SENTENZA N. 65
ANNO 1957
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente
Prof. Tomaso PERASSI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Prof. Ernesto BATTAGLINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Mario BRACCI
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale:
a) delle norme contenute negli artt.: 5, 7 e 8 della legge 12 maggio 1950, n. 230; 1, comma secondo, 4 e 18 della legge 21 ottobre 1950, n. 841; 2 della legge 18 maggio 1951, n. 333;
b) del D.P.R. 7 febbraio 1951, n. 69;
c) dei DD. PP. RR. 29 novembre 1952, nn. 2951, 2976 e 2977, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza 18 maggio 1956 del Tribunale di Bologna pronunciata nel procedimento civile vertente tra Manzoni Gabriella e l'Ente per la colonizzazione del delta padano, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 195 del 4 agosto 1956 ed iscritta al n. 235 del Registro ordinanze 1956;
2) ordinanza 18 maggio 1956 del Tribunale di Bologna pronunciata nel procedimento civile vertente tra la Società per azioni agraria "La Torre" e l'Ente per la colonizzazione del delta padano, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 195 del 4 agosto 1956 ed iscritta al n. 236 del Reg. ord. 1956;
3) ordinanza 18 maggio 1956 del Tribunale di Bologna pronunciata nel procedimento civile vertente tra la Società per azioni agraria "Mezzacà" e l'Ente per la colonizzazione del delta padano, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 195 del 4 agosto 1956 ed iscritta al n. 237 del Reg. ord. 1956.
Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 27 marzo 1957 la relazione del Giudice Tomaso Perassi;
uditi gli avvocati Giuseppe Osti e Aldo Sandulli per Manzoni Gabriella e per le Società per azioni agrarie "La Torre" e "Mezzacà" ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l'Ente colonizzazione delta padano.
Ritenuto in fatto
Con tre decreti del Presidente della Repubblica n. 2951, n. 2976 e n. 2977 del 29 novembre 1952, venivano trasferiti all'Ente di colonizzazione del delta padano i seguenti beni: ha. 37. 52.73 di terreno coi fabbricati annessi, siti in agro di Ravenna, frazione S. Zaccaria, appartenenti a Gabriella Manzoni; ha. 20.08.94 di terreno siti in Ravenna, frazione S. Alberto, appartenenti alla Società p. a. agraria "La Torre"; ha. 74.86.79 di terreno, pure siti in Ravenna, frazione Camerlona, appartenenti alla Società p. a. agraria "Mezzacà".
Con tre distinti atti del 12 settembre 1953, ciascuno degli espropriati - la Manzoni, interdetta, rappresentata dal tutore Dante Catena - citavano l'Ente di riforma, il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Ministro dell'agricoltura e delle foreste dinanzi al Tribunale di Bologna, chiedendo la restituzione dei beni espropriati e la condanna dell'Ente a risarcire i danni, assumendo che i decreti di esproprio dovevano considerarsi viziati da illegittimità costituzionale perché incostituzionali dovevano ritenersi le norme, sulle quali erano fondati:
1) l'art. 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230 (legge Sila), nonché gli artt. 1, comma secondo, e 16 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (legge stralcio), per violazione degli artt. 76, 77 e 113 della Costituzione: dovendo per questi ultimi articoli ritenersi ammessa soltanto la delegazione per l'esercizio della funzione legislativa e non anche quella riflettente il compimento di atti già rientranti nella normale competenza del potere esecutivo e che avrebbe come unica conseguenza quella di privare il cittadino della tutela giurisdizionale riconosciuta dall'art. 113 citato;
2) l'art. 4 della citata "legge stralcio", per violazione e falsa applicazione degli artt. 44 e 3 della Costituzione: dovendo per questi ultimi ritenersi inammissibili le disparità create tra i proprietari di terreni nelle stesse zone dal sistema seguito per la determinazione delle quote di scorporo, disparità aggravate dall'aver preso a base il reddito dominicale al 1 gennaio 1943 con grave danno per tutti i proprietari, che, successivamente a tale data, avessero eseguito opere di bonifica e di trasformazione fondiaria od agraria;
3) gli artt. 7 ed 8 della legge Sila e l'art. 18 della legge stralcio nonché l'art. 2 della legge 18 maggio 1951, n. 333, per violazione dell'art. 42, comma terzo, della Costituzione: dovendo per quest'ultimo articolo l'indennizzo essere ragguagliato al valore effettivo dei beni espropriati e non determinato in base a coefficienti fiscali sicuramente inadeguati e tali da dare un valore di gran lunga inferiore a quello corrente; dovendo per lo stesso art. 42, comma terzo, ritenersi esclusa la possibilità di esproprio senza indennità dei fabbricati rurali esistenti sui terreni espropriati e non assoggettati alla imposta fondiaria;
4) il decreto legislativo presidenziale del 7 febbraio 1951, n. 69, per violazione dell'art. 44 della Costituzione: dovendo per quest'ultimo articolo ritenersi non consentita la possibilità di assoggettare all'applicazione della legge stralcio terreni facenti parte di una circoscrizione meramente amministrativa (Comune di Ravenna), senza tener conto della diversa consistenza e sistemazione fondiaria ed agraria dei terreni che in tal modo verrebbero ad essere colpiti;
5) i decreti presidenziali di esproprio 29 novembre 1952, nn. 2951, 2976 e 2977, per violazione e falsa applicazione degli artt. 76, 77 e 113 della Costituzione, e perché fondati su tutte le norme impugnate.
Chiedevano pertanto gli attori che, con sentenza esecutiva, si dichiarasse la nullità dei decreti di esproprio, nonché l'obbligo dell'Ente per la colonizzazione del delta padano di restituire i beni espropriati, con la conseguente condanna alla restituzione di detti beni ed al risarcimento del danno per l'occupazione, da liquidarsi in separata sede; in via subordinata, la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni per l'esproprio illegittimo, danni da liquidarsi in separata sede, ed al pagamento quale indennità di una somma pari al valore venale dei beni, più gli interessi su detta somma dal giorno dello spossessamento, nonché la condanna al pagamento delle spese ed onorari del giudizio.
Costituitosi regolarmente il contraddittorio, i convenuti eccepivano l'inammissibilità della domanda in quanto con essa si poneva sostanzialmente una questione di legittimità costituzionale in via principale; deducevano inoltre che le questioni di legittimità costituzionale proposte erano palesemente infondate e chiedevano il rigetto delle domande anche nel merito con la condanna degli attori al risarcimento dei danni ed al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio.
Proposta dagli attori istanza di rimessione alla Corte costituzionale, il Tribunale, con tre distinte ordinanze emesse il 18 maggio 1956, rimetteva gli atti a questa Corte per la risoluzione delle questioni di legittimità costituzionale sopra enunciate.
Eseguite le ultime notificazioni delle ordinanze in data 28 giugno 1956, nonché le comunicazioni prescritte, le stesse ordinanze sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 195 del 4 agosto 1956.
Si sono costituiti gli espropriati, debitamente rappresentati, l'Ente di riforma ed il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentati entrambi dall'Avvocato generale dello Stato.
L'Ente di riforma, alle cui deduzioni ha aderito il Presidente del Consiglio dei Ministri, ha eccepito la improponibilità delle questioni per i motivi già espressi e subordinatamente ha chiesto che si dichiarino infondate, per i seguenti motivi:
a) costituisce jus receptum che la delega ex art. 5 della legge Sila ed 1 della legge stralcio é costituzionalmente legittima;
b) il legislatore ordinario dispone di un potere discrezionale nello stabilire limiti alla proprietà privata "secondo le regioni e le zone agrarie", e la tabella di scorporo, annessa alla legge stralcio, raggiunge lo scopo voluto dalla Costituzione con l'art. 44;
c) lo stesso potere discrezionale compete al legislatore ordinario per la determinazione dell'indennizzo nel caso di sacrificio della proprietà privata: non si può adottare un unico criterio e, per quanto riguarda la riforma fondiaria ed agraria, devesi tener conto che lo scopo cui mira la Costituzione non é soltanto economico (conseguire il razionale sfruttamento del suolo), ma anche sociale (stabilire più equi rapporti nella distribuzione della proprietà terriera); la Costituzione, nell'art. 44, non parla propriamente di indennizzo, appunto perché ha voluto lasciare all'apprezzamento politico del Parlamento lo stabilire come debba essere ripartito fra i membri della collettività l'onere della riforma; quanto ai fabbricati rurali, non é esatto che importino diminuzione del reddito imponibile dei terreni di cui fanno parte, ma é vero il contrario, come risulta dall'art. 68 del R. D.L. 12 ottobre 1933, n. 1539;
d) anche l'individuazione delle zone latifondistiche o depresse, e la valutazione della possibilità di trasformazione dei terreni, non può essere oggetto che di un apprezzamento discrezionale del Governo, su parere degli organi competenti.
Negli ultimi scritti difensivi le parti ribadivano i loro rispettivi assunti che ulteriormente svolgevano all'udienza di discussione del 27 marzo 1957.
Considerato in diritto
1. - Per l'identità delle questioni di legittimità costituzionale proposte con le tre ordinanze di cui in epigrafe, la Corte ritiene opportuno di riunire i tre giudizi per essere decisi con unica sentenza.
2. - L'eccezione di improponibilità proposta in via preliminare dall'Avvocatura dello Stato perché si tratterebbe, sostanzialmente, di questioni sollevate in via principale e non incidentale é stata esaminata e disattesa da questa Corte nella sentenza n. 59 del 13 maggio 1957, alla quale si rinvia.
3. - Le questioni di legittimità costituzionale relative allo art. 5 legge 12 maggio 1950, n. 230, e 1 legge 21 ottobre 1950, n. 841, sono state esaminate e dichiarate non fondate nella sentenza di questa Corte n. 60 del 13 maggio 1957, alla quale si rinvia.
Egualmente infondata deve ritenersi la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge stralcio che limitandosi ad aggiungere all'art. 5 della legge Sila un comma, secondo il quale l'emanazione dei decreti di esproprio può avvenire anche in pendenza della determinazione definitiva della indennità ai sensi dell'art. 7 della stessa legge, non offre profili autonomi per l'indagine di legittimità costituzionale rispetto all'art. 5 della legge Sila.
4. - L'indagine sulla legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge stralcio riguardo agli artt. 44 e 3 della Costituzione deve essere distintamente condotta in ordine a due punti relativi entrambi alla determinazione della percentuale di scorporo:
a) Sotto un primo aspetto gli espropriati rilevano che l'art. 4 non pone un limite uniforme alla estensione massima della proprietà fondiaria in una determinata zona, ma prevede lo scorporo di una quota determinata in relazione al reddito dominicale complessivo e al reddito medio; in tal modo anziché fissare limiti alla estensione della proprietà terriera "secondo le regioni e le zone agrarie", come é consentito nell'art. 44 della Costituzione, la norma impugnata fissa, in una stessa regione o zona agraria, limiti variabili secondo l'entità complessiva della proprietà.
In realtà l'art. 44 della Costituzione, nello stabilire che la legge fissa limiti alla proprietà terriera secondo le regioni e le zone agrarie, non esige che la legge assuma come criterio quello di stabilire un limite massimo uniforme nell'ambito di ciascuna regione o zona agraria. Anzi, le due finalità cui le limitazioni sono espressamente collegate nella norma costituzionale (conseguire il razionale sfruttamento del suolo e stabilire equi rapporti sociali) sono tali da lasciare largo margine alla discrezionalità del legislatore nella scelta dei criteri di limitazione.
In particolare, poi, i criteri assunti nella norma impugnata realizzano entrambi le finalità previste nell'art. 44 e sono condizionati efficacemente alle situazioni delle regioni e delle zone agrarie.
Secondo l'art. 4 della legge stralcio e la tabella allegata, infatti, la quota da scorporare aumenta secondo indici progressivi a misura che il reddito dominicale, e cioè l'estensione dell'intera proprietà, é più elevato, e si abbassa via via che cresce il reddito medio per ettaro e cioè il grado di coltivazione e di produttività dei terreni.
In tal modo, assoggettando all'espropriazione di una percentuale più forte i proprietari di maggiori estensioni, si realizza il fine di stabilire equi rapporti sociali in quelle regioni dove più accentrata é la proprietà terriera; diminuendo, invece, la percentuale di scorporo dove il reddito medio é più elevato, si consegue il razionale sfruttamento del suolo perché l'opera degli enti di riforma viene ad essere più estesa in quelle zone in cui il grado di produttività dei terreni é basso ed é più limitata laddove era stato già ottenuto un sistema di coltura intensiva.
Conseguentemente, il fatto che per terreni di identica qualità l'art. 4 della legge stralcio consenta ad un soggetto di conservare una proprietà più estesa di quella che lascia conservare ad altro soggetto nella stessa zona, non si può ritenere contrastante né con l'art. 44 né con l'art. 3 della Costituzione per i fini e le situazioni che queste norme tutelano e per le condizioni che alle tutele in esse accordate sono imposte.
b) Sotto un secondo aspetto gli espropriati deducono l'illegittimità dell'art. 4 per il criterio in esso adottato secondo il quale la quota da espropriare é determinata in relazione al reddito accertato al 1 gennaio 1943, senza tener conto degli eventuali miglioramenti successivi, con la conseguenza di creare, per il proprietario che li avesse eseguiti, una situazione peggiore rispetto al proprietario rimasto inattivo.
L'assunto degli espropriati é però inesatto, perché il riferimento al reddito dominicale al 10 gennaio 1943, disposto dalla norma impugnata, non comporta l'assunzione pura e semplice del reddito risultante a tale data ai fini dello scorporo.
Come é stato esposto dall'Avvocatura dello Stato nella comparsa conclusionale innanzi al Tribunale di Bologna in data 15 giugno 1944, la data del 1 gennaio 1943 é quella in cui sono entrate in vigore le tariffe per il nuovo catasto a seguito della revisione generale degli estimi disposta con il R.D.L. 4 aprile 1939, n. 589.
Altra cosa é, invece, la determinazione in concreto del reddito imponibile per ciascun fondo, la quale viene fatta applicando le tariffe alle singole particelle mediante una successiva operazione detta di "classamento", e che, stando proprio alla dizione dell'art. 4 della legge stralcio, deve essere riferita alla data 15 novembre 1949, poiché detta norma, mentre fa riferimento al reddito dominicale al 1 gennaio 1943 assoggetta, poi, ad esproprio i terreni nella loro "consistenza" al 15 novembre 1949.
E poiché non é stato specificamente dedotto che nei decreti di scorporo impugnati si sia seguita una via diversa, ed anzi, nella replica innanzi al Tribunale di Bologna (pagg. 96 e segg., lett. E, fasc. uff. n. 3668) gli espropriati, dopo aver concordato nella suddetta interpretazione, insistono nell'impugnativa dolendosi perché "l'indennità non é commisurata alla effettiva consistenza attuale dei fondi", deve disattendersi sotto il profilo ora esaminato anche la censura conseguenziale relativa ai decreti di esproprio.
Quanto poi alla questione della determinazione dell'indennità secondo il valore venale essa é stata respinta nella sentenza di questa Corte n. 61 del 13 maggio 1957, alla quale si rinvia.
Concludendo sotto entrambi i profili deve ritenersi non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge stralcio.
5. - La questione di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 8 della legge Sila, 18 della legge stralcio, 2 della legge 18 maggio 1951, n. 333, in relazione all'art. 42, terzo comma, della Costituzione é stata decisa nella sentenza n. 61 del 13 maggio 1957, alla quale si rinvia.
In particolare si é poi denunciata la illegittimità delle stesse norme in quanto darebbero luogo ad espropriazione senza indennizzo dei fabbricati rurali perché nel valore determinato ai fini della imposta straordinaria patrimoniale, al quale le dette norme fanno riferimento per la determinazione dell'indennità di esproprio, non sarebbe stato compreso il valore che poteva essere attribuito ai fabbricati rurali privi di reddito imponibile ed esenti dalla normale imposta fondiaria; di modo che, adottando quel valore per un esproprio comprendente i terreni e i fabbricati rurali, a questi ultimi non verrebbe assegnato alcun corrispettivo.
Ma la censura non ha fondamento perché le costruzioni rurali, essendo pertinenze dei terreni cui servono, nel sistema dell'imposta fondiaria non hanno un reddito proprio, ma concorrono a determinare il reddito dominicale del fondo (artt. 16 e 18 R. D.L. 8 ottobre 1931, n. 1572); e poiché le leggi di riforma hanno commisurato l'indennità al valore dei fondi accertato ai fini dell'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio e questo, a norma dell'art. 9 D.P.R. 9 maggio 1950, n. 203, si determina appunto in relazione al reddito dominicale, deve riconoscersi che nel valore così determinato é compreso anche quello dei fabbricati rurali.
6. - La questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 7 febbraio 1951, n. 69, e stata esaminata é decisa da questa Corte con la sentenza n. 60 del 13 maggio 1957, alla quale si rinvia.
In particolare é stato dedotto un vizio di eccesso di delega del decreto suddetto per avere compreso nei territori da assoggettare a scorporo il Comune di Ravenna riferendosi così ad una intera circoscrizione amministrativa senza alcun riguardo alla natura dei terreni che vi sono inclusi.
Ma anche questo profilo non toglie valore alle considerazioni espresse nella sentenza richiamata, essendo la discrezionalità del Governo, nella determinazione delle zone suscettibili di trasformazione fondiaria o agraria, collegata non solo al fine della migliore utilizzazione della proprietà terriera ma anche a quello di stabilire più equi rapporti sociali. In questi termini si é di fronte ad un apprezzamento incensurabile in sede di controllo di legittimità costituzionale.
7. - Essendo state respinte tutte le questioni di legittimità costituzionale relative alle norme in base alle quali sono stati emanati i decreti presidenziali di esproprio nn. 2951, 2976 e 2977 é da ritenersi infondata la questione di legittimità costituzionale di detti decreti proposta dalle parti in via conseguenziale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
pronunciando con unica sentenza sui procedimenti riuniti indicati in epigrafe:
respinta l'eccezione pregiudiziale sollevata dall'Avvocatura dello Stato;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative:
a) alle norme contenute negli articoli: 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230; 1, comma secondo, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, in riferimento alle norme contenute negli artt. 76, 77 e 113 della Costituzione; 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, in riferimento alle norme contenute negli artt. 44 e 3 della Costituzione, 7 e 8 della legge 12 maggio 1950, n. 230, 18 della legge 21 ottobre 1950, n. 841; 2 della legge 18 maggio 1951, n. 333, in riferimento alla norma contenuta nell'art. 42, comma terzo, della Costituzione;
b) al D.P.R. 7 febbraio 1951, n. 69, in riferimento alle norme dell'art. 44 della Costituzione e dell'art. 1 della legge 21 ottobre 1950, n. 841;
c) ai DD.PP.RR. 29 novembre 1952, nn. 2951, 2976 e 2977, in riferimento alle norme contenute negli artt. 76, 77 e 113 della Costituzione ed a tutte le disposizioni legislative sopra richiamate.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1957.
Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA
Depositata in cancelleria il 25 maggio 1957.