ORDINANZA N.342
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), e dell’art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promosso, con ordinanza del 17 ottobre 2001, dal Tribunale di Pisa nel procedimento civile vertente tra Battini Renzo e l’INPS, iscritta al n. 956 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 giugno 2002 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi l’avvocato Alessandro Riccio per l’INPS e l’avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che nel corso di una controversia previdenziale promossa nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale per ottenerne la condanna al pagamento degli accessori relativi ad arretrati di pensione pagati nel 1992, il Tribunale di Pisa ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 36 e 38 Cost., dell’art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), e dell’art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica);
che, a detta del remittente, nel giudizio in corso l’INPS ha provveduto al pagamento degli arretrati di pensione in data 26 ottobre 1992, corrispondendo i ratei decorrenti dal 1° luglio 1991 e liquidando gli interessi dal 31 ottobre 1991;
che per il periodo che va da quest’ultima data al 31 dicembre 1991 – secondo quanto disposto dalla sentenza n. 156 del 1991 di questa Corte – si sarebbero dovuti corrispondere gli interessi sulle somme rivalutate, mentre in relazione ai ratei successivi al 31 dicembre 1991 il divieto di cumulo tra rivalutazione ed interessi discende dall’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 e dall’art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994, ove ritenuto applicabile;
che sulla base di queste premesse, le quali danno conto della rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che le norme impugnate appaiono in contrasto con i menzionati parametri costituzionali, all’uopo procedendo ad un’ampia disamina della complessa evoluzione normativa e giurisprudenziale in subiecta materia;
che con la sentenza n. 156 del 1991 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 442 del codice di procedura civile “nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal titolare per la diminuzione del valore del suo credito”, con ciò estendendo ai crediti previdenziali il disposto dell’art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. relativo ai crediti di lavoro;
che con la successiva sentenza n. 196 del 1993 analogo principio è stato esteso in favore dei crediti in materia di assistenza sociale;
che tali pronunce costituiscono, secondo il remittente, indubbio riconoscimento del fatto che i crediti previdenziali ed assistenziali, così come quelli di lavoro, sono destinati a soddisfare i più elementari bisogni di vita, sicché ogni ritardo nel pagamento comporta un pregiudizio non risarcibile col solo pagamento degli interessi;
che a pochi mesi dalla pubblicazione della menzionata sentenza n. 156 del 1991 è intervenuto il legislatore che, dettando l’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991, avrebbe sostanzialmente vanificato la pronuncia della Corte, stabilendo che gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria sono tenuti, di regola, al pagamento dei soli interessi sulle prestazioni dovute, e che l’importo corrisposto a tale titolo è portato in detrazione delle somme eventualmente spettanti a risarcimento del maggior danno subito in conseguenza della svalutazione monetaria;
che l’esatta portata dell’intervento legislativo è stata poi chiarita dalla stessa Corte costituzionale con due successive sentenze, la n. 394 del 1992 e la n. 361 del 1996; nella seconda, in particolare, pervenendo ad una declaratoria di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale del citato art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991, la Corte avrebbe spiegato che il solo motivo per cui i crediti previdenziali non sono suscettibili di ricevere il cumulo tra interessi e rivalutazione è quello del contenimento della spesa pubblica;
che il successivo intervento del legislatore è costituito dalla seconda delle norme impugnate, ossia l’art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994, col quale si è estesa l’applicabilità del menzionato art. 16, comma 6, «anche agli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza»;
che tale norma, la quale, vista anche la sua collocazione, dovrebbe riguardare il solo impiego pubblico in regime di diritto pubblico e di diritto privato, è stata invece ritenuta da questa Corte applicabile anche al lavoro privato, ed in tale ristretto ambito dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 459 del 2000, con ripristino del criterio del cumulo tra interessi e rivalutazione;
che la complessità della questione, esistente ormai da circa trent’anni, imporrebbe alla Corte, secondo il remittente, «un’operazione di definitiva chiarezza» che prenda le mosse dalle ragioni che storicamente hanno condotto a ritenere il credito di lavoro come credito di valore e non di valuta, attribuendogli un carattere privilegiato, sicché la regola del cumulo tra interessi e rivalutazione ha valore costituzionale, derivante da tutti i parametri in precedenza invocati;
che i crediti previdenziali sono crediti che hanno diritto ad una speciale tutela alla luce degli artt. 36 e 38 Cost., nonché in nome dei diritti inviolabili dell’uomo cui si richiama l’art. 2 Cost. e dell’obiettivo di rimozione delle diseguaglianze che l’art. 3 Cost. considera tra i compiti fondamentali dell’ordinamento repubblicano, mentre il sistema attuale, consentendo che il ritardo nell’adempimento non porti come conseguenza l’obbligo di pagamento di interessi e rivalutazione, di fatto permetterebbe di contenere la spesa degli enti di previdenza obbligatoria, nel contempo però non rispettando i più elementari diritti di sopravvivenza degli interessati;
che il Tribunale di Pisa, in conclusione, chiede che l’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 e l’art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994 (quest’ultimo ove ritenuto applicabile) vengano dichiarati costituzionalmente illegittimi in quanto contengono il principio per cui in favore dei crediti previdenziali ed assistenziali non possono essere riconosciuti, in caso di adempimento ritardato, gli interessi e la rivalutazione monetaria;
che si è costituito in giudizio l’INPS, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata.
Considerato che il giudice remittente dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 36 e 38 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, e dell’art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, in quanto escludono che il titolare di crediti previdenziali possa fruire del cumulo degli interessi e della rivalutazione monetaria;
che la questione di legittimità riguardante la seconda delle disposizioni citate è manifestamente inammissibile perché sollevata «ove la norma fosse ritenuta applicabile anche ai crediti previdenziali ed assistenziali», e quindi con motivazione perplessa riguardo alla rilevanza;
che questa Corte, scrutinando la legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., è già pervenuta ad una pronuncia di non fondatezza con la sentenza n. 361 del 1996;
che la questione della esclusione del cumulo, così come stabilita dal citato art. 22 della legge n. 724 del 1994, è stata esaminata ancora di recente da questa Corte la quale, con la sentenza n. 459 del 2000, l’ha ritenuta fondata soltanto per quanto concerne i crediti nei confronti dei datori di lavoro privati;
che con tali pronunce la Corte, anche in relazione alla propria sentenza n. 156 del 1991 – dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 442 cod. proc. civ. in quanto non richiamava espressamente l’art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., e sottraeva quindi i crediti previdenziali al regime del cumulo di rivalutazione ed interessi previsto per i crediti di lavoro – ha affermato anzitutto che non vi è identità strutturale, ma soltanto funzionale tra crediti previdenziali e crediti di lavoro (v. paragrafo 3 del “Considerato in diritto” della sentenza n. 361 del 1996);
che da tale diversità consegue, da un lato, che per i crediti previdenziali l’art. 36 Cost. ha rilievo solo per il tramite dell’art. 38 Cost.; dall’altro, che la tutela apprestata a detti crediti può essere il risultato del bilanciamento con altri valori costituzionali ed in particolare con le esigenze della finanza pubblica;
che questa Corte ha affermato, in relazione all’articolo 38, secondo comma, della Costituzione, che “al legislatore deve riconoscersi un margine di discrezionalità, anche in relazione alle risorse disponibili, almeno quando non sia in gioco la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona” (cfr. sentenza n. 180 del 2001);
che l’art. 24 Cost. non riguarda la disciplina sostanziale dei diritti;
che le diffuse considerazioni del giudice remittente sul dovere etico-politico del Governo e del Parlamento di soddisfare le esigenze economico-finanziarie attingendo maggiori entrate da chi gode di maggiore capacità contributiva o non adempie ai propri obblighi tributari, anziché riducendo le prestazioni a favore dei più bisognosi, non si concretizzano in ulteriori profili di censura;
che, in conclusione, la questione è manifestamente infondata riguardo a tutti i parametri evocati.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 36 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Pisa con l’ordinanza di cui in epigrafe ;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 36 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Pisa con la medesima ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2002.