Sentenza n. 361 del 1996

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SENTENZA N. 361

 

ANNO 1996

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

 

-     Prof. Luigi MENGONI

 

-     Prof. Enzo CHELI

 

-     Dott. Renato GRANATA

 

-     Prof. Giuliano VASSALLI

 

-     Prof. Francesco GUIZZI

 

-     Prof. Cesare MIRABELLI

 

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

-     Avv. Massimo VARI

 

-     Dott. Cesare RUPERTO

 

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

 

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

 

-     Prof. Valerio ONIDA

 

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 10 maggio 1995 dal Pretore di Parma nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Fochi Lamberto ed altri e l'I.N.P.S., iscritta al n. 782 del registro ordinanze 1995 e pubbblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1995.

 

Visti gli atti di costituzione di Tanzi Anna e dell'I.N.P.S., nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 1° ottobre 1996 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

 

uditi gli avv.ti Franco Agostini e Luciano Ventura per Tanzi Anna, Carlo De Angelis per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.-- Nel corso di cinque procedimenti riuniti promossi da Lamberto Fochi e altri contro l'INPS per ottenere la rivalutazione e gli interessi su somme percepite a titolo di ratei arretrati di pensione, il Pretore di Parma, con ordinanza del 10 maggio 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, nella parte in cui non prevede per i crediti previdenziali, a differenza dei crediti di lavoro, il cumulo degli interessi legali con la rivalutazione monetaria in caso di pagamento ritardato.

 

Ad avviso del giudice rimettente, la disposizione impugnata, che ha ripristinato per i crediti previdenziali la regola del non cumulo della rivalutazione con gli interessi di mora, ripropone il contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost. che questa Corte, con la sentenza n. 156 del 1991, aveva ravvisato nell'art. 442 cod.proc.civ., conseguentemente dichiarandone l'illegittimità nella parte in cui, diversamente dall'art.429, terzo comma, con cernente i crediti di lavoro, non prevedeva anche per i creditori di prestazioni previdenziali il diritto di ottenere il maggior danno da svalutazione monetaria in aggiunta agli interessi legali.

 

In punto di rilevanza si osserva che nei primi tre anni successivi all'entrata in vigore della legge impugnata era prevalsa nella giurisprudenza della Corte di cassazione l'interpretazione che, ritenendo modificata dall'art. 16, comma 6, la stessa fattispecie della responsabilità del debitore per ritardato pagamento, escludeva l'applicabilità della nuova disciplina quando i presupposti della responsabilità si fossero interamente verificati entro il 31 dicembre 1991, sul riflesso che la prestazione previdenziale deve essere considerata unitariamente nella sua consistenza globale, indipendentemente dal frazionamento in una pluralità di ratei. In conformità di tale giurisprudenza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 6, e' stata più volte dichiarata inammissibile per irrilevanza in casi in cui la fattispecie della responsabilità dell'ente previdenziale risultava perfezionata prima della data suddetta.

 

Questa giurisprudenza, ad avviso del giudice a quo, deve ritenersi ormai superata dall'opposto orientamento che e' venuto consolidandosi a partire della sentenza della Corte di cassazione n. 8826 del 1994, sicchè la distinzione tra fattispecie perfezionatesi entro o dopo il 31 dicembre 1991 non e' più un criterio di rilevanza della sollevata questione di costituzionalità.

 

2.1.-- Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si e' costituita una delle parti private chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata in conformità dell'ordinanza di rimessione.

 

In una memoria successiva la parte costituita richiama l'art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (non considerato dal giudice a quo), secondo cui "l'art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 si applica anche ai crediti retributivi, previdenziali e assistenziali, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza". Si osserva che, per i crediti previdenziali o assistenziali, e' difficile conciliare questa norma con la legge precedente del 1991 che aveva fissato la cessazione del beneficio del cumulo di interessi e svalutazione allo scadere del 31 dicembre 1991, mentre la nuova legge sembra averla spostata al 31 dicembre 1994 allineando i crediti previdenziali e assistenziali ai crediti di lavoro.

 

In una ulteriore memoria la parte privata sostiene che la collocazione del citato art. 22, comma 36, imporrebbe di intenderne il riferimento ai "dipendenti privati" limitatamente ai lavoratori assunti da pubbliche amministrazioni con contratti di diritto privato, sicchè la discriminazione censurata dal giudice rimettente rimarrebbe ferma in rapporto ai crediti di lavoro nel settore privato.

 

2.2.-- Si e' pure costituito l'INPS chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.

 

L'inammissibilità e' eccepita sul rilievo che nella specie si tratta di pensione riliquidata d'ufficio senza domanda da parte del titolare, sicchè, alla stregua della sentenza n. 156 del 1991 di questa Corte, mancherebbe il presupposto del diritto agli interessi di mora e alla rivalutazione.

 

Nel merito l'Istituto rileva che in materia previdenziale il cumulo fra rivalutazione monetaria e interessi moratori non grava su un datore di lavoro privato, ma sul bilancio pubblico, e questo dato fa una rilevante differenza rispetto ai crediti di lavoro. Con l'art. 16, comma 6, della legge finanziaria per il 1992, orientata a una più rigorosa programmazione di bilancio imposta dagli impegni assunti col trattato di Maastricht, il Parlamento ha voluto limitare l'incidenza degli oneri finanziari derivanti dalla sentenza n. 156 del 1991 senza copertura finanziaria. Il vincolo delle disponibilità di bilancio, che condiziona l'attuazione dell'art. 38, secondo comma, Cost., e' stato più volte riconosciuto da questa Corte, in particolare, con specifico riguardo alla legge n. 412 del 1991, dalla sentenza n. 207 del 1994.

 

3.-- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo una dichiarazione di manifesta inammissibilità per irrilevanza.

 

Secondo l'interveniente, la giurisprudenza su cui si fonda il precedente specifico di questa Corte, costituito dalla sentenza n. 394 del 1992, non può dirsi superata dalla sentenza della Corte di cassazione n. 8826 del 1994 richiamata dal giudice rimettente, considerato che l'originario orientamento e' stato ribadito più volte da sentenze successive.

 

Considerato in dritto

 

1.-- Il Pretore di Parma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (legge finanziaria per il 1992), nella parte in cui non prevede per i crediti previdenziali, diversamente dai crediti di lavoro, il cumulo degli interessi legali con la rivalutazione monetaria in caso di pagamento ritardato.

 

2.1.-- Preliminarmente va disattesa l'eccezione di inammissibilità opposta dall'Avvocatura dello Stato. La giurisprudenza della Corte di cassazione, prevalente fino al 1994, in conformità della quale questa Corte ha dichiarato inammissibile la questione quando la fattispecie della responsabilità del debitore per ritardo dell'adempimento si fosse perfezionata anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 412 del 1991 (cfr. sentenza n. 394 del 1992, seguita da una serie di ordinanze di manifesta inammissibilità, di cui l'ultima e' l'ordinanza n. 441 del 1995), deve ormai ritenersi superata dopo la sentenza delle Sezioni unite n. 5895 del 1996. Pur ribadendo che la portata della norma in esame non si esaurisce in una semplice modificazione quantitativa degli effetti del ritardo, ma ha mutato la natura del credito previdenziale rispetto all'interpretazione dominante dell'art. 429, terzo comma, cod.proc.civ., la sentenza ha però abbandonato l'altra premessa dell'orientamento precedente, secondo cui la responsabilità per ritardato pagamento si stabilisce con riguardo al rapporto previdenziale unitariamente considerato, indipendentemente dal frazionamento della prestazione in una pluralità di ratei. Secondo la nuova giurisprudenza, invece, condivisa dall'ordinanza di rimessione, le conseguenze del ritardo devono essere valutate in rapporto alla scadenza dei singoli ratei, con conseguente applicabilità del ius superveniens anche ai rapporti insorti prima dell'entrata in vigore della legge, limitatamente ai ratei maturati dopo.

 

Inaccoglibile e' pure l'eccezione di inammissibilità avanzata dall'INPS.

 

Essa si fonda su una interpretazione della norma impugnata - in ordine al requisito della domanda dell'interessato - contraria a quella seguita dal giudice rimettente, dalla quale, essendo sostenuta con argomenti non manifestamente implausibili, la Corte non ha ragione di discostarsi ai fini della valutazione di rilevanza della questione proposta.

 

2.2.-- Il patrocinio della parte privata ha sollevato un problema di coordinamento della norma impugnata con l'art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, il quale, nell'estendere il campo di applicazione dell'art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991 "agli emolumenti di natura retributiva ... spettanti ai dipendenti pubblici e privati", menziona insieme con i crediti di lavoro anche i crediti previdenziali e assistenziali, sebbene per questi il divieto di cumulo della rivalutazione con gli interessi fosse operante già dal 1° gennaio 1992. Il problema, quale che ne sia la consistenza, e' irrilevante ai fini del giudizio a quo, nel quale si controverte di ratei pensionistici maturati anteriormente all'entrata in vigore della legge n.724 del 1994 (1° gennaio 1995), onde si spiega l'assenza nell'ordinanza di rimessione (ancorchè emessa in data 10 maggio 1995) di riferimenti a questa legge.

 

3.-- Nel merito la questione non e' fondata.

 

L'illegittimità della norma denunziata e' dedotta sul riflesso che essa ha ripristinato "quella diversità di trattamento fra crediti previdenziali e crediti di lavoro che la Corte ha giudicato incostituzionale".

 

L'argomento trascura alcuni dati di sicura rilevanza differenziatrice.

 

L'analogia funzionale delle prestazioni previdenziali con i crediti di lavoro, ravvisata dalla sentenza n. 156 del 1991, muove implicitamente dalla premessa della diversità strutturale delle due categorie di crediti. Ne discende il corollario, esplicitamente affermato, della non applicabilità diretta dell'art. 36 Cost. ai crediti di pensione: ad essi tale norma e' riferibile solo in direttamente, "per il tramite e nella misura dell'art.38". Ciò significa che l'interpretazione prevalsa dell'art. 429 cod.proc.civ., nel senso del cumulo di interessi e rivalutazione (poi attenuata in ordine alla base di calcolo degli interessi), non e' trasferibile ai crediti previdenziali argomentando da una pretesa identità di natura con i crediti di lavoro. Siffatto argomento e' estraneo alla citata sentenza n. 156, che ha fondato l'estensione della regola del cumulo alle prestazioni previdenziali sul requisito di adeguatezza alle esigenze di vita del lavoratore, enunciato nell'art.38, secondo comma, Cost. Poichè la pensione ha una funzione sostitutiva di un reddito di lavoro cessato, il detto requisito richiama l'art. 36 come referente per la determinazione di quelle esigenze.

 

Ma la commisurazione del trattamento pensionistico al reddito percepito in costanza di rapporto di lavoro incontra un limite nel necessario contemperamento della tutela del pensionato con le disponibilità del bilancio pubblico, a carico del quale e' finanziato in buona parte il sistema previdenziale (cfr. sentenze nn. 220 del 1988 e 119 del 1991).

 

Questa Corte ha più volte riconosciuto che "l'art. 38 Cost. non esclude la possibilità di un intervento legislativo che, per una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica, riduca in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante" (sentenze nn. 240 del 1994 e 822 del 1988).

 

Tanto più questa possibilità deve essere ammessa per gli accessori del credito, in relazione a una normativa che, in deroga al diritto comune dell'art. 1224 cod.civ., aggrava la responsabilità dell'ente pubblico previdenziale attribuendo al creditore il privilegio del coacervo della rivalutazione monetaria con gli interessi.

 

Dopo la sentenza n. 156 dell'8 aprile 1991, in un contesto di progressivo deterioramento degli equilibri della finanza pubblica, la necessità di una più adeguata ponderazione dell'interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica e' stata fatta valere dal legislatore con la norma in esame, il cui inserimento nella legge finanziaria mette in evidenza la "ratio autonoma", già rilevata dalla sentenza n. 207 del 1994, che rende la disposizione esaminata non ingiustificata.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Parma con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/10/96.

 

Mauro FERRI, Presidente

 

Luigi MENGONI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 24/10/96.