SENTENZA N. 231
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giuseppe TESAURO Presidente
- Sabino CASSESE Giudice
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Molise 21 luglio 2010, n. 14 (Iniziative finalizzate alla razionalizzazione della spesa regionale), promosso dal Tribunale ordinario di Campobasso, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento tra I.L. e la Regione Molise, con ordinanza del 19 luglio 2013, iscritta al n. 243 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di costituzione di I.L.;
udito nell’udienza pubblica del 23 settembre 2014 il Giudice relatore Sergio Mattarella;
udito l’avvocato Claudio Neri per I.L.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 19 luglio 2013 (r.o. n. 243 del 2013), il Tribunale ordinario di Campobasso, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 111, secondo comma, 113, secondo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Molise 21 luglio 2010, n. 14 (Iniziative finalizzate alla razionalizzazione della spesa regionale), secondo cui: «Ai fini del contenimento della spesa sul personale, nelle more dell’attuazione della riorganizzazione prevista dalla legge regionale 23 marzo 2010, n. 10, gli apparati amministrativi del Consiglio regionale sono coordinati dal Direttore generale della Direzione generale I della Giunta regionale di cui alla legge regionale 8 aprile 1997, n. 7, e successive modificazioni ed integrazioni, in carica alla data dell’entrata in vigore della presente legge senza ulteriori riconoscimenti economici. A tal fine, è revocato l’incarico di Segretario generale del Consiglio in essere ed è risolto il connesso contratto di lavoro a tempo determinato, nel rispetto dei tempi previsti dallo stesso, che decorrono dalla data di entrata in vigore della presente legge».
1.1.– Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, che: a) con ricorso depositato il 22 aprile 2011, I.L. ha agito nei confronti della Regione Molise chiedendo, «in via principale», di «sentir accertare la nullità del termine finale del 6.6.2011 di durata apposto al contratto di incarico di Direttore dell’Agenzia Molise Lavoro e l’obbligo della Regione Molise di corrispondergli la retribuzione in virtù del contratto individuale stipulato il 12.3.07 fino alla data della sua cessazione così come fissata dall’art. 2 del medesimo contratto (cfr. 5 anni)» e, «in via subordinata», di «sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 L.R. Molise n. 14/2010 e conseguentemente dichiarare l’illegittimità della revoca dell’incarico di Segretario generale del Consiglio Regionale del Molise»; b) la Regione Molise ha proposto domanda riconvenzionale diretta a fare dichiarare la risoluzione del contratto di lavoro stipulato il 12 marzo 2007 alla data dell’entrata in vigore della legge reg. Molise n. 14 del 2010 per impossibilità sopravvenuta; c) il ricorrente I.L. ha proposto, a sua volta, domanda riconvenzionale – condizionata al mancato accoglimento delle proprie richieste principali ed all’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla Regione Molise – diretta a ottenere, nel caso di dichiarazione della risoluzione del contratto di lavoro stipulato il 12 marzo 2007 alla data di entrata in vigore della legge reg. Molise n. 14 del 2010, la condanna della Regione Molise al pagamento dell’indennità di mancato preavviso e delle ferie non godute.
1.2.− In punto di non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale ordinario di Campobasso deduce che la disposizione censurata «non appare conforme alla Costituzione sotto il profilo della violazione degli artt. 3, 24, co. 1, 111, co. 2, 113, co. 2 e 117 co. 7, atteso che nel caso di specie la revoca di un incarico dirigenziale (non la soppressione del sottostante ruolo dirigenziale) è avvenuta con LR e non con un atto di ordinaria gestione del rapporto lavorativo (come imporrebbe il TU n. 165/01) impedendo al ricorrente di potere ottenere (in discrimine rispetto alla generalità dei dirigenti cui viene revocato un incarico) un sindacato diretto da parte del giudice circa la legittimità della revoca (non potendo il GO sindacare direttamente il contenuto di una LR senza il previo vaglio della Corte costituzionale) e ponendo quindi lo stesso in una situazione di disparità processuale rispetto alla controparte la quale ben invece può invocare direttamente in giudizio l’applicazione della LR; la LR in esame ha limitato (rectius, escluso) il diritto del lavoratore alla tutela diretta (dinanzi al G.O.) avverso la revoca dell’incarico espressamente prevista dal TU n. 165/01 ed ha provocato una limitazione nei confronti del lavoratore (non essendoci stata una soppressione della figura del segretario ma una revoca ad personam dell’incarico) in violazione dei principi che devono sottendere alla legislazione regionale (art. 117 co. 7 Cost.)».
1.3.− In punto di rilevanza, il Tribunale rimettente osserva preliminarmente che il ricorrente, con la propria domanda principale, ha chiesto anche la condanna della Regione Molise al pagamento della retribuzione prevista dal contratto individuale di lavoro stipulato il 12 marzo 2007 fino alla data della scadenza del termine di durata dello stesso, previsto dal suo art. 2, di cinque anni (non essendosi nella specie verificato il caso, contemplato dal medesimo art. 2, della cessazione del rapporto di lavoro decorsi novanta giorni dall’elezione dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale in conseguenza del rinnovo di quest’ultimo), mentre la domanda riconvenzionale dello stesso ricorrente era condizionata al mancato accoglimento della sua domanda principale e all’accoglimento della domanda riconvenzionale della Regione.
Ciò premesso, il giudice a quo afferma che la questione di legittimità dell’art. 2 della legge reg. Molise n. 14 del 2010 – il cui testo egli riporta sottolineandone il secondo periodo del suo unico comma − «appare rilevante ai fini della decisione della causa in quanto la legittimità o meno della norma regionale determina la concreta estensione temporale del diritto del ricorrente (laddove fondato) al pagamento della retribuzione per il contratto stipulato il 12.3.07, poiché nel caso di legittimità della LR il diritto alla retribuzione avrebbe come termine finale quello del 22.7.10 (data di entrata in vigore della LR medesima) mentre nel caso di illegittimità della stessa il termine finale sarebbe quello del 12.3.2012 (5 anni decorrenti dal 12.3.07)».
1.4.− Sulla scorta di tali considerazioni, il giudice rimettente, sciolta la riserva assunta all’udienza del 4 giugno 2013, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Molise n. 14 del 2010 per violazione degli artt. 3, 24, primo comma, 111, secondo comma, 113, secondo comma, e 117, settimo comma, Cost.
2.− Si è costituito nel giudizio I.L., ricorrente nel giudizio principale, chiedendo che la Corte costituzionale «Voglia […], ritenuta fondata, con riferimento alle norme ad ai principi costituzionali innanzi richiamati (sub n. 2) [cioè per violazione «dei principi di generalità e astrattezza», degli artt. 97, 98 e 117 Cost., nonché «delle garanzie costituzionali poste a tutela di ogni rapporto di lavoro»], la questione di legittimità costituzionale rimessa dal giudice a quo, dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Molise del 21.07.2012 n. 14».
2.1.− La parte costituita premette, in punto di fatto, di avere adíto il Tribunale di Campobasso, in funzione di giudice del lavoro, in quanto, mentre era in servizio come Segretario generale del Consiglio regionale della Regione Molise, «si era visto risolvere il contratto individuale di lavoro stipulato il 12.03.2007 con durata di cinque anni prevista dall’art. 2 di tale contratto».
Egli aveva perciò chiesto all’adíto Tribunale, tra l’altro, di dichiarare «l’obbligo della Regione Molise di corrispondere al ricorrente la retribuzione e tutte le connesse indennità spettantigli in virtù del contratto individuale di lavoro stipulato il 12.03.2007 fino alla data della sua cessazione così come fissata dall’art. 2» e, «in via del tutto subordinata», di ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, unico comma, secondo periodo, della legge reg. Molise n. 14 del 2010, «per violazione dei principi di generalità ed astrattezza, per violazione degli artt. 117, 97 e 98 della Costituzione e per violazione delle garanzie costituzionali poste a tutela di ogni rapporto di lavoro, richiamando in proposito i principi contenuti nella giurisprudenza dell’Ecc.ma Corte costituzionale (per es., Corte cost., Sent. nn. 103 e 104 del 23.03.2007)».
2.2.− Tanto premesso, la parte costituita dichiara di fare «proprie le ragioni esposte nella […] ordinanza emessa dal Giudice a quo».
3.− In prossimità della pubblica udienza, la parte privata ha depositato una memoria nella quale riafferma quanto dedotto nel proprio atto di intervento e rinnova le conclusioni in esso rassegnate, evidenziando, ulteriormente, quanto segue.
3.1.− Quanto alla rilevanza della questione, I.L., ribadito che la norma impugnata ha disposto la revoca dell’incarico di Segretario generale del Consiglio regionale della Regione Molise, da lui ricoperto in virtù del contratto individuale di lavoro stipulato il 12 marzo 2007 per una durata di cinque anni, nonché la risoluzione dello stesso contratto e precisato che, «quindi, si era visto attribuire da parte della Giunta Regionale […] l’incarico di Direttore dell’Agenzia Molise Lavoro fino al 06.06.2011 e, cioè, per la durata corrispondente al periodo di preavviso di cui all’art. 31 del C.C.N.L. del 10.04.2010 relativo al predetto contratto di durata quinquennale risolto per legge», afferma che «la determinazione ed il riconoscimento della durata del periodo per il quale […] aveva ed ha diritto alla retribuzione contrattuale dovutagli dalla Regione Molise in forza dell’unico contratto stipulato dalle parti non può non dipendere dalla norma regionale che ha autoritativamente ed unilateralmente risolto tale contratto individuale di lavoro e revocato il relativo incarico di Segretario generale del Consiglio Regionale del Molise».
3.2.− Quanto al merito, la parte privata, dopo avere manifestato l’intenzione di «approfondire» le argomentazioni sviluppate nell’ordinanza di rimessione, sostiene che la norma impugnata, prevedendo, «esclusivamente per l’esponente, la cessazione immediata, automatica e ad personam dall’incarico conferitogli in virtù di un regolare e legittimo contratto individuale di lavoro», violerebbe: a) gli artt. 97 e 98 Cost., i quali non consentono «alla Pubblica amministrazione di recedere liberamente ed arbitrariamente dal rapporto» di lavoro dirigenziale in quanto lo stesso, «anche se caratterizzato dalla temporaneità del relativo incarico, deve essere sempre connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia disciplinato e regolato in modo da assicurare, da un lato, la tendenziale continuità dell’azione amministrativa e, dall’altro, la possibilità per il dirigente di esercitare tutti i diritti spettantigli, compresi quelli di tutelare e difendere la propria situazione giuridica soggettiva e la propria funzione all’interno e nel rispetto di un giusto procedimento» (sono citate, a sostegno di tali assunti, le sentenze della Corte costituzionale n. 103 del 2007 e n. 193 del 2002); b) «il principio […]di uguaglianza […] di cui all’art. 3 Costituzione, in quanto nei confronti del solo esponente è stata emanata una disposizione di legge ad hoc, con violazione dell’ulteriore principio della generalità ed astrattezza delle leggi, per di più determinante un trattamento differenziato sia sul piano sostanziale che su quello della tutela dei propri diritti, nonché privo di ogni ragionevolezza ed in assenza di qualsivoglia ragione idonea a giustificarlo»; c) «la garanzia […] della tutela dei propri diritti ed interessi legittimi di cui all’art. 24 Costituzione, in quanto […] è stato negato al dirigente l’esercizio del diritto di difesa, impedendogli di ricorrere alla tutela giurisdizionale, con l’aggravante di aver determinato una situazione di sostanziale disparità di trattamento ad esclusivo vantaggio e favore dell’Amministrazione Regionale datore di lavoro»; d) «il principio del giusto processo di cui al 2° comma dell’art. 111 Costituzione, in quanto mediante la norma regionale impugnata è stato […] negato al ricorrente il contraddittorio con la propria controparte davanti al giudice terzo e imparziale»; e) «il principio costituzionale della sottoposizione alla legge dell’attività dei pubblici poteri di cui all’art. 113 Costituzione, […] che riserva […] al giudice di dirimere le controversie tra i cittadini e la pubblica amministrazione quando si tratti di situazioni giuridiche soggettive riconducibili a diritti o anche ad interessi legittimi»; f) «il riparto di competenze fra Stato e Regioni di cui all’art. 117, 2° comma, lett. l) Costituzione, in quanto la norma regionale censurata ha finito per interferire con la legislazione esclusiva riservata allo Stato in materia di giurisdizione, di ordinamento civile e di giustizia amministrativa, avendo inciso anche sul regime giuridico del rapporto di lavoro dirigenziale e della relativa responsabilità amministrativa, nonché leso la loro necessaria uniformità su tutto il territorio nazionale (cfr. sul punto, Corte Cost. sent. n. 17 del 05.02.2014 e sent. n. 19 del 10.02.2014), impedendo per di più al ricorrente di tutelare davanti all’Autorità Giudiziaria i propri diritti derivanti dal contratto di lavoro legittimamente stipulato».
3.3.− La parte privata conclude ribadendo la richiesta alla Corte costituzionale di ritenere fondata la questione sollevata e chiedendo che l’art. 2 della legge reg. Molise n. 14 del 2010 sia dichiarato costituzionalmente illegittimo «nella parte censurata».
Considerato in diritto
1.− Il Tribunale ordinario di Campobasso, in funzione di giudice del lavoro, dubita − in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 111, secondo comma, 113, secondo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Molise 21 luglio 2010, n. 14 (Iniziative finalizzate alla razionalizzazione della spesa regionale), il quale, nel suo unico comma, stabilisce che «Ai fini del contenimento della spesa sul personale, nelle more dell’attuazione della riorganizzazione prevista dalla legge regionale 23 marzo 2010, n. 10, gli apparati amministrativi del Consiglio regionale sono coordinati dal Direttore generale della Direzione generale I della Giunta regionale di cui alla legge regionale 8 aprile 1997, n. 7, e successive modificazioni ed integrazioni, in carica alla data dell’entrata in vigore della presente legge senza ulteriori riconoscimenti economici. A tal fine, è revocato l’incarico di Segretario generale del Consiglio in essere ed è risolto il connesso contratto di lavoro a tempo determinato, nel rispetto dei tempi previsti dallo stesso, che decorrono dalla data di entrata in vigore della presente legge».
Ad avviso del Tribunale rimettente, la disposizione censurata – da applicare nel giudizio a quo − prevedendo la revoca dell’incarico di Segretario generale del Consiglio regionale della Regione Molise «in essere» con legge, anziché «con un atto di ordinaria gestione del rapporto lavorativo», e perciò «impedendo al ricorrente di poter ottenere […] un sindacato diretto da parte del giudice circa la legittimità della revoca (non potendo il GO sindacare direttamente il contenuto di una LR senza il previo vaglio della Corte costituzionale)» violerebbe: a) l’art. 3 Cost., perché discrimina il ricorrente rispetto alla generalità dei dirigenti ai quali viene revocato l’incarico; b) l’art. 111, secondo comma, Cost., perché pone lo stesso ricorrente «in una situazione di disparità processuale rispetto alla controparte la quale ben invece può invocare direttamente in giudizio l’applicazione della LR»; c) gli artt. 24, primo comma, e 113, secondo comma, Cost., perché esclude «il diritto del lavoratore alla tutela diretta (dinanzi al G.O.) avverso la revoca dell’incarico […] prevista dal TU n. 165/01». Secondo lo stesso Tribunale, la disposizione impugnata violerebbe anche l’art. 117, settimo comma, Cost., perché provoca «una limitazione nei confronti del lavoratore (non essendoci stata una soppressione della figura del segretario ma una revoca ad personam dell’incarico) in violazione dei principi che devono sottendere alla legislazione regionale (art. 117 co. 7 Cost.)».
2.− Preliminarmente, devono essere dichiarate inammissibili le censure prospettate dalla parte privata in riferimento ai parametri (in particolare, gli artt. 97, 98 e 117, secondo comma, lettera l, Cost.), nonché ai profili di illegittimità costituzionale che non figurano nell’ordinanza di rimessione.
Come costantemente chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle norme ed ai parametri indicati, ancorché implicitamente, nell’ordinanza di rimessione e non possono, quindi, essere esaminati questioni o profili diversi dedotti dalle parti, sia che siano stati eccepiti ma non fatti propri dal giudice a quo, sia che siano diretti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto della stessa ordinanza (ex plurimis, sentenze n. 310 e n. 114 del 2013, n. 104 del 2007; ordinanza n. 298 del 2011).
3.− Le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 111, secondo comma, e 113, secondo comma, Cost., non sono fondate.
La disposizione censurata, disponendo la revoca dell’incarico dirigenziale di Segretario generale del Consiglio regionale della Regione Molise «in essere» (nonché la risoluzione del connesso contratto di lavoro a tempo determinato) costituisce – come chiaramente, pur se non esplicitamente, dedotto dal rimettente – una legge-provvedimento, come è reso palese, sul piano soggettivo, dall’unicità del suo destinatario (l’indicato dirigente in carica) e, sul piano oggettivo, dal fatto che essa disciplina un aspetto (la revoca di un incarico dirigenziale «in essere») che è normalmente affidato non al legislatore, ma all’autorità amministrativa.
Come si è visto sopra, il giudice rimettente deduce che l’impugnato art. 2 della legge reg. Molise n. 14 del 2010 víola gli artt. 3, 24, primo comma, 111, secondo comma, e 113, secondo comma, Cost., esclusivamente sotto il profilo che la natura di legge-provvedimento dello stesso impedisce al suo destinatario di ottenere tutela giurisdizionale direttamente davanti al giudice comune – il quale non può, ovviamente, sindacare la legittimità di una legge – come sarebbe invece possibile in presenza di un atto dell’amministrazione; il che comporterebbe, per ciò solo, la lesione del principio di eguaglianza, sub specie dell’ingiustificata disparità di trattamento di situazioni eguali (art. 3 Cost.), del diritto di agire in giudizio, in particolare contro gli atti della pubblica amministrazione, per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (artt. 24, primo comma, e 113, secondo comma Cost.) e del principio di parità delle parti nel processo (art. 111, secondo comma, Cost.).
Tale assunto del giudice a quo è, tuttavia, errato. Questa Corte ha infatti costantemente affermato che «la natura di “norma-provvedimento” […], da sola, non incide sulla legittimità della disposizione» (sentenza n. 270 del 2010) e che la legittimità costituzionale delle leggi-provvedimento – le quali non sono incompatibili «in sé e per sé, con l’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione» (ex plurimis, sentenza n. 85 del 2013) – deve essere «valutata in relazione al loro specifico contenuto» (ex plurimis, sentenze n. 275 del 2013, n. 154 del 2013, n. 270 del 2010), «essenzialmente sotto i profili della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta del legislatore» (sentenza n. 288 del 2008). Con riguardo, in particolare, al profilo che qui interessa, questa Corte, anche recentemente, ha escluso che il passaggio dall’atto amministrativo alla legge comprometta il diritto alla tutela giurisdizionale – che sarebbe possibile invece esercitare in presenza di un atto dell’amministrazione – ribadendo «che “in assenza nell’ordinamento attuale di una ‘riserva di amministrazione’ opponibile al legislatore, non può ritenersi preclusa alla legge ordinaria la possibilità di attrarre nella propria sfera di disciplina oggetti o materie normalmente affidate all’azione amministrativa […] con la conseguenza che il diritto di difesa […] non risulterà annullato, ma verrà a connotarsi secondo il regime tipico dell’atto legislativo adottato, trasferendosi dall’ambito della giustizia amministrativa a quello proprio della giustizia costituzionale” (sentenza n. 62 del 1993)» (sentenza n. 85 del 2013). In sostanza, «il passaggio dall’atto amministrativo alla legge implica un mutamento del regime di tutela giurisdizionale, tutela che dal giudice comune passa alla giustizia costituzionale» (sentenza n. 20 del 2012), ma non determina, in quanto tale, una lesione del diritto a tale tutela.
Sulla base degli univoci precedenti, deve quindi concludersi nel senso della non fondatezza delle questioni sollevate, atteso che – contrariamente a quanto mostra di ritenere il giudice rimettente – l’impossibilità per il destinatario della disposizione censurata di ottenere tutela direttamente dal giudice comune non comporta, in quanto tale, la lesione del suo diritto alla tutela giurisdizionale, ma solo il trasferimento di tale tutela all’àmbito proprio della giustizia costituzionale. Ciò porta, altresì, ad escludere che tale trasferimento sia, di per sé, discriminatorio o suscettibile di alterare la parità delle parti nel processo.
Sotto quest’ultimo aspetto, deve ulteriormente osservarsi che, con la censura di violazione del principio di parità delle parti nel processo, il Tribunale rimettente sembra lamentare un’interferenza della disposizione impugnata con l’esercizio della funzione giurisdizionale; interferenza che, tuttavia, è manifestamente insussistente, non essendo ravvisabile, al momento dell’approvazione della legge, alcuna controversia o pronuncia giurisdizionale con le quali essa potesse interferire. Deve, quindi, escludersi che possa qui venire in rilievo la giurisprudenza di questa Corte che, con «riferimento alla funzione giurisdizionale, […] ha stabilito […] che non può essere consentito al legislatore di “risolvere, con la forma della legge, specifiche controversie e di vanificare gli effetti di una pronuncia giurisdizionale divenuta intangibile, violando i princìpi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e concernenti la tutela dei diritti e degli interessi legittimi” (sentenza n. 94 del 2009, conforme a sentenza n. 374 del 2000)» (sentenza n. 85 del 2013).
4.– Del pari non fondata è la questione sollevata in riferimento all’art. 117, settimo comma, Cost.
Tale censura – la sola con la quale il rimettente lamenta non già la fonte con la quale la disciplina impugnata è stata introdotta nell’ordinamento, ma il contenuto di quest’ultima – è, infatti, prospettata in riferimento ad un parametro del tutto inconferente rispetto al dedotto profilo di illegittimità costituzionale. Non si comprende, in effetti, quale sia l’attinenza dell’art. 117, settimo comma, Cost. – secondo cui «Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive» – rispetto a una censura con la quale viene lamentata la revoca ex lege di un incarico dirigenziale senza che la relativa funzione sia stata soppressa.
5.– È, infine, opportuno ribadire l’estraneità all’oggetto del presente giudizio di ogni valutazione in ordine alla conformità dell’impugnato art. 2 della legge reg. Molise n. 14 del 2010 all’art. 3 Cost., sotto i profili della irragionevolezza e della arbitrarietà, ed agli artt. 97, 98 e 117, secondo comma, lettera l), Cost.; questioni che, come si è detto sopra, questa Corte non ha potuto esaminare.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Molise 21 luglio 2010, n. 14 (Iniziative finalizzate alla razionalizzazione della spesa regionale), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 111, secondo comma, 113, secondo comma, e 117, settimo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Campobasso, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2014.
F.to:
Giuseppe TESAURO, Presidente
Sergio MATTARELLA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2014.