire” la proprietà privata, sia per stabilire i presupposti di espropriabilità degli immobili [per] la quantificazione dell’indennizzo». Ritiene, in particolare, che, mentre le disposizioni in tema di procedimento espropriativo potrebbero rientrare nell’ambito della competenza della legislazione regionale, attenendo all’esercizio del potere amministrativo conferito alle singole pubbliche amministrazioni, viceversa, l’individuazione dei presupposti per l’esercizio del potere ablatorio e la determinazione dell’indennizzo rientrerebbero nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, riguardando il regime giuridico della proprietà e garantendo la necessità di disporre di «criteri univoci per la determinazione dell’indennizzo su tutto il territorio nazionale».
5.2.– Proseguendo, la Corte rimettente ravvisa un contrasto della disciplina regionale anche con l’ulteriore riserva, in via esclusiva, alla legislazione statale della regolazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, disposta dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Anche secondo questa prospettiva si paleserebbe una esigenza di equivalenza delle prestazioni da garantire uniformemente sull’intero territorio nazionale.
5.3.– Ancora, secondo il giudice a quo, su analoghe considerazioni si fonderebbe la violazione del «principio di eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge (art. 3, comma 1, Cost.), quale conseguenza ulteriore della violazione della competenza statuale esclusiva». Il contrasto si renderebbe palese poiché cittadini «che versano nella medesima situazione, quali soggetti espropriati di un terreno destinato a standard e ricompreso in una zona edificabile del perimetro urbano, si vedrebbero diversamente indennizzati, a seconda delle differenti legislazioni regionali vigenti, in un caso con una somma parametrata al valore di mercato di un terreno edificabile e nell’altro con una somma ragguagliata al valore di mercato di un terreno non edificabile, con enormi differenze di valutazione».
5.4.– In subordine, la Corte rimettente solleva un ulteriore dubbio di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 3, primo comma, e all’art. 117, terzo comma, Cost., per violazione dei principi fondamentali della materia concorrente «governo del territorio».
Si richiama, in proposito, lo stesso art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001, come modificato dal decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 302 (Modifiche ed integrazioni al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità»), secondo cui «[l]e Regioni a statuto ordinario esercitano la potestà legislativa concorrente, in ordine alle espropriazioni strumentali alle materie di propria competenza, nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale nonché dei principi generali dell’ordinamento giuridico desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico».
5.4.1.– Ai principi fondamentali della citata materia, il giudice a quo ascrive le disposizioni di cui al Capo VI del Titolo II del d.P.R. n. 327 del 2001, a partire dall’art. 32.
Da queste sarebbe dato inferire un «concetto di edificabilità legale, inteso come possibilità di edificazione effettiva, alla stregua degli strumenti urbanistici vigenti e applicabili, [che] mirano a una tendenziale commisurazione dell’indennità di espropriazione al valore commerciale e di mercato del bene espropriato».
La disciplina regionale censurata contrasterebbe, dunque, con i menzionati principi nella misura in cui estende, ai soli fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, la nozione di edificabilità legale «oltre l’ambito semantico che può essere attribuito a tale definizione, assegnando un valore edificatorio meramente fittizio a immobili sui quali i vigenti strumenti urbanistici non consentono realmente al privato di costruire, e per il solo fatto che l’area di pertinenza del fondo ricada all’interno del perimetro di territorio urbanizzato, quale individuato dallo strumento di programmazione generale».
5.4.2.– La Corte rimettente precisa, inoltre, di avere ben presenti i «recenti indirizzi della legislazione regionale in materia urbanistica, che, pur senza pervenire ad un integrale superamento del sistema della zonizzazione […] si è orientata in senso favorevole all’adozione di principi perequativi, volti a distribuire equamente tra tutti i proprietari delle aree interessate ai programmi di trasformazione urbana i vantaggi e gli oneri determinati dalle scelte di pianificazione, in modo da evitare il sacrificio, ad esempio, delle zone individuate come sedi di attrezzature e servizi pubblici a vantaggio di quelle residenziali». Nondimeno – prosegue il giudice a quo – la legislazione regionale non potrebbe risolversi «nell’attribuzione generalizzata del carattere di edificabilità alle aree ricadenti nel perimetro urbano», qualora tale attribuzione non realizzi alcuna traslazione di volumi edificatori, né attui alcuna redistribuzione, equitativa e compensativa, dei carichi urbanistici, che sia funzionale a esaltare la funzione sociale della proprietà di cui all’art. 42, secondo comma, Cost.
L’unico effetto della normativa censurata sarebbe quello di determinare «un indiscriminato arricchimento dei privati proprietari», con effetti che ricadono unilateralmente sulla finanza pubblica.
5.5.– Infine, il giudice a quo sottolinea che, anche ascrivendo l’art. 19, comma 2, della legge reg. Puglia n. 3 del 2005 alla materia concorrente «governo del territorio», il contrasto con i principi fondamentali di tale materia paleserebbe, nuovamente, una violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., per ragioni analoghe a quelle già sopra illustrate.
6.– Con atto depositato il 18 agosto 2021, la Regione Puglia è intervenuta in giudizio, eccependo la non fondatezza delle questioni sollevate.
6.1.– Secondo la difesa regionale, i dubbi di legittimità costituzionale sarebbero emersi sulla base di un errore di prospettiva.
La ratio della disposizione censurata sarebbe, invero, quella di individuare un criterio che consenta di quantificare una congrua indennità di esproprio. Se e in quanto le aree contemplate dalla norma abbiano concorso alla edificabilità e alla trasformazione urbanistica degli ambiti territoriali nei quali il fondo è inserito, l’assegnazione di un valore edificatorio uniforme per tali aree, indipendentemente dalla concreta destinazione d’uso ricevuta in sede di realizzazione delle previsioni urbanistiche, servirebbe a «perseguire una finalità sostanzialmente perequativa». Sarebbe infatti pacifico – prosegue la difesa regionale – che «i suoli destinati a interesse pubblico ricadenti in zone urbanisticamente destinate all’edilizia debbano essere valutati o applicando il c.d. “indice fondiario medio” pertinente per l’intera zona, oppure decrementando il valore dei terreni viciniori destinati all’edificazione, in misura tale da rispettare le caratteristiche essenziali del suolo destinato invece a interesse collettivo, di per sé non edificabile» (sono richiamate le sentenze della Corte di cassazione, sezione prima civile, 25 giugno 2018, n. 16681; 25 maggio 2018, n. 12969 e 17 gennaio 2007, n. 1043).
Ciò posto, ad avviso della Regione Puglia, assumerebbe rilievo dirimente l’art. 5 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106, che avrebbe fornito copertura a livello di legislazione statale alle pratiche perequative e compensative adottate a livello regionale. Tale logica – prosegue la difesa regionale – sarebbe peraltro già stata presente nell’ordinamento statale, mediante la previsione di istituti basati sul meccanismo perequativo, quale il comparto edificatorio previsto dall’art. 870 cod. civ., nonché dall’art. 23 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica).
6.2.– La difesa regionale ritiene, pertanto, di dover chiarire l’esatta portata della disposizione censurata.
Questa non intenderebbe attribuire un valore edificatorio fittizio a immobili che non sono concretamente edificabili in base allo strumento urbanistico, sol perché il terreno ricadrebbe nel perimetro di un territorio urbanizzato individuato dallo stesso strumento di pianificazione generale. Potrebbero, infatti, verificarsi casi in cui il suolo espropriato non esprima un indice fondiario, in quanto non ha contribuito in alcun modo all’edificazione della zona in cui è ricompreso, oppure il suolo sia localizzato nel centro storico, ove l’edificazione sia stata realizzata in epoca assai risalente, indipendentemente e a prescindere dalla presenza o meno di aree destinate a standard.
La difesa regionale riferisce, in proposito, che sarebbe in fase di studio «presso le competenti strutture regionali» una proposta di legge vòlta a recare una disposizione di «interpretazione autentica e/o di modifica» della disposizione censurata nell’odierno giudizio di legittimità costituzionale, con l’obiettivo di rendere inequivocabile l’applicabilità della norma «ai soli casi in cui le aree espropriande abbiano in effetti concorso alla edificazione della zona di riferimento e alla determinazione dell’indice fondiario medio».
6.3.– In ogni caso, già sulla base dell’interpretazione sopra prospettata, la difesa regionale ritiene superabile ogni dubbio di legittimità costituzionale rispetto alla violazione della competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento civile», in quanto la disposizione censurata si limiterebbe a definire un criterio funzionale alla quantificazione della congrua indennità di espropriazione.
Parimenti, non sarebbe violato l’art. 3 Cost., poiché la disposizione non imporrebbe «un regime del diritto di proprietà diverso da quello disciplinato dalla legge statale», né inciderebbe in alcun modo su tale regime, «neppure ai soli fini della determinazione dell’indennità di esproprio».
Inoltre, la disposizione censurata – prosegue la difesa regionale – non invaderebbe ambiti di esclusiva pertinenza del legislatore statale e, in particolare, non comporterebbe alcuna deroga ai principi fondamentali della materia desumibili dagli artt. 32 e 37 del d.P.R. n. 327 del 2001, di cui – ad avviso della difesa regionale – le norme censurate sarebbero, per converso, concreta e specifica attuazione.
Infine, la difesa regionale obietta che la prospettazione del giudice rimettente, nel senso della competenza esclusiva statale, sarebbe fondata su un obiter dictum di un precedente non pertinente (sentenza n. 73 del 2004), mentre la giurisprudenza costituzionale si sarebbe pronunciata in molteplici occasioni su normative regionali disciplinanti criteri di determinazione dell’indennità, senza mai affermare la competenza esclusiva dello Stato nella citata materia (si richiamano le sentenze n. 90 del 2016, n. 187 del 2014 e n. 181 del 2011).
7.– Con atto depositato il 27 settembre 2021, si è costituito in giudizio il Comune di Rutigliano, parte nel processo principale, eccependo l’inammissibilità e, in subordine, la fondatezza delle questioni sollevate.
7.1.– Il Comune ritiene che le questioni all’esame della Corte siano prive di rilevanza nel giudizio principale, in ragione di una possibile lettura dell’art. 19 della legge reg. Puglia n. 3 del 2005 diversa da quella prospettata dal giudice a quo.
In particolare, la parte valorizza, per un verso, il rinvio che il comma 1 della disposizione regionale opera agli artt. 32, comma 1, e 37, commi 3, 4, 5 e 6, del d.P.R. n. 327 del 2001, e, per un altro verso, il riferimento effettuato dal secondo comma «al decreto interministeriale [recte: ministeriale] 2 aprile 1968, n. 1444».
Ad avviso della parte, l’edificabilità legale dei «suoli ricadenti nel perimetro continuo delle zone omogenee» sarebbe da riferire al mero fine indicato dal d.m. 2 aprile 1968, «ossia allo scopo di estendere a esse i limiti ivi previsti per l’edificazione, senza alcun riverbero sui criteri di determinazione dell’indennità di esproprio», che rimarrebbero individuati dalla normativa statale.
7.2.– Viceversa, nell’ipotesi in cui questa Corte aderisse alla diversa interpretazione prospettata dal giudice a quo, il Comune di Rutigliano invoca l’accoglimento delle questioni.
In particolare, ritiene che la disposizione regionale presterebbe un ossequio meramente «apparente» alla disciplina statale, mentre, nella sostanza, introdurrebbe una «rilevante deroga ai principi fondamentali dettati» dall’art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001. La norma censurata considererebbe, infatti, legalmente edificabili ai fini indennitari suoli che, secondo la disciplina statale, tali non potrebbero considerarsi, poiché gravati da vincoli «non aventi natura espropriativa», bensì conformativa.
In tal modo, ad avviso del Comune, la disposizione inciderebbe direttamente sulla disciplina statale relativa ai criteri di determinazione dell’indennità di espropriazione, «che si ergono al rango di principi fondamentali della materia attinenti all’ordinamento civile ex art. 117, comma 2, lett. l), Cost., rientrante nella legislazione esclusiva dello Stato». La norma censurata inciderebbe sul regime civilistico della proprietà privata, che sarebbe integrata, in un «tutto inscindibile», dalle previsioni del d.P.R. n. 327 del 2001.
Il «richiamo testuale alle “leggi speciali” relative all’espropriazione di cui all’art. 834, comma 2, c.c., nonché la garanzia di legge alla proprietà privata prevista dall’art. 42, comma 2, Cost. operante anche per la determinazione dell’indennizzo» non potrebbero che riferirsi alle «sole leggi statali».
Peraltro, secondo il Comune, l’esigenza perequativa, che sarebbe sottesa alla disposizione regionale censurata, sarebbe da ritenersi «del tutto superata dall’evoluzione giurisprudenziale avviata con le sentenze» n. 349 e n. 348 del 2007 di questa Corte, le quali «nel confermare ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio l’esclusione di “… una valutazione del tutto astratta, in quanto sganciata dalle caratteristiche essenziali del bene ablato”, consent[irebbe], oggidì di valutare suoli aventi destinazioni intermedie tra quella agricola e quella edificabile, non rapportabili alla nozione “stretta” di edificazione».
7.3.– Aderendo alle prospettazioni del giudice rimettente, il Comune di Rutigliano sostiene, inoltre, che la deroga introdotta con la disposizione censurata alle norme statali in materia di determinazione dell’indennizzo violerebbe «altresì, il principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge previsto dall’art. 3, comma 1 Cost.», in quanto introdurrebbe «una disparità di trattamento tra procedure ablatorie aventi a oggetto suoli con caratteristiche del tutto identiche».
7.4.– Sempre in linea con le argomentazioni sviluppate dal giudice a quo, il Comune di Rutigliano ritiene fondate anche le questioni sollevate «in via subordinata», in riferimento agli artt. 3 e 117, terzo comma, Cost., e all’art. 3, primo comma, Cost.
A tal proposito, richiama la sentenza di questa Corte n. 64 del 2021, che avrebbe chiarito come, in presenza di una disposizione vòlta ad attribuire, «in via di assoluto automatismo, il carattere della edificabilità legale ad un’area per il suo mero inserimento nel perimetro urbanizzato», vi sarebbe un sicuro «contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto non rispetterebbe i principi fondamentali della materia concorrente del governo del territorio, di cui in particolare agli artt. 32 e 37 del d.P.R. n. 327 del 2001» (sentenza n. 64 del 2021).
7.5.– Infine, la parte costituita ravvisa un indice dell’intento derogatorio del legislatore pugliese nell’art. 26 della stessa legge reg. Puglia n. 3 del 2005, il quale dispone che «[d]alla data di entrata in vigore della presente legge, ai fini dell’attuazione dei procedimenti espropriativi strumentali alla realizzazione delle opere di cui all’art. 2, comma 1, cessano di avere applicazione su territorio regionale, se non richiamate dalla stessa legge ovvero se in contrasto con le norme da essa recate, tutte le disposizioni regolamentari e legislative contenute nel d.p.r. n. 327/2001 e successive modifiche dalle quali non si desumano principi generali e fondamentali dell’ordinamento giuridico».
8.– In data 25 febbraio 2022, la Regione Puglia ha depositato una memoria integrativa, ove ha insistito per le conclusioni rassegnate nell’atto di intervento e ha ribadito che la disposizione censurata andrebbe interpretata nel senso che i suoi effetti si dispiegherebbero «solo se ed in quanto» le aree espropriate «abbiano concorso alla edificabilità ed alla trasformazione urbanistica delle zone territoriali in cui sono incluse».
Nel replicare, poi, agli argomenti addotti dal Comune di Rutigliano, la Regione obietta che proprio la «norma di chiusura», di cui all’art. 26 della legge reg. Puglia n. 3 del 2005, varrebbe a escludere il contrasto con i principi fondamentali dettati dallo Stato, posto che la cessata applicazione di «tutte le disposizioni regolamentari e legislative contenute nel d.p.r. n. 327/2001 e successive modifiche» non opererebbe per quelle dalle quali «si desumano principi generali e fondamentali dell’ordinamento giuridico».
9.– In prossimità dell’udienza pubblica, in data 28 febbraio 2022, il Comune di Rutigliano ha depositato una memoria integrativa, insistendo nelle conclusioni di cui all’atto di costituzione. In tale sede, il Comune ha, inoltre, eccepito che sarebbe proprio la prospettiva di un possibile intervento affidato a una disposizione di interpretazione autentica, cui allude la difesa regionale, a corroborare i dubbi di legittimità costituzionale prospettati dal giudice rimettente. L’interpretazione autentica sarebbe, in sostanza, resa necessaria dalla evidenza dell’attuale formulazione della disposizione censurata, che determinerebbe il riconoscimento dell’edificabilità legale delle aree cui si applica, per il sol fatto del loro inserimento nel perimetro ivi individuato.
10.– Nell’udienza del 22 marzo 2022 sono intervenute la parte costituita in giudizio e la Regione Puglia, che hanno insistito per le conclusioni rassegnate nei rispettivi scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza depositata il 14 aprile 2021, e iscritta al n. 120 del registro ordinanze 2021, la Corte di cassazione, sezione prima civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 117, commi secondo, lettere l) ed m), e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19 della legge della Regione Puglia 22 febbraio 2005, n. 3 (Disposizioni regionali in materia di espropriazioni per pubblica utilità e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2005), nella parte in cui, al comma 2, prevede che sono da considerarsi, comunque, sempre legalmente edificabili tutte le aree ricadenti nel perimetro continuo delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, secondo le definizioni di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), comprese anche le aree destinate a standard.
1.1.– In particolare, il citato art. 19, rubricato «[d]isposizioni sul riconoscimento dell’edificabilità legale», stabilisce quanto segue.
«1. Il requisito di edificabilità legale dei terreni da espropriare è definito con riferimento ai criteri di cui all’articolo 32, comma 1, e all’articolo 37, commi 3, 4, 5 e 6, del D.P.R. n. 327/2001 e successive modifiche.
2. Sono da considerarsi, comunque, sempre legalmente edificabili tutte le aree ricadenti nel perimetro continuo delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, secondo le definizioni di cui al D.M. 2 aprile 1968, [n. 1444] (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), comprese anche le aree a standard a esse riferite.
3. La Regione può specificare ulteriori criteri per la definizione del requisito di edificabilità legale, in rapporto alla vigente normativa urbanistica».
2.– La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 2, della legge reg. Puglia n. 3 del 2005, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 117, secondo comma, lettere l) ed m), Cost., e, in subordine, degli artt. 3, primo comma, e 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali dettati dal legislatore statale nella materia «governo del territorio».
2.1.– Con il primo gruppo di censure, che vengono presentate come logicamente prioritarie, il giudice a quo ritiene che la disciplina censurata debba essere ricondotta alla materia di competenza esclusiva statale «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., «da leggersi in combinato disposto con l’art. 42 Cost., che si riferisce alla legge dello Stato sia per “riconoscere e garantire” la proprietà privata, sia per stabilire i presupposti di espropriabilità degli immobili [per] la quantificazione dell’indennizzo».
In particolare, la normativa regionale invaderebbe «la competenza statuale incidendo sulla definizione uniforme dell’indennizzo spettante ai soggetti espropriati, qualificando – a quel solo limitato fine e cioè senza incidere sul regime urbanistico ed edilizio del terreno e nel “governo del territorio” – come “edificabile” un terreno che “edificabile” non è».
Sarebbe, pertanto, manifesta l’ingerenza nello statuto della proprietà e sul diritto all’indennizzo.
2.2.– Inoltre, ad avviso della Corte rimettente, la disciplina censurata contrasterebbe con la competenza esclusiva statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni, concernenti i diritti civili e sociali, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., la quale sarebbe espressione di un’esigenza di uniforme garanzia, sull’intero territorio nazionale, delle medesime prestazioni.
2.3.– Ancora su analoghe considerazioni si fonderebbe, secondo il giudice a quo, un contrasto con il «principio di eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge (art. 3, comma 1, Cost.), quale conseguenza ulteriore della violazione della competenza statuale esclusiva». Cittadini, «che versano nella medesima situazione, quali soggetti espropriati di un terreno destinato a standard e ricompreso in una zona edificabile del perimetro urbano, si vedrebbero diversamente indennizzati, a seconda delle differenti legislazioni regionali vigenti».
2.4.– In subordine, la rimettente rileva che la disposizione censurata sarebbe comunque lesiva dell’art. 117, terzo comma, Cost., per violazione dei principi fondamentali della materia «governo del territorio», nonché, di riflesso, dell’art. 3 Cost.
In particolare, l’art. 19, comma 2, della legge reg. Puglia n. 3 del 2005 contrasterebbe con i principi fondamentali fissati dal legislatore statale nel Capo VI del Titolo II del d.P.R. n. 327 del 2001, in quanto estenderebbe, ai soli fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, la nozione di edificabilità legale «oltre l’ambito semantico che può essere attribuito a tale definizione, assegnando un valore edificatorio meramente fittizio a immobili sui quali i vigenti strumenti urbanistici non consentono realmente al privato di costruire».
2.5.– Infine, per ragioni analoghe a quelle già sopra illustrate (punto 2.3), il giudice a quo sottolinea come, anche ascrivendo la disciplina censurata alla materia concorrente «governo del territorio», le ragioni di contrasto con i principi fondamentali di tale materia ridondino in una violazione dell’art. 3, primo comma, Cost.
3.– In via preliminare, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità per irrilevanza sollevata dal Comune di Rutigliano.
Secondo la parte costituita in giudizio, sarebbe possibile un’interpretazione dell’art. 19 della legge reg. Puglia n. 3 del 2005 diversa da quella su cui si fondano i dubbi di legittimità costituzionale sollevati, sì da escludere che la disposizione censurata possa riferirsi alla determinazione dell’indennità di esproprio.
In base alla prospettazione della parte, il rinvio che l’art. 19, comma 1, della citata legge regionale opera agli artt. 32, comma 1, e 37, commi 3, 4, 5 e 6, del d.P.R. n. 327 del 2001 indurrebbe a ritenere rispettate le previsioni statali in materia di quantificazione dell’indennizzo. Viceversa, l’edificabilità legale, evocata dall’art. 19, comma 2, avrebbe il mero fine indicato dal d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, di estendere, a tutte le aree di cui al comma 2, i limiti previsti dal medesimo decreto, «senza alcun riverbero sui criteri di determinazione dell’indennità di esproprio».
4.– L’eccezione non è fondata.
La disposizione regionale censurata ha quale unico e precipuo effetto quello di incidere sulla determinazione dell’indennità di esproprio. Lo si inferisce inequivocabilmente dall’art. 18 della stessa legge reg. Puglia n. 3 del 2005, là dove dispone che, «[p]er la determinazione dell’indennità da corrispondere ai proprietari di aree edificabili o legittimamente edificate, […] si applicano le norme recate dagli articoli 36, 37, 38 e 39 del D.P.R. n. 327/2001 e successive modifiche», «fatte salve le disposizioni di cui ai successivi articoli 19 e 20 relative all’edificabilità legale e di fatto».
In sostanza, l’art. 19 regola l’edificabilità legale, ai fini della determinazione dell’indennità da corrispondere ai proprietari espropriati, e lo fa in deroga – «fatte salve» dice testualmente l’art. 18 – alle disposizioni statali.
Deve, dunque, escludersi, in quanto smentita per tabulas, l’interpretazione prospettata dalla parte costituita, secondo la quale la disposizione regionale non riguarderebbe l’indennizzo e, di conseguenza, non troverebbe applicazione nel giudizio, il che rende non fondata l’eccezione di inammissibilità.
5.– Nel merito, questa Corte, avvalendosi della facoltà di decidere l’ordine delle questioni da affrontare (sentenze n. 260 del 2021, n. 246 del 2020 e n. 258 del 2019), ritiene di dover esaminare primariamente le censure relative ai parametri concernenti il riparto di competenze, poiché incidenti sul piano delle fonti prima ancora che sul merito della scelta legislativa.
6.– La questione sollevata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., relativamente all’«ordinamento civile», è fondata.
6.1.– In via preliminare, occorre richiamare in sintesi i tratti del diritto all’indennizzo, ivi compreso il riferimento all’edificabilità, sul quale interviene la disposizione regionale censurata.
6.1.1.– Il diritto all’indennizzo, radicato nell’art. 42, terzo comma, Cost. e sancito dall’art. 834 del codice civile, configura la principale tutela sostanziale spettante al titolare della proprietà, che subisca, nell’interesse generale, il sacrificio più gravoso, costituito dall’ablazione della situazione giuridica soggettiva.
Capisaldi del rimedio, chiamato a garantire un ristoro congruo, serio e adeguato (sentenze n. 90 del 2016, n. 187 del 2014, n. 181 del 2011, n. 348 del 2007, n. 283 del 1993 e n. 5 del 1980), sono la qualitas rei riferita al bene ablato e il parametro del suo valore di mercato.
Quest’ultimo è «il punto di riferimento» dell’obbligazione indennitaria (sentenza n. 348 del 2007), che, in termini quantitativi, deve preservare un «ragionevole legame» rispetto a quel valore (sentenze n. 338 e n. 181 del 2011 e, prima ancora, sentenza n. 348 del 2007), anche se non sempre una necessaria coincidenza, «alla luce del sacrificio che può essere imposto […] in vista del raggiungimento di fini di pubblica utilità» (sentenza n. 348 del 2007).
Il valore di mercato, dal suo canto, si plasma sulla qualitas del bene ablato, che dipende – come ha chiarito questa Corte – dalle sue «caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge» (sentenza n. 348 del 2007, nonché art. 32 del d.P.R. n. 327 del 2001).
6.1.2.– In questa prospettiva, poiché lo statuto della proprietà edilizia è conformato dalla legislazione urbanistica, il connotato dell’edificabilità evoca, innanzitutto, quella legale, in quanto indice di una qualità che, nel rispetto della legge, è spendibile sul mercato (art. 37, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 327 del 2001).
In presenza, dunque, di un vincolo conformativo, che inibisce lo ius aedificandi, quella facoltà non rileva, tanto nei rapporti fra privati, quanto nella determinazione dell’indennizzo (art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001). Parimenti, un terreno edificabile ai soli fini della realizzazione di un’opera pubblica non implica l’attribuzione ai privati di quella medesima facultas e per questo non influenza la determinazione del rimedio (art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001). Per converso, un fondo edificabile soggetto a un vincolo espropriativo mantiene il valore di mercato corrispondente a tale uso, poiché nella stima dell’indennizzo occorre ovviamente prescindere dagli atti prodromici relativi alla procedura ablatoria nell’ambito della quale deve riconoscersi la tutela indennitaria (art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001).
In sostanza, i criteri che definiscono l’edificabilità legale non sono che lo specchio di un possibile utilizzo economico del terreno da parte dei privati che, nel rispetto della legge, dimostri prospettive di valorizzazione sul mercato.
Del resto, sempre nella medesima ottica, vòlta a considerare le qualità rilevanti a livello economico, occorre in via integrativa ponderare «ogni [ulteriore] dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene» (sentenza n. 338 del 2011), il che induce ad apprezzare anche parametri di fatto (la cosiddetta edificabilità di fatto, di cui all’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 327 del 2001). Questi consentono di determinare il valore di mercato di un immobile sito in un luogo, nel quale non vi sia ancora la pianificazione urbanistica, o di tenere conto di usi diversi dalla mera edificabilità, o di escludere quest’ultima, se sussistano indici di edificabilità in astratto, che in concreto risultino esauriti.
6.2.– Tanto premesso, l’art. 19, comma 2, della legge reg. Puglia n. 3 del 2005 assegna indistintamente a tutti i terreni rientranti nel perimetro di determinate zone il carattere dell’edificabilità legale, senza intervenire sulla legislazione urbanistica, ma, al contrario, operando in deroga a tale disciplina, a fini meramente indennitari.
Sia il dato testuale della disposizione censurata, sia il canone dell’interpretazione sistematica depongono, infatti, nel senso di una normativa che, allo scopo sopra richiamato, regola l’edificabilità legale, in contrasto con le previsioni statali in materia di indennizzo, che collegano tale paradigma alla conformazione urbanistica.
La norma in esame, dopo aver fatto rinvio, nel comma 1, alla definizione del requisito di edificabilità, di cui agli artt. 32, comma 1, e 37, commi 3, 4, 5 e 6, del d.P.R. n. 327 del 2001 e successive modifiche, prevede testualmente, al comma 2, che «[s]ono da considerarsi, comunque, sempre legalmente edificabili tutte le aree ricadenti nel perimetro continuo delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, secondo le definizioni di cui al D.M. 2 aprile 1968, [n. 1444], comprese anche le aree a standard a esse riferite».
La conformità alle disposizioni statali, evocata al comma 1, è, dunque, recessiva rispetto alla previsione derogatoria del comma 2, che rende «comunque, sempre legalmente edificabili» le aree cosiddette a standard, che, sulla base della legislazione urbanistica, edificabili non sono.
Parimenti, l’art. 18 della medesima legge reg. Puglia n. 3 del 2005, se, per un verso, prevede che «[p]er la determinazione dell’indennità da corrispondere ai proprietari di aree edificabili o legittimamente edificate […] si applicano le norme recate dagli articoli 36, 37, 38 e 39 del D.P.R. n. 327/2001 e successive modifiche», al contempo, fa «salve le disposizioni di cui a[gli] articoli 19 e 20 relative all’edificabilità legale e di fatto», il che conferma la prevalenza della norma censurata sulla disciplina statale.
In definitiva, l’art. 19, comma 2, della legge reg. Puglia n. 3 del 2005 è espressamente derogatorio delle previsioni statali in materia di indennizzo e assegna a una categoria di beni – le aree a standard soggette a vincolo conformativo – il connotato dell’edificabilità legale, che, invece, è smentito dalla disciplina urbanistica.
Di conseguenza, la disposizione non opera sul terreno della legislazione urbanistica, ma, nel distaccarsi da questa, interviene solo a fini indennitari sulla qualitas rei, recidendo ogni nesso con il valore di mercato dei relativi beni e alterando lo statuto della proprietà, così invadendo la competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile.
6.3.– Del resto, proprio la distinzione fra il piano della disciplina urbanistica, che conforma la proprietà edilizia, e quello dell’intervento regionale in esame, finalizzato a condizionare soltanto l’entità dell’indennizzo, impedisce di giustificare la disposizione censurata – come invece sostiene la difesa regionale – attraverso una presunta finalità perequativa.
Simile prospettiva attiene, infatti, al diverso terreno della pianificazione urbanistica e riguarda la possibilità di adottare tecniche differenti dalla zonizzazione, vòlte a evitare che gravino sulle sole aree cosiddette a standard, sottoposte a vincoli conformativi, tutti i «costi di riqualificazione, urbanizzazione e realizzazione di aree a servizi di pubblica utilità o verde» (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 29 ottobre 2020, n. 23902), che vanno a beneficio delle zone edificabili. In sostanza, tale fenomeno presuppone una particolare tipologia di pianificazione e ha quale effetto proprio quello di intervenire in funzione perequativa a prescindere dal percorso espropriativo, operando con una specifica tecnica conformativa.
I due ambiti – quello della pianificazione ispirata alla perequazione e quello della espropriazione – sono evidentemente contigui e coordinati, ma non si possono indebitamente sovrapporre e confondere, spostando l’obiettivo della perequazione dalla pianificazione urbanistica alla mera determinazione a livello regionale dell’indennizzo per l’espropriazione. Non è dato, cioè, compensare a posteriori, nella mera eventualità dell’espropriazione e con una disciplina regionale, gli effetti dell’apposizione su un fondo del vincolo conformativo, dotando quel terreno, che sul mercato non può spendere la qualità di bene edificabile, di tale fittizio valore.
6.4.– È quanto, viceversa, realizza – come si già sopra anticipato (punto 8.2) – la disposizione regionale censurata, che conferisce, «in via di assoluto automatismo, il carattere della edificabilità legale ad un’area per il suo mero inserimento nel perimetro urbanizzato» (sentenza n. 64 del 2021), incidendo in tal modo a livello regionale su «un profilo essenziale dello statuto della proprietà (sentenza n. 5 del 1980), che non tollera, in linea con l’art. 3 Cost., irragionevoli disparità di trattamento sul territorio nazionale (sentenza n. 73 del 2004; nello stesso senso, sentenze n. 159 del 2013, n. 295 del 2009 e n. 352 del 2001)» (così, ancora, la sentenza n. 64 del 2021).
In tal modo, i beni conformati dalla legislazione urbanistica acquisiscono, nel solo territorio interessato dalla disciplina regionale, una qualità differenziata rispetto ai medesimi beni collocati in analoghi territori siti in altre Regioni, senza che questo abbia alcuna attinenza con la diversità dei mercati. Altro è constatare che da una zona all’altra dell’Italia varia il valore di mercato di un terreno edificabile, altro è assumere che solo in una determinata Regione un terreno in sé non edificabile debba essere stimato come se lo fosse.
Manipolare la qualitas rei, come fa la disciplina regionale, vuol dire inficiare il presupposto stesso del pari diritto alla tutela indennitaria (sentenza n. 73 del 2004), pregiudicando in radice la pretesa a un rimedio non discriminatorio del diritto di proprietà.
Questa, pur nella varietà dei suoi plurimi statuti, invoca una parità di trattamento a livello territoriale, in conformità al principio di eguaglianza che incarna la ragione stessa della riserva allo Stato dell’ordinamento civile (ex multis, sentenze n. 283 del 2016, n. 159 del 2013). Oltretutto, l’irragionevole disparità di trattamento sul piano territoriale si accompagna – nella disciplina censurata – all’ingiustificato vantaggio per chi subisca un procedimento ablatorio rispetto a chi trasferisca il medesimo bene sul mercato, in quanto l’affermata edificabilità rileva solo a livello indennitario.
In definitiva, anche adottando – proprio sulla scorta della immanente connessione fra principio di eguaglianza e ordinamento civile – una concezione di quest’ultimo favorevole a riconoscere, rispetto a istituti privatistici, la possibilità di marginali interventi regionali, emerge, in ogni caso, l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 2, della legge reg. Puglia n. 3 del 2005.
La disciplina dei rapporti privatistici può, infatti, subire un qualche adattamento, solo «ove questo risulti in stretta connessione con la materia di competenza regionale e risponda al criterio di ragionevolezza, che vale a soddisfare il rispetto del richiamato principio di eguaglianza (sentenze n. 441 del 1994 e n. 35 del 1992)» (sentenza n. 352 del 2001, in senso conforme sentenze n. 175 del 2019 e n. 283 del 2016).
Viceversa, nel caso in esame, l’intervento regionale conduce a un esito palesemente irragionevole, che ricade su un aspetto tutt’altro che marginale del diritto di proprietà e della tutela indennitaria e che presenta una connessione solamente apparente con materie di competenza regionale. L’edificabilità è, infatti, una nozione certamente ascrivibile alla materia urbanistica, ma non quando venga invocata – come emerge in questo caso – in contrasto con la stessa disciplina urbanistica e al solo scopo di incidere sull’entità dell’indennizzo.
7.– Per le ragioni esposte, è fondata, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in riferimento all’«ordinamento civile», la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 2, della legge reg. Puglia n. 3 del 2005, secondo cui «[s]ono da considerarsi, comunque, sempre legalmente edificabili tutte le aree ricadenti nel perimetro continuo delle zone omogenee di tipo A, B, C e D, secondo le definizioni di cui al D.M. 2 aprile 1968, [n. 1444] (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), comprese anche le aree a standard a esse riferite».
8.– Restano assorbite le ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli altri parametri.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 2, della legge della Regione Puglia 22 febbraio 2005, n. 3 (Disposizioni regionali in materia di espropriazioni per pubblica utilità e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2005).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Emanuela NAVARRETTA, Redattrice
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 13 maggio 2022.