Sentenza n. 41 del 1959
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SENTENZA N. 41

ANNO 1959

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 5 e 8 della legge 12 maggio 1950, n. 230, rispettivamente in riferimento agli articoli 113 e 42 della Costituzione, e del decreto del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1951, n. 1423, in relazione allo art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230, e in riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione, promosso con ordinanza emessa il 9 luglio 1958 dal Tribunale di Cosenza nel procedimento civile vertente tra Solima Rosario e Luigi e l'Opera per la valorizzazione della Sila, iscritta al n. 37 del Registro ordinanze del 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 288 del 29 novembre 1958.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 3 giugno 1959 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

uditi l'avv. Cesare Gabriele, per i Solima, e il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l'Opera per la valorizzazione della Sila e per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con atto di citazione 12 gennaio 1954 i sigg. Solima Rosario e Luigi convenivano innanzi al Tribunale di Cosenza l'Opera per la valorizzazione della Sila per sentirla condannare al rilascio di terreni di proprietà di essi attori, malamente espropriati in favore dell'Ente in attuazione della legge 12 maggio 1950, n. 230 (relativa alla riforma fondiaria nell'Altipiano silano), mediante i decreti legislativi di scorporo 18 dicembre 1951, n. 1410 e n. 1423, e per sentir emettere inoltre nei confronti dell'Opera la condanna al risarcimento dei danni, e le altre condanne conseguenziali.

Nel giudizio gli attori sollevavano varie questioni di legittimità costituzionale, relative alla legge 12 maggio 1950, n. 230, e ai due ricordati decreti legislativi. Di tali questioni il Tribunale di Cosenza, con ordinanza 9 luglio 1958, ha investito questa Corte.

2. - Le questioni, così come individuate nella ordinanza di rimessione, sono le seguenti.

La legge 12 maggio 1950, n. 230, sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto: a) l'attribuzione di valore legislativo ai decreti di espropriazione, disposta dall'art. 5, avrebbe lo scopo di eludere l'art. 113 Cost. e di precludere agli espropriati i rimedi giurisdizionali; b) il riconoscimento di una indennità di espropriazione in titoli del debito pubblico ammortizzabili in venticinque anni, anziché in danaro, previsto dall'art. 8, violerebbe l'art. 42 Costituzione.

3. - I decreti legislativi di scorporo - i quali riguardano terreni siti rispettivamente in agro di Bisignano e in agro di Santa Sofia d'Epiro e hanno per destinatari il primo Vincenzo Solima (padre e dante causa degli istanti, deceduto il 26 aprile 1951) e il secondo il medesimo Vincenzo Solima congiuntamente al germano Francesco, entrambi comproprietari al 15 novembre 1949 sia dei terreni in Bisignano che di quelli in S. Sofia - sarebbero a loro volta illegittimi, per eccesso di delega, ai sensi degli articoli 76 e 77 Costituzione.

Entrambi i decreti sarebbero viziati perché: a) con essi sono state eseguite delle espropriazioni in testa a un soggetto defunto, mentre "nulla autorizza a ritenere che la legge abbia stabilito una sopravvivenza giuridica, ai fini dell'espropriazione, di chi abbia cessato di essere soggetto di diritti"; b) le espropriazioni in testa al defunto Vincenzo Solima hanno in realtà colpito i quattro figli di lui nonostante che a ciascuno di questi sia toccata una quota inferiore a 300 ettari, mentre lo scopo della legge di delega consisteva nel "ridurre a 300 ettari la proprietà di chi ne avesse di più e non di chi ne aveva assai meno"; c) tutti i terreni colpiti sono insuscettibili di miglioramenti maggiori di quelli già realizzati, mentre il presupposto del potere di espropriazione sarebbe "che si tratti di terreni suscettibili di trasformazione".

4. - Inoltre il decreto n. 1410 sarebbe viziato perché: a) con esso é stato operato lo scorporo in testa al solo Vincenzo Solima, mentre il piano particolareggiato a suo tempo pubblicato era in danno, congiuntamente, di Vincenzo e Francesco Solima; b) in difformità della legge esso ha compiuto "l'espropriazione di un corpo certo di proprietà comune in danno di uno solo dei partecipanti".

5. - L'ordinanza del Tribunale di Cosenza fu notificata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e al Presidente del Consiglio dei Ministri rispettivamente il 17 e il 20 settembre 1958 e fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 288 del 29 novembre 1958.

6. - Innanzi a questa Corte si é costituito, in data 22 settembre 1958, l'avv. Cesare Gabriele, nell'interesse dei signori Luigi e Rosario Solima, depositando mandato e deduzioni. Si é costituita inoltre, in data 14 novembre 1958, l'Avvocatura generale dello Stato in persona dell'avv. Francesco Agrò, nell'interesse dell'Opera per la valorizzazione della Sila, depositando deduzioni e dichiarando di rappresentare ex lege l'Opera stessa. Si é costituita infine in pari data l'Avvocatura generale dello Stato in persona del medesimo avvocato, nell'interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri, mediante atto di intervento nel quale si dichiara di aderire alle deduzioni e conclusioni dell'anzidetta Opera.

7. - Nelle rispettive deduzioni, in ordine alle questioni di costituzionalità che investono la legge 12 maggio 1950, n. 230, mentre la difesa del Solima si rimette alla giustizia della Corte, l'Avvocatura dello Stato ricorda che le questioni stesse sono state ritenute infondate con le sentenze nn. 60 e 61 del 1957 di questa Corte, e chiede quindi che ne venga dichiarata la manifesta infondatezza.

8. - Quanto alle prime due questioni riflettenti ambedue i decreti legislativi di scorporo, la difesa dei Solima osserva che, siccome al momento della emanazione di tali decreti Vincenzo Solima (cui toccavano 580 ettari di terreno) era già deceduto da otto mesi e nessuno dei figliuoli di lui aveva mai posseduto né aveva diritto a una quantità di terreno che raggiungesse i 300 ettari, i decreti anzidetti violerebbero l'art. 2 della legge 230: il primo comma del citato articolo dichiara soggetti a espropriazione i terreni i quali "appartengono" a soggetti che al 15 novembre 1949 avevano più di trecento ettari; e dall'uso del tempo presente (" appartengono") si ricava che lo scorporo non sarebbe stato possibile se non nei confronti di soggetti esistenti al momento della sua effettuazione, e nei confronti di terreni i quali, al momento dell'emanazione del relativo decreto, appartenessero a soggetti che al 15 novembre 1949 possedevano essi stessi più di trecento ettari. Tale argomentazione viene rafforzata con la considerazione che l'art. 27 della legge andrebbe interpretato nel senso che sarebbero pienamente operanti nei confronti dell'Opera tutti i trasferimenti a titolo gratuito a favore dei figli posti in essere anteriormente alla emanazione dei decreti di scorporo da chi al 15 novembre 1949 possedeva più di trecento ettari.

Obbietta al riguardo l'Avvocatura dello Stato che nel sistema della legge n. 230 devono esser presi in considerazione, ai fini dello scorporo, soltanto i soggetti esistenti e le appartenenze di terreni in atto al 15 novembre 1949, anche se per avventura al momento della adozione dei provvedimenti di scorporo quei soggetti più non esistevano e i terreni avevano altra appartenenza. Che i decreti di scorporo potessero e dovessero essere adottati nei confronti di soggetti eventualmente deceduti tra il 15 novembre 1949 e la data di tali decreti, risulta chiaro dal terzo comma dell'art. 2 della legge, in base al quale "sono esclusi dal computo i terreni trasferiti a causa di morte a favore dei discendenti in linea retta dal 15 novembre 1949 fino all'entrata in vigore della presente legge": questa disposizione con l'eccettuare dalla regola generale il solo caso della successione in linea retta, implica l'irrilevanza di ogni altro caso di successione, e ribadisce l'operatività nei confronti dell'Opera della sola situazione in atto al 15 novembre 1949, anche se per avventura successivamente sia deceduto chi era titolare del diritto a quella epoca. "Quello che ha rilevanza per la legislazione di riforma é che un complesso di terreni possa considerarsi patrimonio di un determinato soggetto al 15 novembre 1949, epoca in cui esso si congela, nella sua unità esproprianda, con la conseguente inefficacia di fronte all'Ente non solo di tutti gli atti volontari dispositivi posteriori, ma anche dei trasferimenti mortis causa".

9. - Circa la questione relativa all'illegittimità dello scorporo per aver colpito terreni insuscettibili di trasformazione fondiaria, i Solima si limitano a osservare che i terreni espropriati "non sono suscettibili né di trasformazione fondiaria in quanto sono poderi modello, né di trasformazione sociale, giacché dividendosi ed assegnandosi in piccoli lotti si polverizzerebbero, mentre costituiscono unità poderali indivisibili, le cui frazioni sarebbero assolutamente improduttive".

Oppone l'Avvocatura dello Stato, richiamandosi alla sentenza n. 66 del 1957 di questa Corte, che l'indagine circa la trasformabilità dei terreni ha carattere politico-discrezionale, e, in quanto tale, é sottratta alla Corte.

10. - Passando alle questioni di costituzionalità che investono il decreto di scorporo n. 1410, i Solima, in ordine a quella relativa al fatto che lo scorporo fu effettuato in testa al solo Vincenzo Solima, mentre il piano particolareggiato era in danno, congiuntamente, di lui e del fratello Francesco, deducono che il decreto sarebbe incorso in violazione degli articoli 3, 4 e 5 della legge 230, in quanto non sarebbe stata osservata "la sequenza degli atti di espropriazione" e "l'assoluta loro uniformità oggettiva e soggettiva". In conseguenza, " mentre in virtù del piano particolareggiato le zone di terreno espropriato avrebbero dovuto essere imputate per metà alla quota ideale di Vincenzo e per metà a quella di Francesco", invece, per effetto del decreto, esse dovrebbero essere imputate tutte alla quota ideale di Vincenzo. Sottolineato che l'individuazione del soggetto scorporando é elemento essenziale e decisivo nella procedura prevista dalla legge 230 (mentre in genere nelle altre procedure espropriative ciò che é essenziale e decisivo é l'individuazione del bene da espropriare), e sottolineata inoltre la necessità della coincidenza assoluta tra piano pubblicato e decreto di approvazione di esso, i Solima pongono in risalto che, quando poi dovesse ritenersi - come essi escludono appellandosi alla sentenza di questa Corte n. 74 del 1957 - che la legge 18 maggio 1951, n. 333, dovesse applicarsi anche alle espropriazioni previste dalla legge n. 230, la precisazione del singolo condomino espropriando sarebbe ancora più essenziale, in quanto per l'art. 8 della citata legge n. 333 la espropriazione potrebbe esaurire solo la quota ideale spettante al detto condomino e la porzione espropriata va imputata alla sua quota. In base alla legge n. 230 - la quale all'art. 3 assegnava per la pubblicazione di esso termini di rigore - il piano "determina la portata oggettiva e soggettiva della espropriazione"; l'art. 5 concedeva al Governo il potere di approvare i piani pubblicati, ma non di modificarli; pertanto il decreto legislativo 1410 mai più poteva scostarsi dai dati soggettivi del piano pubblicato. Concludono sul punto i Solima che il riferito difetto "conduce alla nullità totale del decreto o quanto meno alla riduzione della superficie espropriata in Bisignano a quella metà che in virtù del piano particolareggiato avrebbe dovuto essere imputata a Vincenzo Solima, e cioè ad ettari 83".

Alle argomentazioni avversarie obbietta l'Avvocatura dello Stato che, anche prima che la materia fosse regolata dall'art. 8 della legge n. 333 del 1951, l'art. 2 della legge n. 230 del 1950 consentiva l'espropriazione di terre indivise a carico del condomino nei cui confronti ricorressero gli estremi di espropriabilità, senza peraltro prevedere particolari modalità per siffatte espropriazioni. Prima della legge n. 333 - che introdusse la regola per cui "nel caso di espropriazione di una quota di terreno indiviso il piano particolareggiato di espropriazione é intestato al singolo condomino espropriando" - ben era legittimo dunque (ai fini della identificazione catastale dei terreni) pubblicare nei confronti di tutti i condomini il piano preordinato alla espropriazione di uno solo di essi, salvo poi precisare, in sede di decreto, di quale condomino si volesse espropriare la quota ideale. Nella specie il piano - pubblicato il 15 novembre 1950 - ha avuto la funzione di identificazione dei terreni secondo le risultanze catastali; né la legge n. 333 del 1951, successivamente emanata, "ha prescritto - aggiunge l'Avvocatura - che il piano dovesse indicare il terreno indiviso sottoposto a procedimento espropriativo con indicazione diversa da quella risultante dal catasto, come avverrebbe se esso lo indicasse con la menzione del solo nominativo del condomino espropriando anziché di tutti i condomini intestatari, ma solo che il piano fosse intestato al condomino espropriando". Sarebbe erronea poi la affermazione dei Solima, secondo la quale il piano pubblicato rifletteva soltanto per metà il loro dante causa Vincenzo Solima:

invero quel piano non indicava né le quote di ciascun condomino né la quota di comunione che si intendeva espropriare a Vincenzo Solima: "l'ente ha espropriato tutti i terreni comuni indicati nel decreto di esproprio, e poiché nella comunione il diritto di ciascun condomino investe tutta intera la cosa, esso ha espropriato terreni sui quali, non importa in che proporzione, gravava il diritto del soggetto non espropriando, e con la sola ovvia conseguenza che la porzione espropriata sarebbe stata imputata alla quota del condomino colpito dall'esproprio".

11. - In ordine all'ultima questione di costituzionalità, relativa al fatto che l'espropriazione ha colpito "un corpo certo di proprietà comune" in danno di uno solo dei comproprietari, deducono infine i Solima che in base ai principi che ispirano la legge n. 230 "l'espropriazione non può aver luogo che per un corpus certum e cioè per una zona di terreno determinata, e deve trasferire un diritto pieno di proprietà su questa zona, poiché, se si espropriasse una quota indivisa, l'espropriante, non avendo la piena disponibilità dell'intero corpus, non potrebbe realizzare i fini di pubblica utilità cui la espropriazione é preordinata". Tali principi sono stati violati dal decreto n. 1410, il quale ha espropriato nei confronti di Vincenzo Solima terreni comuni anche a Francesco Solima e ad Eugenio Solima (quest'ultimo, cugino degli altri due) dei quali il primo non possedeva che una quota ideale.

Al riguardo obbietta l'Avvocatura dello Stato che il potere degli enti di riforma fondiaria di espropriare beni indivisi é oggi unanimemente ammesso e autorevolmente affermato; e ricorda la sentenza n. 80 del 1957 di questa Corte, la quale si richiama all'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333. (Ma tale legge, come si é detto, i Solima escludono essere applicabile agli scorpori effettuati nell'Altipiano silano in virtù della legge 230 del 1950, giacché essa riflette i soli scorpori in attuazione della legge n. 841 del 1950, così come ebbe ad affermare questa Corte, con sentenza n. 74 del 1957).

12. - In data 20 maggio 1959 la difesa Solima ha depositato una memoria, nella quale, replicando alle tesi avversarie, ribadisce le argomentazioni sostenute nelle riferite deduzioni.

In ordine alla questione relativa alla intestazione del piano pubblicato ai germani Vincenzo e Francesco Solima, anziché al solo espropriato Francesco, la memoria, riaffermato che la legge 333 non riguarda le espropriazioni dell'Altipiano silano, aggiunge a quanto precedentemente esposto che l'art. 2 della legge n. 230 "non abilita alla espropriazione rispetto ad un solo condomino di quote indivise, ma prescrive soltanto che siano comprese nel computo della superficie appartenente a ciascun soggetto".

In confutazione della tesi dell'Avvocatura dello Stato circa la sufficienza che nel piano pubblicato siano indicati, a fine di identificazione dei terreni, i condomini dei terreni indivisi da espropriare, rinviando al decreto di scorporo l'indicazione del condomino in testa al quale lo scorporo debba aver luogo, la memoria fa presente, in primo luogo, che l'indicazione dei due germani Vincenzo e Francesco non ebbe nel piano pubblicato nel novembre 1950 la mera funzione di elemento di identificazione dei terreni, giacché in esso, per ciascuna frazione di immobile é ripetuta l'espressione "in confronto di Solima Vincenzo e Francesco fu Rosalbino, fratelli "; aggiunge poi che la prova che la necessità che i piani particolareggiati vengano intestati al singolo scorporando anche quando i terreni espropriati appartengano a più condomini rappresenta un'esigenza essenziale e inderogabile del nostro sistema positivo, é offerta proprio dall'art. 8 della legge n. 333 - la quale appunto esige tale intestazione -, nonostante che tale legge non possa applicarsi alle espropriazioni di cui alla legge n. 230.

Osserva inoltre la memoria che l'esigenza della identificazione del soggetto destinato a esser colpito dallo scorporo fin dal momento della pubblicazione del piano particolareggiato prevista dall'art. 3 risulta anche dal fatto che altrimenti la Commissione parlamentare - la quale ai sensi dell'art. 5 deve pronunciarsi sullo scorporo prima della emanazione del relativo decreto - non sarebbe in grado di adottare con cognizione di causa le proprie determinazioni circa la legittimità dell'espropriazione di ciascun soggetto colpito dallo scorporo.

13. - Anche l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria in data 21 maggio 1959, richiamando l'attenzione della Corte su due punti.

Il primo investe l'interpretazione dell'art. 8 della legge numero 333: é vero - si osserva - che questo dispone che il piano deve essere intestato al singolo condomino scorporando, ma esso soggiunge che l'espropriazione deve limitarsi ad esaurire la quota ideale di quest'ultimo e che la porzione espropriata sarà imputata alla quota di quest'ultimo: dunque, da un lato non sono possibili lesioni di diritti del condomino non espropriando, e dall'altro non può costituire illegittimità il fatto che, dopo aver compilato il piano nei confronti di più persone, si ritenga di utilizzarlo nei confronti di una soltanto, in quanto in tal modo si realizzerebbe "un più ristretto esercizio del potere di espropriazione".

Il secondo punto investe il problema che l'Avvocatura definisce della "espropriazione in danno del morto". L'Avvocatura ribadisce il concetto che la situazione soggettiva e oggettiva da tener presente ai fini dello scorporo é puramente e semplicemente quella del 15 novembre 1949: la legge n. 230 prevede una deroga in relazione ai casi di successioni mortis causa apertesi in favore dei discendenti in linea retta tra tale data e quella di entrata in vigore della legge; ma al di là di tali limiti nessuna deroga é ammessa, e nessun ostacolo si frappone allo scorporo "nei confronti del morto".

14. - All'udienza di trattazione della causa i difensori hanno riaffermato le rispettive tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza del Tribunale di Cosenza solleva questioni di legittimità costituzionale in relazione ai decreti legislativi di scorporo 18 dicembre 1951, n. 1410, e 18 dicembre 1951, n. 1423, nonché a taluni articoli della legge 12 maggio 1950, n. 230, sulla colonizzazione dell'Altipiano silano e dei territori ionici contermini, in attuazione della quale i due decreti sono stati adottati.

La Corte ritiene di dover pronunciare separatamente in ordine ai due decreti di scorporo. Con la presente sentenza essa decide soltanto le questioni relative alla legittimità costituzionale del decreto legislativo n. 1423, riflettente l'espropriazione di terreni nel Comune di S. Sofia d'Epiro, e quelle relative alla legittimità costituzionale della legge n. 230, in attuazione della quale tale decreto é stato emanato. Provvede invece con ordinanza di pari data circa il decreto legislativo n. 1410, riflettente l'espropriazione di terreni nel Comune di Bisignano.

2. - Le due questioni di legittimità costituzionale proposte nei confronti della legge 12 maggio 1950, n. 230, investono rispettivamente l'art. 5, per aver autorizzato il Governo ad adottare le espropriazioni mediante decreti insuscettibili di impugnativa ai sensi dell'art. 113 Cost., eludendo il precetto contenuto in tale disposizione costituzionale, che vieta l'esclusione dell'impugnabilità degli atti amministrativi lesivi di diritti o interessi legittimi; l'art. 8, per aver disposto l'indennizzo degli espropriati mediante titoli di debito pubblico redimibile in venticinque anni, violando l'art. 42 Cost., che riconosce ai proprietari espropriati il diritto di essere indennizzati.

Entrambe tali questioni sono già state risolte dalla Corte, rispettivamente con la sentenza 13 maggio 1957, n. 60, e con la sentenza di pari data n. 61.

Con la prima di esse, sul presupposto della natura formalmente e sostanzialmente legislativa e non meramente esecutiva dei provvedimenti di scorporo adottati dal Governo in attuazione dell'art. 5 della citata legge, la Corte giudicò insussistente la elusione, da parte di questo, del precetto contenuto nell'articolo 113 Cost., il quale riguarda gli atti amministrativi (vedansi anche le sentenze del 1957, nn. 63, 64, 65, 70, 78, 80).

Con la seconda sentenza, la Corte ritenne che il precetto dell'art. 42 Cost., in base al quale la proprietà privata non può essere espropriata senza indennizzo, non impone l'integrale ristoro del sacrificio inflitto con l'espropriazione, bensì soltanto "il massimo di contributo e di riparazione che, nell'ambito degli scopi di generale interesse, la pubblica Amministrazione può garantire all'interesse privato". "Ciò importa - aggiunse la Corte - che la valutazione comparativa di tali interessi e il modo come pervenire al massimo della rispettiva soddisfazione deve essere il risultato di un complesso e vario esame di elementi tecnici, economici, finanziari, politici, che solo al legislatore può esser dato compiere". Alla stregua di tali criteri affermò, tra l'altro, la Corte che il pagamento dell'indennizzo in titoli anziché in danaro e la redimibilità di tali titoli solo a una certa epoca non trasgrediscono il riferito precetto costituzionale (vedansi anche le sentenze nn. 60, 64, 65, 68, 71 del 1957).

In conformità del precedente orientamento della Corte, sul quale non vi é motivo di ritornare, tanto la questione che investe l'art. 5 della legge 230, quanto quella che investe l'art. 8 sono da dichiarare infondate.

3. - Delle questioni che investono il decreto 18 dicembre 1951, n. 1423, per essere incorso in eccesso di delega, le prime due possono essere esaminate congiuntamente. L'una attiene al fatto che il decreto ha avuto per destinatario una persona che al momento della emanazione di esso era defunta; l'altra al fatto che il decreto, intestato al defunto, ha in realtà colpito i di lui quattro figli - proprietari dei terreni espropriati al momento della emanazione di esso -, nessuno dei quali si trovava a possedere al 15 novembre 1949 un quantitativo di terreni superiore ai 300 ettari, misura che la legge 230 poneva a presupposto dello scorporo.

É noto che con le leggi di riforma fondiaria n. 230 e n. 841 del 1950 si intese far riferimento alla situazione esistente al 15 novembre 1949, ponendo a base delle espropriazioni la situazione soggettiva (appartenenza dei terreni) e oggettiva (consistenza dei fondi) quale risultava a tale data. Su questo caposaldo della legislazione della materia la Corte ha avuto più volte occasione di pronunciarsi, a partire dalla sentenza 14 maggio 1957, n. 67 (vedansi anche le sentenze nn. 82 e 126 dello stesso anno; le sentenze nn. 70 e 71 del 1958 e n. 34 del 1959; nonché l'ordinanza n. 16 del 1959).

É vero che finora la Corte non ha avuto occasione di pronunciare circa la legittimità dei decreti di scorporo intestati a persone che al momento della emanazione di essi erano defunte. Peraltro dai testi legislativi é dato desumere che, non diversamente dagli altri casi di non coincidenza della situazione patrimoniale soggettiva al momento dello scorporo con quella al 15 novembre 1949, anche nel caso che il soggetto che era, al 15 novembre 1949, titolare dei diritti da espropriare, e alla cui consistenza patrimoniale dell'epoca lo scorporo doveva riferirsi, più non fosse esistito al momento della emanazione dei concreti provvedimenti di scorporo, questi ultimi dovevano essere intestati al suo nome. Per quanto specificamente riguarda la legge n. 230 del 1950, il terzo comma dell'art. 2, nell'escludere dal computo da operare ai fini dello scorporo "i terreni trasferiti a causa di morte a favore dei discendenti in linea retta dal 15 novembre 1949 fino all'entrata in vigore della presente legge" (20 maggio 1950), palesemente presuppone che - salva l'eccezione relativa ai beni in cui fossero succeduti dei discendenti in linea retta, limitatamente peraltro al periodo dal 15 novembre 1949 al 19 maggio 1950 (nel quale non rientra il caso in esame, dato che Vincenzo Solima morì il 26 aprile 1951) - lo scorporo dovesse essere operato, anche per "i terreni trasferiti a causa di morte", in testa al soggetto titolare al 15 novembre 1949 dei diritti su di essi (vedasi anche il D. P. R. 17 ottobre 1950, n. 862, emanato in virtù dell'art. 32 della legge n. 230, e contenente norme di attuazione, il quale all'art. 14, secondo comma, dispone:

"I discendenti in linea retta che, ai sensi del terzo comma dell'art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230, intendano ottenere l'esclusione dal computo della proprietà terriera del de cuius dei terreni ad essi trasferiti per successione mortis causa, sono tenuti, nel termine di cui al precedente comma, a dare la prova dell'avvenuta successione e della consistenza complessiva della loro proprietà terriera, inclusi i fondi rustici caduti nella successione e di loro spettanza").

La tesi dei Solima, secondo la quale la legge 230 avrebbe inteso assoggettare a espropriazione soltanto i terreni che al momento dei decreti di espropriazione appartenessero a soggetti che al 15 novembre 1949 avessero posseduto oltre 300 ettari, non é dunque fondata. Essi fanno discendere tale affermazione dall'uso del tempo presente nel primo comma dello art. 2 (che dichiara soggetti allo scorporo i terreni "i quali... appartengono... a singole persone o società che, al 15 novembre 1949, avevano più di 300 ettari"); e sostengono che, appartenendo, al momento del decreto di espropriazione, ai figli di Vincenzo Solima, eredi di lui (nessuno dei quali al 15 novembre 1949 possedeva oltre 300 ettari), i terreni colpiti dal decreto numero 1423 non avrebbero potuto essere espropriati. É evidente però che, se lo scorporo doveva aver luogo nei confronti di chi era proprietario al 15 novembre 1949, anche se deceduto, la situazione patrimoniale da tener presente era quella di Vincenzo Solima, proprietario al 15 novembre 1949 e dante causa degli attori del giudizio a quo, e non quella di costoro.

Entrambe le questioni inerenti all'osservanza dei limiti della delega, qui esaminate, sono quindi da dichiarare infondate: in base all'art. 2 della legge 230 i provvedimenti di scorporo dovevano necessariamente essere intestati a Vincenzo Solima, proprietario al 15 novembre 1949 e al 20 maggio 1950, nonostante che egli fosse deceduto il 26 aprile 1951, e che i figli di lui, proprietari alla data dell'espropriazione, non abbiano mai, individualmente, posseduto, fino al momento dello scorporo, una quantità di terreni superiore a trecento ettari.

4. - Del pari infondata é la questione circa l'eccesso di delega in cui sarebbe incorso il decreto 18 dicembre 1951, n. 1423, per aver assoggettato a espropriazione terreni insuscettibili di ulteriori miglioramenti rispetto a quelli già realizzati in precedenza.

É da por mente al riguardo che l'art. 1 della legge 230 affida all'Opera Sila "il compito di provvedere alla ridistribuzione della proprietà terriera e alla sua conseguente trasformazione, con lo scopo di ricavarne i terreni da concedersi in proprietà a contadini". Quando perciò il successivo art. 2 dice che "ai fini della presente legge sono soggetti ad espropriazione i terreni di proprietà privata suscettibili di trasformazione", l'espressione " trasformazione" in esso usata non deve essere intesa - come già ebbe ad affermare la sentenza di questa Corte 25 maggio 1957, n. 66 - soltanto nel senso di trasformazione agraria, bensì in un senso più lato, comprensivo, in particolare, della realizzazione di aziende contadine. A ogni modo, sia nella sentenza or ora citata, sia in altre (vedansi, in particolare, le sentenze n. 60 e n. 65 del 1957), questa Corte ha costantemente affermato che la suscettibilità dei terreni di subire trasformazioni fondiarie, importando un giudizio economico- politico, sfugge al proprio esame, in quanto attiene all'ambito del merito e non della legittimità dei provvedimenti legislativi.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni proposte con l'ordinanza del Tribunale di Cosenza in data 9 luglio 1958 sulla legittimità costituzionale degli articoli 5 e 8 della legge 12 maggio 1950, n. 230 (recante provvedimenti per la colonizzazione dell'Altipiano silano e dei terreni jonici contermini), rispettivamente in riferimento agli articoli 113 e 42 della Costituzione;

dichiara non fondate le questioni proposte con la medesima ordinanza sulla legittimità costituzionale del decreto legislativo di scorporo fondiario 18 dicembre 1951, n. 1423, in relazione all'art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230, e in riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1959.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI  - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI.

 

Depositata in cancelleria il 9 luglio 1959.