SENTENZA N. 335
ANNO 2006REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 30 maggio 2000, relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti dei magistrati Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e Francesco Greco, promosso dal Tribunale di Milano, prima sezione civile, con ricorso notificato l’11 ottobre 2004, depositato in cancelleria il 23 ottobre 2004 e iscritto al n. 23 del registro conflitti 2004.
Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;
udito nell’udienza pubblica del 26 settembre 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante;
udito l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.
Ritenuto in fatto
1.–– Con ordinanza del 16 maggio 2003 il Tribunale di Milano, prima sezione civile, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera adottata il 30 maggio 2000 (documento IV-quater n. 130), con la quale – in difformità dalla proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere – è stato dichiarato che i fatti per i quali i magistrati Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e Francesco Greco hanno intrapreso azione risarcitoria contro il deputato Vittorio Sgarbi riguardano opinioni espresse da quest’ultimo nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari e sono, quindi, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
Premette, in fatto, il Tribunale che gli attori hanno convenuto in giudizio il deputato Vittorio Sgarbi e la Società europea di edizioni s.p.a. chiedendone la condanna al risarcimento del danno arrecato alla loro reputazione, in conseguenza delle dichiarazioni riportate sui quotidiani “L’Avvenire” e “Il Giornale”, nelle date del 15, 16 e 19 luglio 1994, del seguente tenore: «Di Pietro, Colombo, Davigo e gli altri sono degli assassini che hanno fatto morire della gente ed è giusto quindi che se ne vadano. Nessuno li rimpiangerà. Vadano anzi in chiesa a pregare per tutta quella gente che hanno fatto morire. Moroni, Gardini, Cicogna: hanno tutte queste croci sulla loro coscienza; ... sono degli assassini ... vanno processati e arrestati. Sono un’associazione a delinquere con libertà di uccidere».
Rileva il Tribunale che la Camera dei deputati, adottando la delibera di cui si è detto, ha fatto un uso non corretto del potere di decidere in ordine alla sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 68, primo comma, Cost. a causa «dell’inesistenza nella condotta del parlamentare del necessario nesso funzionale fra le opinioni espresse e l’esercizio di funzioni parlamentari», come rilevato dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere la cui proposta è stata disattesa dall’Assemblea.
Le dichiarazioni di cui si tratta non sono, infatti, state rese in sede parlamentare né costituiscono alcuna forma di divulgazione di opinioni espresse dal deputato nell’ambito di atti parlamentari tipici, attenendo, invece, a valutazioni dell’onorevole Sgarbi in merito al contenuto di un comunicato sottoscritto dagli attori a commento dell’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del c.d. decreto Biondi.
Il Tribunale di Milano ritiene, pertanto, necessario promuovere il presente conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato – che considera ammissibile sia sotto il profilo soggettivo sia sotto il profilo oggettivo – e chiede che questa Corte dichiari che non spettava alla Camera dei deputati il potere di qualificare come insindacabili le dichiarazioni di cui si tratta ed annulli la relativa delibera della Camera stessa.
2.— Il conflitto così proposto è stato giudicato ammissibile con ordinanza 29 settembre 2004, n. 304, notificata, unitamente all’atto introduttivo del giudizio, alla Camera dei deputati, a cura del ricorrente, in data 11 ottobre 2004. Il successivo 23 ottobre 2004 lo stesso ricorrente ha provveduto ad effettuare il prescritto deposito presso la cancelleria di questa Corte.
3.— A seguito della notifica si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, chiedendo che il conflitto venga dichiarato inammissibile, irricevibile e improcedibile – per ragioni da precisare in seguito – o, comunque, respinto nel merito.
A tale ultimo riguardo la Camera precisa, in primo luogo, che l’onorevole Sgarbi, adoperando il termine “assassini” nelle dichiarazioni riportate dai menzionati quotidiani, non intendeva dire che i magistrati Colombo, Davigo e Greco avessero materialmente commesso degli omicidi, ma che – a suo avviso – i suddetti magistrati avessero indotto al suicidio alcuni indagati o imputati, attraverso un cattivo uso dei poteri di indagine penale e di carcerazione preventiva. Ne consegue che, nelle suddette dichiarazioni, l’onorevole Sgarbi non avrebbe fatto altro che esprimere – sia pure con parole parzialmente diverse – concetti identici a quelli formulati in numerosi interventi svolti nell’aula parlamentare e in alcune interrogazioni; sicché nella fattispecie sussisterebbe «robustamente» il nesso funzionale che consente di applicare la guarentigia di cui all’art. 68, primo comma, Cost. In proposito, la resistente richiama, in particolare: a) l’intervento alla seduta della Camera del 19 maggio 1994 (anteriore ai fatti in contestazione), nel quale l’onorevole Sgarbi sosteneva che le vicende dell’ingegner Gamberale rappresentavano «l’esempio più traumatico di carcerazione preventiva che viene comminata senza il rispetto della legge»; b) l’intervento alla seduta della Camera del 21 luglio 1994 (sostanzialmente contemporaneo ai fatti di cui si tratta), nel quale venivano ricordati i nomi di venti persone suicidatesi in carcere – tra le quali erano compresi anche Sergio Moroni, Raoul Gardini e Sergio Cicogna – e si soggiungeva che di tali suicidi restavano «come parte di memoria, lettere ai familiari, agli avvocati, ai preti, con precise e puntuali accuse ai magistrati», in merito alle quali si lamentava che non fosse stata iniziata «alcuna inchiesta che abbia avuto decenza e decoro»; c) altri sei interventi svolti nel corso di sedute della Camera che, ancorché successivi alle dichiarazioni in argomento (e, precisamente, effettuati il 13 settembre 1995, il 25 ottobre 1995, il 10 giugno 1998, il 16 luglio 1998, il 3 novembre 1998 e il 23 marzo 1999), si porrebbero in sostanziale continuità con le precedenti opinioni espresse dall’onorevole Sgarbi in merito al fatto che i magistrati di Milano, abusando della carcerazione preventiva, avevano, di fatto, istigato al suicidio molti cittadini, in genere innocenti (tra questi interventi, in particolare, in quello del 10 giugno 1998 il deputato chiariva che in questo senso egli aveva adoperato il termine “assassini” nei confronti dei magistrati Davigo e Colombo); d) quattro interrogazioni parlamentari (n. 3/00189 e n. 3/00191 del 1° agosto 1994, n. 4/02271 del 22 luglio 1996 e n. 3/02843 del 15 settembre 1998), nelle quali l’onorevole Sgarbi ha manifestato l’avviso che i ritenuti abusi commessi dai magistrati (in particolare di Milano, per quel che si riferisce alle prime due interrogazioni) nell’utilizzazione della carcerazione preventiva avessero indotto al suicidio numerosi indagati o imputati.
Né, al fine di negare la sussistenza del nesso funzionale, avrebbero rilievo la diversità di singole parole rispettivamente usate negli atti parlamentari tipici di cui si è detto e nelle dichiarazioni extra moenia in contestazione ovvero la circostanza che non tutti gli atti tipici siano anteriori alle dette dichiarazioni, dal momento che, comunque, sussisterebbe un rapporto di sostanziale contestualità fra gli uni e le altre, visto che, senza soluzione di continuità per molti anni, il deputato Sgarbi ha espresso critiche all’operato dei magistrati della Procura della Repubblica di Milano.
La Camera, poi, conclude auspicando che il revirement riscontratosi nella giurisprudenza di questa Corte a partire dalle sentenze n. 10 e n. 11 del 2000 sia oggetto di un ripensamento, nel senso di ritenere applicabile la copertura assicurata dall’art. 68, primo comma, Cost. a tutte le opinioni espresse dai parlamentari extra moenia che possano considerarsi connesse alla “politica parlamentare”, restandone, viceversa, escluse non soltanto quelle del tutto estranee alla sfera politica, ma anche quelle connesse genericamente alla politica svolta dai membri del Parlamento, ma estranee alla politica parlamentare. Del resto, nelle sentenze n. 320 e n. 321 del 2000, questa Corte ha precisato che la corrispondenza sostanziale tra atto parlamentare tipico e dichiarazione extra moenia è soltanto «una delle ipotesi» in cui tale dichiarazione può essere ricondotta alla funzione parlamentare (ancorché sia quella che “normalmente” si verifica), dando, quindi, per scontata l’esistenza di altre ipotesi. Ciò, peraltro, trova riscontro nei tratti caratterizzanti delle moderne forme di governo democratiche, nelle quali l’attività dei componenti delle Camere è, per sua natura, destinata a proiettarsi fuori delle aule parlamentari, al fine di porsi in più stretto collegamento con l’elettorato e la pubblica opinione. In tale situazione, limitare l’applicazione della garanzia di cui all’art. 68 Cost. alle sole attività svolte dai parlamentari intra moenia nell’adempimento delle relative funzioni «significa trascurare del tutto la realtà del mandato rappresentativo che (nell’interesse del rappresentato!) non si esaurisce nel compimento di atti “tipici”, ma si manifesta nel raccordo costante tra rappresentante e rappresentato, nelle forme … della comunicazione democratica». Peraltro, nelle recenti sentenze n. 379 del 2003, n. 120 e n. 298 del 2004, questa Corte sembra essersi orientata in senso favorevole a tale assunto, attribuendo rilievo preminente all’esistenza del nesso funzionale tra opinioni espresse e attività non genericamente politica, ma parlamentare, a prescindere da criteri di “localizzazione”.
4.— In prossimità dell’udienza pubblica di discussione la Camera dei deputati ha depositato un’articolata memoria, nella quale ha ribadito le conclusioni già rassegnate, arricchendole con la citazione di ulteriori sentenze di questa Corte.
Considerato in diritto
1.— Il Tribunale di Milano ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in relazione alla deliberazione adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 30 maggio 2000 (doc. IV-quater, n. 130) con la quale l’Assemblea, non approvando la diversa proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, ha dichiarato che i fatti per i quali pende processo civile di risarcimento danni promosso dai magistrati Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e Francesco Greco contro il deputato Vittorio Sgarbi, costituiscono opinioni espresse da quest’ultimo quale membro del Parlamento nell’esercizio delle proprie funzioni e ricadono pertanto nell’ipotesi di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione.
Il ricorrente riferisce che i quotidiani “L’Avvenire” e “Il Giornale” nei giorni 15, 16 e 19 luglio 1994, secondo quanto diffuso da agenzie di stampa, avevano pubblicato le seguenti dichiarazioni dell’onorevole Sgarbi: «Di Pietro, Colombo, Davigo e gli altri sono degli assassini che hanno fatto morire della gente ed è giusto quindi che se ne vadano. Nessuno li rimpiangerà.Vadano anzi in chiesa per tutta quella gente che hanno fatto morire. Moroni, Gardini, Cicogna: hanno tutte queste croci sulla loro coscienza; … sono degli assassini; …vanno processati e arrestati. Sono un’associazione a delinquere con libertà di uccidere».
Secondo il Tribunale siffatte dichiarazioni non sono espressione di funzioni parlamentari e non sono quindi insindacabili, come del resto aveva ritenuto la Giunta per le autorizzazioni a procedere, dalla cui proposta si era discostata l’Assemblea.
2.— La difesa della Camera premette che le dichiarazioni del deputato Sgarbi vanno interpretate nel senso che egli ha inteso denunciare l’uso illegittimo della custodia cautelare tale da provocare la morte di molte persone colpite dai provvedimenti dei magistrati.
Sulla base di tale premessa la difesa della Camera sostiene che le dichiarazioni che hanno dato luogo al giudizio per risarcimento danni sono riproduttive di altre rese in sede parlamentare, in particolare degli interventi dello stesso onorevole Sgarbi nella seduta dell’Assemblea del 19 maggio 1994, nel corso del dibattito sulla fiducia al Governo, e vanno comunque considerate nell’ambito di una sequela di atti tipici parlamentari compiuti dallo stesso deputato nel periodo dal 1° agosto 1994 al 23 marzo 1999.
3.— In via preliminare, si conferma l’ammissibilità del conflitto già dichiarata con l’ordinanza n. 304 del 2004.
L’atto introduttivo ha, infatti, il contenuto essenziale del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, con l’affermazione da parte del Tribunale che la delibera impugnata costituisce invasione della propria sfera di competenza.
Si deve, inoltre, rilevare che la difesa della Camera, la quale con la comparsa di costituzione, nell’affermare l’inammissibilità o l’improcedibilità del conflitto, si era riservata di esplicitare e motivare tali tesi nel corso del giudizio di costituzionalità, non si è avvalsa di tale facoltà.
4.— Nel merito il conflitto è fondato.
Sono principi ripetutamente ed anche di recente affermati da questa Corte che le opinioni espresse da un parlamentare extra moenia sono coperte dalla insindacabilità qualora costituiscano la sostanziale – ancorché non testuale – riproduzione di atti parlamentari e siano quindi legate con nesso funzionale alle attività proprie del loro autore quale membro del Parlamento.
In tale ordine di idee si è quindi ritenuta l’irrilevanza, ai fini della insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione, della generica omogeneità tra le opinioni cui essa dovrebbe riferirsi ed il contesto politico, nonché degli atti compiuti dal parlamentare successivamente alla manifestazione delle opinioni addebitategli (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 10 e n. 11 del 2000, n. 347 e n. 348 del 2004, n. 164, n. 176, n. 193 del 2005, n. 286 e n. 317 del 2006).
È opportuno precisare, su tale ultimo punto, che il rapporto di sostanziale contestualità che la Corte ha ritenuto, in linea di principio, ipotizzabile anche tra esternazioni extra moenia ed atti tipici ad esse successivi (cfr. sentenza n. 221 del 2006), idoneo a giustificare la dichiarazione di insindacabilità, presuppone che l’atto di funzione sia già preannunciato nelle prime o prevedibile sulla base della specifica situazione (cfr. sentenza n. 223 del 2005), mentre non è sufficiente la brevità del lasso di tempo intercorrente tra le opinioni espresse al di fuori del Parlamento e gli atti di funzione.
Da quanto detto consegue, anzitutto, l’ininfluenza delle attività del deputato successive al 19 luglio 1994, in quanto non legate da rapporto di sostanziale contestualità con le opinioni del medesimo riportate dai giornali.
L’impugnata delibera di insindacabilità deve perciò essere valutata con riguardo agli interventi del parlamentare nel dibattito del 19 maggio 1994, che costituiscono i soli atti antecedenti le dichiarazioni in argomento. Ma tra il contenuto delle opinioni espresse dal deputato in quella occasione e i fatti per i quali è causa si riscontra soltanto l’omogeneità del tema politico e cioè l’applicazione delle norme sulla custodia cautelare, che si asseriva quantomeno non corretta. Infatti, la vicenda concreta cui si fece riferimento nel dibattito del 19 maggio era diversa da quella cui si ricollegano i fatti oggetto del processo, non soltanto per la persona destinataria dei provvedimenti di custodia cautelare e per la diversità degli uffici giudiziari procedenti – quindi per le persone dei singoli magistrati – ma, soprattutto, per la sostanziale differenza che sussiste tra l’affermazione che le norme sulla custodia cautelare vengono spesso male applicate con sacrificio della libertà individuale e la denuncia dell’esistenza di un’associazione a delinquere formata dai magistrati di un ufficio giudiziario, ai quali vanno addebitati delitti per aver provocato i suicidi dei destinatari dei loro provvedimenti, emessi con la consapevolezza della loro illegittimità.
Si deve, pertanto, dichiarare che non spettava alla Camera dei deputati affermare che i fatti per i quali i magistrati Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e Francesco Greco hanno intrapreso azione risarcitoria contro il deputato Vittorio Sgarbi riguardano opinioni espresse da quest’ultimo nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari e sono, quindi, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spettava alla Camera dei deputati affermare che i fatti per i quali è pendente davanti al Tribunale di Milano, prima sezione civile, il giudizio per risarcimento danni indicato in epigrafe riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
annulla, per l’effetto, la delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 30 maggio 2000 (doc. IV-quater, n. 130).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 ottobre 2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 ottobre 2006.