SENTENZA N. 34
ANNO 1959
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente
Avv. Giuseppe CAPPI
Prof. Tomaso PERASSI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Prof. Ernesto BATTAGLINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1952, n. 3549, promosso con ordinanza emessa il 27 novembre 1957 dalla Corte di appello di Roma nel procedimento civile vertente tra Silenzi Maria Antonietta, l'Ente Maremma e il Ministero dell'agricoltura e delle foreste, iscritta al n. 13 del Registro ordinanze del 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 66 del 15 marzo 1958.
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 4 marzo 1959 la relazione del Giudice Antonio Manca;
uditi l'avv. Rosario Nicolò per la Silenzi, l'avv. Guido Astuti per l'Ente Maremma e il sostituto avvocato generale dello Stato Emilio Sivieri per il Ministero dell'agricoltura e delle foreste e per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Con decreto del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1952, n. 3549, (pubblicato nel supplemento ordinario n. 4 della Gazzetta Ufficiale n. 14 del 19 gennaio 1952), furono approvati i piani particolareggiati e, in conseguenza, fu disposta l'espropriazione a favore dell'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale di terreni di proprietà di Silenzi Maria Antonietta, situati nel comune di Sutri, per una superficie complessiva di ha 306, 61, 64 con un reddito dominicale di L. 35.946,99. Poiché davanti al Tribunale di Roma già pendeva il giudizio promosso dalla stessa Silenzi ed altri consorti in lite, per impugnare i piani particolareggiati predisposti dall'Ente Maremma nei confronti di detto Ente e del Ministero dell'agricoltura e delle foreste, l'azione fu estesa anche al decreto anzidetto. Del quale la Silenzi chiedeva la dichiarazione di illegittimità per eccesso di delega rispetto alla legge 21 ottobre 1950, n. 841 (così detta legge stralcio), deducendo che, ai fini dell'applicazione della legge anzidetta, il compendio fondiario di sua proprietà si sarebbe dovuto valutare prescindendo dai terreni, dei quali era proprietaria in Sicilia. Pertanto la consistenza del reddito dominicale complessivo e di quello medio per ettaro si sarebbe dovuta determinare con riferimento esclusivo ai beni immobili di cui la stessa Silenzi era proprietaria nel territorio dei comuni di Sutri e Nepi.
Il Tribunale, con sentenza del 14 settembre 1953, respinse tutte le domande.
Appellò la Silenzi e la Corte d'appello di Roma, mentre con sentenza non definitiva dichiarava proponibile la domanda nei confronti dell'Ente Maremma e del predetto Ministero, in ordine alla questione relativa alla legittimità costituzionale del decreto di scorporo, pronunziava ordinanza in data 27 novembre 1957, con la quale sospendeva il giudizio e ordinava la trasmissione degli atti a questa Corte, ritenendo la soluzione della questione medesima rilevante per la decisione del merito.
In sede di appello, come si desume dall'ordinanza anzidetta, la Silenzi riproponeva la tesi già esposta davanti al Tribunale. Assumeva che, essendosi compresi illegittimamente nell'accertamento del compendio immobiliare, da parte dell'Ente Maremma, anche i beni situati nel territorio della Regione siciliana, dei quali una parte era stata pure espropriata, in base alla legge regionale di riforma agraria del 27 dicembre 1950, n. 104, relativamente agli stessi beni era stata disposta, in applicazione della legge statale e di quella regionale, una duplice espropriazione: una prima col decreto 13 settembre 1951 dell'autorità regionale, in forza del quale erano stati imposti anche gravosi oneri, e una seconda, dopo che era stata già effettuata l'espropriazione in Sicilia, per effetto dell'inclusione dei terreni residuati nella Regione, nel calcolo del compendio terriero ai fini dell'attuazione della legge stralcio. In riferimento a questa eccezione la Corte d'appello ha prospettato il dubbio che il decreto di scorporo fosse incostituzionale, in relazione all'art. 76 della Costituzione, per eccesso dai limiti della delega concessa al Governo per l'attuazione della legge stralcio.
Nella motivazione dell'ordinanza la Corte d'appello ricorda che, con l'articolo unico della legge 16 agosto 1952, n. 1206 (così detta legge Salomone), la frase "intera proprietà" contenuta nell'art. 4 della legge n. 841 del 1950 é stata interpretata nel senso di "proprietà di tutti i beni terrieri situati in qualunque parte del territorio della Repubblica"; legge che, con la sentenza n. 62 del 1957, questa Corte ha riconosciuto legittima. Osserva peraltro che l'attuale controversia é diversa da quella decisa dalla Corte costituzionale, in quanto la citata sentenza non risolse la questione, in particolare ora sollevata dalla Silenzi, se cioè, pur ammettendosi che per applicare la legge stralcio fosse necessario tener conto anche dei beni situati in Sicilia, di questi beni tuttavia si doveva tener conto ugualmente quando essi fossero assoggettati (o assoggettabili) ad espropriazione secondo la legge regionale. Rileva inoltre l'ordinanza che in questo giudizio "sono in discussione i rapporti tra due distinti poteri legislativi, miranti, con disposizioni analoghe, a perseguire lo stesso unico fine, e i rapporti di sovrapposizione e di coesistenza delle disposizioni medesime".
L'ordinanza della Corte d'appello di Roma é stata regolarmente pubblicata e della medesima sono state eseguite le prescritte notificazioni e comunicazioni.
Si sono costituiti tempestivamente la Silenzi, rappresentata dall'avv. Rosario Nicolò, l'Ente Maremma, in persona del Presidente debitamente autorizzato, rappresentato dagli avvocati Guido Astuti e Luigi De Villa, il Ministero dell'agricoltura e foreste, ed il Presidente del Consiglio dei Ministri (quest'ultimo intervenuto nel giudizio avanti a questa Corte), rappresentati dall'Avvocatura generale dello Stato.
Anche in questa sede la difesa della Silenzi deduce l'illegittimità costituzionale del decreto di scorporo 18 dicembre 1952, sotto il profilo dell'eccesso di delega rispetto alla legge n. 841 del 1950, negli stessi termini già prospettati avanti alla Corte di appello. Insiste nel rilevare che per risolvere l'accennata questione non sarebbe sufficiente richiamare la legge 16 agosto 1952, n. 1206, (così detta legge Salomone), dato che questa, chiarendo, con efficacia d'interpretazione autentica, la portata della disposizione dell'articolo 4 della legge stralcio in ordine al modo di computare la consistenza della proprietà terriera privata, lascerebbe aperto il problema circa il modo di procedere al computo dei terreni, quando nella Regione siciliana abbia avuto applicazione la legge di riforma. Ed al riguardo pone in risalto l'asserito contrasto fra la legge statale e quella regionale, in quanto dirette a colpire gli stessi beni, con l'effetto in ispecie che la legge dello Stato verrebbe in concreto ad interferire nella materia regolata dalla legge regionale, nell'ambito delle attribuzioni legislative della Regione siciliana di cui all'art. 14 dello Statuto speciale. Aggiunge inoltre che nel caso in esame, la situazione si presenterebbe più grave, dati gli oneri di miglioramento imposti alla Silenzi, col decreto 13 settembre 1951, n. 2, del Presidente della Regione siciliana, riguardo ai fondi residuati dall'espropriazione.
La difesa dell'Ente Maremma, alle argomentazioni sopra accennate, oppone che sarebbe da escludere, nella specie, un conflitto fra la legge dello Stato e quella regionale, dato che nessuna limitazione ai poteri del Governo di estendere la riforma fondiaria al territorio della Sicilia, si potrebbe desumere né dalla legge di delegazione, né dall'art. 14 dello Statuto speciale, come ha ritenuto anche l'Alta Corte siciliana; conflitto che comunque non potrebbe in concreto delinearsi, posto che il Governo non si é avvalso della delega per quanto riguarda la Sicilia. Donde in particolare la conseguenza che nessuna norma di carattere costituzionale vietava al Governo di tener conto, per l'applicazione della legge stralcio, della proprietà terriera dovunque situata in tutto il territorio nazionale, compresa anche quella ubicata in Sicilia.
La difesa dell'Ente rileva d'altra parte, in linea di fatto, che, come non sarebbe contestato, col decreto regionale 13 settembre 1951, n. 2, alla Silenzi era stato imposto il conferimento di ha 345.00,35, corrispondenti al reddito dominicale di L. 19.971,76; mentre per il restante reddito di L. 21.132,88, che la detta Silenzi avrebbe dovuto conferire in relazione alla complessiva consistenza terriera in Sicilia di ha 1154,32,71, corrispondente al reddito dominicale di L. 67.654, le erano stati imposti vari oneri previsti dalla legge regionale 27 dicembre 1950, n. 104; che l'Ente Maremma, in base al computo integrale della proprietà terriera della Silenzi (comprendendo cioè anche i beni situati in Sicilia) aveva accertato, ai fini dell'applicazione della legge stralcio, un reddito complessivo di L. 81.459,44; che tuttavia, tenendo conto dell'espropriazione disposta dall'autorità regionale, aveva effettuato in concreto lo scorporo soltanto per ha 306,61,74, per un reddito dominicale di L. 35.946,99. Con la conseguenza quindi che, sommando le due percentuali di scorporo, non si raggiunge il reddito complessivo di L. 81.459,44, in base al quale sarebbe stata consentita l'espropriazione ai sensi della legge stralcio. La difesa dell'Ente conclude pertanto perché si dichiari infondata la questione sollevata con l'ordinanza in esame.
Conclusioni identiche propone anche l'Avvocatura generale dello Stato. La quale premette che, nell'attuale giudizio, non é proposta la questione sulla costituzionalità dell'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, né dell'articolo unico della legge interpretativa 16 agosto 1952, n. 1206; costituzionalità già affermata del resto dalla sentenza di questa Corte n. 62 del 1957.
La difesa dello Stato quindi sostiene che la questione, così come precisata nell'ordinanza della Corte d'appello di Roma, dovrebbe essere contenuta nell'ambito dell'interpretazione della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e della successiva legge 16 agosto 1952, n. 1206.
Osserva che, in base alle predette disposizioni, non sarebbe dubbio che la frase "intera proprietà terriera" si riferisca a tutti i beni in qualunque regione situati, anche a quelli cioè esistenti in Sicilia. Ed esclude che si verificherebbe un'illegittima interferenza della legislazione statale con quella della Regione, in quanto le leggi dello Stato e quelle regionali coesisterebbero, con efficacia ciascuna nei limiti territoriali assegnati.
Un'indebita interferenza si profilerebbe - prosegue l'Avvocatura - qualora con il provvedimento emanato dal Capo dello Stato si volessero espropriare fondi situati in Sicilia. Ma poiché questi ultimi beni sono stati presi in considerazione, nella specie, unicamente ai fini della determinazione della quota espropriabile, ogni interferenza e sovrapposizione delle leggi statali con la legge regionale sarebbe da escludere, e sarebbe altresì da escludere l'invasione da parte dello Stato della sfera di competenza della Regione. Non si potrebbe d'altra parte ritenere che l'esercizio dell'autonomia regionale nella materia della riforma fondiaria possa limitare l'esercizio del potere dello Stato sull'intero territorio nazionale.
Né infine, secondo l'Avvocatura, sussisterebbe quella duplicazione di espropri lamentata dalla Silenzi, poiché, dato il meccanismo delle leggi di riforma fondiaria, non sarebbe anomalo il caso in cui, una volta determinato il reddito dominicale ed in base ad esso calcolata la quota di scorporo, in concreto il procedimento espropriativo colpisse terreni compresi in diversi comprensori di riforma fondiaria, apportando un sacrificio unico a carico del proprietario. Situazione analoga si verificherebbe pure allorché al proprietario appartengano terreni situati in Sicilia, espropriati in applicazione della legge regionale n. 104 del 1950, e terreni situati fuori del territorio regionale, suscettibili di scorporo, ai sensi delle leggi statali. In questo caso il proprietario sarebbe tenuto a sopportare l'espropriazione dell'intera quota. Il che, d'altronde, non si sarebbe verificato nella specie data la situazione di fatto prospettata dall'Ente Maremma.
Le parti hanno depositato il 19 febbraio memorie illustrative, insistendo nelle conclusioni già prospettate.
Nella memoria della Silenzi si precisa, in particolare, in linea di fatto, che, secondo le risultanze dei piani particolareggiati, la quota di scorporo sarebbe determinata computando anche i beni situati nel territorio siciliano, di cui la stessa risultava titolare alla data del 15 novembre 1949. Ed in relazione a tale circostanza é svolta ulteriormente la tesi della illegittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica del 18 dicembre 1952, n. 3549.
L'Ente Maremma non contesta che, in applicazione della circolare del Ministero dell'agricoltura del 7 novembre 1951, n. 23, i piani di espropriazione sono stati compilati con riguardo alla consistenza dell'intera proprietà della Silenzi alla data del 15 novembre 1949, comprendendovi sia i fondi situati nei comuni di Sutri e Nepi, sia quelli compresi nel territorio della Regione siciliana.
Insiste peraltro nell'escludere, nella specie, una duplicazione degli oneri inerenti allo scorporo, dati i limiti in cui l'espropriazione fu contenuta nella Penisola, come già accennato nelle deduzioni.
Per quanto attiene poi alla legge stralcio e alla legge Salomone, ricorda che l'Alta Corte siciliana, con sentenza del 23 aprile 1951, aveva dichiarato inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso della Regione avverso la legge 21 ottobre 1950, n. 841, e che, con successiva decisione del 29 aprile 1953, aveva del pari dichiarato inammissibile il ricorso della Regione contro la legge 16 agosto 1952, n. 1206, osservando, tra l'altro, che in base a queste leggi non si potesse parlare di applicazione della legge stralcio in Sicilia, e neppure di violazioni nella competenza territoriale della legislazione regionale.
L'Avvocatura dello Stato, oltre a ribadire le argomentazioni già esposte nelle deduzioni, precisa che, ai fini di calcolo del coacervo dei beni di proprietà della Silenzi, si tenne conto di tutti i beni esistenti in Sicilia, ancorché assoggettati ad espropriazione, e non soltanto, come si legge nell'ordinanza della Corte d'appello di Roma, dei beni "residuati da una precedente espropriazione effettuata secondo la legge regionale".
Considerato in diritto
La questione sulla costituzionalità del decreto di scorporo, nell'ordinanza della Corte d'appello di Roma, é prospettata nel presupposto che il piano particolareggiato compilato dall'Ente Maremma, ai fini della valutazione del reddito complessivo della proprietà terriera della Silenzi, abbia tenuto conto dei beni residuati da una precedente espropriazione, effettuata in base alla legge regionale siciliana del 27 dicembre 1950, n. 104.
Le parti peraltro concordano sul punto che, per la determinazione del reddito, l'Ente espropriante ha computato i beni nella loro consistenza alla data del 15 novembre 1949, in base all'articolo 4 della legge stralcio, ed ha compreso perciò nel coacervo tutti i terreni, anche quelli che, successivamente alla data predetta, con decreto del 13 settembre 1951, n. 2, hanno formato oggetto del procedimento di espropriazione da parte della Regione siciliana.
É opportuno premettere che tale spostamento circa il presupposto di fatto, ad avviso di questa Corte, non influisce sul giudizio circa la rilevanza della questione, demandato al giudice del merito. É da osservare che già nella motivazione della stessa ordinanza, si fa cenno, in relazione all'eccezione sollevata dalla Silenzi, ai beni non soltanto assoggettati, ma anche a quelli assoggettabili all'espropriazione, e che pertanto nella questione prospettata dalla Corte d'appello, nei termini anzidetti, é logicamente compresa anche l'ipotesi di fatto, realmente verificatasi secondo le concordi ammissioni delle parti.
Tanto dall'ordinanza quanto dagli scritti difensivi delle parti risulta chiaramente che, nell'attuale controversia, é fuori discussione la legittimità costituzionale della legge 16 agosto 1952, n. 1206 (così detta legge Salomone), con la quale la frase "intera proprietà", contenuta nell'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (così detta legge stralcio), é stata autenticamente interpretata nel senso di "proprietà di tutti i beni terrieri situati in qualunque parte del territorio della Repubblica italiana".
L'oggetto della controversia si concreta quindi nell'esaminare quale sia la portata della ricordata legge interpretativa, pubblicata nel 1952, quando cioè già esisteva ed era operante in Sicilia la legge 27 dicembre 1950, n. 104, sulla riforma agraria, emanata in base alla potestà normativa attribuita alla Regione dall'art. 14, lett. a, dello Statuto speciale, la legittimità della quale non si discute.
La difesa della Silenzi premette che tanto la legge statale n. 841 del 1950 quanto quella regionale, testé ricordata, tendono ad attuare riforme agrarie e fondiarie con parziale sacrificio dei patrimoni terrieri più rilevanti. Sostiene quindi, come si é in precedenza accennato, che dalla coesistenza o dalla reciproca autonomia delle due leggi (quella statale e quella regionale), non può non derivare la conseguenza che, allo stesso modo che in Sicilia non si può tener conto, neppure ai fini del computo del reddito dei beni situati altrove, così, per converso, nel continente non si possono prendere in considerazione i terreni ubicati nell'isola. Ciò non soltanto allo scopo della concreta delimitazione della quota di proprietà fondiaria soggetta allo scorporo, ma anche per la valutazione del reddito imponibile complessivo, a norma dell'art. 4 della legge stralcio. Donde la conseguenza, secondo la difesa della Silenzi, - che la legge interpretativa, emanata per eliminare i dubbi sorti nella pratica circa la possibilità di tener conto, nella valutazione appunto del reddito, anche dei beni situati fuori delle zone di riforma, non potrebbe essere utilmente invocata nel caso attuale. Nel quale si tratta di decidere la differente questione dell'applicabilità della legge stralcio rispetto ai beni soggetti ad una diversa legge di riforma fondiaria, legittimamente emanata ed operante in un territorio dotato di speciale autonomia. E ciò per evitare la duplicità e l'aggravamento dei sacrifici, che sarebbero derivati alla proprietaria, secondo quanto si assume nella specie, dalla formazione da parte dell'Ente Maremma del piano di espropriazione in quanto ha compreso anche i beni anzidetti.
La Corte peraltro ritiene che le argomentazioni addotte per sostenere la violazione dell'art. 4 della legge stralcio, non possano superare le difficoltà derivanti dal sistema accolto nell'accennata norma, secondo l'interpretazione che ne ha data la legge del 1952.
É opportuno tenere presenti i criteri fondamentali del disegno di legge sulla riforma fondiaria generale, presentato al Senato il 5 aprile 1950. L'art. 2 di detto disegno di legge, nel primo comma, risulta così formulato: "La proprietà terriera privata, dovunque situata nel territorio della Repubblica, é soggetta ad espropriazione di una quota, determinata in base al reddito dominicale dell'intera proprietà al 1 gennaio 1943, e allo stesso reddito medio per ettaro risultante quale quoziente della divisione del reddito dominicale per la sua superficie". Nell'art. 3 dello stesso disegno di legge, inoltre, il territorio della Repubblica era diviso in tre zone, nella seconda delle quali (zona B) veniva compreso anche il territorio della Regione siciliana.
Ora, l'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (legge stralcio), mentre non contiene la prima parte del ricordato articolo 2, avendo demandato al Governo di determinare, con decreti aventi valore di legge, i terreni suscettibili di trasformazione fondiaria e agraria, ne riproduce invece letteralmente la seconda parte, concernente il computo del reddito. Stabilisce, infatti, che, "nei territori considerati dalla legge, la proprietà terriera privata, nella sua consistenza al 15 novembre 1949, é soggetta ad espropriazione di una quota determinata in base al reddito dominicale dell'intera proprietà". Che questa frase, nell'ambito dell'art. 2 del disegno di legge generale, dovesse intendersi con riferimento ai terreni situati in tutto il territorio nazionale, compresa la Sicilia, non é dubitabile ed appare del resto logico, in quanto lo stesso disegno di legge riguardava, come si é veduto, tutto il territorio della Repubblica.
Qualche dubbio invece, in ordine alla portata della norma anzidetta, ai fini del rilevamento complessivo del reddito, poteva sorgere, ed é sorto nella pratica, per il fatto che la legge del 1950, n. 841, non ha applicato la riforma a tutto il territorio nazionale.
Senonché dai lavori preparatori concernenti il progetto, che poi divenne la legge del 16 agosto 1952, n. 1206, si desume chiaramente che l'art. 4 della legge stralcio é stato direttamente collegato con l'art. 2 del disegno di legge sulla riforma generale, attribuendo alla frase "intera proprietà", contenuta nelle due ricordate disposizioni, significato e portata identici; e che in base a tali criteri direttivi fu approvato il testo dell'articolo unico della legge interpretativa del 16 agosto 1952. La cui formulazione pertanto, riferendosi, come si é accennato, senza distinzione a tutti i beni terrieri situati in qualunque parte del territorio della Repubblica, non consente alcuna limitazione per quanto attiene al rilevamento complessivo del reddito. Ciò spiega e giustifica come nella specie, circa l'accennato rilevamento, ma esclusivamente per questo, nell'applicazione della legge stralcio si é avuto riguardo anche ai terreni, di proprietà della Silenzi, situati nel territorio della Regione siciliana, con le conseguenze che l'ordinanza della Corte d'appello e la difesa della Silenzi hanno prospettato. É palese peraltro che, in base ai rilievi sopra esposti, si tratta di conseguenze strettamente inerenti al sistema della legge parziale di riforma del 1950, nelle sue basi fondamentali, così come é stata interpretata autenticamente dalla successiva legge del 1952; leggi cioè la cui legittimità e fuori contestazione e che, del resto, é stata riconosciuta con la sentenza di questa Corte n. 73 del 1957. Sistema quindi che, limitatamente all'accertamento del reddito, non può essere disapplicato, nonostante la coesistenza di un'altra legge di espropriazione agraria e fondiaria, pure legittimamente emanata, come espressione dell'autonomia regionale. Ne deriva che il procedimento seguito dall'Ente Maremma, che ha rilevato il reddito complessivo della proprietà terriera della Silenzi nel modo già in precedenza accennato, non può considerarsi illegittimo. Non é dubbio, d'altra parte, che la determinazione del reddito afferente all'intera proprietà, se da un lato condiziona in concreto l'espropriazione, in quanto costituisce la base della quota espropriabile nei comprensori di riforma, dall'altro costituisce indubbiamente il limite massimo cui può giungere lo scorporo, anche se effettuato con pluralità di decreti. Limite che, se superato, importerebbe violazione dell'art. 4 della legge del 1950.
Nella specie peraltro tale limite é stato osservato. Non si contesta infatti che il reddito complessivo proveniente da tutti i terreni di proprietà della Silenzi, in base al piano particolareggiato dall'Ente Maremma, era di L. 81.459,44; e che, in applicazione della legge regionale siciliana, l'intero importo che la Silenzi avrebbe dovuto conferire era di L.41.506,44. É pacifico d'altra parte che, nel continente, la Silenzi fu espropriata per una quota di L.35.946,99; con la conseguenza che, sommando tutto l'importo del reddito conferibile in Sicilia con la quota in concreto espropriata nel continente, non si é raggiunto il limite massimo del reddito totale risultante dal rilevamento effettuato in base all'art. 4 della legge stralcio.
Da ciò consegue che il decreto del Presidente della Repubblica del 18 dicembre 1952, n. 3549, non può ritenersi viziato per eccesso di delega in relazione alle disposizioni dell'art. 4 della legge stralcio e dell'articolo unico della legge 16 agosto 1952, n. 1206.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione proposta con ordinanza della Corte d'appello di Roma in data 27 novembre 1957, sulla legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1952, n. 3549, in relazione all'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e all'articolo unico della legge 16 agosto 1952, n. 1206, e in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1959.
Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI.
Depositata in cancelleria il 18 maggio 1959.