Sentenza n. 63 del 1957
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SENTENZA N. 63

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 1952, n. 4205, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 gennaio 1953, supplemento ordinario n. 4, promosso con ordinanza della Corte di appello di Napoli in data 28 giugno 1956, emessa nella causa civile tra Farina Giuseppe e la Sezione speciale dell'Opera Nazionale Combattenti per la riforma fondiaria nella Campania, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 220 del 1 settembre 1956 ed iscritta al n. 252 del Registro ordinanze 1956.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita, nell'udienza pubblica del 27 marzo 1957, la relazione del Giudice Antonio Manca;

uditi l'avvocato Aldo Sandulli ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza 28 giugno 1956 la Corte d'appello di Napoli disponeva la trasmissione a questa Corte degli atti del giudizio promosso da Farina Giuseppe contro la Sezione speciale dell'Opera Nazionale Combattenti per la riforma fondiaria nella Campania, perché, previa dichiarazione di illegittimità del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1952, n. 4205, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 gennaio 1953, con il quale era stata disposta l'espropriazione, fosse ordinato il rilascio dei terreni occupati, o, in subordine, fosse pronunciata condanna al risarcimento dei danni.

Con detta ordinanza la Corte d'appello di Napoli ha ritenuto che, nella specie, ricorresse l'ipotesi prevista dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, osservando (nel presupposto che i decreti di espropriazione abbiano valore di legge) che le questioni di legittimità costituzionale, sollevate nel giudizio, non erano fine a sé stesse e non esaurivano la materia del contendere, ma avevano invece carattere incidentale in funzione della domanda proposta per la lesione del diritto soggettivo di proprietà e per ottenere il risarcimento del danno.

Ha ritenuto quindi la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle seguenti questioni:

1) se gli artt. 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, e 1 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, delegando al Governo il potere di adottare i provvedimenti indicati nei detti articoli, abbiano violato le disposizioni degli artt. 76 e 113 della Costituzione;

2) se il decreto di espropriazione 28 dicembre 1952, n. 4205, abbia violato l'art. 3 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, per avere espropriato terreni di proprietà del Farina, senza che si fosse preventivamente elaborato il programma per la trasformazione fondiaria dei terreni del Salernitano.

L'ordinanza ritualmente notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 1 settembre 1956.

Davanti a questa Corte si sono costituiti, depositando le deduzioni, il Farina con procura in calce alle stesse, il 27 luglio 1956, e la Sezione speciale dell'Opera Nazionale Combattenti, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, depositando le deduzioni, pure il 27 luglio 1956.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri é intervenuto, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto 28 luglio 1956, aderendo alle conclusioni prese nell'interesse della Sezione speciale dell'Opera Nazionale Combattenti.

La difesa del Farina quanto alla prima questione, nelle deduzioni, osserva che l'art. 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, e l'art. 1 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, sono in contrasto con le disposizioni degli artt. 76 e 77 della Costituzione e violano l'art. 113 della Costituzione stessa, in quanto il Parlamento può delegare al Governo la potestà di emanare decreti aventi forza di legge, soltanto per l'esercizio della funzione legislativa, non già in ordine ad una attività meramente esecutiva, nell'ambito rigorosamente delimitato dal legislatore.

Nel merito sostiene che i programmi di trasformazione fondiaria e agraria, cui si riferisce l'art. 3 della legge stralcio n. 841 del 1950, costituiscono il presupposto necessario affinché si possa procedere ai singoli provvedimenti di espropriazione, essendo nell'intento del legislatore che gli scorpori siano realizzati in funzione di un piano organico ed unitario.

Conclude quindi perché sia dichiarata l'illegittimità costituzionale del decreto di espropriazione sopra ricordato.

L'Avvocatura dello Stato, nelle deduzioni, eccepisce preliminarmente la mancanza del presupposto necessario per proporre davanti a questa Corte la questione di legittimità costituzionale, perché il provvedimento di espropriazione sarebbe stato impugnato come oggetto diretto e immediato dell'azione intentata dal Farina, e non già in via incidentale, come questione pregiudiziale rispetto alla definizione del giudizio di merito.

Contesta poi che il decreto di espropriazione, emanato in base all'art. 4 della legge n. 841, abbia natura giuridica di atto amministrativo. E, per quanto riguarda la dedotta illegittimità per la mancata compilazione dei piani di trasformazione fondiaria o agraria, precedentemente all'espropriazione, osserva:

1) che, essendo il decreto di esproprio un atto avente forza di legge, non può avere rilevanza, per la sua legittimità, la sussistenza o meno del piano, che sarebbe un atto interno;

2) che, comunque, in base alla stessa formulazione dell'articolo 3 della legge n. 841 del 1950, la compilazione dei programmi di trasformazione fondiaria o agraria, non é in alcun modo collegata al procedimento di espropriazione; sì che la norma conterrebbe un onere degli Enti verso lo Stato, ma non una condizione per la legittimità dell'esproprio;

3) che, anche ammettendo tale collegamento, la legge non pone alcun termine per la preparazione del piano; se cioè debba essere compilato prima, durante o dopo l'espropriazione;

4) che, d'altra parte, la legge stralcio non poteva condizionare l'espropriazione alla compilazione del piano sia per ragioni pratiche (come ad esempio l'identificazione dei terreni) sia perché il conseguimento dei fini che si propone la legge non può essere sottoposto ad alcuna condizione.

L'Avvocatura conclude quindi, in via principale, perché siano dichiarate improponibili, o, comunque, inammissibili le questioni di legittimità costituzionale; e, in via subordinata, perché le questioni stesse siano dichiarate non fondate.

La difesa del Farina e l'Avvocatura dello Stato, nelle memorie depositate il 14 marzo 1957, illustrano le tesi prospettate nelle deduzioni e insistono nelle conclusioni già enunciate.

 

Considerato in diritto

 

L'Avvocatura dello Stato deduce preliminarmente l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, perché la impugnazione del decreto di esproprio sarebbe stata proposta come oggetto principale del giudizio di merito e non già in via incidentale, quale presupposto necessario per la definizione del giudizio medesimo. Tale eccezione é da ritenersi infondata anche nell'attuale giudizio. Essa é stata respinta con la sentenza n. 59, in pari data, alla quale pertanto basta fare riferimento per la decisione e per la motivazione.

É da tener presente inoltre che, pure con precedente sentenza della stessa data (n. 60) questa Corte ha già esaminata la questione circa la natura giuridica dei decreti di espropriazione, emanati dal Presidente della Repubblica, in base agli art. 5 della legge n. 230 del 12 maggio 1950 e 1 della legge n. 841 del 21 ottobre 1950; ed ha ritenuto che debbano qualificarsi come leggi delegate. Pure tale decisione e le ragioni addotte per sorreggerla devono essere ora confermate.

La questione di legittimità costituzionale relativa all'eccesso di delega, nei termini in cui é stata sollevata nell'ordinanza della Corte di appello di Napoli, consiste nell'esaminare se il decreto di espropriazione del Presidente della Repubblica, in data 28 dicembre 1952, n. 4205, abbia violato l'art. 3 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, per avere espropriato quota della proprietà terriera appartenente al Farina, senza che l'Ente avesse preventivamente provveduto alla preparazione dei programmi di trasformazione fondiaria o agraria nei territori del Salernitano, ritenuti suscettibili di tale trasformazione.

La difesa del Farina, nelle deduzioni e nella memoria, osserva in proposito che la predisposizione dei programmi é stata richiesta dalla citata norma della legge n. 841 del 1950, nell'intento che la riforma fondiaria dovesse attuarsi con un sistema armonico, così da rendere possibile la coordinazione degli scorpori, con riguardo alla situazione dei terreni e alle varie opere da eseguire; con la conseguenza quindi che la compilazione dei detti programmi dovesse precedere le espropriazioni. Si fa notare altresì, a riprova di tale assunto, che l'art. 3, nella collocazione sistematica delle norme della legge del 21 ottobre 1950, n. 841, segue l'art. 2, che si riferisce all'istituzione degli Enti di riforma, e precede l'art. 4, che si riferisce appunto alle espropriazioni. Donde, l'illegittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica, che ha disposto lo scorporo senza che fosse osservato il citato art. 3.

La tesi, peraltro, non può ritenersi fondata.

Non é dubbio che gli enti incaricati di attuare la trasformazione fondiaria o agraria, secondo le norme della legge 12 maggio 1950, n. 230 (cosiddetta legge Sila) e della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (cosiddetta legge stralcio), siano tenuti, per la ragione stessa della loro istituzione, a preparare i piani necessari per effettuare l'anzidetta trasformazione. In questo senso dispongono appunto l'art. 10, ultimo comma, della legge n. 230 riguardo all'Opera per la valorizzazione della Sila, e l'art. 3 della legge n. 841, riguardo agli enti istituiti a norma del precedente art. 2. Ed é pure chiaro che la mancanza di tali programmi non avrebbe consentito di attuare la riforma in modo rispondente alle finalità di interesse generale, cui tendono le disposizioni delle leggi anzidette. Da ciò peraltro non deriva, come conseguenza logicamente necessaria, che la preparazione dei programmi dovesse precedere gli atti di esproprio da emanarsi nei confronti dei vari proprietari e costituisse quindi presupposto per la legittimità costituzionale, degli atti stessi.

La procedura di espropriazione, ai fini delle leggi di riforma, é delineata negli artt. 3, 4, 5 e 7 della legge n. 230 del 1950. Essa comprende i piani particolareggiati da depositarsi negli uffici comunali, affinché gli interessati possano chiedere la rettifica di eventuali errori materiali e che devono essere poi approvati dai decreti di scorporo con la determinazione dell'indennità. Non diverso é il sistema della legge n. 841, che, nell'art. 1, richiama le norme della legge n. 230, in quanto non modificate. Tale procedura prescinde quindi dai programmi che, per l'art. 3 della legge, devono essere preparati dagli enti per tutti i territori suscettibili di riforma, la determinazione dei quali é devoluta al Governo, che vi provvede con decreti aventi valore di legge ordinaria, per delegazione concessa dal secondo comma dell'art. 1 della legge n. 841. Questi programmi, secondo la disposizione anzidetta, hanno portata generale e trascendono perciò i limiti dei singoli procedimenti di esproprio, la cui legittimità, nell'interesse dei proprietari, é condizionata alla osservanza di termini perentori. Non risulta invece da alcuna disposizione, e neppure dall'art. 9 come si dirà in seguito, che, al rispetto di tali termini, gli Enti siano tenuti anche per l'adempimento di quanto disposto dall'art. 3. Si desume pertanto che si tratta non di obbligo dell'Ente nei rapporti con i singoli proprietari, bensì di onere posto a carico degli enti di riforma nei confronti dello Stato, che, a mezzo del Ministero per l'agricoltura e le foreste, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2 della legge n. 841, esercita la vigilanza su detti enti e ne coordina le funzioni e i compiti ai fini dell'attuazione della legge.

La necessità quindi dell'esistenza dei programmi anzidetti per la razionale e coordinata esecuzione della riforma fondiaria o agraria, non é argomento sufficiente per ritenere che essi costituiscano anche il presupposto per legittimare i decreti di espropriazione. E neppure si può trarre argomento (a favore della tesi sostenuta dal Farina) né dal testo dell'art. 3, che parla in senso generico di esecuzione dei piani stessi nei terreni sottoposti a procedimento di scorporo, né dalla collocazione di tale articolo fra le norme contenute nella legge n. 841 più volte ricordata.

D'altra parte l'assunto del Farina non trova conferma nell'art. 9 della ricordata legge n. 841, il quale si riferisce, in particolare, alla facoltà del proprietario di eseguire opere di trasformazione nel terzo residuo della zona espropriata. L'esercizio di tale facoltà infatti é subordinata (primo comma di detto articolo) alla presentazione della domanda, da parte del proprietario stesso con il piano dei lavori, entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione del piano di esproprio, per essere autorizzato ad eseguire, su tutti i terreni del terzo residuo, le opere di trasformazione prevedute dall'Ente. Ma, mentre per il compimento di tali opere si stabilisce il termine di due anni, decorrenti dalla data di autorizzazione, nessun termine invece é posto all'Ente per l'autorizzazione stessa. Dal che si può dedurre che, se questa, come del resto é ovvio, presuppone l'esistenza di un piano generale di trasformazione, la compilazione di esso tuttavia non é soggetta ad alcun limite di tempo nei rapporti col proprietario, e tanto meno quindi se ne può arguire che debba precedere il procedimento di esproprio. Del pari, nel secondo comma dello stesso art. 9, si fissa il termine massimo di quattro anni per l'esecuzione delle altre opere imposte come obbligatorie, e si stabilisce altresì che i lavori devono essere iniziati immediatamente dopo l'approvazione del piano di trasformazione, ma nulla si dice in ordine al tempo in cui tale piano deve essere compiuto.

Inoltre, posto che l'art. 8 della stessa legge dispone la immediata espropriazione dei due terzi dei terreni e lascia al proprietario il terzo residuo, affinché possa eseguirvi le opere previste nel programma preparato dall'Ente, ciò offre ulteriore argomento per ritenere che il procedimento di esproprio e la preparazione del programma stesso costituiscono due attività dell'Ente espropriante che si svolgono su piani diversi, pur convergendo all'unica finalità di attuare la legge di riforma.

Le osservazioni esposte pertanto inducono a concludere che anche se, nel caso in esame, come si rileva nell'ordinanza della Corte di appello, la Sezione speciale dell'Opera Nazionale Combattenti non ha documentato di avere predisposto il programma organico per la trasformazione fondiaria dei territori del Salernitano, ciò non costituisce motivo di illegittimità costituzionale del decreto presidenziale del 28 dicembre 1952, col quale fu espropriata quota della proprietà terriera appartenente al Farina.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinta l'eccezione pregiudiziale dedotta dall'Avvocatura dello Stato;

dichiara non fondata la questione, sollevata con ordinanza della Corte d'appello di Napoli del 28 giugno 1956, sulla legittimità costituzionale degli artt. 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, e 1 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, in riferimento agli artt. 76 e 113 della Costituzione;

dichiara non fondata la questione, sollevata con la stessa ordinanza, sulla legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica in data 28 dicembre 1952, n. 4205, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 gennaio 1953, in relazione all'articolo 3 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1957.

 

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA

 

Depositata in cancelleria il 25 maggio 1957.