Sentenza n. 394 del 1992

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SENTENZA N. 394

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'11 febbraio 1992 dal Pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra Labriola Vincenzo e l'I.N.P.S., iscritta al n. 149 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1992;

2) ordinanza emessa il 28 gennaio 1992 dal Pretore di Modena nel procedimento civile vertente tra Ferrari Ermentina e l'I.N.P.S., iscritta al n. 154 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubbica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visti gli atti di costituzione di Labriola Vincenzo, Ferrari Ermentina e dell'I.N.P.S., nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 giugno 1992 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi gli avvocati Franco Agostini e Luciano Ventura per Labriola Vincenzo e Ferrari Ermentina, Aldo Catalano, Gian Carlo Perone e Fabrizio Ausenda per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un procedimento civile promosso da Vincenzo Labriola nei confronti dell'INPS per il pagamento di ratei arretrati dell'assegno di invalidità più interessi legali e rivalutazione monetaria, il Pretore di Genova, con ordinanza dell'11 febbraio 1992, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, secondo cui l'ammontare degli interessi legali sulle prestazioni dovute dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatorie è portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dall'avente diritto per la diminuzione del valore del suo credito.

Secondo il giudice remittente, soprattutto dopo l'aumento al dieci per cento del saggio dell'interesse legale, è dubbia la correttezza dell'interpretazione dell'art. 429, terzo comma, cod.proc.civ., accolta dalla giurisprudenza dominante, alla quale si è conformata la sentenza n.156 del 1991 di questa Corte nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art.442 cod.proc.civ. Tale interpretazione "attribuisce al titolare di crediti di lavoro una posizione del tutto privilegiata", che gli procura una rendita "ben superiore anche ad ogni investimento finanziario".

Comunque, stante la detta giurisprudenza consolidata, la norma impugnata non può sottrarsi al sospetto di contrarietà agli artt. 3 e 38 della Costituzione, in quanto ripristina la disparità di trattamento dei crediti previdenziali rispetto ai crediti di lavoro censurata da questa Corte.

2. Nel giudizio davanti alla Corte si è costituito il ricorrente chiedendo, in via principale, una dichiarazione di inammissibilità della questione perchè la norma impugnata non è applicabile alle situazioni di ritardato pagamento verificatesi anteriormente all'entrata in vigore della legge n.412 del 1991; in subordine, una dichiarazione di fondatezza per i motivi indicati nell'ordinanza di remissione.

3. Si è pure costituito l'INPS concludendo per l'infondatezza della questione.

Secondo l'Istituto, la restituzione dei crediti previdenziali al regime dei crediti di valuta, cui li aveva sottratti la sentenza n.156 del 1991, non è arbitraria in relazione ai sostanziali elementi di differenziazione riscontrabili rispetto ai crediti di lavoro, malgrado la possibilità di un loro accostamento sotto il profilo funzionale.

D'altra parte, l'art. 429, cod. proc. civ., come interpretato dalla giurisprudenza consolidata, suscita ormai sospetti di illegittimità costituzionale per le ragioni riconosciute dallo stesso giudice remittente, sicchè l'indagine del giudice delle leggi dovrebbe soffermarsi sulla verifica di legittimità della norma assunta a tertium comparationis nell'ordinanza di rimessione.

4. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

L'Avvocatura osserva che la norma impugnata non si pone in contrasto con la citata sentenza di questa Corte perchè si colloca e si giustifica in un mutato contesto normativo determinato dall'aumento al dieci per cento del saggio degli interessi legali, garantendo in ogni caso al creditore la copertura integrale contro l'inflazione qualora questa, dovesse risalire sopra il dieci per cento. Sicchè nessuna violazione si può ravvisare nemmeno rispetto all'art. 38 Cost. Del resto, nel mutato contesto normativo, la giurisprudenza di merito e la dottrina sono già avviate a rivedere l'interpretazione dell'art. 429 nel senso chiarito dalla norma impugnata per i crediti previdenziali.

5. Analoga questione è stata sollevata dal Pretore di Modena, con ordinanza del 28 gennaio 1992, nel corso di un giudizio civile promosso contro l'INPS da Ermentina Ferrari, titolare di una pensione di invalidità e di una pensione di riversibilità, per ottenere l'integrazione al minimo della seconda con gli interessi legali e la rivalutazione. Oltre agli artt.3 e 38 Cost., questo giudice presume violato anche l'art. 136 Cost. sul riflesso che la norma denunciata avrebbe ripristinato una disciplina già dichiarata incostituzionale.

6. Si sono costituiti la ricorrente e l'INPS ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con argomentazioni e conclusioni analoghe a quelle dedotte nel giudizio relativo all'ordinanza dal Pretore di Genova.

Considerato in diritto

1. Dai Pretori di Genova e di Modena è sollevata, in riferimento agli artt.3, 38, secondo comma, e 136 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, il quale dispone: "Gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria sono tenuti a corrispondere gli interessi legali, sulle prestazioni dovute, a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda. L'importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito".

2. I due giudizi hanno per oggetto la medesima questione e, pertanto, è opportuno disporne la riunione affinchè siano decisi con unica sentenza.

3. La questione è inammissibile perchè la norma impugnata non è applicabile nei giudizi a quibus.

Occorre premettere che la legge n. 412 del 1991 non ha ripristinato la disciplina dei crediti previdenziali dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza di questa Corte n. 156 del 1991. La fattispecie degli effetti del pagamento ritardato resta ferma nei termini risultanti dal dispositivo della sentenza, differenziandosi quindi dal regime comune sia per il carattere automatico della rivalutazione (operata d'ufficio dal giudice, senza bisogno nè di domanda dell'interessato, nè di alcuna prova del "maggior danno"), sia per la decorrenza non dal giorno della maturazione del credito, ma dalla scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento dell'ente sulla domanda della prestazione previdenziale.

Tuttavia la portata della norma non si esaurisce in una semplice modificazione quantitativa degli effetti del ritardo.

L'esclusione del cumulo della rivalutazione con gli interessi e la determinazione del diritto del creditore nella maggior somma tra il differenziale di svalutazione e gli interessi calcolati sulla somma nominale, producono un mutamento di natura del credito previdenziale rispetto all'interpretazione dell'art. 429, terzo comma, cod.proc.civ. prevalsa nella giurisprudenza.

Secondo tale interpretazione - alla quale questa Corte si è adeguata nell'estendere la regola alle controversie in materia previdenziale (salvo il diverso criterio di decorrenza della rivalutazione e degli interessi) - l'art. 429, inteso come "forma di attuazione dell'art.36 Cost.", sottrae i crediti di lavoro al principio nominalistico, così che la rivalutazione "deve considerarsi parte del complesso credito del prestatore, scaturente dallo stesso rapporto di lavoro", e conseguentemente gli interessi vanno computati sulla somma capitale rivalutata. Per i crediti previdenziali l'art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 - intervenuta successivamente all'elevazione al dieci per cento del saggio degli interessi legali (art. 1 della legge n. 353 del 1990) - ha ristabilito l'interpretazione rigorosamente letterale, che ascrive all'art.429, terzo comma, il significato di norma speciale all'interno del sistema dell'art. 1224 cod.civ.: gli interessi si calcolano sulla somma nominale e la rivalutazione spetta a titolo di "maggior danno", eccezionalmente ritenuto in re ipsa per il solo fatto della svalutazione, quando risulti superiore al dieci per cento.

4. Così precisata la portata dell'innovazione, nel senso che essa determina un nuovo contenuto del credito previdenziale riconducendolo sotto il dominio del principio nominalistico, la Corte di cassazione, con giurisprudenza ormai consolidata, ne ha tratto la conseguenza dell'inapplicabilità della norma in esame quando la fattispecie costitutiva della responsabilità del debitore per ritardato pagamento si sia perfezionata anteriormente alla data di entrata in vigore della norma medesima (cfr. Cass. nn. 7221, 8264 e 8619 del 1992).

Tale ipotesi ricorre in entrambi i giudizi che hanno dato origine al presente incidente di costituzionalità, onde la questione va dichiarata inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 38, secondo comma, e 136 della Costituzione, dai Pretori di Genova e di Modena con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/10/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 19/10/92.