SENTENZA N.180
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 3, undicesimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), in relazione agli artt. 21, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 1988), e 3, comma 2-bis, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonchè per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, in legge 20 maggio 1988, n. 160, promossi con due ordinanze emesse il 24 giugno 1999 dal Tribunale di Bologna nei procedimenti civili vertenti tra l'Istituto Nazionale per la previdenza sociale (INPS) e Saverio Montella, e tra l'INPS e Luigi Rizzi, iscritte ai numeri 638 e 639 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1999.
Visti gli atti di costituzione di Saverio Montella e dell'INPS, nonchè gli atti di intervento del presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 6 marzo 2001 il Giudice relatore Franco Bile;
uditi l'avvocato Carlo De Angelis per l'INPS e l'avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con le due ordinanze indicate in epigrafe il Tribunale di Bologna, giudice del lavoro, ha proposto - in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione - la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, undicesimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), considerato in relazione all’art. 21, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n.67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 1988), come interpretato dall’art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonchè per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, in legge 20 maggio 1988, n. 160. Il sistema introdotto dalla normativa impugnata ha attribuito ai pensionati dell’assicurazione generale obbligatoria, a decorrere dal 1° gennaio 1988, una quota aggiuntiva di pensione calcolata sulla base della retribuzione degli ultimi cinque anni, rivalutata per il periodo intercorrente <<tra l'anno solare cui la retribuzione si riferisce e quello precedente la decorrenza della pensione>>.
2. - L’ordinanza iscritta al n. 638 del 1999 é stata pronunciata nel corso di un giudizio di appello contro la sentenza con la quale il Pretore di Bologna aveva accolto la domanda proposta contro l’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) da S. M., che era titolare dal 1° settembre 1985 di una pensione di vecchiaia il cui importo era stato calcolato con il sistema del c.d. <<tetto pensionabile>> ai sensi della legge n. 297 del 1982, ed aveva poi beneficiato della quota aggiuntiva di pensione prevista dall’art. 21, comma 6, della legge n. 67 del 1988, determinata secondo i criteri dalla stessa norma indicati.
Ritenendo che la quota aggiuntiva dovesse calcolarsi rivalutando le retribuzioni rilevanti non solo per il quinquennio anteriore alla data di decorrenza della pensione (1° settembre 1985), ma anche per il periodo successivo fino al 1° gennaio 1988, egli aveva chiesto la condanna dell’INPS alla corresponsione delle relative differenze, con interessi e rivalutazione monetaria.
Avendo il Pretore accolto la domanda, su appello dell’INPS, il Tribunale ha sollevato la questione di legittimità costituzionale prima ricordata.
Secondo il giudice rimettente, il sistema introdotto dalla normativa impugnata comporta la conseguenza che i titolari di pensioni liquidate anteriormente al 1° gennaio 1988 (fra i quali l’appellato) possono giovarsi della rivalutazione della quota aggiuntiva di pensione per il periodo intercorrente <<tra l'anno solare cui la retribuzione si riferisce e quello precedente la decorrenza della pensione>> (che nella specie é il 1984), ma non anche della rivalutazione fra questa data e quella di entrata in vigore del nuovo sistema (1° gennaio 1988).
Il giudice rimettente ritiene che tale disciplina violi l’art. 3 Cost. (essendo irrazionale che coloro che sono andati in pensione prima del 1° gennaio 1988 <<siano penalizzati dalla mancata perequazione [rectius, rivalutazione] della retribuzione pensionabile per il periodo intercorrente tra il loro pensionamento originario e la sua successiva riliquidazione>>), nonchè l’art. 38, secondo comma, Cost. (perchè <<la mancata rivalutazione dei valori monetari relativi alla retribuzione pensionabile si riflette sul trattamento pensionistico, diminuendone il valore economico effettivo e rendendolo non più idoneo a fornire agli interessati quei mezzi adeguati di vita, di cui abbisognano, e che la norma costituzionale vuole siano assicurati>>).
3. - La stessa questione é stata posta anche dall’ordinanza iscritta al n. 639 del 1999, pronunziata dal Tribunale di Bologna, in sede di appello contro la sentenza con la quale il Pretore della città aveva accolto la domanda proposta contro l’INPS da L. R., titolare di una pensione di vecchiaia dal 1° gennaio 1976. A parte la diversa data di decorrenza della pensione, la vicenda processuale e la motivazione dell’ordinanza di remissione sono identiche a quella dell’altro giudizio, prima considerato.
4. - In entrambi i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, depositando memorie nelle quali ha sostenuto l’inammissibilità e l’infondatezza della questione.
5. - L’INPS si é costituito in entrambi i giudizi, sostenendo - in quello di cui all’ordinanza n.638 - l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale e - in quello di cui all’ordinanza n.639 - l’inammissibilità di essa per difetto di rilevanza.
6. - Nel giudizio di cui alla prima ordinanza si é costituita (fuori termine) la parte privata M., aderendo alle conclusioni del giudice rimettente e sviluppando poi le sue tesi con una memoria illustrativa depositata nell’imminenza dell’udienza odierna.
Considerato in diritto
1. - I due giudizi pongono la questione di legittimità costituzionale della stessa norma, e quindi devono essere riuniti.
2. - Il giudice rimettente dubita della conformità agli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost. dell’art. 3, undicesimo comma, della legge 29 marzo 1982, n. 297, in relazione all’art. 21, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n.67, interpretato dall’art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, in legge 20 maggio 1988, n. 160.
L’art. 3 della legge n. 297 del 1982 - modificando la disciplina delle pensioni dell'assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti, ed in particolare il sistema (già esistente nell’ordinamento precedente) del c.d. <<tetto pensionabile>> - determinò all’ottavo comma la retribuzione annua pensionabile, per le pensioni con decorrenza successiva al 30 giugno 1982, nella quinta parte della somma delle retribuzioni percepite in costanza di rapporto di lavoro (o corrispondenti a periodi riconosciuti figurativamente, ovvero ad eventuale contribuzione volontaria) risultante dalle ultime 260 settimane di contribuzione (pari, in pratica, agli ultimi cinque anni) precedenti la decorrenza della pensione; e stabilì all’undicesimo comma la rivalutazione della retribuzione media settimanale di ciascun anno solare in misura corrispondente alla variazione dell'indice annuo del costo della vita (calcolato dall'ISTAT ai fini della scala mobile delle retribuzioni dei lavoratori dell'industria) tra l'anno solare di riferimento e quello precedente la decorrenza della pensione.
Il sistema é stato poi mitigato dalla legge n. 67 del 1988, il cui art. 21 ha previsto, al comma 6, la computabilità - con decorrenza dal 1° gennaio 1988 - della parte di retribuzione eccedente il <<tetto pensionabile>>, secondo aliquote di rendimento fissate nella tabella allegata, precisando che la quota di pensione così determinata si somma a quella originaria.
Il sesto comma dell’art. 21 é stato interpretato autenticamente dall’art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge n. 86 del 1988, aggiunto dalla legge di conversione n. 160 del 1988, nel senso che la retribuzione pensionabile rilevante per la determinazione della quota aggiuntiva si calcola sulla media delle retribuzioni imponibili e pensionabili, rivalutate a norma dell'undicesimo comma dell'art. 3 della legge n. 297 del 1982, e relative alle ultime duecentosessanta settimane di contribuzione, cioé, in pratica, allo stesso modo che per la quota non eccedente il tetto.
Per effetto del richiamo a tale undicesimo comma, la rivalutazione é fatta secondo la variazione dell'indice annuo del costo della vita <<tra l'anno solare cui la retribuzione si riferisce e quello precedente la decorrenza della pensione>>.
3. - La norma ha dato luogo a dubbi interpretativi, in particolare sull'applicabilità del sistema delle quote aggiuntive solo alle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 1988 o anche a quelle liquidate prima.
Questa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale prospettata sull'assunto che il sistema non concernesse le pensioni liquidate anteriormente al 1° gennaio 1988, ritenendola basata su un erroneo presupposto interpretativo, ed ha affermato che i benefici di cui all’art. 21 della legge n. 67 del 1988 si applicano anche ai soggetti già pensionati al 1° gennaio 1988, in quanto tale data segna solo il momento a partire dal quale si computa la retribuzione eccedente il tetto e si corrisponde la quota aggiuntiva (sentenza n. 72 del 1990). Il principio é stato confermato e precisato dalla sentenza n. 296 del 1995, nel senso che il meccanismo previsto dalla norma in esame <<si esaurisce nell’erogazione di una semplice "quota" di pensione, da sommare a quella "determinata in base al limite massimo" della retribuzione annua pensionabile, con conseguente esclusione di qualsiasi operazione di complessivo ricalcolo del trattamento>>.
Sulla base di questa interpretazione, la giurisprudenza di legittimità si é consolidata - divenendo <<diritto vivente>> - nel senso che, ai fini della liquidazione della quota aggiuntiva relativa a pensioni liquidate prima del 1° gennaio 1988, le retribuzioni medie imponibili e pensionabili devono essere rivalutate per il periodo che va da ciascun anno solare considerato fino all’anno antecedente a quello dell’originaria decorrenza della pensione.
4. - Sull’implicita premessa che la norma impugnata debba così essere interpretata, l’ordinanza n. 638 la ritiene in contrasto: a) con l’art. 3 Cost., essendo irrazionale che coloro che sono andati in pensione prima del 1° gennaio 1988 <<siano penalizzati dalla mancata perequazione della retribuzione pensionabile per il periodo intercorrente tra il loro pensionamento originario e la sua successiva riliquidazione>>; b) con l’art. 38, secondo comma, Cost., perchè <<la mancata rivalutazione dei valori monetari relativi alla retribuzione pensionabile si riflette sul trattamento pensionistico, diminuendone il valore economico effettivo e rendendolo non più idoneo a fornire agli interessati quei mezzi adeguati di vita di cui abbisognano, e che la norma costituzionale vuole siano assicurati>>.
5. - La questione non é fondata.
Anzitutto il giudice rimettente ragiona erroneamente in termini di <<riliquidazione>> della pensione, senza considerare che le citate sentenze della Corte hanno escluso che la norma impugnata dia luogo ad un <<complessivo ricalcolo del trattamento>>.
Ma soprattutto - nella sostanza - finisce per sollecitare un sindacato sull’esercizio della discrezionalità del legislatore in tema di modulazione temporale dell’applicabilità dei trattamenti previdenziali.
Orbene, tale sindacato é possibile soltanto sotto il profilo del controllo di ragionevolezza (cfr., fra le altre, sentenza n. 202 del 1999, ordinanza n. 177 del 1999): e nella specie é da escludere che la scelta legislativa sia irragionevole.
In effetti, la soluzione auspicata dal rimettente - secondo cui, ai fini del calcolo della <<quota aggiuntiva>> su pensioni anteriori al 1° gennaio 1988, la retribuzione media pensionabile dovrebbe essere rivalutata non solo dai singoli anni dell’ultimo quinquennio fino all’anno antecedente il pensionamento (come dispone la norma impugnata), ma anche per il periodo successivo, fino al 1° gennaio 1988 - comporterebbe l'applicazione a tali pensioni di un meccanismo radicalmente diverso rispetto a quello apprestato dalla stessa norma per tutte le altre.
Infatti - mentre per le pensioni liquidate dopo il 1° gennaio 1988 la quota aggiuntiva é calcolata tenendo conto della svalutazione della retribuzione di ciascun anno di riferimento fino all'anno anteriore a quello del pensionamento - per le pensioni liquidate prima di quella data la retribuzione sarebbe rivalutata non solo per lo stesso anno di pensionamento, ma anche per un periodo ad esso successivo, posteriore quindi alla cessazione del rapporto di lavoro; e si configurerebbe, sia pure ai soli fini della quota aggiuntiva, proprio quel << complessivo ricalcolo>> del trattamento pensionistico che la Corte ha decisamente escluso (sentenza n. 296 del 1995, citata).
Pertanto, la scelta operata dalla norma in esame (interpretata nel senso della sua applicabilità anche alle pensioni liquidate prima del 1° gennaio 1988) di sottoporre categorie diverse di soggetti - collocati in pensione in momenti diversi e nel vigore di leggi diverse - ad una disciplina coerentemente differenziata, idonea ad evitare contraddizioni interne al sistema, non può dirsi irragionevole e quindi lesiva dell’art. 3 della Costituzione.
6. - La questione é infondata anche in riferimento all’art. 38 della Costituzione.
Certamente il precetto costituzionale esige che il trattamento previdenziale sia sufficiente ad assicurare le esigenze di vita del lavoratore pensionato; ma nell’attuazione di tale principio al legislatore deve riconoscersi un margine di discrezionalità, anche in relazione alle risorse disponibili, almeno quando non sia in gioco la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona (ex multis, sentenza n. 457 del 1998). E tale garanzia sicuramente non é incisa da una scelta legislativa mirante - secondo quanto si é detto - a ricondurre la posizione dei titolari di pensioni liquidate prima del 1° gennaio 1988 alla disciplina generale del calcolo delle quote aggiuntive, che per la rivalutazione della retribuzione considera unicamente periodi anteriori al pensionamento.
7. - La questione sollevata dall’ordinanza n. 639 é manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza, come eccepito dall'INPS.
Secondo la giurisprudenza di legittimità - che sul punto costituisce <<diritto vivente>> e che non é contestata dal giudice a quo - la norma dell’art. 21, comma 6, della legge n. 67 del 1988, autenticamente interpretata dall’art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge n. 86 del 1988, convertito, con modificazioni, in legge n. 160 del 1988, essendo strettamente correlata al sistema di liquidazione introdotto dall’art. 3 della legge n. 297 del 1982, non é applicabile alle pensioni liquidate prima del 30 giugno 1982, nel vigore della disciplina precedente.
E dall’ordinanza in esame emerge che il giudizio concerne un soggetto collocato in pensione nel 1976.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, undicesimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), in relazione al comma 6 dell’art. 21 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 1988), come interpretato dall’art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86 (Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonchè per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, in legge 20 maggio 1988, n.160, sollevata dal Tribunale di Bologna, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, con l’ordinanza n. 638 r.o. del 1999;
dichiara manifestamente inammissibile la medesima questione, sollevata dal Tribunale di Bologna, con l’ordinanza n. 639 r.o. del 1999.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Franco BILE, Redattore
Depositata in Cancelleria l'8 giugno 2001.