SENTENZA N.468
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, promosso con ordinanza del 21 dicembre 2001 dal Tribunale di Alessandria nel procedimento di esecuzione promosso dalla CA.R.AL.T. s.p.a. contro Riccino Renato ed altro, iscritta al n. 117 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Udito nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto in fatto
1.– Nel corso di un processo di espropriazione forzata presso terzi di una pensione erogata dall’INPS, sulla richiesta del creditore procedente - concessionario del servizio di riscossione dei tributi della Provincia di Alessandria che aveva agito per il recupero di un credito tributario diretto dovuto allo Stato a titolo di IRPEF – di assegnazione del credito staggito e sulla contrapposta richiesta del debitore esecutato di ridurre entro i limiti legali e, comunque, al minimo la trattenuta relativa al pignoramento, il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Alessandria, con ordinanza 21 dicembre 2001, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 – recante "Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale" – convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, per contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, nella parte in cui non consente – a differenza di quanto disposto, per gli ex dipendenti pubblici, dall’art. 2, primo comma, numero 3, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 – il pignoramento, nei limiti di un quinto del loro importo, delle pensioni INPS per tributi dovuti allo Stato.
2.– Con riguardo alla rilevanza della questione, considera il giudice a quo di dover fare applicazione della norma contenuta nell’art. 128, del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, la quale dispone che le pensioni ordinarie erogate dall’INPS non sono cedibili, sequestrabili o pignorabili, salvo che per il pagamento di diarie di ospedali pubblici e ricoveri, con ciò stabilendo, quindi, il principio della loro impignorabilità assoluta. A tale principio si sarebbe richiamato il debitore esecutato nel formulare l’istanza di riduzione del prelievo al minimo della trattenuta, con ciò evitando anche di porre il tema della rilevabilità d’ufficio della impignorabilità delle pensioni cui, peraltro, il giudice a quo aveva ritenuto, in altro procedimento avente ad oggetto pensioni di anzianità e vecchiaia, di dare risposta affermativa con sostanziale estensione dell’analogo principio di recente affermato dalla Corte di cassazione con riguardo alla pensione di invalidità (sentenza n. 5761 dell’11 giugno 1999).
3.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente rileva che il principio della assoluta impignorabilità delle pensioni erogate dall’INPS, sancito dalla norma impugnata conosce – oltre quanto previsto per le diarie ospedaliere - solo l’eccezione disciplinata dall’art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153, per i crediti vantati dal medesimo Istituto per omissioni contributive o ripetizione di indebite prestazioni nei limiti di un quinto del loro ammontare eccedente l’importo della pensione minima, e quella, risultante dalla sentenza n. 1041 del 1988 della Corte, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale del citato art. 128 nella parte in cui non ne consentiva la pignorabilità per crediti alimentari nei limiti di cui all’art. 2, primo comma, numero 1, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180.
Proprio tale ultima norma stabilisce che le pensioni degli ex dipendenti pubblici sono pignorabili, nei limiti di un quinto (rectius, di un terzo) del loro importo, per crediti alimentari e, nei limiti di un quinto, anche per tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, facenti carico, fin dalla loro origine, all’impiegato o salariato [art. 2, primo comma, numero 3]. Ciò che, opina il rimettente, versandosi nel caso di specie in ipotesi di actio executiva esercitata per il recupero di un credito avente natura di tributo dovuto allo Stato, renderebbe aggredibile, nei limiti di un quinto, la pensione del debitore ove questi fosse pensionato dello Stato o di altri enti pubblici, mentre invece, essendo questi di fatto pensionato INPS, la norma applicabile alla sua posizione, cioè l’art. 128 citato, non ne consente in via assoluta il pignoramento.
Assunto dunque a tertium comparationis l’art. 2, primo comma, numero 3, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, la differente disciplina dettata per le pensioni erogate dall’INPS dalla disposizione denunciata, ad avviso del giudice a quo, non risponderebbe ad alcuna logica di razionalità normativa; tanto più che appare perfettamente traslabile al caso in esame il ragionamento effettuato dalla Corte nella menzionata sentenza n. 1041 del 1988. Né, per altro verso, può tracciarsi un discrimen fondato sulla diversa rilevanza costituzionale dei crediti comparati. Vero è, infatti, che "l’interesse sotteso alla riscossione anche coattiva dei tributi, e cioè quello a che lo Stato disponga di mezzi necessari a perseguire gli interessi pubblici dei quali si pone come esponenziale", è dotato, non meno di quello connesso ai crediti alimentari per i quali v’è stato esplicito riconoscimento in tal senso da parte della Corte costituzionale (sentenza n. 99 del 1993), di una particolare rilevanza, anche costituzionale, ai sensi dell’art. 53 ed anche dell’art. 2 Cost.
Osserva inoltre il rimettente che, anche ove si volesse attribuire a tale interesse rilievo inferiore rispetto a quello sotteso ai crediti alimentari, inidoneo a determinarne la prevalenza su quello che trova tutela nell’attribuzione agli ex dipendenti privati del trattamento pensionistico, resterebbe da spiegare perché questa minor rilevanza gli consente invece di prevalere sugli interessi dei pensionati pubblici. Sotto tale aspetto, sarebbe evidente il vulnus portato al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., non giustificato neppure ove si ritenga che la retribuzione del pubblico dipendente si differenzi da quella del privato per l’interesse pubblico, tutelato mediatamente, alla efficienza ed al buon andamento della pubblica amministrazione, tenuto conto che la norma impugnata costituisce, secondo un percorso inverso, un trattamento di favore riservato al dipendente privato nel raffronto con quello pubblico.
Inoltre, la disciplina dettata dal d.P.R. n. 180 del 1950 sembra "porsi come normativa regolare, assunta a modello per disciplinare analoghe materie con riferimento a ben diversi settori previdenziali, come si desume dall’espresso rinvio che a tale sistema fanno l’art. 47 della legge 8 gennaio 1952, n. 6 (come sostituito dall’art. 22 della legge 25 febbraio 1963, n. 289), l’art. 33 della legge 3 febbraio 1963, n. 100, e l’art. 33 della legge 9 febbraio 1963, n. 160, quanto alle pensioni erogate, rispettivamente, dagli enti previdenziali degli avvocati, dei dottori commercialisti e dei ragionieri".
Ad avviso del giudice a quo la norma va denunciata anche alla stregua del parametro dell’art. 53, primo comma, Cost. in quanto, "se è vero che tutti i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in base alla loro capacità contributiva, e che l’obbligazione tributaria concreta questo concorso, l’attuale stato della normativa fa sì che di due pensionati di eguali redditi, e quindi di eguale capacità contributiva, la pensione dell’uno dei quali sia erogata dall’INPS, l’altra da un ente di previdenza per dipendenti pubblici, il primo possa interamente sottrarre il proprio reddito alla pretesa tributaria e il secondo no".
Considerato in diritto
1.- Il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Alessandria dubita – in relazione agli artt. 3 e 53, comma primo, Cost. – della legittimità costituzionale dell’art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, nella parte in cui non consente, a differenza di quanto disposto, per gli ex dipendenti pubblici, dall’art. 2, comma primo, numero 3, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni), il pignoramento, nei limiti del quinto del loro importo, delle pensioni INPS per tributi dovuti allo Stato.
2.- La questione è fondata.
Il giudice rimettente correttamente invoca, quale tertium comparationis, l’art. 2, comma primo, numero 3, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, a tenore del quale "… le pensioni, le indennità che tengono luogo di pensioni e gli altri assegni di quiescenza corrisposti dallo Stato e dagli altri enti, aziende ed imprese indicate nell’art. 1, sono soggetti a sequestro ed a pignoramento … 3) fino alla concorrenza di un quinto valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, facenti carico, fino dalla loro origine, all’impiegato o salariato".
Ed infatti, come ricorda il rimettente, questa Corte, con la sentenza n. 1041 del 1988, ha statuito – con riguardo ai crediti alimentari, e quindi assumendo quale tertium comparationis l’art. 2, comma primo, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950 (già definito "norma di carattere generale": sentenza n. 209 del 1984) – che "non vi è alcuna ragione di concedere ai titolari di pensione INPS un trattamento privilegiato rispetto a coloro che fruiscono di pensioni dello Stato o di altri enti pubblici" ed ha sottolineato che le leggi relative alle Casse di previdenza di professionisti – legge 8 gennaio 1952, n. 6, per gli avvocati; legge 24 ottobre 1955, n. 900, per i geometri; legge 3 febbraio 1963, n. 100, per i dottori commercialisti; legge 9 febbraio 1963, n. 160, per i ragionieri e periti commerciali (e successive modifiche) – dispongono espressamente che agli assegni corrisposti da tali Casse si applicano, in materia di pignorabilità, le disposizioni vigenti per i dipendenti dalle pubbliche amministrazioni.
Va aggiunto che il disposto dell’art. 2, comma primo, numero 1, del d.P.R. n. 180 del 1950 ha visto estesa la sua area di applicazione alle pensioni erogate ai giornalisti dall’INPGI (sentenza n. 209 del 1984) ed ai notai dalla relativa Cassa (sentenza n. 155 del 1987), nonché alle rendite corrisposte dall’INAIL (sentenza n. 572 del 1989).
Così come per i crediti alimentari, non sussiste ragione alcuna, con riguardo a quelli tributari, perché i titolari di pensioni INPS godano di un trattamento di favore – rispetto ai dipendenti dalle pubbliche amministrazioni e, conseguentemente, ai professionisti che percepiscono assegni dalle rispettive Casse di previdenza – in punto di pignorabilità o sequestrabilità dei crediti da essi vantati, a titolo di pensioni, assegni o altre indennità, nei confronti dell’INPS.
Conseguentemente, assorbito ogni ulteriore rilievo relativamente all’invocato art. 53 Cost., deve dichiararsi l’incostituzionalità dell’art. 128 del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, nella parte in cui esclude la pignorabilità di pensioni, indennità che ne tengano luogo ed assegni fino alla concorrenza di un quinto, valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, facenti carico, fino dalla loro origine, al pensionato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, nella parte in cui non consente, entro i limiti stabiliti dall’art. 2, comma primo, numero 3, del d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni), la pignorabilità per crediti tributari di pensioni, indennità che ne tengano luogo ed assegni corrisposti dall’INPS.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2002.