Sentenza n. 104 del 2007

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SENTENZA N. 104

ANNO 2007

 

Commenti alla decisione di

 

 

I. Federico Jorio, Lo spoil system viene nuovamente ridisegnato dal Giudice delle leggi con le sentenze nn. 103 e 104 del 2007  (per gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)

 

II. Sandro de Gotzen, Il bilanciamento tra spoil system e principio di distinzione tra politica e amministrazione nella dirigenza regionale (per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

III. Francesco Merloni, Lo spoils system è inapplicabile alla dirigenza professionale: dalla Corte nuovi passi nella giusta direzione (per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                                  BILE                                  Presidente

- Giovanni Maria                    FLICK                                  Giudice

- Francesco                             AMIRANTE                               "

- Ugo                                      DE SIERVO                               "

- Romano                                VACCARELLA                        "

- Paolo                                    MADDALENA                          "

- Alfio                                     FINOCCHIARO                        "

- Alfonso                                QUARANTA                             "

- Franco                                  GALLO                                      "

- Luigi                                     MAZZELLA                              "

- Gaetano                                SILVESTRI                                "

- Sabino                                  CASSESE                                   "

- Maria Rita                            SAULLE                                    "

- Giuseppe                              TESAURO                                 "

- Paolo Maria                          NAPOLITANO                          "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 96 della legge della Regione Siciliana 26 marzo 2002, n. 2 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002); del combinato disposto dell’art. 55, comma 4, della legge della Regione Lazio 11 novembre 2004, n. 1 (Nuovo Statuto della Regione Lazio) e dell’art. 71, commi 1, 3 e 4, lett. a), della legge della Regione Lazio 17 febbraio 2005, n. 9 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio finanziario 2005); del combinato disposto dell’art. 53, comma 2, e/o dell’art. 55, comma 4, della legge della Regione Lazio 11 novembre 2004, n. 1, e dell’art. 71, commi 1, 3 e 4, lett. a), della legge della Regione Lazio 17 febbraio 2005, n. 9; dell’art. 43, commi 1 e 2, della legge della Regione Lazio 28 aprile 2006, n. 4, recante «Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2006 (art. 11, legge regionale 20 novembre 2001, n. 25)»; rispettivamente promossi dal Tribunale di Palermo con ordinanza del 19 ottobre 2004; dal Consiglio di Stato, con sei ordinanze del 19 ottobre 2005 e con una ordinanza del 7 febbraio 2006; dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con ordinanza del 3 luglio 2006; iscritte ai numeri 589 del registro ordinanze 2005; 9, 10, 11, 12, 13, 14, 237 e 431 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2005, e nn. 4, 29, 43, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visti gli atti di costituzione di Patrizio Valeri e Domenico Alessio, di Giuseppina Gabriele, di Benito Battigaglia e Carlo Mirabella, di Ernesto Petti, di Adolfo Pipino, Pietro Grasso e Luigi Macchitella, di Giancarlo Zotti, di Franco Condò, di Rosaria Marino, della Regione Lazio e della Regione Siciliana;

udito nell’udienza pubblica del 6 marzo 2007 e nella camera di consiglio del 7 marzo 2007 il Giudice relatore Sabino Cassese;

uditi gli avvocati Francesco Castiello e Mario Sanino per Patrizio Valeri e Domenico Alessio; Rosaria Russo Valentini per Giuseppina Gabriele, Adolfo Pipino, Pietro Grasso e Luigi Macchitella; Alfredo Zaza d’Aulisio per Benito Battigaglia e Carlo Mirabella; Corrado De Simone per Ernesto Petti; Diego Perifano per Giancarlo Zotti; Francesco Castiello e Guido De Santis per Franco Condò; Gennaro Terracciano e Luca Di Raimondo per la Regione Lazio.

Ritenuto in fatto

1. – Il Consiglio di Stato ha sollevato, con sei ordinanze (r.o. nn. da 9 a 14 del 2006), questione di legittimità costituzionale del «combinato disposto» dell’articolo 71, commi 1, 3 e 4, lettera a), della legge della Regione Lazio 17 febbraio 2005, n. 9 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2005), e dell’articolo 55, comma 4, della legge della Regione Lazio 11 novembre 2004, n. 1 (Nuovo Statuto della Regione Lazio), in riferimento agli articoli 97, 32, 117, terzo comma, ultimo periodo, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

1.1. – La questione è insorta in giudizi d’appello avverso le ordinanze con le quali il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha respinto le domande di sospensione cautelare dei provvedimenti con i quali la Regione Lazio aveva dichiarato la decadenza dei ricorrenti dall’incarico di direttore generale di aziende sanitarie locali o di aziende ospedaliere e nominato i nuovi direttori generali; ciò, appunto, in applicazione del «combinato disposto» dell’art. 55, comma 4, dello statuto della Regione Lazio e dell’art. 71 della legge regionale n. 9 del 2005.

L’art. 55 («Enti pubblici dipendenti») dello statuto regionale – dopo aver previsto che, con legge regionale, possono essere istituiti «enti pubblici dipendenti dalla Regione per l’esercizio di funzioni amministrative, tecniche o specialistiche, di competenza regionale» (comma 1) – stabilisce che «[i] componenti degli organi istituzionali decadono dalla carica il novantesimo giorno successivo alla prima seduta del Consiglio [regionale], salvo conferma con le stesse modalità previste per la nomina» (comma 4).

In virtù dell’art. 71 («Disposizioni per la prima attuazione delle norme statutarie in materia di nomine e designazioni di competenza degli organi della Regione e degli enti dipendenti») della legge regionale n. 9 del 2005, «[n]elle more dell’adeguamento della normativa regionale» alla legge statutaria, le norme dello statuto regionale (fra le quali l’art. 55, comma 4) «concernenti la decadenza dalla carica di componente degli organi istituzionali degli enti pubblici dipendenti e la cessazione di diritto degli incarichi dirigenziali presso la Regione e gli enti pubblici dipendenti» si applicano, «anche in deroga alle disposizioni contenute nelle specifiche leggi vigenti in materia» (comma 1), «a decorrere dal primo rinnovo, successivo alla data di entrata in vigore dello statuto, degli organi di riferimento della Regione o degli enti pubblici dipendenti» (comma 3); in particolare, al fine di dare piena applicazione a quanto disposto (fra gli altri) dall’art. 55, comma 4, dello statuto, «nelle ipotesi in cui la carica di organo istituzionale di ente pubblico dipendente, anche economico, in atto alla data di entrata in vigore dello statuto, sia svolta mediante rapporto di lavoro regolato da contratto di diritto privato, la durata del contratto stesso è adeguata di diritto ai termini previsti dall’articolo 55, comma 4» (comma 4, lettera a), secondo cui – come detto – «[i] componenti degli organi istituzionali decadono dalla carica il novantesimo giorno successivo alla prima seduta del Consiglio [regionale], salvo conferma con le stesse modalità previste per la nomina».

Il remittente non dubita che le controversie vadano ascritte alla giurisdizione del giudice amministrativo, atteso che i provvedimenti impugnati «sono chiara espressione di uno straordinario potere attribuito all’amministrazione regionale in ordine all’organizzazione degli enti da essa dipendenti, sulla base di una valutazione discrezionale circa la sussistenza dei presupposti di legge, a fronte del quale non sono ipotizzabili se non posizioni di interesse legittimo al suo corretto esercizio».

In punto di rilevanza, il giudice, contrariamente alla prospettazione dei ricorrenti – secondo cui le Asl sarebbero «enti autonomi» e non già «dipendenti» della Regione, sicché le disposizioni regionali sopra riportate non sarebbero ad esse riferibili – ritiene che le Asl sono enti strumentali della Regione, con conseguente applicabilità delle norme censurate.

Rilevato che le domande cautelari dei ricorrenti sarebbero carenti del prescritto requisito del fumus boni iuris e che l’appello cautelare dovrebbe essere rigettato, il giudice remittente sostiene che la normativa sulla quale si fondano i provvedimenti impugnati davanti al Tar del Lazio, e che egli dovrebbe applicare per rigettare l’appello cautelare, è sospetta di incostituzionalità sotto vari profili.

Anzitutto, l’art. 71 della legge regionale n. 9 del 2005, nel disporre che l’art. 55 dello statuto regionale si applichi, «in deroga alle disposizioni contenute nelle specifiche leggi vigenti in materia», «a decorrere dal primo rinnovo, successivo alla data di entrata in vigore dello statuto, degli organi di riferimento della Regione», ricollegherebbe la cessazione dalla carica al rinnovo del Consiglio regionale, «con l’evidente finalità di consentire alle forze politiche di cui è espressione il nuovo Consiglio di sostituire i preposti agli organi istituzionali». Ne discenderebbe «una cesura nella continuità dell’azione amministrativa esplicata dal titolare della carica, non in dipendenza di una valutazione della qualità di questa [azione], ma di un evento oggettivo, qual è l’insediamento del nuovo Consiglio all’esito della consultazione elettorale», onde la norma regionale contrasterebbe con i principi costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità dettati dall’art. 97 Cost. Inoltre, l’art. 55, comma 4, dello statuto regionale, per il modo in cui è stato attuato dall’art. 71 della legge regionale n. 9 del 2005, sarebbe comunque suscettibile di incidere, in mancanza di ogni «vaglio di rendimento (cfr. in proposito Corte cost. 16 maggio 2002 n. 193), [su] quella stabilità ed autonomia che consente al dirigente di improntare il suo operato al rispetto dei richiamati principi».

In considerazione della circostanza che l’attività del direttore generale di azienda sanitaria locale si svolge nel settore della sanità e della tutela della salute, la normativa sarebbe, altresì, lesiva dei fondamentali obiettivi posti dall’art. 32 Cost.

Le disposizioni censurate violerebbero, infine, un principio fondamentale della materia «tutela della salute» e, pertanto, contrasterebbero con l’art. 117, terzo comma, Cost. In particolare, dalla legislazione statale sarebbe ricavabile il principio fondamentale secondo cui al rapporto di lavoro dei direttori generali delle Asl dev’essere garantita una stabilità ed autonomia in misura «rimessa alla valutazione discrezionale del legislatore regionale, ma comunque congrua per l’esercizio, da parte di tali funzionari, delle loro specifiche attribuzioni secondo i canoni […] di adeguatezza dell’azione amministrativa all’art. 97 Cost.». La menzionata normativa regionale, invece, introdurrebbe una condizione di precarietà di quel rapporto.

Infine, la previsione della decadenza dalla carica esulerebbe, secondo il remittente, dalla competenza legislativa regionale, «in quanto, incidendo sulla disciplina del sottostante rapporto di lavoro, di cui determina la cessazione, si esplica in realtà nella materia dell’"ordinamento civile”, affidato dall’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost. alla potestà legislativa esclusiva dello Stato».

1.2. – Si sono costituite le parti private dei giudizi principali, alcune delle quali hanno presentato memorie.

1.2.1. – Le difese dei ricorrenti nei giudizi a quibus sottolineano che le disposizioni denunciate, legando la cessazione dalla carica ad una circostanza – l’insediamento del nuovo Consiglio regionale – estranea alla valutazione dell’attività svolta dal direttore generale, violerebbero gli artt. 97 e 98 Cost.; inoltre, «provocando la destabilizzazione dell’assetto delle aziende sanitarie», sarebbero «in stridente contrasto con il sistema di cui l’art. 32 Cost. è la norma apicale», sistema costituito dal decreto legislativo n. 502 del 1992, che prevede una durata almeno triennale del rapporto di lavoro dei direttori generali delle aziende sanitarie, e dalla legge della Regione Lazio n. 18 del 1994, che assicura la stabilità del rapporto fino alla scadenza del contratto.

Sarebbero altresì violati:

l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto «la stabilità del rapporto tra l’azienda sanitaria e il suo direttore e l’efficiente cura del fondamentale interesse pubblico tutelato dall’art. 32 Cost. è presidiato anche dall’art. II-63, primo comma, del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa (29 ottobre 2004)»;

«i principi desumibili dal combinato disposto degli artt. 32 e 98 Cost.», in quanto «il criterio delle spoglie appare obiettivamente non confacente al settore della sanità, considerato che le aziende sanitarie, erogando un servizio di pubblica necessità, devono perseguire i fondamentali obiettivi posti dall’art. 32 Cost. in condizioni di autonomia e di immunità dai condizionamenti da parte di questa o quella formazione politica, nel rispetto dell’art. 98 Cost. col quale il ridetto art. 32 si coniuga in un contesto logico-sistematico di necessario ed ineludibile riferimento»;

l’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost., in quanto la previsione della decadenza dalla carica dei direttori generali delle aziende sanitarie della Regione Lazio prima dello spirare del termine pattiziamente definito «incide con effetti rescissori sul rapporto di lavoro» e, quindi, su una materia, l’«ordinamento civile», che rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato.

1.2.2. – Le difese dei controinteressati nei giudizi a quibus eccepiscono l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della questione.

Sotto il primo profilo, si sostiene che il giudice remittente, da una parte, ha omesso di ricercare una possibile interpretazione costituzionalmente orientata delle norme sospettate di incostituzionalità; dall’altra, è incorso in una «evidente contraddittorietà» di motivazione circa la sussistenza della propria giurisdizione, laddove confonde l’insediamento del nuovo Consiglio regionale, che determina l’automatica cessazione dalla carica, con l’esercizio di «una valutazione discrezionale circa     la sussistenza dei presupposti di legge», a fronte della quale sussisterebbero unicamente posizioni di interesse legittimo tutelabili davanti al giudice amministrativo.

Quanto alla non manifesta infondatezza, la difesa osserva, anzitutto, che il giudice remittente, nel ricollegare la violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dettati dall’art. 97 Cost. all’assenza di «ogni vaglio di rendimento» del direttore generale, finisce per trasferire nell’istituto dell’automatica decadenza dall’incarico un’impostazione che appartiene alla fattispecie – tutt’affatto diversa da quella in esame – relativa alla decadenza regolata dall’art. 3-bis, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della Legge 23 ottobre 1992, n. 421), che consegue alla valutazione di «gravi motivi», all’accertamento di «una situazione di grave disavanzo» o, ancora, alla «violazione di leggi o del principio di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione»; dunque, all’esistenza di situazioni o al verificarsi di comportamenti che si configurano come inadempimento delle obbligazioni contrattualmente assunte.

Nemmeno sussisterebbe la lesione dell’art. 32 Cost., non comprendendosi per quali ragioni la cessazione dall’incarico del direttore generale di un’Asl comporterebbe conseguenze negative in relazione ad una efficace tutela del diritto alla salute. Del resto, l’incarico di direttore generale è comunque a termine e la Regione ben può disporre, ricorrendone i presupposti (in applicazione dell’art. 3-bis, comma 7, del decreto legislativo n. 502 del 1992), la revoca del direttore generale prima della scadenza del termine contrattualmente previsto.

Quanto, poi, alla lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost., osserva la difesa che la violazione, da parte della Regione, di principi fondamentali nella materia di legislazione concorrente «tutela della salute» avrebbe dovuto essere illustrata attraverso la specifica indicazione delle norme di legge statale in ipotesi violate.

D’altro canto, neppure sarebbe lesa la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile». Anche a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, infatti, alle regioni non è radicalmente precluso di legiferare in ordine ai rapporti lavorativi costituiti con il personale dipendente e con i dirigenti. Ciò in quanto, da una parte, le regioni sono dotate, in virtù dell’art. 117, quarto comma, Cost., di «poteri legislativi propri in tema di organizzazione amministrativa e di ordinamento del personale» (sentenza n. 2 del 2004); dall’altra parte, con specifico riguardo alla dirigenza, «la stessa legislazione statale […] non esclude una, seppur ridotta, competenza normativa regionale in materia» (sentenza n. 2 del 2004)». Infine, non parrebbe corretto far rientrare nella materia dell’«ordinamento civile» tutti i profili afferenti al rapporto lavorativo tra le regioni (e i loro enti strumentali) ed il relativo personale, attesa la qualificazione pubblicistica dei «numerosi aspetti dei rapporti privatizzati più strettamente legati a profili organizzativi dell’attività dell’amministrazione: tra i quali, in particolare, quelli concernenti la dirigenza» (sentenza n. 313 del 1996).

1.3. – In tutti i giudizi si è costituita la Regione Lazio, contestando che la normativa regionale sia in contrasto con gli artt. 97, 32 e 117 Cost.

Secondo la difesa della Regione, «l’introduzione del sistema della decadenza di diritto è la necessaria e logica conseguenza dell’evoluzione in direzione della eliminazione della stabilità del rapporto dei vertici delle amministrazioni, che ha caratterizzato le riforme normative del pubblico impiego degli ultimi anni». Il rapporto di lavoro dei più alti dirigenti delle amministrazioni è, infatti, mutato in ragione del «collegamento necessario» che, pur nella distinzione dei rispettivi ruoli, deve sussistere «tra l’attività di indirizzo politico affidata all’organo di governo e l’attività di prima traduzione di detto indirizzo in atti gestionali» ad opera dei dirigenti di vertice.

In questa logica, l’art. 55 dello statuto regionale e la legge regionale n. 9 del 2005 non confliggono con alcuna norma o principio di rango costituzionale o comunitario, limitandosi ad istituzionalizzare ciò che era già principio generale e prassi nella Regione Lazio e in altre regioni, oltre che nell’amministrazione dello Stato: la nomina dei vertici amministrativi avviene «sulla base di una valutazione di alta amministrazione che non richiede una particolare motivazione, sempre che il nominato abbia i requisiti professionali per poter correttamente adempiere alle funzioni assegnate». Del resto, se è vero che «[g]li apparati burocratici costituiscono i principali strumenti per dare attuazione [a] politiche pubbliche coerenti con il mandato elettorale», «la prima esigenza dei vertici politici delle amministrazioni è quello di potersi dotare di una dirigenza capace, possibilmente scelta su base fiduciaria, che condivida le scelte e le priorità e si impegni nell’attuazione delle medesime senza frapporre ostacoli o indulgere in comportamenti ostruzionistici». Viceversa, «[l]a sostanziale inamovibilità del dirigente, che ha caratterizzato a lungo l’esperienza concreta del nostro ordinamento, non appare compatibile con questo modello», a maggior ragione «in seguito all’introduzione, nel corso degli anni Novanta, del meccanismo di elezione diretta dei vertici delle amministrazioni locali (in particolare dei sindaci) e più di recente dei presidenti delle amministrazioni regionali».

Peraltro, la previsione della possibilità di conferma, secondo il normale procedimento previsto per la nomina, e la circostanza che, nei novanta giorni successivi all’insediamento del nuovo Consiglio regionale, i dirigenti di vertice continuano a svolgere normalmente la loro attività, anche sulla base degli indirizzi nel frattempo intervenuti, hanno lo scopo di garantire la continuità della loro azione, nonché la partecipazione degli stessi dirigenti al procedimento che porta alle nuove nomine.

Ne discende che non è compromesso l’art. 32 Cost., giacché il diritto alla salute è tutelato proprio dalla continuità dell’azione e dalla inesistenza di forme di pressione giuridica o psicologica sui direttori generali delle Asl.

Infine, le norme sospettate di incostituzionalità non violerebbero in alcun modo l’art. 117, secondo comma, Cost., non contenendo disposizioni in materia di «ordinamento civile», ma solo regole di portata organizzativa che incidono sulla durata del rapporto libero-professionale dei direttori generali di Asl.

La stessa Regione ha sottolineato come le proprie argomentazioni trovino sostegno nella recente sentenza della Corte n. 233 del 2006, che ha affermato la legittimità costituzionale di leggi delle Regioni Abruzzo e Calabria. In particolare, osserva la difesa della Regione, la Corte costituzionale ha affermato la legittimità costituzionale delle norme per cui le nomine agli organi di vertice degli enti regionali, effettuate dagli organi rappresentativi della Regione, sono caratterizzate dall’intuitus personae, nel senso che si fondano su valutazioni personali coerenti con l’indirizzo politico regionale.

2. – Il Consiglio di Stato ha sollevato (r.o. n. 237 del 2006) questione di legittimità costituzionale del «combinato disposto» dell’art. 53, comma 2, «e/o» dell’art. 55, comma 4, della legge della Regione Lazio n. 1 del 2004 e dell’art. 71, commi 1, 3 e 4, della legge della Regione Lazio n. 9 del 2005, per contrasto con gli artt. 97, 117, terzo comma, ultimo periodo, e 117, secondo comma, lettera l), Cost.

La questione è insorta nel corso del giudizio di appello avverso l’ordinanza del Tar del Lazio che ha sospeso il provvedimento con il quale la Regione Lazio aveva dichiarato cessato dall’incarico il direttore generale dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) del Lazio, in applicazione dell'art. 55 del nuovo statuto regionale, approvato con legge regionale n. 1 del 2004, e dell’art. 71 della legge regionale n. 9 del 2005.

Il remittente ritiene la propria giurisdizione, in quanto i provvedimenti impugnati sarebbero «chiara espressione di uno straordinario potere attribuito all’amministrazione regionale in ordine all’organizzazione degli enti da essa dipendenti, sulla base di una valutazione discrezionale circa la sussistenza dei presupposti di legge, a fronte della quale non sono ipotizzabili se non posizioni di interesse legittimo al suo corretto esercizio».

In punto di rilevanza, il giudice osserva che l’applicazione all’Arpa del Lazio delle suindicate norme regionali discende dalla natura strumentale dell’ente. Invero, la legge regionale 6 ottobre 1998, n. 45 (Istituzione dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale del Lazio-Arpa), qualifica espressamente l’Arpa come ente strumentale, dotato di personalità giuridica (art. 2), che svolge funzioni in materia ambientale a favore della Regione, degli enti locali e degli enti gestori delle aree naturali regionali (art. 3); la sottopone alla vigilanza e al controllo della giunta regionale (art. 9); riserva al consiglio regionale la nomina del direttore generale (art. 5); riconosce che il personale, i beni e le dotazioni sono della Regione (art. 19) e che i finanziamenti sono, in prevalenza, regionali (art. 20).

All’Arpa, pertanto, in quanto ente pubblico dipendente dalla Regione, si applicano sia l’art. 55 dello statuto, sia l’art. 71 della legge regionale n. 9 del 2005.

In ogni caso, aggiunge il remittente, quand’anche si ritenesse che l’Arpa sia compresa fra le «unità amministrative» contemplate dall’art. 54 dello statuto, essa rientrerebbe ugualmente nella disciplina dello spoils system, poiché l’art. 71, comma 3, della legge regionale n. 9 del 2005 richiama espressamente l’art. 53, comma 2, dello statuto, che prevede l’applicazione di tale istituto anche alle posizioni amministrative «di particolare rilievo e responsabilità».

La suddetta normativa regionale appare, secondo il remittente, sospetta di incostituzionalità sotto numerosi profili, che in gran parte coincidono con quelli di cui alle ordinanze sub 1 (r. o. da n. 9 a 14 del 2006).

In particolare, il remittente osserva che dalla legge regionale istitutiva dell’Arpa (art. 5, comma 6, legge n. 45 del 1998) sarebbe ricavabile un «principio fondamentale della materia secondo il quale al rapporto del direttore generale deve essere garantita una stabilità ed autonomia in misura […] congrua per l’esercizio […] delle sue specifiche attribuzioni, secondo i canoni […] di adeguatezza dell’azione amministrativa all’art. 97 Cost.». La normativa regionale, invece, avrebbe introdotto in quel rapporto una condizione di precarietà.

Ancora, la previsione della decadenza dalla carica esulerebbe dalla competenza legislativa regionale, in quanto, incidendo sulla disciplina del sottostante rapporto di lavoro di cui determina la cessazione, si esplicherebbe, in realtà, nella materia dell’«ordinamento civile», che l’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost. affida alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

2.1. – Si è costituita la parte privata, rilevando anzitutto che l’Arpa non rientra fra gli enti strumentali di cui all’art. 55 dello statuto, come affermato dal giudice remittente, bensì fra le agenzie, che l’art. 54 dello statuto descrive come unità amministrative autonome; e ciò comporta che ad essa non si applichi nessuna delle disposizioni denunciate dal giudice.

Ciò precisato, la parte condivide i dubbi di legittimità espressi dal giudice a quo nel contesto della ricostruzione normativa da lui effettuata.

2.2. – Si è costituita la Regione Lazio, rilevando che la recente sentenza della Corte costituzionale n. 233 del 2006 ha risolto in senso favorevole alle Regioni questioni di legittimità costituzionale in tutto analoghe a quelle sollevate dal giudice remittente.

Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione ha fatto presente che la parte privata ha rinunciato al ricorso pendente avanti al Consiglio di Stato.

3. – Il Tar del Lazio ha sollevato (r.o. n. 431 del 2006) questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, commi 1 e 2, della legge della Regione Lazio 28 aprile 2006, n. 4, recante «Legge finanziaria regionale per l'esercizio 2006 (art. 11, legge regionale 20 novembre 2001, n. 25)», in relazione agli articoli 3, primo comma, e 97 Cost.

L’art. 43 della legge regionale n. 4 del 2006 dispone – fra l’altro – che «[n]elle more dell’adeguamento della legge regionale 6 ottobre 1998, n. 45 e successive modifiche, ai fini del riassetto organizzativo dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale del Lazio (Arpa), quale ente strumentale della Regione, e di una maggiore razionalizzazione funzionale della stessa, in coerenza con i principi statutari, è soppresso l’organo di amministrazione previsto dalla citata legge, costituito dal direttore generale e dai due vicedirettori» (comma 1); «[i]l Presidente della Regione nomina, con criterio fiduciario, un commissario straordinario e due subcommissari che lo coadiuvano nelle funzioni già di competenza dell’organo di cui al comma 1, ivi comprese quelle concernenti il conferimento degli incarichi di direttore tecnico, di direttore amministrativo e di direttore di ciascuna delle sezioni provinciali dell’Arpa» (comma 2).

Premette il Tribunale che la ricorrente, direttore dell’Arpa del Lazio, ha impugnato il provvedimento con il quale, ai sensi dell’art. 43 della legge regionale n. 4 del 2006, è stato nominato il commissario straordinario dell’ente; che, in precedenza, la ricorrente aveva altresì impugnato il provvedimento col quale il Presidente della Regione Lazio l’aveva dichiarata cessata dall’incarico di direttore generale dell’ente, in applicazione dell’art. 71 della legge regionale n. 9 del 2005, che prevede la cessazione di diritto degli incarichi dirigenziali presso la Regione e gli enti pubblici dipendenti entro novanta giorni dalla prima seduta del nuovo Consiglio regionale.

Il provvedimento impugnato davanti al Tribunale remittente è stato, appunto, adottato in applicazione dell’art. 43 della legge regionale n. 4 del 2006; conseguentemente, argomenta il remittente, in mancanza di una pronuncia di incostituzionalità della norma impugnata, il ricorso contro il provvedimento amministrativo non potrebbe che essere respinto.

In punto di non manifesta infondatezza, il remittente rileva, essenzialmente, il contrasto della richiamata disposizione con i principi costituzionali di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione. Infatti, il giudizio di ragionevolezza e di osservanza del canone di buon andamento deve consistere in una valutazione esterna delle scelte legislative e, per costante giurisprudenza della Corte, la violazione del principio del buon andamento non può essere invocata se non quando si assuma la manifesta irrazionalità delle misure normativamente introdotte rispetto alle finalità sostanziali perseguite. Nel caso di specie, la disposizione si rivela complessivamente irragionevole e arbitraria, poiché, mentre per un verso sopprime l’organo di amministrazione dell’ente (direttore generale e vice direttori), per altro verso prevede la nomina di un organo straordinario chiamato ad esercitare le medesime competenze funzionali dell’organo soppresso.

Donde la violazione del canone di coerenza delle misure organizzative delle pubbliche amministrazioni con il principio del buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nonché il carattere di legge-provvedimento della citata disposizione, in violazione dell’art. 3 Cost.

3.1. – Si è costituita la ricorrente nel giudizio a quo, secondo la quale la semplice lettura dell’art. 43 della legge regionale n. 4 del 2006 dimostra che si è in presenza di una cosiddetta legge-provvedimento. Si tratta, infatti, di una norma che dispone in concreto su un rapporto specifico, avendo la Regione operato una trasposizione in sede legislativa del contenuto del provvedimento di decadenza dalla carica di direttore.

Di qui, l’irragionevolezza della norma, mancando essa di una ratio oggettiva riconducibile ad esigenze di carattere organizzativo idonee a giustificarne l’adozione, ed inoltre la violazione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., in quanto essa priva il diretto destinatario della norma, e cioè il precedente direttore dell’Arpa, di ogni argomento di difesa e/o di resistenza avverso il provvedimento di decadenza.

3.2. – Si è costituita la Regione Lazio, sostenendo l’infondatezza della questione.

Essa deduce che la disposizione censurata si colloca nell’ottica del riassetto organizzativo dell’Arpa, nelle more dell’adeguamento di questa ai nuovi principi statutari di cui alla legge regionale n. 1 del 2004.

Sulla scorta di tale premessa, la difesa esclude ogni violazione dell’art. 97 Cost., atteso che l’Arpa è sottoposta a un «potere generale di vigilanza e controllo» della Giunta regionale, anche al fine di garantire che la gestione dell’Agenzia sia conforme agli indirizzi della programmazione regionale.

La circostanza che la norma impugnata preveda la nomina di un organo straordinario con le medesime competenze funzionali dell’organo soppresso viene spiegata con «[lo] scopo di meglio assicurare la continuità organizzativa, senza modificare l’assetto della distribuzione di compiti e funzioni già esistente che, diversamente, [avrebbe comportato] un intervento di riorganizzazione più complesso, non giustificato dalla transitorietà e temporaneità che caratterizza l’istituto del commissariamento e dal ruolo ad esso attribuito».

Neppure sussisterebbe la violazione dell’art. 3 Cost., poiché dal contenuto della disposizione censurata emerge che essa non è affatto discriminatoria nei confronti della ricorrente. D’altra parte, la Corte costituzionale ha escluso che il legislatore incontri il limite di una riserva di amministrazione ed ha ammesso, pertanto, che la legge possa avere qualsiasi contenuto sostanziale, anche diverso da quello consistente nel dettare disposizioni generali ed astratte, onde la legge può anche avere contenuto particolare e concreto ed assolvere un compito sostanzialmente identico a quello dell’atto amministrativo, naturalmente nel rispetto dei limiti costituzionalmente stabiliti.

3.3. – Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione ha fatto presente che la ricorrente nel giudizio a quo ha rinunciato al ricorso pendente avanti al Tar del Lazio. Ha prospettato, pertanto, l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale. Insiste, in ogni caso, sull’infondatezza della questione.

4. – Il Tribunale di Palermo ha sollevato (r.o. n. 589 del 2005) questione di legittimità costituzionale dell’art. 96 della legge della Regione Siciliana 26 marzo 2002, n. 2 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002), nella parte in cui prevede che «gli incarichi di cui ai commi 5 e 6 già conferiti con contratto possono essere revocati, modificati e rinnovati entro novanta giorni dall’insediamento del dirigente generale nella struttura cui lo stesso è preposto», con riferimento agli artt. 14 dello statuto speciale della Regione Siciliana (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e 97, primo comma, Cost.

L’art. 96 della legge regionale n. 2 del 2002, nel modificare l’art. 9 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 (Norme sulla dirigenza e sui rapporti di impiego e di lavoro alle dipendenze della Regione Siciliana. Conferimento di funzioni e compiti agli enti locali. Istituzione dello Sportello unico per le attività produttive. Disposizioni in materia di protezione civile. Norme in materia di pensionamento), stabilisce che gli incarichi dirigenziali, diversi da quelli di dirigente generale, «già conferiti con contratto possono essere revocati, modificati e rinnovati entro novanta giorni dall’insediamento del dirigente generale nella struttura cui lo stesso è preposto», ritenendosi altrimenti confermati fino alla loro «materiale scadenza», e precisando che tale disposizione costituisce «norma non derogabile dai contratti o accordi collettivi, anche se già sottoscritti».

La questione è stata prospettata in un giudizio nel quale il ricorrente, già dirigente di un servizio del Dipartimento formazione professionale dell’amministrazione regionale, ha chiesto: l’annullamento della «nota» con la quale il dirigente generale dell’assessorato convenuto, appena insediatosi, gli aveva revocato l’incarico dirigenziale, conferitogli con precedente contratto; l’annullamento della «nota» con la quale gli era stato attribuito un incarico non corrispondente, sia professionalmente che economicamente, a quello revocato; il diritto a mantenere l’inquadramento, l’incarico e le competenze economiche già attribuitegli e ad ottenere la restituzione delle somme trattenutegli per effetto della revoca; il diritto al risarcimento dei danni.

In punto di rilevanza, osserva il Tribunale che il giudizio sull’operato dell’amministrazione convenuta – da formulare alla stregua della norma sospettata di incostituzionalità – costituisce presupposto indefettibile di tutte le domande proposte in giudizio.

Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale rileva che l’art. 96 della legge regionale n. 2 del 2002, introducendo il meccanismo del cosiddetto spoils system anche per i livelli dirigenziali inferiori a quello di dirigente generale, non sembra coerente con la previsione di cui all’art. 19, comma 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sia nel testo originario, sia in quello successivo alla modifica apportata dall’art. 3, comma 1, lett. i), della legge 15 luglio 2002, n. 145 (Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato), che pure costituisce «norma fondamentale di riforma economico-sociale» (art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001), alla cui osservanza la Regione Siciliana è tenuta nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva in materia di «stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione» (art. 14, lett. q, dello statuto).

Aggiunge che la rilevata incoerenza assume particolare significato a seguito della cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego, configurando un intervento legislativo regionale in materia di rapporti interprivati (argomento ex art. 5, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001) che la giurisprudenza costituzionale ha costantemente escluso anche per le Regioni ad autonomia speciale.

Ancora, la norma in questione implica una marcata «precarizzazione» degli incarichi dei dirigenti di seconda e terza fascia, atteso che, ad ogni «rotazione» dei dirigenti generali, viene a riaprirsi il termine di novanta giorni entro cui possono essere modificati o revocati gli incarichi dei dirigenti minori; il tutto, con possibili pregiudizi per il buon andamento della pubblica amministrazione.

Infine, il metodo del cosiddetto spoils system, se pure può trovare giustificazione per il grado apicale della dirigenza, non appare coerente con il principio di imparzialità dell’azione amministrativa allorché lo si voglia applicare alla più vasta area della dirigenza di seconda e terza fascia, i cui compiti non sono strettamente connessi all’indirizzo politico e per la quale, al contrario, il ricorso a criteri di selezione che privilegino, sia pure indirettamente, la lealtà politica potrebbe mettere capo a pratiche lottizzatorie, in contrasto con l’obiettivo della separazione fra indirizzo politico e gestione amministrativa, che ispira la riforma della dirigenza contenuta nel decreto legislativo n. 165 del 2001.

4.1. – Si è costituita la Regione Siciliana, sostenendo l’infondatezza della questione.

Essa rileva, in primo luogo, che, a seguito della riforma del titolo V della Costituzione e del riparto di competenze legislative fra lo Stato e le Regioni, il limite delle riforme economico-sociali non può ritenersi più operante per le materie oggetto di competenza legislativa esclusiva della Regione Siciliana. La disposizione regionale che il Tribunale sospetta di incostituzionalità interviene, infatti, in una materia («stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione») attribuita alla legislazione esclusiva della Regione (art. 14, lett. q, dello statuto), che coincide con un’area ora attribuita alla potestà legislativa esclusiva («residuale») delle Regioni ordinarie. E tale potestà esclusiva compete anche alla Regione Siciliana, ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). Ne discende che, pur ammesso che la limitazione dello spoils system alla dirigenza generale costituisca un principio fondamentale della riforma della dirigenza statale, detto principio non vincola l’esercizio dell’autonomia legislativa regionale nella materia inerente alla disciplina dei propri dirigenti.

Del pari errato, secondo la difesa della Regione, è il ritenere che la disposizione censurata violi l’art. 97 Cost., in quanto inciderebbe sull’autonomia e indipendenza dei dirigenti intermedi e condurrebbe a un arresto dell’azione amministrativa. Rileva, infatti, che, nel termine di novanta giorni dall’insediamento del nuovo dirigente generale, gli incarichi dei dirigenti sottordinati mantengono la loro efficacia fino all’eventuale revoca o modificazione, e che l’autonomia e l’indipendenza del dirigente sono garanzie che debbono valere non per l’individuazione dell’incarico dirigenziale, ma per l’espletamento dell’incarico concretamente affidato al dirigente.

Considerato in diritto

1. – Vengono all’esame della Corte questioni di legittimità costituzionale relative a disposizioni legislative della Regione Lazio e della Regione Siciliana in materia di regime della dirigenza nelle aziende sanitarie locali e nelle aziende ospedaliere, nonché nell’amministrazione e negli enti regionali.

I giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. – Con sei ordinanze di identico contenuto (r.o. nn. da 9 a 14 del 2006), il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale del «combinato disposto» dell’articolo 55, comma 4, della legge della Regione Lazio 11 novembre 2004, n. 1 (Nuovo Statuto della Regione Lazio), e dell’articolo 71, commi 1, 3 e 4, lettera a), della legge della Regione Lazio 17 febbraio 2005 n. 9 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2005), in riferimento agli articoli 97, 32, 117, terzo comma, ultimo periodo, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

Si tratta di disposizioni che configurano nella Regione Lazio – e nel caso di specie sono applicate ai direttori generali delle Asl – il metodo di relazioni fra politica e amministrazione nel quale si riflette «la scelta di fondo di commisurare la durata delle nomine e degli incarichi dirigenziali a quella degli organi d’indirizzo politico» (sentenza n. 233 del 2006).

2.1. – Va esaminata, in primo luogo, l’eccezione di inammissibilità sollevata, da alcune parti private (controinteressate nei giudizi principali), sul presupposto che il giudice remittente sarebbe incorso in una «evidente contraddittorietà» di motivazione circa la sussistenza della propria giurisdizione, per aver confuso l’insediamento del nuovo Consiglio regionale e, cioè, l’evento oggettivo cui è collegata, secondo le norme censurate, l’automatica cessazione dalla carica con la discrezionalità dell’amministrazione nel determinare l’effetto (l’automatica cessazione della carica) stabilito dalla norma.

Nel giudizio principale, gli interessati hanno impugnato, da un lato, la lettera con la quale il presidente della Regione ha comunicato a ciascuno di loro che l’incarico di direttore generale sarebbe cessato il novantesimo giorno successivo all’insediamento del nuovo Consiglio regionale, così manifestando la volontà di non confermarli nell’incarico; dall’altro, gli atti di nomina dei nuovi direttori generali.

Il carattere discrezionale sia della «non conferma», sia delle nuove nomine rende non implausibile l’affermazione, brevemente motivata, della propria giurisdizione da parte del giudice remittente.

2.2. – Sempre con riguardo all’ammissibilità della questione, non v’è dubbio che, diversamente da quanto sostenuto da alcune parti private, le Asl rientrino fra gli «enti pubblici dipendenti», ai cui «componenti degli organi istituzionali» si applica la decadenza automatica regolata dalle disposizioni censurate.

Le Asl sono, infatti, costituite con legge regionale (per il Lazio, dalla legge regionale 16 giugno 1994, n. 18, recante «Disposizioni per il riordino del servizio sanitario regionale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni. Istituzione delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere»); sono sottoposte al controllo, alla vigilanza e al potere d’indirizzo regionali, sia quanto all’attività che quanto agli organi; i loro bilanci e rendiconti sono approvati dalla Regione, che assicura le necessarie risorse finanziarie; il loro organo istituzionale di vertice – il direttore generale – è nominato dal presidente della Regione. In ogni caso, la Regione Lazio ha definito enti pubblici dipendenti dalla Regione tutti quelli «che operano nell’ambito del territorio regionale e nelle materie riservate alla competenza della regione stessa» (art. 56 della legge regionale 20 novembre 2001, n. 25, recante «Norme in materia di programmazione, bilancio e contabilità della Regione»). Infine, la giurisprudenza della Corte ha qualificato le Asl come lo «strumento attraverso il quale la Regione provvede all’erogazione dei servizi sanitari nell’esercizio della competenza in materia di tutela della salute ad essa attribuita dalla Costituzione» (sentenza n. 220 del 2003).

2.3. – Sono, invece, inammissibili gli autonomi motivi di censura proposti, con riferimento agli artt. 98 e 117, primo comma, Cost., da alcune parti private, potendo queste soltanto argomentare in ordine ai profili di illegittimità costituzionale prospettati dal giudice remittente.

2.4. – Nel merito, la violazione dell’art. 97 Cost. viene prospettata dal giudice remittente sul presupposto che le disposizioni censurate, ricollegando la cessazione dalla carica al rinnovo del Consiglio regionale, manifestano «l’evidente finalità di consentire alle forze politiche di cui è espressione il nuovo Consiglio di sostituire i preposti agli organi istituzionali» degli enti che dipendono dalla Regione. Ne discenderebbe «una cesura nella continuità dell’azione amministrativa esplicata dal titolare della carica», e ciò non in dipendenza di una valutazione dell’attività svolta (viene richiamata, al riguardo, la sentenza n. 193 del 2002), ma come conseguenza di un evento oggettivo, quale – appunto – l’insediamento del nuovo Consiglio all’esito della consultazione elettorale; donde il contrasto con i principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione.

2.5. – La questione è fondata.

2.6. – Le Asl, in quanto strutture cui spetta di erogare l’assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie nell’ambito dei servizi sanitari regionali, assolvono compiti di natura essenzialmente tecnica, che esercitano con la veste giuridica di aziende pubbliche, dotate di autonomia imprenditoriale, sulla base degli indirizzi generali contenuti nei piani sanitari regionali e negli indirizzi applicativi impartiti dalle Giunte regionali (art. 3 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante «Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421»; art. 1 della legge della Regione Lazio n. 18 del 1994).

In coerenza con tali caratteristiche, è stabilito che i direttori generali delle Asl siano nominati fra persone in possesso di specifici requisiti culturali e professionali e siano soggetti a periodiche verifiche degli obiettivi e dei risultati aziendali conseguiti (oltre che alla risoluzione del contratto di lavoro per gravi motivi, ovvero per violazione di legge o dei principî di imparzialità e buon andamento) (art. 8 della legge della Regione Lazio n. 18 del 1994).

Nella Regione Lazio, in particolare, è previsto che la nomina dei direttori generali delle Asl sia il risultato di un procedimento nel quale, a seguito di un avviso da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale (e di cui dare notizia attraverso il Bollettino Ufficiale della Regione), il Presidente della Regione individua i direttori avvalendosi di «tre esperti» in direzione aziendale o di una «agenzia di servizi accreditata a livello nazionale per la consulenza, la formazione e la selezione dei quadri e dirigenti aziendali» e dopo aver udito il parere non vincolante della commissione consiliare competente in materia di sanità (art. 8, commi 1-2, della legge regionale n. 18 del 1994). Inoltre, la «decadenza» dall’incarico per grave disavanzo nella gestione aziendale, per gravi violazioni di legge o dei principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione o per altri gravi motivi è disposta previa deliberazione – ovviamente motivata – della Giunta regionale, nell’esercizio delle sue funzioni di vigilanza «sulla corretta ed economica gestione delle risorse assegnate, sulla imparzialità e buon andamento della attività, sulla qualità dell’assistenza» (artt. 8, commi 6 e 6-bis, e 2, comma 2, lett e), della legge regionale n. 18 del 1994).

Il direttore generale di Asl viene, quindi, qualificato dalle norme come una figura tecnico-professionale che ha il compito di perseguire, nell’adempimento di un’obbligazione di risultato (oggetto di un contratto di lavoro autonomo), gli obiettivi gestionali e operativi definiti dal piano sanitario regionale (a sua volta elaborato in armonia con il piano sanitario nazionale), dagli indirizzi della Giunta, dal provvedimento di nomina e dal contratto di lavoro con l’amministrazione regionale.

2.7. – In questo contesto di relazioni fra il direttore generale di Asl e l’amministrazione regionale si inseriscono le norme censurate, che hanno introdotto nella Regione Lazio – quale regime permanente – la decadenza automatica del direttore generale allo scadere del novantesimo giorno dall’insediamento del Consiglio regionale.

Tale decadenza automatica non soddisfa l’esigenza di preservare un rapporto diretto fra organo politico e direttore generale e, quindi, la «coesione tra l’organo politico regionale […] e gli organi di vertice dell’apparato burocratico […]» (sentenza n. 233 del 2006). Infatti, essa interviene anche nel caso in cui la compagine di governo regionale venga confermata dal risultato elettorale che ha portato all’elezione del nuovo Consiglio. Né alla menzionata esigenza supplisce l’eventuale conferma del direttore generale, non essendo previsto che essa sia preceduta da un’apposita valutazione, né che sia motivata.

Inoltre, nell’assetto organizzativo regionale vi è una molteplicità di livelli intermedi lungo la linea di collegamento che unisce l’organo politico ai direttori generali delle Asl. Il rapporto fra questi e quello è mediato da strutture dipendenti dalla Giunta: uffici di diretta collaborazione, dipartimento e, al suo interno, una direzione generale («Tutela della salute e sistema sanitario regionale»), composta da 18 «aree» e dotata di un’apposita struttura di staff per il «Coordinamento interventi socio-sanitari». Dunque, non vi è un rapporto istituzionale diretto e immediato fra organo politico e direttori generali.

Infine, la decadenza automatica del direttore generale è collegata al verificarsi di un evento – il decorso di novanta giorni dall’insediamento del Consiglio regionale – che è indipendente dal rapporto tra organo politico e direttori generali di Asl. Dunque, il direttore generale viene fatto cessare dal rapporto (di ufficio e di lavoro) con la Regione per una causa estranea alle vicende del rapporto stesso, e non sulla base di valutazioni concernenti i risultati aziendali o il raggiungimento degli obiettivi di tutela della salute e di funzionamento dei servizi, o – ancora – per una delle altre cause che legittimerebbero la risoluzione per inadempimento del rapporto.

2.8. – Le disposizioni censurate violano l’art. 97 Cost., sotto il duplice profilo dell’imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione.

L’art. 97 Cost. sottopone gli uffici pubblici ad una riserva (relativa) di legge, sottraendoli all’esclusiva disponibilità del governo; stabilisce che gli uffici pubblici siano organizzati secondo i principi di imparzialità ed efficienza; prevede che l’accesso ai pubblici uffici avvenga, di norma, mediante procedure fondate sul merito.

Questa Corte ha costantemente affermato che «il principio di imparzialità stabilito dall’art. 97 della Costituzione – unito quasi in endiadi con quelli della legalità e del buon andamento dell'azione amministrativa – costituisce un valore essenziale cui deve informarsi, in tutte le sue diverse articolazioni, l’organizzazione dei pubblici uffici» (sentenza n. 453 del 1990).

Inoltre, ha sottolineato che «il principio di imparzialità […] si riflette immediatamente in altre norme costituzionali, quali l’art. 51 (tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge) e l’art. 98 (i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione) della Costituzione, attraverso cui si mira a garantire l’amministrazione pubblica e i suoi dipendenti da influenze politiche o, comunque, di parte, in relazione al complesso delle fasi concernenti l'impiego pubblico (accesso all’ufficio e svolgimento della carriera)» (sentenza n. 333 del 1993). Affermazione, questa, che riprende le parole del relatore nella Seconda sottocommissione dell’Assemblea costituente sul testo che diverrà l’art. 97 Cost., per cui «la necessità di includere nella Costituzione alcune norme riguardanti la pubblica amministrazione» si riporta, fra l’altro, all’esigenza «di assicurare ai funzionari alcune garanzie per sottrarli alle influenze dei partiti politici. Lo sforzo di una costituzione democratica, oggi che al potere si alternano i partiti, deve tendere a garantire una certa indipendenza ai funzionari dello Stato, per avere un’amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione dei partiti».

La Corte, poi, ha affermato che gli artt. 97 e 98 Cost. sono corollari dell’imparzialità, in cui si esprime la distinzione tra politica e amministrazione, tra l’azione del governo – normalmente legata alle impostazioni di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza – e l’azione dell’amministrazione, che, «nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata invece ad agire senza distinzione di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obbiettivate dall’ordinamento». E in questa prospettiva, «collegata allo stesso impianto costituzionale del potere amministrativo nel quadro di una democrazia pluralista», si spiega come «il concorso pubblico, quale meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci, resti il metodo migliore per la provvista di organi chiamati a esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialità ed al servizio esclusivo della Nazione» (sentenze n. 333 del 1993 e n. 453 del 1990).

Il perseguimento dell’interesse connesso alla scelta delle persone più idonee all’esercizio della funzione pubblica deve avvenire «indipendentemente da ogni considerazione per gli orientamenti politici […] dei vari concorrenti» (sentenza n. 453 del 1990) e in modo che «il carattere esclusivamente tecnico del giudizio [risulti] salvaguardato da ogni rischio di deviazione verso interessi di parte», così da «garantire scelte finali fondate sull'applicazione di parametri neutrali e determinate soltanto dalla valutazione delle attitudini e della preparazione dei candidati» (sentenza n. 453 del 1990). Di conseguenza, la selezione dei pubblici funzionari non ammette ingerenze di carattere politico, «espressione di interessi non riconducibili a valori di carattere neutrale e distaccato» (sentenza n. 333 del 1993), unica eccezione essendo costituita dall’esigenza che alcuni incarichi, quelli dei diretti collaboratori dell’organo politico, siano attribuiti a soggetti individuati intuitu personae, vale a dire con una modalità che mira a «rafforzare la coesione tra l’organo politico regionale (che indica le linee generali dell’azione amministrativa e conferisce gli incarichi in esame) e gli organi di vertice dell’apparato burocratico (ai quali tali incarichi sono conferiti ed ai quali compete di attuare il programma indicato), per consentire il buon andamento dell’attività di direzione dell’ente (art. 97 Cost.)» (sentenza n. 233 del 2006).

2.9. – A sua volta, il principio di efficienza dell’amministrazione trova esplicazione in una serie di regole, che vanno da quella di una razionale organizzazione degli uffici a quella di assicurarne il corretto funzionamento; a quella di garantire la regolarità e la continuità dell’azione amministrativa e, in particolare, dei pubblici servizi, anche al mutare degli assetti politici (salva – come già notato – la rimozione del funzionario quando ne siano accertate le responsabilità previste dall’ordinamento); a quella per cui i dirigenti debbono essere sottoposti a periodiche verifiche circa il rispetto dei principi di imparzialità, funzionalità, flessibilità, trasparenza, nonché alla valutazione delle loro prestazioni in funzione dei risultati e degli obiettivi prefissati (salva, anche qui, la rimozione per la valutazione ad esito negativo).

Proprio con riferimento ai dirigenti, del resto, la Corte ha sottolineato che la disciplina privatistica del loro rapporto di lavoro non ha abbandonato le «esigenze del perseguimento degli interessi generali» (sentenza n. 275 del 2001); che, in questa logica, essi godono di «specifiche garanzie» quanto alla verifica che gli incarichi siano assegnati «tenendo conto, tra l’altro, delle attitudini e delle capacità professionali» e che la loro cessazione anticipata dall’incarico avvenga in seguito all’accertamento dei risultati conseguiti (sentenza n. 193 del 2002; ordinanza n. 11 del 2002); che il legislatore, proprio per porre i dirigenti (generali) «in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto dei principî d’imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione [...], ha accentuato [con il d.lgs. n. 80 del 1998] il principio della distinzione tra funzione di indirizzo politico-amministrativo degli organi di governo e funzione di gestione e attuazione amministrativa dei dirigenti» (ordinanza n. 11 del 2002).

Agli stessi principi si riporta la disciplina del giusto procedimento, specie dopo l’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), come modificata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, per cui il destinatario dell’atto deve essere informato dell’avvio del procedimento, avere la possibilità di intervenire a propria difesa, ottenere un provvedimento motivato, adire un giudice.

2.10. – In conclusione, l’imparzialità e il buon andamento dell’amministrazione esigono che la posizione del direttore generale sia circondata da garanzie; in particolare, che la decisione dell’organo politico relativa alla cessazione anticipata dall’incarico del direttore generale di Asl rispetti il principio del giusto procedimento. La dipendenza funzionale del dirigente non può diventare dipendenza politica. Il dirigente è sottoposto alle direttive del vertice politico e al suo giudizio, ed in seguito a questo può essere allontanato. Ma non può essere messo in condizioni di precarietà che consentano la decadenza senza la garanzia del giusto procedimento.

Dev’essere, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale del «combinato disposto» dell’art. 71, commi 1, 3 e 4, lettera a), della legge della Regione Lazio n. 9 del 2005 e dell’art. 55, comma 4, della legge della Regione Lazio n. 1 del 2004, nella parte in cui prevede che i direttori generali delle Asl decadono dalla carica il novantesimo giorno successivo alla prima seduta del Consiglio regionale, salvo conferma con le stesse modalità previste per la nomina; che tale decadenza opera a decorrere dal primo rinnovo, successivo alla data di entrata in vigore dello Statuto; che la durata dei contratti dei direttori generali delle Asl viene adeguata di diritto al termine di decadenza dall’incarico.

Gli altri profili di censura restano assorbiti.

3. – Il Consiglio di Stato (r.o. n. 237 del 2006) ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 2, «e/o» dell’art. 55, comma 4, della legge della Regione Lazio n. 1 del 2004 (Nuovo Statuto della Regione Lazio) e dell’art. 71, commi 1, 3 e 4, della legge della Regione Lazio n. 9 del 2005, per contrasto con gli artt. 97, 117, terzo comma, ultimo periodo, e 117, secondo comma, lettera l), Cost.

La questione, rispetto alla quale è ininfluente la rinuncia al ricorso, eccepita dalla Regione, nel giudizio avanti al Tar del Lazio (in cui è stata emessa l’ordinanza impugnata nel giudizio a quo), è comunque inammissibile.

Essa è formulata, infatti, in termini, ad un tempo, congiuntivi («e») e alternativi («o»), senza nesso di subordinazione fra le due prospettazioni e senza individuare la norma ritenuta applicabile nel processo principale, lasciando alla Corte di scegliere la disposizione da dichiarare eventualmente illegittima.

4. – Il Tar del Lazio (r.o. n. 431 del 2006) ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, commi 1 e 2, della legge della Regione Lazio 28 aprile 2006, n. 4, recante «Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2006 (art. 11, legge regionale 20 novembre 2001, n. 25)», in relazione agli articoli 3, primo comma, e 97 Cost.

La questione, rispetto alla quale è ininfluente l’avvenuta rinuncia al ricorso nel giudizio a quo, è infondata.

Il giudice remittente non svolge argomentazioni persuasive per dimostrare la natura di legge (o, meglio, di norma) provvedimento della disposizione censurata.

Egli si limita, infatti, da un lato, a rilevare l’«irrazionalità» della legge, consistente in ciò, che la norma, dopo aver soppresso un organo ordinario (il direttore e i due vice-direttori dell’Arpa), attribuisce le stesse funzioni ad un organo straordinario (il commissario e due vice-commissari); dall’altro, a prospettare il «presumibile carattere discriminatorio della censurata disposizione».

Senonché, da una parte, è del tutto normale, nelle vicende di riordino degli enti pubblici, che gli organi straordinari subentrino agli organi ordinari nell’esercizio delle loro funzioni. Dall’altra parte, il remittente non svolge argomentazioni sul carattere discriminatorio della disposizione.

5. – Il Tribunale di Palermo (r.o. n. 589 del 2005), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 96 della legge della Regione Siciliana 26 marzo 2002, n. 2 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002), nella parte in cui prevede che «gli incarichi di cui ai commi 5 e 6 già conferiti con contratto possono essere revocati, modificati e rinnovati entro novanta giorni dall’insediamento del dirigente generale nella struttura cui lo stesso è preposto», con riferimento agli artt. 14 dello statuto speciale della Regione Siciliana (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e 97, primo comma, Cost.

La questione è fondata.

Va esclusa, anzitutto, l’applicabilità, nelle regioni a statuto speciale, come in quelle ordinarie, dei principi della legge statale (legge n. 145 del 2002) concernenti il regime dei dirigenti nelle amministrazioni dello Stato (sentenza n. 233 del 2006).

In secondo luogo, la Corte – con riferimento all’art. 97 Cost. – ha già ritenuto che, mentre il potere della Giunta regionale di conferire incarichi dirigenziali cosiddetti «apicali» a soggetti individuati intuitu personae mira ad assicurare quel continuum fra organi politici e dirigenti di vertice che giustifica, nei confronti di questi ultimi, la cessazione degli incarichi loro conferiti dalla precedente Giunta regionale, «[a] tale schema rimangono […] estranei gli incarichi dirigenziali di livello "non generale”, non conferiti direttamente dal vertice politico e quindi non legati ad esso dallo stesso grado di contiguità che connota gli incarichi apicali» (ibidem).

Si aggiunga che, nel caso di specie, l’avvicendamento dei titolari di incarichi dirigenziali non di vertice è fatto dipendere dalla discrezionale volontà del direttore generale, nominato dal nuovo Governo regionale, con ciò aggiungendo una ulteriore causa di revoca – peraltro senza che sia previsto obbligo di valutazione e di motivazione – a quelle di cui all’art. 10, comma 3, della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 (Norme sulla dirigenza e sui rapporti di impiego e di lavoro alle dipendenze della Regione siciliana. Conferimento di funzioni e compiti agli enti locali. Istituzione dello Sportello unico per le attività produttive. Disposizioni in materia di protezione civile. Norme in materia di pensionamento), che sono connesse all’esito negativo della valutazione circa il conseguimento di risultati e obiettivi da parte del dirigente. Ciò in violazione sia del principio di ragionevolezza evocato dalla sentenza n. 233 del 2006, sia del principio del giusto procedimento di cui s’è detto.

Dev’essere, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 96 della legge della Regione Siciliana n. 2 del 2002, nella parte in cui prevede che gli incarichi di cui ai commi 5 e 6 dello stesso articolo possono essere revocati entro novanta giorni dall’insediamento del dirigente generale nella struttura cui lo stesso è preposto.

Per questi motivi

La Corte Costituzionale

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale del «combinato disposto» dell’articolo 71, commi 1, 3 e 4, lettera a), della legge della Regione Lazio 17 febbraio 2005, n. 9 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2005), e dell’articolo 55, comma 4, della legge della Regione Lazio 11 novembre 2004, n. 1 (Nuovo Statuto della Regione Lazio), nella parte in cui prevede che i direttori generali delle Asl decadono dalla carica il novantesimo giorno successivo alla prima seduta del Consiglio regionale, salvo conferma con le stesse modalità previste per la nomina; che tale decadenza opera a decorrere dal primo rinnovo, successivo alla data di entrata in vigore dello Statuto; che la durata dei contratti dei direttori generali delle Asl viene adeguata di diritto al termine di decadenza dall’incarico;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 96 della legge della Regione Siciliana 26 marzo 2002, n. 2 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002), nella parte in cui prevede che gli incarichi di cui ai commi 5 e 6 già conferiti con contratto possono essere revocati entro novanta giorni dall’insediamento del dirigente generale nella struttura cui lo stesso è preposto;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 2, «e/o» dell’art. 55, comma 4, della legge della Regione Lazio n. 1 del 2004 e dell’art. 71, commi 1, 3 e 4, della legge della Regione Lazio n. 9 del 2005, sollevata, con riferimento agli artt. 97, 117, terzo comma, ultimo periodo, e 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Consiglio di Stato con l’ordinanza (r.o. n. 237 del 2006) indicata in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, commi 1 e 2, della legge della Regione Lazio 28 aprile 2006, n. 4, recante «Legge finanziaria regionale per l'esercizio 2006 (art. 11, legge regionale 20 novembre 2001, n. 25)», sollevata, con riferimento agli articoli 3, primo comma, e 97 Cost., dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2007.