Sentenza n. 506/2002

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SENTENZA N.506

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Paolo MADDALENA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, e dell’art. 69, primo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), promosso con ordinanza del 31 gennaio 2002 dal Tribunale di Ragusa nel procedimento civile vertente tra Caruso Rosario e la Legal Sud s.r.l., iscritta al n. 171 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2002.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 23 ottobre 2002 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

Ritenuto in fatto

  1.– Nel corso di un processo di opposizione all’espropriazione forzata presso terzi di una pensione di vecchiaia erogata dall’INPS, avendo l’opponente invocato l’impignorabilità assoluta, il Tribunale di Ragusa, con ordinanza del 31 gennaio 2002, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, e dell’art. 69, primo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), per contrasto con l’art. 3, primo comma, della Costituzione e, comunque, con il principio di ragionevolezza, nella parte in cui escludono – a differenza di quanto disposto dall’art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile con riguardo alle retribuzioni – la pignorabilità, nei limiti di un quinto, della pensione di vecchiaia erogata dall’INPS per crediti diversi da quelli vantati dall’INPS stesso e da quelli di natura alimentare.

  2.– Con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo mostra di dissentire dal precedente arresto sul punto della Corte costituzionale, costituito dalla sentenza n. 55 del 1991, sia nella parte in cui tale pronuncia valutava la limitazione introdotta dalle norme denunziate come meramente incidente su di uno dei tanti mezzi di esecuzione civile – l’espropriazione presso terzi – piuttosto che quale deroga al principio di responsabilità patrimoniale generica sancito dall’art. 2740 del codice civile, sia nella parte in cui il differente regime della pignorabilità delle retribuzioni e delle pensioni era giudicato con "l’intrinseca diversità di due situazioni giuridiche che rispondono a principi e finalità diversi quali quelli espressi dagli artt. 36 e 38 della Costituzione".

  Quanto alla prima questione, il rimettente sottolinea l’incongruenza della esclusione del mezzo espropriativo nella pratica più fruttuoso, mentre, con riguardo al secondo profilo, ritiene irragionevole la differenza tra il regime generale di impignorabilità delle pensioni e quello della pignorabilità delle retribuzioni private, ogni qual volta il trattamento pensionistico non abbia carattere "speciale", ma integri invece un’ipotesi di salario differito, con identità di natura e funzione che postula di necessità eguale trattamento in sede esecutiva. L’equivalenza tra pensione e retribuzione renderebbe irragionevole una situazione per cui, nonostante la rilevanza costituzionale del diritto alla retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.), questa è pignorabile nei limiti di un quinto, laddove il principio di solidarietà, di cui all’art. 38, secondo comma, Cost., farebbe sì che la pensione sia impignorabile anche quando costituisca "prosecuzione" della medesima capacità reddituale.

  In tale ottica il giudice a quo critica il presupposto implicito della sentenza n. 55 del 1991 della Corte - rinvenuto nell’"opzione teorica dell’autonomia del sistema delle assicurazioni sociali rispetto alle assicurazioni private in quanto riconducibili alla cosiddetta sicurezza sociale, in ossequio al loro fondamento legale e non pattizio nonché al principio dell’automaticità delle prestazioni" - richiamandosi ai dati normativi che invece accomunano le due fattispecie, e segnatamente all’art. 1886 cod. civ. (che richiama, per la disciplina delle assicurazioni sociali, la disciplina codicistica per colmare le eventuali lacune delle leggi speciali) e all’art. 2116, primo comma, cod. civ. (che sancisce il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali). Permarrebbe, inoltre, la correlazione tra contributi e prestazioni nella misura in cui l’erogazione di queste ultime resta comunque subordinata all’accertamento del fatto che i contributi erano effettivamente dovuti.

  Neppure il fine pubblicistico delle assicurazioni sociali sembra, infine, impedirne l’assimilazione a quelle private in punto di pignorabilità, tenuto conto della natura mista dell’erogazione (retributiva, previdenziale, assistenziale), cui ha fatto esplicito riferimento anche la Corte costituzionale nella sentenza n. 99 del 1993 (evolutiva rispetto alla citata sentenza n. 55 del 1991), la quale ha dichiarato incostituzionale l’art. 2, primo comma, numero 3, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, nella parte in cui escludeva la pignorabilità, nei limiti di un quinto, dell’indennità di fine rapporto dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni.

  3.- Evidente è, inoltre, ad avviso del rimettente, la rilevanza della questione "atteso l’evidenziato thema decidendum".

  4.- E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. A sostegno di tale conclusione osserva come, già con la sentenza n. 22 del 1969, la Corte costituzionale abbia chiarito che il principio generale della intangibilità delle pensioni erogate dall’INPS consente solo deroghe, espressamente stabilite, che siano aderenti ai precetti dell’art. 38, secondo comma, Cost., e che, in relazione alla natura del credito vantato nei confronti dell’assicurato, precisino la quota aggredibile dell’emolumento. Tale sarebbe la linea anche della sentenza n. 1041 del 1988 che, nel consentire la pignorabilità nei limiti di un quinto (rectius, di un terzo) delle pensioni corrisposte dall’INPS per crediti alimentari, effettua una puntuale comparazione tra i beni essenziali della vita e della dignità dell’uomo, tutelati dall’art. 38, secondo comma, Cost., e quello agli alimenti, garantito dall’art. 29 Cost.

  Nel richiamare, infine, la sentenza n. 55 del 1991 e l’ordinanza n. 314 del 1991, l’Avvocatura evidenzia come il giudice rimettente non abbia neppure specificamente indicato e qualificato la natura del credito azionato, con ciò impedendo ogni valutazione comparativa con gli interessi tutelati dal menzionato art. 38 Cost.

Considerato in diritto

  1.- Il Tribunale di Ragusa dubita, "in relazione all’art. 3, comma primo, Cost., e, comunque, al principio di ragionevolezza", della legittimità costituzionale dell’art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, e dell’art. 69, primo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), nella parte in cui escludono – in relazione all’art. 545, quarto comma, cod. proc. civ. – la pignorabilità nei limiti di un quinto della pensione di vecchiaia per crediti diversi da quelli inerenti all’INPS e da quelli di natura alimentare.

  2.- La questione è fondata nei limiti di seguito precisati.

  3.- Questa Corte è stata numerose volte, e sotto più profili, investita della questione della pignorabilità delle pensioni, sia degli ex dipendenti da pubbliche amministrazioni, sia di professionisti assistiti da casse di previdenza, sia, ancora, di titolari di trattamenti pensionistici erogati dall’INPS; anche se, nella giurisprudenza formatasi in oltre un quarantennio, la questione posta dall’ordinanza di rimessione risulta essere stata trattata ex professo solo una volta.

  La copiosa giurisprudenza di questa Corte, infatti, si è articolata in una serie di pronunce che – quanto al regime della pignorabilità e sequestrabilità, e sovente attraverso la rimeditazione di precedenti decisioni – hanno equiparato, da un lato, le pensioni erogate dall’INPS a quelle erogate agli ex pubblici dipendenti e, dall’altro lato, le retribuzioni dei pubblici dipendenti a quelle dei lavoratori del settore privato; sicché il principio della "normale" impignorabilità delle pensioni è risultato più presupposto che affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, tutta volta ad equiparare il trattamento del settore privato a quello pubblico.

  3.1.- Con la sentenza n. 18 del 1960, la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’impignorabilità delle pensioni (sancita, rispettivamente, dagli artt. 128 del regio decreto-legge n. 1827 del 1935 e 45 del regio decreto n. 1765 del 1935) erogate dall’INPS e dall’INAIL, osservando che il "precetto costituzionale per cui devono essere assicurati al lavoratore, non più in grado di provvedere al suo sostentamento in caso di infortunio, malattia, invalidità o vecchiaia, i mezzi indispensabili alle sue esigenze di vita (art. 38 Cost.)" giustifica – senza contrasto "coi principi relativi all’assistenza familiare, sanciti negli artt. 29 e 30 Cost." - l’impignorabilità assoluta anche in danno del "coniuge o dei figli minori che vantino un credito per alimenti verso il beneficiario della pensione".

  Con la sentenza n. 1041 del 1988, viceversa, la Corte ha dichiarato "l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 29 Cost., degli artt. 128 del regio decreto-legge n. 1827 del 1935 e 69 della legge n. 153 del 1969, nella parte in cui non consentono, entro i limiti stabiliti per i pubblici dipendenti dall’art. 2, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950 (e cioè "fino alla concorrenza di un terzo valutato al netto di ritenute"), la pignorabilità delle pensioni corrisposte dall’INPS per crediti alimentari (ai quali vanno equiparati quelli di assegno di mantenimento, nei limiti in cui questo abbia carattere alimentare)"; e ciò in quanto, "dinanzi alla esigenza di tutelare i crediti alimentari, non vi è alcuna ragione di concedere ai titolari di pensioni INPS un trattamento privilegiato rispetto a coloro che fruiscono di pensioni dello Stato o di altri enti pubblici", ovvero fruiscono di assegni corrisposti da casse di previdenza di professionisti.

  3.2.- Con riguardo all’art. 12 del regio decreto-legge 27 maggio 1923, n. 1324 (convertito nella legge 17 aprile 1925, n. 473), che prevedeva l’assoluta impignorabilità ed insequestrabilità delle quote di integrazione, delle pensioni e degli assegni dovuti ai notai dalla relativa cassa (inclusa l’indennità di cessazione dall’esercizio delle funzioni), questa Corte ne ha dapprima escluso l’incostituzionalità perché "non possono porsi sullo stesso piano dei liberi professionisti, quali i notai, i dipendenti privati" (sentenza n. 100 del 1974); successivamente (sentenza n. 105 del 1977), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui sottraeva alla pignorabilità per crediti alimentari l’assegno di integrazione corrisposto ai notai in esercizio che non raggiungano nell’anno un minimo di onorari, e non ne consentiva la pignorabilità nei limiti stabiliti dall’art. 2, primo comma, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950; infine, con la sentenza n. 155 del 1987, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui non prevede la pignorabilità per crediti alimentari delle pensioni dei notai negli stessi limiti stabiliti dall’art. 2, primo comma, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950.

  3.3.- Anche con riguardo alle pensioni ed indennità corrisposte ai giornalisti dall’INPGI, la Corte ha dapprima dichiarato (con riguardo, nella specie, ai crediti tributari) che l’impignorabilità assoluta sancita dall’art. 1 della legge 9 novembre 1955, n. 1122, non contrastava con il principio di eguaglianza, essendo "una disposizione estensiva della normativa prevista in materia per l’INPS dall’art. 128 del regio decreto-legge n. 1827 del 1935 ed essendo non comparabile la situazione dei giornalisti con quella di avvocati, commercialisti, geometri, ragionieri" (sentenza n. 214 del 1972); successivamente, con la sentenza n. 209 del 1984, la Corte ha individuato nell’art. 2, primo comma, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950, una "norma di carattere generale" e, pertanto, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 29 Cost., del ricordato art. 1 della legge n. 1122 del 1955, nella parte in cui non prevede la pignorabilità per crediti alimentari delle pensioni, assegni e altre indennità dovute dall’INPGI negli stessi limiti di cui all’art. 2, primo comma, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950.

  3.4.- Espressamente richiamando la già citata (3.1) sentenza n. 1041 del 1988, questa Corte, con sentenza n. 572 del 1989, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 110 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui non consente, entro i limiti stabiliti dall’art. 2, primo comma, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950, la pignorabilità per crediti alimentari delle rendite erogate dall’INAIL.

  3.5.- Con sentenza n. 468 del 2002, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 128 del regio decreto-legge n. 1827 del 1935, nella parte in cui non consente, entro i limiti stabiliti dall’art. 2, primo comma, numero 3, del d.P.R. n. 180 del 1950, la pignorabilità per crediti tributari di pensioni, indennità che ne tengano luogo ed assegni corrisposti dall’INPS.

  4.- Parallelamente, e pressoché contemporaneamente all’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte che ha assunto, quanto alle pensioni, quale "norma di carattere generale", la disciplina della pignorabilità prevista per i dipendenti dalle pubbliche amministrazioni dal d.P.R. n. 180 del 1950 (art. 2), questa medesima disciplina è stata ripetutamente sottoposta al vaglio della Corte, nella parte in cui sanciva il principio della impignorabilità, insequestrabilità ed incedibilità di stipendi, salari ed altri emolumenti (art. 1) e consentiva di derogarvi nei medesimi limiti e nelle medesime ipotesi previsti, all’art. 2, per le pensioni.

  4.1.- Dopo aver ripetutamente negato che contrastasse con l’art. 3 Cost. la disposizione sulla generale impignorabilità delle retribuzioni dei dipendenti da pubbliche amministrazioni, "giustificata, più che dalla natura del rapporto, dall’intento di tutelare il buon andamento della pubblica amministrazione, espressamente considerato nell’art. 97 Cost., che potrebbe essere turbato dalla mancanza di tranquillità economica del pubblico dipendente, conseguente alla decurtazione della sua retribuzione", ed aver ritenuto che, correttamente esercitando il suo potere discrezionale, il legislatore aveva limitato a tre tipi di crediti (alimentari, tributari, danni arrecati alle pubbliche amministrazioni) le eccezioni alla generale impignorabilità (sentenza n. 88 del 1963; ordinanza n. 131 del 1967; ordinanza n. 37 del 1970; ordinanza n. 189 del 1973; sentenza n. 49 del 1976; sentenza n. 105 del 1977; sentenza n. 37 del 1985; sentenza n. 337 del 1985), questa Corte, con la sentenza n. 89 del 1987, ha invece dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 2, primo comma, numero 3, del d.P.R. n. 180 del 1950, nella parte in cui, diversamente dall’art. 545, quarto comma, cod. proc. civ., non prevede la pignorabilità e la sequestrabilità degli stipendi, salari e retribuzioni corrisposti da enti diversi dallo Stato, da aziende ed imprese di cui all’art. 1 fino alla concorrenza di un quinto per ogni credito vantato nei confronti del personale; e, con la sentenza n. 878 del 1988, ha esteso il medesimo principio alle retribuzioni corrisposte ai propri dipendenti dallo Stato e, poi, con sentenza n. 115 del 1990, all’indennità integrativa speciale, dichiarata impignorabile dall’art. 1, terzo comma, lett. b, della legge 27 maggio 1959, n. 324.

  4.2.- Analogamente, dopo aver statuito che "ricorrono serie e valide ragioni a giustificazione della speciale disciplina" dettata dall’art. 369, primo comma, del codice della navigazione, là dove consentiva la pignorabilità, nella misura del quinto, delle somme dovute dall’armatore all’arruolato esclusivamente per crediti alimentari e per debiti certi, liquidi ed esigibili verso l’armatore, dipendenti dal servizio della nave (sentenza n. 101 del 1974), questa Corte ha invece dichiarato costituzionalmente illegittima la medesima norma, nonché l’art. 930, primo comma, cod. nav., in ragione del "processo di osmosi tra i settori dell’impiego pubblico e di quello privato", che non giustificava più il trattamento privilegiato di pubblici dipendenti (sentenza n. 72 del 1996).

  5.- La disamina dell’evoluzione giurisprudenziale mostra come questa Corte, mentre ha assunto a tertium comparationis il rapporto di lavoro privato quanto alla retribuzione, ha adottato quale modello il rapporto di pubblico impiego quanto alle pensioni; nell’un caso e nell’altro, tuttavia, convergendo verso il risultato di comprimere, con l’area dell’impignorabilità, le eccezioni al principio per cui "il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri" (art. 2740 cod. civ.).

  Peraltro, proprio l’adozione a tertium comparationis ora dell’art. 545 cod. proc. civ. (per le retribuzioni), ora dell’art. 2 del d.P.R. n. 180 del 1950 (per le pensioni) ha fatto sì che, mentre per tutte le retribuzioni sia stato travolto il principio della generale impignorabilità, per le pensioni tale principio – essendosi operato esclusivamente sulle eccezioni ad esso apportate – sia rimasto in vigore (e, quindi, solo apparentemente assunto quale premessa di ogni intervento della Corte in subiecta materia).

  In sostanza, la retribuzione è stata integralmente restituita al novero dei beni sui quali – nei limiti previsti dalla legge – il creditore, qualunque sia la natura del suo credito, può soddisfarsi, mentre la pensione (ed i suoi equivalenti) costituisce un "bene" aggredibile (sempre nei limiti previsti dalla legge) soltanto da alcuni creditori, selezionati (dall’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 180 del 1950) in ragione della causa del credito: in concreto, soltanto da chi vanti un credito alimentare o tributario, nonché – per gli ex dipendenti pubblici – un credito del datore di lavoro derivante dal rapporto di impiego ovvero – per i titolari di pensioni INPS – un credito dell’Istituto derivante da indebite prestazioni percepite ovvero da omissioni contributive (così l’art. 69 della legge n. 153 del 1969, che ha sostituito – a seguito della sentenza n. 22 del 1969 – l’art. 128, secondo comma, del regio decreto-legge n. 1827 del 1935).

  La retribuzione, da qualsiasi lavoratore percepita, è stata, dunque, assoggettata al regime della responsabilità patrimoniale quale "bene" sul quale qualsiasi creditore può, nei limiti di legge, soddisfarsi attraverso l’espropriazione presso terzi; e la giurisprudenza di questa Corte ha sempre respinto la questione di legittimità costituzionale, in relazione all’art. 36 Cost., dell’art. 545, quarto comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede l’impignorabilità della quota di retribuzione necessaria al mantenimento del debitore e della famiglia (sentenza n. 20 del 1968; sentenza n. 38 del 1970; sentenza n. 102 del 1974; sentenza n. 209 del 1975; ordinanza n. 12 del 1977; ordinanza n. 260 del 1987; ordinanza n. 491 del 1987; sentenza n. 434 del 1997).

  6.- Se si escludono due pronunce (di rigetto, sentenza n. 231, e d’inammissibilità, sentenza n. 831 del 1988) su questioni sollevate sulla base di un fraintendimento della portata delle sentenze n. 89 e n. 878 del 1987, questa Corte si è occupata del regime dell’impignorabilità in sé – e non già avendo quale tertium comparationis il d.P.R. n. 180 del 1950 – delle pensioni erogate dall’INPS, soltanto con la sentenza n. 55 del 1991, alla quale sono seguite quattro ordinanze d’inammissibilità per manifesta erroneità nell’individuazione del tertium comparationis (n. 314 del 1991), per inidoneità della motivazione (n. 305 del 1998 e n. 231 del 2000) e per irrilevanza (n. 92 del 2001).

  La sentenza n. 55 del 1991 – premesso che "il diverso regime della pignorabilità delle pensioni non incide sul contenuto della responsabilità patrimoniale del debitore…, ma soltanto su un particolare mezzo di esecuzione civile" (e cioè sull’unico mezzo – pignoramento presso terzi – idoneo a fare della pensione un "bene" assoggettabile alla responsabilità patrimoniale) – si limita ad osservare che "l’esclusione delle pensioni dal novero dei beni sequestrabili o pignorabili per il soddisfacimento di crediti non qualificati è da ritenersi espressione della facoltà del legislatore, non preclusa dall’art. 24 Cost., di subordinare in alcuni casi l’esperimento del diritto del privato alla tutela di altri interessi generali o di preminente valore pubblico come, nel caso, quelli garantiti dall’art. 38 Cost.", ed a rilevare come la differenza di regime tra retribuzioni e pensioni "non è irragionevole poiché trova fondamento nella intrinseca diversità di due situazioni giuridiche che rispondono a principi e finalità diversi, quali quelli espressi, rispettivamente, dagli artt. 36 e 38 Cost.>>.

  7.- La Corte ha avuto modo di precisare che la differenza tra retribuzioni e pensioni è più strutturale che funzionale (sentenza n. 1045 del 1988), ora traendone la conseguenza della illegittimità costituzionale dell’art. 442 cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede la rivalutazione dei crediti pensionistici (sentenza n. 156 del 1991), ora (sentenza n. 361 del 1996) traendone "il corollario della non applicabilità diretta dell’art. 36 Cost. ai crediti di pensione, ai quali tale norma è riferibile solo indirettamente per il tramite e nella misura dell’art. 38 Cost.".

  D’altra parte, in presenza di crediti aventi natura mista (retributiva, previdenziale e assistenziale), come l’indennità di fine rapporto, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma (art. 2, primo comma, numero 3, del d.P.R. n. 180 del 1950) che ne consentiva la pignorabilità solo per crediti alimentari e non anche, come per i lavoratori del comparto privato consentiva l’art. 545, quarto comma, cod. proc. civ., nella misura di un quinto "anche per ogni altro credito" (sentenza n. 99 del 1993).

  8.- Il complesso quadro della giurisprudenza costituzionale che si è tracciato impone di riesaminare la questione sottoposta al vaglio della Corte dal Tribunale di Ragusa.

  8.1.- L’art. 38, secondo comma, Cost. è certamente norma che – sancendo il diritto dei lavoratori, in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, a che siano "preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita" - si ispira a criteri di solidarietà sociale e "di pubblico interesse a che venga garantita la corresponsione di un minimum", il cui ammontare è ovviamente riservato all’apprezzamento del legislatore (così la sentenza n. 22 del 1969).

  E’ ben vero che il pubblico interesse – in cui si traduce il criterio di solidarietà sociale – a che il pensionato goda di un trattamento "adeguato alle esigenze di vita" può, ed anzi deve, comportare – oltre che un dovere dello Stato (da bilanciarsi, in primis, con le esigenze della finanza pubblica: ordinanza n. 342 del 2002) – anche una compressione del diritto di terzi di soddisfare le proprie ragioni creditorie sul bene-pensione, ma è anche vero che tale compressione non può essere totale ed indiscriminata, bensì deve rispondere a criteri di ragionevolezza che valgano, da un lato, ad assicurare in ogni caso (e, quindi, anche con sacrificio delle ragioni di terzi) al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita e, dall’altro lato, a non imporre ai terzi, oltre il ragionevole limite appena indicato, un sacrificio dei loro crediti, negando alla intera pensione la qualità di bene sul quale possano soddisfarsi.

  Il presidio costituzionale (art. 38) del diritto dei pensionati a godere di "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita" non è tale da comportare, quale suo ineludibile corollario, l’impignorabilità, in linea di principio, della pensione, ma soltanto l’impignorabilità assoluta di quella parte di essa che vale, appunto, ad assicurare al pensionato quei "mezzi adeguati alle esigenze di vita" che la Costituzione impone gli siano garantiti, ispirandosi ad un criterio di solidarietà sociale: e, pertanto, ad un criterio che, da un lato, sancisce un dovere dello Stato e, dall’altro, legittimamente impone un sacrificio (ma nei limiti funzionali allo scopo) a tutti i consociati (e segnatamente ai creditori).

  8.2.- Al fine di valutare la questione di legittimità costituzionale sollevata relativamente all’art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153, osserva questa Corte che le norme, attraverso le quali, direttamente (art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 180 del 1950) ovvero tramite i ricordati interventi di questa Corte, è consentito a certi creditori qualificati di soddisfarsi, nei limiti ivi previsti, sull’intero ammontare della pensione, non confliggono con il principio appena enunciato, in quanto ben può il legislatore nella sua discrezionalità selezionare, attraverso un razionale bilanciamento di valori garantiti dalla Costituzione, in ragione della loro causa, i crediti rispetto ai quali la pensione – anche nella parte in cui è volta ad assicurare al pensionato il minimum vitale – è (pro quota dell’intero) pignorabile. La qualità del credito, in altre parole, giustifica – quando è espressione di altri valori costituzionali – il discrezionale bilanciamento con il valore espresso dall’art. 38, secondo comma, Cost., ma tale valore, quando l’ammontare della pensione eccede quanto necessario per le esigenze di vita del pensionato, certamente non può rendere impignorabile la parte eccedente, di modo che, soddisfatta integralmente l’esigenza sottesa al disposto dell’art. 38, comma secondo, Cost., detta parte eccedente deve ritenersi (nei limiti e secondo le regole fissati dall’art. 545 cod. proc. civ.) assoggettabile al regime generale della responsabilità patrimoniale (art. 2740 cod. civ.).

  8.3.- E’ appena il caso di rilevare che, individuato il proprium del disposto dell’art. 38, secondo comma, Cost. nell’esigenza di garantire nei confronti di chiunque (con le sole eccezioni di crediti qualificati, tassativamente indicati dal legislatore) l’intangibilità della parte della pensione necessaria per assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del pensionato, non ne discende automaticamente analoga conseguenza riguardo alle retribuzioni, dal momento che non ne risulta incisa la ragione per cui, a proposito del regime della pignorabilità, questa Corte ha negato sussistere l’esigenza di una soglia di impignorabilità assoluta: da un lato, infatti, l’art. 38, secondo comma, Cost. enuncia un precetto che, quale espressione di un principio di solidarietà sociale, ha come destinatari anche (nei limiti di ragione) tutti i consociati, dall’altro, l’art. 36 Cost. - secondo quanto questa Corte ha statuito nelle ricordate decisioni (n. 5) - indica parametri ai quali, ma nei rapporti lavoratore-datore di lavoro, deve conformarsi l’entità della retribuzione, senza che ne scaturisca, quindi, vincolo alcuno per terzi estranei a tale rapporto, oltre quello – frutto di razionale <<contemperamento dell’interesse del creditore con quello del debitore che percepisca uno stipendio>> (sentenze n. 20 del 1968 e 38 del 1970) – del limite del quinto della retribuzione quale possibile oggetto di pignoramento.

  8.4. - La consapevolezza, da un lato, del pubblico interesse sotteso alla percezione del trattamento pensionistico e, dall’altro lato, dei limiti "quantitativi" di esso emerge anche da quella giurisprudenza ordinaria – recentemente avallata da una pronuncia di legittimità (Cass. 11 giugno 1999, n. 5761) – che ritiene rilevabile d’ufficio, e non soltanto attraverso l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., l’impignorabilità di pensioni di modesto importo (quale, nella specie, di invalidità).

  9.- Non rientra nel potere di questa Corte, ma in quello discrezionale del legislatore, individuare in concreto l’ammontare della (parte di) pensione idoneo ad assicurare "mezzi adeguati alle esigenze di vita" del pensionato, come tale legittimamente assoggettabile al regime di assoluta impignorabilità (con le sole eccezioni, si ripete, tassativamente indicate di crediti qualificati, in quanto espressione di altri valori costituzionali: ad es., artt. 29, 30, 53 Cost.).

  Se è vero, infatti, che più volte il legislatore ha operato interventi che sembrano presupporre una valutazione della soglia minima vitale (concettualmente non dissimile dai "mezzi adeguati alle esigenze di vita", di cui è parola nell’art. 38, secondo comma, Cost.), è anche vero che nessuna di tali valutazioni consente a questa Corte di adottarla ai fini dell’individuazione della parte assolutamente impignorabile della pensione: quelle valutazioni – come conferma la loro stessa varietà - sono ispirate dalla considerazione anche di altri valori, quali le esigenze tributarie (soglia dei redditi totalmente esenti da IRPEF) o di finanza pubblica (livello della pensione sociale; doppio di essa ai fini della corresponsione dell’aumento perequativo; "soglia di povertà" fissata, dal decreto legislativo 18 giugno 1998, n. 237, per l’accesso al cosiddetto reddito minimo di inserimento; ecc.). Nemmeno il criterio posto in una materia "neutra" per la finanza pubblica e destinato ad operare inter privatos, adottato dal decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1977, n. 39 (del triplo della pensione sociale, quale reddito presunto ai fini del risarcimento del danno provocato alla persona dalla circolazione stradale) può essere fatto proprio dalla Corte, attesa l’episodicità della determinazione legislativa e la necessità che sia il legislatore – bilanciando le esigenze di tutela del credito (art. 24 Cost.) e di garanzia di mezzi adeguati alle esigenze di vita (art. 38 Cost.) – ad operare una scelta razionale ed equilibrata.

  10.- Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale del denunciato art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare delle pensioni, assegni ed indennità erogati dall’INPS e non prevede, invece, l’impignorabilità – con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati – della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato i mezzi adeguati alle esigenze di vita e conseguentemente la pignorabilità della residua parte a norma dell’art. 545 cod. proc. civ., nei limiti del quinto della stessa.

  11.- Al contrario, deve essere dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata relativamente all’art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153, dal momento che, con tale norma, il legislatore non altro ha fatto che prevedere limiti e modalità attraverso le quali un creditore qualificato (l’INPS, per indebite prestazioni ovvero omissioni contributive) può assoggettare a pignoramento un quinto dell’intero ammontare della pensione.

  12.- La presente dichiarazione di illegittimità costituzionale deve essere estesa, a norma dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, agli artt. 1 e 2, primo comma, del d.P.R. n. 180 del 1950, nella parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare delle pensioni, indennità che ne tengono luogo ed altri assegni di quiescenza erogati ai dipendenti dai soggetti individuati dall’art. 1 e non prevedono, invece, l’impignorabilità – con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati – della sola parte delle pensioni, indennità o altri assegni di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e conseguentemente la pignorabilità della residua parte a norma dell’art. 545 cod. proc. civ., nei limiti del quinto della stessa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogati dall’INPS, anziché prevedere l’impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte;

  dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2, primo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni), nella parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare di pensioni, indennità che ne tengono luogo ed altri assegni di quiescenza erogati ai dipendenti dai soggetti individuati dall’art. 1, anziché prevedere l’impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte delle pensioni, indennità o altri assegni di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte;

  dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale).

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 4 dicembre 2002.