SENTENZA N.5
ANNO 1980
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI Presidente
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 16 e 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e succ. modif. di cui agli artt. 14 e 19 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme sui programmi e sul coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica, Modalità di determinazione della indennità di espropriazione e di occupazione), promosso con ordinanze emesse il 18 marzo 1977 dalla Corte d'Appello di Bologna, il 29 giugno 1977 e il 4 aprile 1978 dalla Corte d'Appello di Potenza, il 19 maggio 1978 dalla Corte d'Appello di Firenze, il 2 giugno 1978 dalla Corte d'Appello di Lecce, il 20 dicembre 1977 dal Tribunale Amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, il 26 maggio 1978 dalla Corte d'Appello di Firenze, il 30 giugno 1978 dalla Corte d'Appello di Trieste (n. 8 ordinanze), il 30 giugno e il 5 maggio 1978 dalla Corte d'Appello di Torino, il 13 ottobre 1978 dalla Corte d'Appello di Trieste, il 2 giugno 1978 dalla Corte d'Appello di Palermo e il 27 ottobre 1978 dalla Corte di Appello di Torino, iscritte ai nn. 232 e 495 del registro ordinanze 1977; 358, 489, 501, 515, 562, 555, 556, 563, 580, 581, 582, 583, 584, 619, 632, 635 e 688 del registro ordinanze 1978, e 14 del registro ordinanze 1979, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 169 e 347 rispettivamente del 22 giugno e del 21 dicembre 1977; 285 dell'11 ottobre 1978; 10, 17, 31, 38, 45, 52, 66 e 80, rispettivamente del 10, 17 e 31 gennaio 1979, del 7, 14 e 21 febbraio 1979 e del 7 e 21 marzo 1979.
Visti gli atti di costituzione della Regione Emilia-Romagna, della Società Mineraria Senna, di Francescina Bruno ed altri, di Komjanc Giuseppe ed altra, di Micheletto Sacerdote Amalia e del Ministero dei LL.PP., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1979 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;
uditi gli avvocati Paolo Barile per la Società Mineraria Senna, Gaetano Guerra per Micheletto Sacerdote Amalia, e Alberto Predieri per la Regione Emilia-Romagna e il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.- Le ordinanze innanzi indicate denunciano la illegittimità costituzionale delle stesse disposizioni di legge, in base ad argomentazioni sostanzialmente analoghe; i relativi procedimenti vanno pertanto riuniti per essere definiti con unica decisione.
2. - In relazione alla questione proposta dal T.A.R. dell'Emilia-Romagna con ordinanza 20 dicembre 1977 (Reg. ord. n. 515 del 1979), la Regione interessata ha eccepito preliminarmente la inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione stessa, in quanto esulerebbe dalla competenza del giudice amministrativo la controversia concernente la misura dell'indennità di espropriazione.
L'eccezione è fondata. L'ordinanza ha precisato che nei motivi di impugnazione del provvedimento di espropriazione era stata dedotta < la illegittimità dovuta alla insufficienza del criterio legislativo di determinazione dell'indennizzo >. E, pur dando atto che i ricorrenti avevano impugnato davanti al giudice ordinario la misura dell'indennità di espropriazione, ha tuttavia ritenuto la rilevanza della questione, in quanto < il Tribunale non può decidere su questo motivo di ricorso se prima non sia risolta la questione della legittimità della norma di legge >.
L'inconsistenza di tale assunto appare manifesta, ove si consideri che il giudice amministrativo difetta di giurisdizione in ordine alle controversie riguardanti la misura dell'indennità di espropriazione, essendo tale materia devoluta alla competenza del giudice ordinario (art. 19 legge 865 del 1971 non modificato per questa parte dalla legge n. 10 del 1977). Di conseguenza l'applicazione delle norme di cui è contestata la legittimità non poteva venire in considerazione in quella sede e pertanto era del tutto irrilevante verificarne la conformità ai precetti costituzionali.
3.- Le ordinanze prospettano il dubbio di costituzionalità dell'art. 16 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (che dettano i criteri per la determinazione dell'indennità di espropriazione e occupazione), sotto un duplice profilo: a) rilevano che l'adozione del valore agricolo medio dei beni da espropriare, come criterio per la determinazione dell'indennità, confliggerebbe con l'art. 42, terzo comma, Cost., in quanto il riferimento ad una caratteristica estranea a beni che abbiano una chiara destinazione edificatoria, per i quali sarebbe da escludere ogni relazione con i tipi di coltura praticati nella regione agraria e con la fertilità del suolo, potrebbe portare alla liquidazione di indennizzi irrisori e, comunque, gravemente sperequati rispetto al valore di mercato dei suoli. Inoltre, la mancata considerazione del carattere edificatorio dell'area espropriata , pure se posta all'esterno dei centri edificati, porterebbe all'attribuzione di un indennizzo non conforme al principio enunciato nell'art. 42, comma terzo, Cost., il quale esigerebbe che esso costituisca un sostitutivo, sia pure non equivalente, della perdita del bene, al cui valore effettivo dovrebbe essere riferito; b) rilevano ancora le ordinanze che le norme anzidette sarebbero in contrasto con l'art. 3, comma primo, Cost., in quanto il criterio adottato determinerebbe, per terreni in situazione eguale, indennizzi diversi a seconda delle zone agrarie in cui sono posti; inoltre, la previsione di maggiorazioni, per le aree comprese nei centri edificati rapportate al dato numerico della popolazione, determinerebbe, irrazionalmente, indennizzi diversi per terreni di pari valore in relazione ai prezzi di mercato.
Altra irrazionale disparità viene ravvisata nel trattamento dei proprietari di aree edificabili colpiti da provvedimenti di espropriazione rispetto a quelli di aree aventi le stesse caratteristiche e site nella stessa zona, i quali possono disporne in regime di libera contrattazione.
Tutte le anzidette censure vengono estese agli artt. 19 della legge n. 10 del 1977, il quale prevede l'applicazione delle norme denunziate ai procedimenti in corso, ove la indennità liquidata non sia divenuta definitiva e 20 della legge 865 del 1971 (come modificato dall'art. 14 legge n. 10 del 1977), che adotta gli stessi criteri per la determinazione della indennità di occupazione.
Infine, l'ordinanza della Corte di Appello di Palermo (Reg. ord. n. 688 del 1978) denuncia anche la violazione dell'art. 53 Cost., in quanto la mancata rispondenza dell'indennizzo al valore del bene espropriato determinerebbe una irragionevole ripartizione nel costo della iniziativa assunta nell'interesse pubblico, facendone gravare il peso con una sorta di imposizione tributaria straordinaria, non ragguagliata alla capacità contributiva del soggetto su di un cittadino determinato e non su tutta la comunità interessata. La stessa ordinanza estende la denuncia di incostituzionalità all'articolo unico della legge 27 giugno 1974, n. 247, che rese applicabili i criteri dell'art. 16 legge n. 865 del 1971 a tutte le espropriazioni preordinate a qualsiasi tipo di opere o di interventi da parte dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico anche non territoriali.
4.- In relazione al primo aspetto delle censure di incostituzionalità (n. 3 sub a) giova ricordare la giurisprudenza di questa Corte, costante nell'affermare che l'indennizzo assicurato all'espropriato dall'art. 42, comma terzo, Cost., se non deve costituire una integrale riparazione per la perdita subita in quanto occorre coordinare il diritto del privato con l'interesse generale che l'espropriazione mira a realizzare non può essere, tuttavia, fissato in una misura irrisoria o meramente simbolica ma deve rappresentare un serio ristoro.
Perchè ciò possa realizzarsi, occorre far riferimento, per la determinazione dell'indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge. Solo in tal modo può assicurarsi la congruità del ristoro spettante all'espropriato ed evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore del bene.
E per le aree destinate all'edificazione, in quanto poste in zone già interessate dallo sviluppo edilizio, deve ritenersi essenziale tale destinazione e di essa occorre tenere conto nella determinazione della misura dell'indennità di espropriazione, da rapportare al valore del bene.
Per contrastare tale conclusione si è opposto che, in base alle leggi che hanno disposto la conformazione edilizia del territorio e condizionato la edificabilità dei suoli, nei casi in cui essa è prevista dagli strumenti urbanistici, al rilascio di una concessione, deve ritenersi che l'ius aedificandi non inerisca più al diritto di proprietà, potendo la edificabilità delle aree essere stabilita solo con provvedimento dell'autorità, sicché sarebbe venuta meno la rilevanza, anche ai fini della determinazione della misura dell'indennità di espropriazione, della destinazione edilizia dei suoli.
Tale assunto non può essere condiviso.
E' indubbiamente esatto che il sistema normativo attuato per disciplinare l'edificabilità dei suoli demanda alla pubblica autorità ogni determinazione sul se, sul come e anche sul quando (mediante i programmi pluriennali di attuazione previsti dall'art. 13 della legge n. 10 del 1977) della edificazione, ma la rigidità del sistema non è tale da legittimare le conseguenze che se ne vorrebbero trarre.
Invero, relativamente ai suoli destinati dagli strumenti urbanistici alla edilizia residenziale privata, la edificazione avviene ad opera del proprietario dell'area, il quale, concorrendo ogni altra condizione, ha diritto ad ottenere la concessione edilizia, che è trasferibile con la proprietà dell'area ed è irrevocabile, fatti salvi i casi di decadenza previsti dalla legge (art. 4 legge n. 10 del 1977). Da ciò deriva che il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà e alle altre situazioni che comprendono la legittimazione a costruire anche se di esso sono stati tuttavia compressi e limitati portata e contenuto, nel senso che l'avente diritto può solo costruire entro i limiti, anche temporali, stabiliti dagli strumenti urbanistici.
Sussistendo le condizioni richieste, solo il proprietario o il titolare di altro diritto reale che legittimi a costruire può edificare, non essendo consentito dal sistema che altri possa, autoritativamente, essere a lui sostituito per la realizzazione dell'opera.
Ne consegue altresì che la concessione a edificare non è attributiva di diritti nuovi ma presuppone facoltà preesistenti, sicché sotto questo profilo non adempie a funzione sostanzialmente diversa da quella dell'antica licenza, avendo lo scopo di accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall'ordinamento per l'esercizio del diritto, nei limiti in cui il sistema normativo ne riconosce e tutela la sussistenza.
Va peraltro notato che la rilevanza, ai fini della indennità di esproprio, della destinazione edilizia dei suoli è implicitamente riconosciuta dal sistema attuato con la legge n. 865 del 1971 e successive modifiche, in quanto i coefficienti di maggiorazione dell'indennità per le aree comprese nei centri edificati (artt. 16 legge n. 865 del 1971 e 14 legge n. 10 del 1977) non possono avere razionale giustificazione se non ritenendo che si sia voluto attribuire all'espropriato un maggiore compenso in relazione alla destinazione edilizia delle aree stesse.
Va inoltre ricordato che la rilevanza della destinazione edilizia delle aree, quale indice di un maggior valore, è operante nel nostro ordinamento anche dopo l'attuazione delle nuove norme per la edificabilità dei suoli, come è dimostrato dalle disposizioni tributarie che legittimano la tassazione del valore edificatorio delle aree, desunto dalla loro collocazione in un insediamento edilizio.
5.- Poste tali premesse, occorre verificare se l'adozione del valore agricolo medio come criterio per la determinazione della misura dell'indennità di esproprio sia o meno conforme al precetto dell'art. 42, comma terzo, Cost.
E la risposta a tale quesito non può essere che negativa. Come è stato sopra rilevato, perchè l'indennità di espropriazione possa ritenersi conforme al precetto costituzionale, è necessario che la misura di essa sia riferita al valore del bene, determinato dalle sue caratteristiche essenziali e dalla destinazione economica perchè solo in tal modo l'indennità stessa può costituire un serio ristoro per l'espropriato. E' palese la violazione di tale principio ove, per la determinazione dell'indennità, non si considerino le caratteristiche del bene da espropriare ma si adotti un diverso criterio che prescinda dal valore di esso. E proprio quanto avviene nella materia in disamina perchè il criterio del valore agricolo medio dei terreni secondo i tipi di coltura praticati nella regione agraria interessata, adottato per la determinazione dell'indennità di esproprio dall'art. 16 della legge n. 865 del 1971 come modificato dall'art. 14 della legge n. 10 del 1977, non facendo specifico riferimento al bene da espropriare ed al valore di esso secondo la sua destinazione economica, introduce un elemento di valutazione del tutto astratto, che porta inevitabilmente, per i terreni destinati ad insediamenti edilizi che non hanno alcuna relazione con le colture praticate nella zona, alla liquidazione di indennizzi sperequati rispetto al valore dell'area da espropriare, con palese violazione del diritto a quell'adeguato ristoro che la norma costituzionale assicura all'espropriato .
É appena il caso di rilevare che le anzidette conclusioni non contrastano con la sentenza n. 58 del 1974 di questa Corte, la quale ha ritenuto la legittimità costituzionale della legge 4 febbraio 1958, n. 158, che ragguaglia al valore venale del terreno considerato come agricolo, indipendentemente dalla sua eventuale edificazione, la indennità di esproprio per le aree necessarie all'attuazione di opere nella zona industriale e nel porto fluviale di Padova.
La Corte ritenne infatti che la indennità stabilita da tale legge riguardava terreni agricoli, secondo la loro attuale destinazione, prescindendo dal maggior valore derivante dalla loro eventuale edificabilità; pertanto, la indennità di espropriazione veniva ragguagliata al valore del bene, desumibile dalle caratteristiche di esso e dalla sua destinazione economica attuale e non appariva in contrasto con il precetto dell'articolo 42 Cost.
Né appaiono meno fondate le censure riferite all'art. 3, comma primo, Cost. (n. 3 sub b). Invero, l'astrattezza del criterio adottato e la mancata considerazione delle caratteristiche del singolo bene da espropriare possono portare a irragionevoli trattamenti differenziati di situazioni sostanzialmente omogenee, in quanto, per terreni in eguale situazione per la loro destinazione edilizia, potrebbero essere attribuiti indennizzi diversi in relazione al maggiore o minore pregio delle zone agricole nelle quali sono posti.
Egualmente palese è la disparità di trattamento che viene a determinarsi tra gli espropriati per effetto dell'attribuzione del coefficiente di maggiorazione dell'indennità, relativamente ad aree situate all'interno dei centri edificati (artt. 16 legge n. 865 del 1971 e 14 legge n. 10 del 1977).
Un primo rilievo di incogruità, che genera anche esso disparità di trattamento, va fatto in relazione al criterio che regola il potere dei comuni di determinare il perimetro del centro edificato (art. 18 legge n. 865 del 1971). In questo, invero, non possono essere compresi suoli esterni al perimetro continuo delle aree edificate, anche se interessati dal processo di urbanizzazione;
viene pertanto ad essere sacrificato senza adeguata ragione il diritto del proprietario delle aree immediatamente adiacenti al perimetro urbano, le quali hanno caratteristiche identiche a quelle incluse nel perimetro stesso, essendo interessate dal processo di urbanizzazione. La sperequazione e la conseguente irrazionalità del diverso trattamento appaiono manifeste quando, dalla incongruità del criterio per la determinazione del perimetro urbano, si fa derivare l'attribuzione del coefficiente di maggiorazione alle sole aree interne al perimetro.
Non può opporsi al riguardo la incensurabilità del criterio, di natura discrezionale, adottato dal legislatore ordinario, in quanto essa trova un limite nel rispetto delle norme costituzionali dettate a garanzia dei diritti del cittadino. E nella specie sussiste la violazione dell'art. 3, comma primo, Cost., in quanto in situazioni sostanzialmente omogenee, stante la contiguità e la identità della destinazione delle aree, vengono disposti trattamenti differenziati, attribuendo, senza adeguata ragione, la maggiorazione dell'indennità di esproprio solo ai suoli posti all'interno del perimetro urbano, riconoscendo cosi per questi la rilevanza della loro destinazione edilizia e negandola per gli altri, in identità di situazioni.
Meritevole di considerazione è pure un altro aspetto di incongruità del sistema (v. ord. n. 688 del 1978)* fonte pure esso di disparità di trattamento. L'art. 15 della legge n. 865 del 1971, come sostituito dall'art. 14 legge n. 10 del 1977, prevede che per i terreni agricoli l'indennità di esproprio sia fissata, sia pure a seguito di opposizione dell'interessato alla liquidazione dell'indennità in base al valore agricolo medio, con specifico riferimento alle colture effettivamente praticate nel fondo espropriato ed anche in relazione all'esercizio dell'azienda agricola.
Si stabilisce così l'esatto criterio che l'indennità va liquidata in base al valore effettivo del bene espropriato, determinato in relazione alle sue caratteristiche e alla sua destinazione economica; l'aver pretermesso tali riferimenti per le aree con destinazione edilizia e adottato per queste criteri astratti e irrazionali, determina una ulteriore disparità di trattamento tra gli espropriati.
Egualmente fondata appare, infine, la censura di irrazionale disparità di trattamento tra proprietari di aree edificabili colpiti da provvedimento di espropriazione e proprietari di aree aventi identiche caratteristiche e poste nella stessa zona, i quali possono disporne in regime di libera contrattazione. La disparità di trattamento non può essere ragionevolmente giustificata con riferimento agli oneri che accompagnano la concessione di edificare (art. 3 legge n. 10 del 1977), i quali dovrebbero servire a perequare le due situazioni. Come è stato già osservato in dottrina, è quanto mai difficile che il sistema adottato riesca ad impedire la traslazione degli oneri stessi a carico degli acquirenti delle unità immobiliari costruite, affrancandone così il costruttore.
Le esposte considerazioni assorbono ogni altra censura.
La dichiarazione di illegittimità va estesa all'art. 19, comma primo, della legge n. 10 del 1977 (che estende le nuove norme in materia di indennità di esproprio e di occupazione ai procedimenti in corso se la liquidazione dell'indennità non sia divenuta definitiva) e all'art. 20, comma terzo, della legge n. 865 del 1971, come modificato dall'art. 14 legge n. 10 del 1977 (che prevede l'applicazione delle stesse norme per la determinazione dell'indennità di occupazione di urgenza) nonché all'articolo unico della legge 27 giugno 1974, n. 247, nella parte in cui, convertendo in legge con modificazioni il d.l. 2 maggio 1974, n. 115, ne modifica l'art. 4, estendendo l'applicazione delle disposizioni dell'art. 16 della legge n. 865 del 1971 a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale:
a) dell'art. 16, commi cinque, sei e sette della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come modificati dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10;
b) dell'art. 19, comma primo, della legge 28 gennaio 1977, n. 10 e dell'art. 20, comma terzo, della legge 92 ottobre 1971, n. 865, come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10;
c) dell'articolo unico della legge 27 giugno 1974, n. 247 nella parte in cui, convertendo in legge, con modificazioni, il d.l. 2 maggio 1974, n. 115, ne modifica l'art. 4, estendendo l'applicazione delle disposizioni dell'art. 16, commi cinque, sei e sette della legge n. 865 del 1971 a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni o di altri enti Pubblici o di diritto pubblico anche non territoriali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/01/80.
Leonetto AMADEI – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI – Michele ROSSANO – Oronzo REALE – Leopoldo ELIA – Guglielmo ROEHRSSEN - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI – Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE – Antonio LA PERGOLA – Virgilio ANDRIOLI
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 30/01/80.