Sentenza n. 80 del 1957

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SENTENZA N. 80

 

ANNO 1957

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

 

Prof. TOMASO PERASSI

 

Prof. GASPARE AMBROSINI

 

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

 

Dott. MARIO COSATTI

 

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

 

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

 

Prof. ANTONINO PAPALDO

 

Prof. - MARIO BRACCI

 

Prof. NICOLA JAEGER

 

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

 

Prof. BIAGIO PETROCELLI

 

Dott. ANTONIO MANCA

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 3 ottobre 1952, n. 1613, in relazione all'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333, promosso con ordinanza 12 luglio 1956 del Tribunale di Nuoro nel procedimento civile tra Muzio Pasquale, Muzio Salvatore e l'Ente per la trasformazione fondiaria e agraria in Sardegna (E.T.F.A.S.), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 240 del 22 settembre 1956 ed iscritta al n. 267 del Registro ordinanze 1956.

 

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

 

udita nell'udienza pubblica del 27 marzo 1957 la relazione del giudice Biagio Petrocelli;

 

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò.

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

Nel procedimento civile pendente dinanzi al Tribunale di Nuoro tra Muzio Pasquale contro Muzio Salvatore e contro l'Ente per la trasformazione fondiaria ed agraria in Sardegna (E.T.F.A.S.), avente per oggetto la divisione di alcuni terreni, dei quali il Muzio Pasquale si assumeva comproprietario, espropriati nei confronti di Muzio Salvatore con decreto del Presidente della Repubblica del 3 ottobre 1952, n. 1613, veniva sollevata questione di legittimità costituzionale dell'anzidetto decreto di esproprio in relazione all'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333.

 

Con ordinanza del 12 luglio 1956 il Tribunale, ritenuta la questione non manifestamente infondata "in quanto richiede una precisa disamina del contenuto dello stesso art. 8, la cui interpretazione per i particolari poteri che sembra attribuire all'Ente espropriante può ragionevolmente ingenerare dubbi e perplessità", e ritenuto altresì che il giudizio di merito non poteva essere definito indipendentemente dalla sollevata questione di legittimità del decreto accennato, sospendeva il giudizio medesimo e rimetteva gli atti a questa Corte.

 

L'ordinanza fu notificata alle parti e al P. M. il 31 luglio 1956; al Presidente del Consiglio dei Ministri il 9 agosto 1956, e comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato il 29 luglio 1956. La stessa ordinanza fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 22 settembre successivo.

 

Il 20 agosto 1956 furono depositati nella cancelleria della Corte le deduzioni dell'Avvocatura dello Stato per l'E.T.F.A.S. e il 28 dello stesso mese l'atto di intervento della stessa Avvocatura in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il 29 settembre furono anche depositate le deduzioni di Muzio Pasquale e Salvatore. Il 14 marzo 1957 sono state infine depositate memorie illustrative della difesa dei fratelli Muzio e della Avvocatura dello Stato nell'interesse del Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

I fratelli Muzio nel loro foglio di deduzioni si limitano ad accennare alla incostituzionalità della norma che ha attribuito agli atti amministrativi di espropriazione la qualifica di legge ordinaria, facendo riserva di svolgere successivamente altre argomentazioni, il che hanno fatto con la memoria di cui innanzi.

 

In essa si replica innanzi tutto alla eccezione pregiudiziale avanzata dall'Avvocatura dello Stato in ordine alla improponibilità della sollevata questione, in quanto proposta in via incidentale. Nel merito, poi gli stessi fratelli allargano la linea difensiva tenuta nel sollevare la questione di legittimità. Mentre innanzi al Tribunale si limitarono a porre semplicemente la questione relativa alla espropriazione del terreno indiviso, nel presente giudizio dichiarano che la questione di legittimità costituzionale investe integralmente il menzionato decreto di esproprio n. 1613, non risultando vincolante la limitazione fissata dalla ordinanza del Tribunale di Nuoro della corrispondenza del detto decreto all'art. 8 della legge n. 333.

 

A tal proposito essi ritengono pregiudiziale per il giudizio la questione della qualificazione dell'atto di esproprio, concludendo per la sua natura amministrativa. Esisterebbe, inoltre, una chiara violazione delle norme costituzionali in tema di delegazione legislativa.

 

La delegazione contenuta nell'art. 1 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (legge stralcio), sarebbe costituzionalmente illegittima, perché formulata in modo troppo generico senza alcun rispetto dei limiti posti dall'art. 76 della Costituzione, con la conseguenza che anche il decreto presidenziale impugnato, che indirettamente deve ricollegarsi alla detta legge stralcio, sarebbe illegittimo. Si sarebbe operata una estensione del tutto indiscriminata della stessa legge a una intera regione, come la Sardegna, che non é certo composta di unità culturali omogenee: dal che discende che il decreto presidenziale di esproprio non può considerarsi territorialmente valido.

 

Lo stesso decreto presenterebbe alcuni vizi di eccesso e di difetto di potere, in quanto non contiene l'indicazione del c. d. terzo residuo di cui agli artt. 3, 8, 9 della legge n. 841; reca una erronea valutazione della estensione della proprietà oggetto di scorporo; non ha rispettato gli artt. 10 e 11 della legge stralcio, in base ai quali il proprietario ha diritto ad essere esentato dalla espropriazione relativamente almeno ad una azienda modello tra quelle da lui possedute. Ma il vizio più grave del decreto, secondo i ricorrenti, sarebbe quello posto in luce dall'ordinanza del Tribunale, avere cioé l'E.T.F.A.S. espropriato a carico di Muzio Salvatore una quota ideale della comunione ereditaria, prendendo possesso dell'intera estensione dei terreni comuni, compresa la quota del fratello non espropriato.

 

Se l'art. 8 della legge n. 333 del 1951 indubbiamente consente all'ente di espropriare fino ad esaurire la quota ideale del condomino soggetto passivo, altrettanto indubbiamente esso: a) non fa cenno dell'abolizione del potere di divisione spettante ai privati; b) non conferisce all'Ente espropriante il potere di scelta, cioé il potere di trasformare la quota ideale in porzione concreta, senza neppure il contraddittorio del condomino non espropriato; c) neppure conferisce all'Ente espropriante il potere di immettersi nel possesso di tutto il terreno oggetto del condominio.

 

Contro il rilievo dell'Avvocatura dello Stato relativo alla impossibilità pratica di promuovere la divisione giudiziale dei beni, i fratelli Muzio eccepiscono che non si sostiene affatto che l'ente dovesse promuovere la divisione giudiziale prima di emanare il decreto di esproprio: esso aveva il diritto di espropriare la sola quota ideale, ma doveva fissare un termine perché i condomini provvedessero ad iniziare la divisione giudiziale nel suo contraddittorio.

 

Stimando, pertanto, il ripetuto decreto di esproprio viziato di eccesso di delega in quanto trasferisce all'ente espropriante poteri e diritti che spettano al condomino non espropriato e che la legge delegante non permette di vulnerare, i fratelli Muzio così concludono: "Si chiede che la Corte dichiari illegittimo costituzionalmente il D.P.R. 3 ottobre 1952, n. 1613, con le conseguenze di legge".

 

L'E.T.F.A.S., rappresentato dall'Avvocatura, nelle sue deduzioni, alle quali si riporta anche il Presidente del Consiglio, eccepisce preliminarmente la improponibilità del giudizio di costituzionalità, potendo questo essere sollevato soltanto in via incidentale e non anche in via principale, come invece si riscontra nella presente controversia in cui l'indagine sulla legittimità costituzionale dell'atto legislativo ablativo del diritto di proprietà é indagine che si identifica con il marito della causa, e quindi non é né pregiudiziale né incidentale.

 

Contro le argomentazioni dei fratelli Muzio sul contenuto dell'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333, l'Avvocatura osserva anzitutto che nessun argomento logico e giuridico suffraga la tesi che il legislatore avrebbe inteso distinguere l'espropriazione di un singolo terreno da quella di un complesso di terreni, per modo che mentre l'art. 8 citato sarebbe applicabile nei confronti di chi possedesse in condominio un solo fondo, non lo sarebbe nei confronti del comproprietario di più fondi. Se l'art. 8 vuole tutelare il diritto del condominio, ciò vale sia a favore di chi é comproprietario di un terreno come di chi lo é di un complesso di terreni. Non é concepibile, a ogni modo, che il legislatore non si sia preoccupato di prendere in esame la situazione, del resto frequente, del comproprietario di più fondi oltre che quella del comproprietario di un solo fondo.

 

Quanto all'argomentazione che l'E.T.F.A.S. non avrebbe potuto prendere in concreto la quota spettante all'espropriando Muzio Salvatore, anch'essa é dichiarata priva di fondamento. A volerla ritenere esatta, ne conseguirebbe, secondo l'Avvocatura, la impossibilità di fatto della espropriazione nei confronti di coloro che, pur essendo assoggettabili all'esproprio ai sensi dell'art. 4 della legge stralcio, sono proprietari soltanto di terreni indivisi. Infatti, considerato che l'E.T.F.A.S. fu costituito con D.P.R. 27 aprile 1951, n. 256, e che esso doveva provvedere alla pubblicazione dei piani di scorporo entro il termine perentorio del 31 dicembre 1951, evidentemente la pretesa preliminare divisione giudiziale degli immobili in condominio - il cui procedimento non può di certo esaurirsi in pochi mesi - avrebbe portato a non far rispettare il termine di cui innanzi.

 

Ma a parte questa considerazione, la norma dell'art. 8 della menzionata legge non avrebbe avuto ragion d'essere se dovesse intendersi nel senso che gli enti di riforma dovrebbero promuovere l'esproprio di terreni indivisi previo l'esperimento dell'azione di divisione. Poiché nessuna norma della legge di riforma pone il divieto di espropriare terreni facenti parte di una comunione, sarebbe stato inutile concedere espressamente tale facoltà. Quindi se si deve dare un significato all'art. 8 in questione esso non può essere altro che quello fatto palese dal significato letterale delle parole, che traduce, del resto, in modo chiarissimo la intenzione del legislatore.

 

Alla stregua di tali rilievi l'Avvocatura così conclude: "Piaccia alla Corte costituzionale, ogni diversa istanza disattesa: in via principale: dichiarare improponibile o inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Nuoro con l'ordinanza menzionata in epigrafe; in subordine, dichiarare la questione stessa infondata nel merito, e per l'effetto dichiarare la piena legittimità costituzionale dell'atto legislativo e delle disposizioni oggetto della contestazione attuale. Con ogni statuizione di conseguenza".

 

Nella discussione orale sono state illustrate e ribadite le rispettive argomentazioni.

 

Considerato in diritto

 

La eccezione di inammissibilità sollevata dalla Avvocatura dello Stato, secondo la quale questa Corte non sarebbe stata ritualmente investita della questione di legittimità costituzionale, in quanto proposta in via principale e non incidenter tantum, non può essere accolta.

 

Devono valere a tal proposito le considerazioni svolte nella sentenza di questa Corte n. 59, in data 13 maggio 1957.

 

É poi necessario fissare esattamente i limiti del presente giudizio.

 

Nella memoria in data 13 marzo 1957 la difesa dei fratelli Muzio riconosce che il Tribunale di Nuoro, nella sua ordinanza, ha limitata la questione "al solo profilo della corrispondenza del decreto presidenziale all'art. 8 della legge n. 333 del 1951". Ciò nonostante la difesa ha ritenuto, nella citata memoria, di svolgere, presentandole come oggetto della decisione di questa Corte, altre questioni, e precisamente: la questione relativa alla indicazione del "terzo residuo", di cui agli artt. 3, 8 e 9 della legge 841; la questione circa la "erronea valutazione della estensione della proprietà oggetto di scorporo", e l'altra infine relativa al diritto del proprietario di essere esentato dalla espropriazione relativamente almeno ad una "azienda modello", fra quelle da lui possedute. A proposito delle predette questioni dedotte nella memoria, la difesa sostiene che i termini del giudizio di costituzionalità, quali risultano fissati nell'ordinanza, non sono vincolanti per la Corte, la quale "anche se la rimessione da parte del giudice di merito é limitata ad un solo profilo di illegittimità, ha il potere-dovere di esaminare in toto la legittimità costituzionale della norma stessa sotto qualsiasi profilo che ad essa appaia meritevole di interesse, anche al di fuori di quelli prospettati dalle parti o, d'ufficio, dal giudice a quo".

 

Queste deduzioni della difesa circa la estensibilità del giudizio di costituzionalità a norme diverse o a questioni di legittimità diverse da quelle proposte nell'ordinanza del giudice di merito non possono essere accolte, e all'uopo devono valere le considerazioni svolte da questa Corte in più sentenze. Circa la questione relativa alla qualificazione giuridica dell'atto di esproprio, pure sollevata dalla difesa dei fratelli Muzio, la Corte deve respingere le argomentazioni della stessa difesa, riportandosi a quanto é stato rilevato nella sentenza n. 60 del 13 maggio 1957.

 

Nel merito della questione fissata nell'ordinanza di rimessione del Tribunale di Nuoro, é da premettere che per quanto riguarda la estensione del terreno, di cui l'E.T.F.A.S. si é messo in possesso, l'affermazione della difesa Muzio, secondo la quale la presa di possesso si sarebbe estesa a tutto il terreno oggetto di condominio, compresa la quota del fratello non espropriato, é contraddetta dai dati positivi risultanti dall'ordinanza, vale a dire che la superficie complessiva dei terreni comuni era di ha. 184.09.14, mentre la superficie espropriata fu di ha. 81.85.65. Le obbiezioni che restano da esaminare, circa la legittimità del decreto di scorporo, sono pertanto due. L'una riguarda l'asserito obbligo dell'ente espropriante di "fissare un termine perché i condomini provvedessero ad iniziare la divisione giudiziale nel suo contraddittorio"; con l'altra si sostiene che la legge, mentre consente all'ente di espropriare fino ad esaurire la quota ideale del condominio soggetto passivo, non gli conferirebbe il potere di scelta, "cioè il potere di trasformare la quota ideale in porzione concreta".

 

Contro l'una e l'altra obbiezione sta il chiaro contenuto dell'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333.

 

La parte fondamentale di questo articolo é quella con cui si conferisce all'Ente per la riforma il potere di "provvedere alla espropriazione dei terreni oggetto della comunione fino ad esaurire il valore della quota ideale spettante al condomino espropriando". La espropriazione, come é evidente, importa la immissione nel possesso dell'immobile, il che non può non aver luogo anche nella ipotesi, disciplinata dalla predetta norma, di una espropriazione di terreno indiviso. La immissione in possesso, d'altra parte, implica necessariamente una determinazione concreta della quota oggetto della espropriazione, mantenuta tuttavia nei limiti della parte spettante al condomino espropriando, al quale, in base al primo comma dello stesso art. 8, deve essere intestato il piano particolareggiato concreto. Che poi il procedimento di espropriazione debba svolgersi, come la difesa del Muzio asserisce, in contraddittorio del condomino non espropriato, non é in modo assoluto previsto dalla legge. Del pari non é dato desumere dalla stessa l'obbligo, da parte dell'Ente espropriante, di fissare un termine affinché i condomini possano, in contraddittorio dell'Ente medesimo, iniziare la divisione giudiziale: il che, oltre tutto, avrebbe in pratica impedito l'effettuarsi della espropriazione entro il termine stabilito. L'art. 8, d'altra parte, nel disporre che la porzione espropriata sarà imputata alla quota del condomino colpito da espropriazione, viene a considerare l'eventuale giudizio di divisione come successivo alla espropriazione stessa. Indubbiamente la espropriazione dei terreni in comunione assume caratteristiche speciali, ma la riforma fondiaria non poteva non comprendere anche tali terreni; e l'azione su di essi esercitata dall'Ente espropriante, pur con le sue proprie particolarità, é legittima in base alla chiara disposizione dell'art. 8. Essa infine rientra perfettamente nell'ambito delle esigenze e finalità che hanno ispirato la riforma.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinta la eccezione pregiudiziale sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato;

 

dichiara non fondata la questione proposta con l'ordinanza del Tribunale di Nuoro in data 12 luglio 1956 sulla legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 3 ottobre 1952, n. 1613, in relazione all'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 maggio 1957.

 

Gaetano AZZARITI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA.

Depositata in Cancelleria il 25 maggio 1957.