SENTENZA N. 147
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Giovanni AMOROSO;
Giudici: Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8, e dell’art. 13, comma 5, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall’Unione europea», convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21, promosso dal Consiglio di Stato, sezione quinta, nel procedimento vertente tra RAV - Raccordo Autostradale Valle d’Aosta spa e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e altri, con sentenza non definitiva del 15 gennaio 2025, iscritta al n. 9 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2025.
Visti l’atto di costituzione di RAV - Raccordo Autostradale Valle d’Aosta spa, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 25 giugno 2025 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;
uditi gli avvocati Luisa Torchia, Marco Annoni e Gian Michele Roberti per RAV - Raccordo Autostradale Valle d’Aosta spa, nonché l’avvocata dello Stato Paola Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2025.
Ritenuto in fatto
1.− Il Consiglio di Stato, sezione quinta, con sentenza non definitiva del 15 gennaio 2025 ha sollevato questioni di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3, 11, 41, 77, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 49, 56 e 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) – dell’art. 13, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8, e dell’art. 13, comma 5, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall’Unione europea», convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21.
1.1.− Il giudice rimettente riferisce di essere chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione, da parte di RAV - Raccordo Autostradale Valle d’Aosta spa (RAV), di due diverse pronunce del Tribunale amministrativo regionale per la Valle d’Aosta, che hanno respinto i ricorsi della medesima società avverso due distinte note del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), le quali non hanno riconosciuto alla ricorrente, per gli anni 2020 e 2021, l’adeguamento annuale delle tariffe di pedaggio autostradale, nella percentuale di incremento richiesta.
RAV è titolare della concessione per la progettazione, la costruzione e l’esercizio dell’autostrada Aosta - Traforo del Monte Bianco, sulla base di convenzione unica sottoscritta il 29 dicembre 2009. Gli artt. 15 e 18 di tale convenzione, così come l’art. 4 della delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) del 15 giugno 2007, n. 39 (Direttiva in materia di regolazione economica del settore autostradale), disciplinano il meccanismo di adeguamento tariffario con cadenza annuale. Ai sensi dell’art. 21, comma 5, del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 355 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2004, n. 47, la proposta di adeguamento deve essere presentata entro il 15 ottobre di ogni anno; su tale proposta, entro il successivo 15 dicembre, si esprime con decreto motivato il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
Il Consiglio di Stato riferisce che i decreti ministeriali in materia di adeguamento delle tariffe per gli anni 2016, 2017 e 2018 – che correlavano detto adeguamento all’aggiornamento del Piano economico finanziario (PEF) – sono stati annullati dal TAR Valle d’Aosta (rispettivamente, sentenze 12 ottobre 2016, n. 45; 12 settembre 2017, n. 54; 27 giugno 2019, n. 34). Alle proposte di adeguamento per gli anni 2020 e 2021, il Ministero ha risposto con le note impugnate nei giudizi di primo grado.
Con riferimento al PEF, il giudice a quo rileva che tanto la convenzione, quanto le delibere CIPE n. 39 del 2007 e 21 marzo 2013, n. 27 (Criteri per l’aggiornamento del piano economico-finanziario di cui alla delibera 15 giugno 2007, n. 39), prevedono che la durata della concessione sia divisa in periodi regolatori di cinque anni e che, sei mesi prima della scadenza di ciascun periodo, le parti procedano al suo aggiornamento, che deve essere effettuato entro il 30 giugno del primo esercizio del nuovo periodo regolatorio. RAV ha avviato le procedure per l’adeguamento del PEF relativo agli anni 2014-2018 e, poi, 2019-2023: il Ministero, pure a seguito delle numerose interlocuzioni con la concessionaria, non ha provveduto all’approvazione per nessuno dei due quinquenni.
1.2.− Le due note ministeriali oggetto d’impugnazione da parte di RAV hanno comunicato alla concessionaria un aggiornamento delle tariffe pari allo 0,00 per cento, in considerazione di quanto disposto dalle due disposizioni censurate dinanzi a questa Corte. Il MIT, infatti, ha preso atto del «differimento dei termini di conclusione del procedimento di adeguamento annuale delle tariffe», da tali norme disposto sino alla «definizione del procedimento di aggiornamento dei piani economico finanziari», per concludere il quale è previsto un nuovo termine. Il richiamo delle due note ministeriali all’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, e all’art. 13, comma 5, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, costituisce pertanto, afferma il Consiglio di Stato, «la ragione (unica e necessitata) della decisione», essendo considerato espressamente quale elemento determinante per il superamento delle risultanze delle istruttorie compiute, che contenevano proposte di adeguamento tariffario.
Si tratta, ad ogni modo, non di dinieghi definitivi di adeguamento delle tariffe per gli anni 2020 e 2021, in quanto sono le stesse disposizioni di legge censurate a prevedere un diverso termine per decidere sull’adeguamento. Il Consiglio di Stato, al contempo, rileva che entrambe le note sarebbero lesive degli interessi della concessionaria, in quanto «indipendentemente dall’eventuale recupero futuro di detto adeguamento, in ogni caso il tempo della provvista finanziaria è elemento rilevante per l’attività imprenditoriale».
1.3.− Il giudice rimettente precisa di avere sospeso due giudizi di contenuto analogo in attesa della decisione di questa Corte, «dopo avere avvisato le parti e senza che queste abbiano rappresentato l’esigenza di interloquire direttamente davanti la Corte costituzionale».
1.4.− Il Consiglio di Stato, dopo aver ritenuto non fondati i motivi di appello che non coinvolgono le disposizioni censurate, in punto di rilevanza osserva che una eventuale dichiarazione d’illegittimità costituzionale di queste ultime determinerebbe l’annullamento delle note ministeriali impugnate.
1.5.− Il giudice a quo procede poi ad un’ampia ricostruzione della portata normativa delle disposizioni censurate.
1.5.1.− L’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, determina, per i concessionari il cui periodo regolatorio quinquennale è scaduto, i seguenti effetti: i) differisce il termine per l’adeguamento delle tariffe per il 2020 «sino alla definizione del procedimento di aggiornamento dei piani economici finanziari»; ii) fissa al 30 marzo 2020 il termine per la presentazione, da parte dei concessionari, delle proposte di aggiornamento dei PEF, che sostituiscono e annullano le precedenti e che devono essere riformulate in conformità alle delibere dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART), adottate ai sensi dell’art. 16, comma 1, del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109 (Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze), convertito, con modificazioni, nella legge 16 novembre 2018, n. 130; iii) fissa al 31 luglio 2020 il termine per l’aggiornamento dei PEF. Di conseguenza, osserva il Consiglio di Stato, il termine finale per l’adeguamento tariffario è fissato al 31 luglio 2020.
1.5.2.− La disposizione censurata non avrebbe invece alcuna incidenza sulle competenze dell’ART, sul regime tariffario, sulla disciplina del PEF e sul relativo aggiornamento.
ART, infatti, al tempo dell’entrata in vigore del d.l. n. 162 del 2019 era già competente in materia di adeguamento delle tariffe, anche per le concessioni in essere (ai sensi dell’art. 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, e dell’art. 16 del d.l. n. 109 del 2018, come convertito). Nell’esercizio di questa competenza, ART aveva già dettato il regime tariffario applicabile a RAV (delibere del 18 febbraio 2019, n. 16, recante «Sistema tariffario di pedaggio relativo alle concessioni di cui all’articolo 43 del d.l. 201/2011 come richiamato dall’articolo 37 del medesimo decreto. Avvio del procedimento» e del 19 giugno 2019, n. 64, recante «Conclusione del procedimento avviato con delibera n. 16/2019 - Approvazione del sistema tariffario di pedaggio relativo alla Convenzione Unica ANAS S.p.A. - Raccordo Autostradale Valle d’Aosta S.p.A., che il giudice rimettente riferisce essere state oggetto d’impugnativa, ritenuta non fondata dal TAR Piemonte, sezione seconda, con sentenza 25 novembre 2022, n. 1034).
Al contempo, ART è anche tenuta «a formulare il parere nell’ambito del procedimento di aggiornamento del PEF, dovendo a tal fine rispettare le proprie delibere e potendo formulare le richieste istruttorie necessarie ad adempiere ai propri compiti»: e ciò, anche in riferimento ai rapporti di concessione autostradale in essere, sin dall’entrata in vigore del d.l. n. 109 del 2018. Ne deriva, afferma il giudice a quo, che già prima della disposizione censurata le proposte di aggiornamento del PEF devono rispettare le delibere dell’ART, senza che ciò possa essere impedito – come confermato dalla consolidata giurisprudenza amministrativa – dal già avvenuto avvio del procedimento di aggiornamento del PEF. ART, inoltre, può formulare le richieste istruttorie necessarie, in contraddittorio con la concessionaria, che è tenuta – anche sulla base della delibera n. 64 del 2019 dell’ART – a elaborare il PEF sulla base del regime definito dall’ART.
1.5.3.− Il Consiglio di Stato afferma, pertanto, che per l’aggiornamento del PEF il MIT era tenuto a interloquire con l’ART già prima dell’entrata in vigore della disposizione censurata, dovendo tenere conto delle delibere di essa ART e potendo richiedere al concessionario «una qualsiasi integrazione istruttoria volta a consentire ad Art di esprimere il parere di competenza». La disposizione censurata, dunque, ha sì l’effetto di stabilire che le proposte riformulate dei PEF annullano e sostituiscono le precedenti, ma ciò «risulta strumentale non tanto al procedimento e alla decisione amministrativa riguardante l’aggiornamento tariffario (per le quali le interlocuzioni procedimentali sarebbero state sufficienti), quanto rispetto alla fissazione di un nuovo termine per provvedere, determinato a far data dal (nuovo) avvio procedimentale e la cui giustificazione si rinviene proprio nella riformulazione della proposta».
L’effetto di coordinamento procedimentale che ne risulta non sarebbe, a parere del giudice rimettente, «efficacemente conseguito». Ciò perché, dovendosi chiudere i due procedimenti – adeguamento annuale delle tariffe e aggiornamento del PEF – entro il medesimo termine, l’ART deve esprimersi sulla proposta di aggiornamento del PEF prima che sia concluso il procedimento di adeguamento annuale delle tariffe, quando invece quest’ultimo, riguardando uno dei fondamentali aspetti economici della concessione autostradale, finisce per avere effetti rilevanti sul secondo, «dato che l’imposizione di un diverso sistema tariffario si ripercuote sull’equilibrio economico finanziario della società concessionaria, quindi sul piano economico finanziario e sulla convenzione, della quale il PEF è allegato tecnico» (è citata Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 27 luglio 2021, n. 5585).
1.6.− Tutto ciò premesso, il Consiglio di Stato ritiene «inammissibili» alcune delle questioni di legittimità costituzionale o di compatibilità con il diritto dell’Unione europea dedotte da RAV, in quanto estranee all’oggetto della controversia.
1.7.− Il giudice rimettente dà conto, poi, della circostanza che l’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, è stato modificato dall’altra delle disposizioni censurate, contenuta nell’art. 13, comma 5, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito. Quest’ultima, per un verso, ha differito al 31 luglio 2021 il termine per l’aggiornamento dei PEF e l’adeguamento delle tariffe e, per l’altro, ha coinvolto nella dilazione del termine non solo, come già la prima disposizione censurata, l’adeguamento per l’anno 2020, ma anche quello per l’anno 2021.
La disciplina di cui al d.l. n. 162 del 2019, come convertito, è stata successivamente oggetto di ulteriori modifiche, sino alla sua sostituzione con l’art. 8, comma 9, del decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215 (Disposizioni urgenti in materia di termini normativi), convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio 2024, n. 18.
Il Consiglio di Stato, tuttavia, rileva che le uniche disposizioni rilevanti nel suo giudizio sono quelle di cui ai decreti-legge n. 162 del 2019 e n. 183 del 2020, come convertiti e vigenti alla data dell’adozione delle due note ministeriali impugnate da RAV, la cui legittimità deve essere valutata sulla base di quelle sole disposizioni di legge. Il giudice a quo non manca di rilevare, tuttavia, che le modifiche a tali disposizioni hanno ulteriormente posticipato il termine di conclusione del procedimento per l’adeguamento tariffario, incidendo «in termini peggiorativi sul differimento» già disposto.
Il giudice rimettente precisa, altresì, che il già citato art. 8, comma 9, del d.l. n. 215 del 2023, come convertito, non avrebbe effetti sulla permanenza dell’interesse a ricorrere di RAV: ciò perché, per un verso, detta disposizione riguarderebbe «espressamente i procedimenti che si svolgono nell’anno 2024, non assumendo rilevanza rispetto alle note qui controverse» e, per l’altro, perché l’incremento disposto – pari al 2,3 per cento, corrispondente «all’indice di inflazione previsto per l’anno 2024 dalla Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2023» – non potrebbe ritenersi satisfattivo dell’interesse della ricorrente, sia perché provvisorio, sia perché decorrente dal 2024, mentre nel giudizio a quo si controverte delle annualità 2020 e 2021.
1.8.− Il Consiglio di Stato, prima di motivare in punto di non manifesta infondatezza, si dichiara consapevole della circostanza che il regime introdotto dalle disposizioni censurate pone dubbi, oltre che di legittimità costituzionale, in ordine alla compatibilità con «profili concorrenziali della libertà di impresa e [della] proprietà dei beni, sanciti dal diritto Ue».
Ritiene, tuttavia, «di dare prevalenza all’incidente di costituzionalità rispetto al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia», sia perché le norme censurate appaiono lesive «di numerosi principi e libertà costituzionali», oltre che del corretto esercizio della funzione normativa primaria, che assume «carattere pregiudiziale», sia perché «la libertà di impresa e le regole concorrenziali che la connotano sono sancite non solo dal diritto Ue ma anche dall’art. 41 Cost.»: dal che deriva una ulteriore ragione di preferenza per la scelta di sollevare questioni di legittimità costituzionale, in quanto l’eventuale pronuncia d’annullamento recherebbe un beneficio per il valore della certezza giuridica in settori sensibili. D’altra parte, tale preferenza si mostra in linea con gli orientamenti tanto della Corte di giustizia dell’Unione europea (è citata quinta sezione, sentenza 11 settembre 2014, causa C-112/13, A), quanto di questa Corte (è citata la sentenza n. 269 del 2017).
1.9.− Quanto ai dubbi di legittimità costituzionale, le disposizioni censurate sarebbero in contrasto, innanzitutto, con gli artt. 3 e 77 Cost.
Il Consiglio di Stato è consapevole che il sindacato di questa Corte in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’adozione del decreto-legge è limitata ai casi di «evidente mancanza» o di «manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della relativa valutazione»; rileva, inoltre, che le disposizioni censurate sono omogenee rispetto ai decreti-legge in cui sono inseriti, il cui obiettivo è quello di provvedere alla proroga e alla definizione di termini in scadenza al fine di garantire la continuità dell’azione amministrativa.
La disciplina recata dalle norme censurate, tuttavia, sarebbe in contrasto con gli evocati parametri costituzionali in quanto «non è funzionale al raggiungimento dell’obiettivo dichiarato dal legislatore», «non riveste carattere di urgenza», «è sproporzionat[a]» e «ostacola la continuità dell’azione amministrativa».
1.9.1.− La pubblica amministrazione, infatti, ha, indipendentemente dalla disciplina censurata, la potestà di provvedere anche oltre il termine, di natura ordinatoria, previsto dalla legge per l’adozione di un determinato atto. La continuità dell’azione amministrativa, pertanto, non avrebbe richiesto la proroga dei termini del procedimento, ma ne verrebbe anzi pregiudicata. Ciò perché le disposizioni censurate, differendo i termini, impongono all’amministrazione di non provvedere sull’adeguamento annuale delle tariffe in assenza dell’aggiornamento del PEF, a propria volta dipendente dalla presentazione di una proposta di aggiornamento riformulata.
La disciplina censurata, inoltre, ancorando il termine per l’adeguamento delle tariffe alla conclusione del procedimento di aggiornamento del PEF, ostacola l’annualità dell’adeguamento tariffario, il che si riverbera sulle esigenze imprenditoriali e non risponderebbe ad alcuna esigenza di rilievo pubblicistico.
1.9.2.− L’intervento normativo censurato non sarebbe neppure urgente, innanzitutto perché i termini procedimentali per l’aggiornamento del PEF e per l’adeguamento annuale delle tariffe erano «già scaduti», rispettivamente il 30 giugno successivo alla scadenza del precedente periodo regolatorio e il 15 dicembre 2019.
Alla luce delle già indicate competenze dell’ART, inoltre, le disposizioni censurate non sarebbero necessarie né al fine di tenere conto delle delibere di detta ART attraverso la riformulazione delle proposte di aggiornamento del PEF, né per coordinare i due procedimenti, attesa appunto la «doppia "veste” dell’Art nei due procedimenti in esame» e i poteri istruttori esercitabili dall’amministrazione.
1.9.3.− Anche a voler ammettere che l’intervento normativo renda più trasparente e uniforme la disciplina procedimentale, esso sarebbe sproporzionato rispetto agli effetti prodotti, in violazione dell’art. 3 Cost., in quanto: i) tali finalità «risultano di per sé non necessarie […] specie se si considera che la disposizione si rivolge a (pochi) operatori di mercato in regime monopolistico e rispetto ai quali non si rinvengono rilevanti asimmetrie informative, considerata l’esperienza e la professionalità che li connota»; ii) il risultato non sarebbe raggiunto con il minor sacrificio possibile, potendo essere perseguito senza differire il termine per l’adeguamento delle tariffe, collegato a quello per l’aggiornamento del PEF, che soltanto si impone di riformulare; iii) l’effetto sproporzionato sarebbe aggravato dalle successive modifiche normative; iv) non verrebbe assicurata una maggiore tutela ai concessionari che da lungo tempo non ottengono l’aggiornamento del PEF.
1.9.4.− Le disposizioni censurate, d’altra parte, produrrebbero conseguenze sulla continuità dell’azione amministrativa che non si sarebbero verificate ove fossero valse le «regole generali che informano i procedimenti amministrativi». Esse, infatti, «non consentono o comunque posticipano e rendono maggiormente difficoltosa l’applicazione degli istituti che compulsano la conclusione dei procedimenti aventi termini (ordinatori) scaduti», quali il silenzio inadempimento e la connessa tutela giurisdizionale, la cui azione può essere esercitata solo una volta decorsi i termini (art. 31 dell’Allegato 1 − Codice del processo amministrativo − al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante «Attuazione dell'art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo»); il danno da ritardo procedimentale e l’indennizzo di cui all’art. 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi); le conseguenze previste dall’art. 2, comma 9, della medesima legge sulla posizione del funzionario o dirigente preposto al procedimento. Il tutto, senza che siano prodotti «effetti positivi di altro genere».
1.10.− Il Consiglio di Stato rileva, poi, che le disposizioni censurate «presenta[no] le caratteristiche della legge-provvedimento, integrando le condizioni necessarie per l’ascrivibilità alla predetta categoria»: esse, infatti, riguardano i soli concessionari autostradali con periodo regolatorio quinquennale pervenuto a scadenza.
Le leggi-provvedimento non sono, di per sé, in contrasto con la Costituzione, ma restano soggette «a uno scrutinio stretto di costituzionalità sotto i profili della non arbitrarietà, della proporzionalità e della non irragionevolezza della scelta del legislatore», dovendosi pertanto effettuare un giudizio di congruità del mezzo approntato rispetto allo scopo perseguito e un giudizio di proporzionalità della misura prescelta.
Nel caso di specie, la disciplina normativa «non sostituisce il provvedimento (comunque da adottare), ma modifica le regole del relativo procedimento», sicché ciò che deve valutarsi è «la sussistenza di una ragione che giustifichi la scelta di intervenire con legge a ritardare l’azione amministrativa imponendo il differimento del termine».
1.10.1.− Secondo il giudice a quo, la normativa censurata produrrebbe effetti distorsivi che si riflettono sui princìpi di cui agli artt. 3 e 97 Cost.
Imponendo un ritardo nel decidere sull’istanza di adeguamento tariffario e sull’aggiornamento del PEF, nonché rendendo di più difficile applicazione gli istituti volti a compulsare la conclusione di procedimenti il cui termine ordinatorio è scaduto, essa «deresponsabilizza l’operato dei pubblici dipendenti» e «pregiudica l’efficienza del sistema amministrativo, che presuppone l’esercizio tempestivo e continuo del potere pubblico», così incidendo negativamente sul buon andamento della pubblica amministrazione.
Se, poi, la posticipazione dell’adeguamento delle tariffe è funzionale a calmierarle, il giudice rimettente osserva, innanzitutto, che la razionalizzazione dei sistemi tariffari – in passato stigmatizzati anche dalla Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato (si richiama la deliberazione 18 dicembre 2019, n. 18/2019/G) – era stata già posta in essere dalle delibere dell’ART, applicabili a prescindere dall’intervento normativo censurato.
Ad ogni modo, il fine di evitare una maggiorazione delle tariffe non sarebbe efficacemente perseguito con la posticipazione dei termini procedimentali, che non farebbe altro che alterare «la corrispondenza fra fruizione del bene e pagamento del relativo pedaggio [e allontanarne] nel tempo la corrispondenza, potenzialmente riverberandosi sui fruitori futuri, che fruiscono di un bene che non corrisponde (più) a quello considerato nel pedaggio corrisposto». La mera posticipazione, infatti, non consente di tenere conto delle sopravvenienze, che potrebbero anche essere sfavorevoli al concessionario, e non impedisce che «i ritardi nell’adeguamento annuale non si riverberino sulle successive tariffe», che devono tenere conto di quanto non corrisposto in precedenza (come previsto dall’Allegato A alla delibera dell’ART n. 64 del 2019, punto 32). Tuttavia, poiché deve escludersi «l’imposizione agli automobilisti di una prestazione patrimoniale a prescindere dall’utilizzo in concreto del tratto viario interessato» (è citata la sentenza n. 208 del 2011 di questa Corte), il tempestivo adeguamento delle tariffe autostradali sarebbe funzionale al rispetto dei princìpi di equità e di buon andamento.
1.10.2.− Il Consiglio di Stato osserva, poi, che il mancato adeguamento tariffario «è in generale indice di una gestione non scrupolosa del rapporto concessorio», ciò tanto più ove si consideri che si accompagna al mancato aggiornamento del PEF. Una tale gestione del rapporto concessorio si riverbera sulle prestazioni richieste al concessionario in ordine agli investimenti e, pertanto, potrebbe determinare il sopravvenire dell’inidoneità dell’infrastruttura, «con il rischio di pregiudicare gli interessi dei fruitori del tratto autostradale, oltre che le esigenze di sicurezza strettamente connesse all’oggetto della concessione».
1.10.3.− Il giudice a quo, concludendo su questo specifico profilo, reputa pertanto che le disposizioni censurate, aventi natura di legge-provvedimento, non siano proporzionate rispetto «agli obiettivi perseguiti e agli effetti sortiti» e incidano irragionevolmente sui diritti e sulle garanzie apprestate nell’ambito del procedimento amministrativo dalla legge n. 241 del 1990.
1.11.− Le disposizioni censurate produrrebbero altresì conseguenze negative «sulla libertà d’impresa e sull’utilità sociale», violando l’art. 41 Cost.
Il differimento dei termini che esse determinano, infatti, «pregiudica le capacità programmatorie e di ottenimento delle risorse necessarie per lo svolgimento dell’attività di impresa quale centro di promozione del lavoro e quale soggetto in grado di effettuare servizi e svolgere lavori di interesse per la collettività».
Il Consiglio di Stato osserva, in proposito, che l’incertezza creata dalla normativa censurata – peraltro reiterata nel tempo – impedisce l’organizzazione dell’attività d’impresa, che non può contare nell’immediato sulla provvista finanziaria, né sapere quando l’otterrà; il tutto aggravato dalla circostanza che solo a partire dal 2024, con l’art. 8, comma 9, del d.l. n. 215 del 2023, come convertito, il legislatore ha previsto meccanismi a parziale compensazione del pregiudizio.
1.11.1.− Il giudice rimettente richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui i rapporti di durata non sono di per sé immodificabili, quando vi sia un interesse meritevole di tutela, l’intervento sia finalizzato a scopi di utilità sociale e non si traduca in scelte illogiche, irrazionali o sproporzionate.
Nel caso di specie, mancherebbero esattamente le condizioni per ritenere legittima la disciplina censurata dal rimettente, per le ragioni già poste in evidenza in ordine all’incongruenza del differimento dei termini rispetto alla garanzia della continuità dell’azione amministrativa.
1.11.2.− Per altro verso, le disposizioni censurate si presenterebbero in contrasto anche con l’art. 41, terzo comma, Cost., perché sottrarrebbero il rapporto concessorio ai programmi e controlli previsti dalla legge anche ai fini dell’aggiornamento del PEF e dell’adeguamento annuale delle tariffe.
1.12.− Secondo il Consiglio di Stato, il regime normativo censurato «pregiudica altresì (e per gli stessi motivi) i profili concorrenziali della libertà di impresa», tutelati dagli artt. 49, 56 e 63 TFUE, dagli artt. 16 e 17 CDFUE, nonché dall’art. 1 Prot. addiz. CEDU e dal principio pacta sunt servanda, con conseguente violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.
1.12.1.− La giurisprudenza della CGUE, infatti, avrebbe posizioni convergenti rispetto alla giurisprudenza di questa Corte in ordine: i) alle modifiche legislative dei rapporti di durata, che devono prevedere un sistema di compensazioni adeguate e, per gli operatori economici, adattamenti all’applicazione delle nuove norme; ii) alla chiarezza, precisione e prevedibilità degli effetti delle norme giuridiche, in ossequio ai principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento, che non possono essere evocati se un operatore economico prudente e accorto può prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi.
In questa prospettiva il Consiglio di Stato interpreta le note inviate dalla Commissione europea nell’ambito della procedura d’infrazione C-2006/2419, avviata nei confronti della Repubblica italiana a seguito dell’adozione del regime delle concessioni autostradali di cui al decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286, che recava modifiche unilaterali delle convenzioni allora esistenti, senza recare indicazione degli scopi e delle giustificazioni. In particolare, nella nota del 28 novembre 2007 la Commissione aveva censurato la modificazione, in via unilaterale da parte dello Stato, del regime tariffario per tutta la durata del rapporto concessorio in essere.
Nel caso di specie, non sarebbero state rispettate le condizioni di ammissibilità delle modifiche unilaterali dei rapporti di durata, in quanto le misure introdotte non sarebbero funzionali alla continuità dell’attività amministrativa; il differimento è avvenuto «l’ultimo giorno utile prima dell’inizio dell’anno» ed è stato reiterato in seguito con analoghe modalità; il PEF relativo alla concessione di cui al giudizio a quo è scaduto nel 2013 e gli adeguamenti tariffari sono parziali da molti anni; non sono state previste, d’altra parte, misure di compensazione, se non a partire dal 2024.
1.12.2.− Il giudice rimettente, infine, osserva che le modifiche dei rapporti di durata incidono anche sul diritto di proprietà, che secondo la giurisprudenza europea ricomprende anche le posizioni giuridiche di vantaggio. Alla luce di detta giurisprudenza – che interpreta l’art. 17 CDFUE prendendo in considerazione l’art. 1 Prot. addiz. CEDU – la limitazione della «aspettativa legittima all’adeguamento tariffario e all’aggiornamento del PEF [dovrebbe] essere necessaria e rispondere effettivamente a obiettivi di interesse generale e rispettare il principio di proporzionalità»: il che, per i motivi già illustrati, secondo il Consiglio di Stato non è.
2.− Con atto depositato il 25 febbraio 2025, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’inammissibilità o la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
2.1.− Dopo aver ampiamente ripercorso il contesto normativo entro il quale si collocano le disposizioni censurate, caratterizzato dalla nuova disciplina che affida all’ART la competenza in materia di sistemi tariffari, l’interveniente mette immediatamente in evidenza che le concessionarie autostradali non si sono adeguate a tale nuovo sistema, «contestando anche in sede giudiziaria sia delibere ART che i provvedimenti adottati dal Ministero competente in conformità alle modifiche normative così introdotte e, comunque, proponendo adeguamenti tariffari non conformi alle nuove disposizioni normative».
L’adozione dell’art. 13 del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, si dovrebbe, pertanto, alla circostanza che «le società concessionarie avevano presentato proposte di adeguamento tariffario ancora sulla base di criteri stabiliti dai precedenti piani economici-finanziari, con la conseguenza che gli eventuali aumenti delle tariffe non sarebbero derivati dalla applicazione dei criteri stabiliti dall’Autorità di regolazione dei trasporti e avrebbero potuto comportare aumenti maggiori rispetto a quanto indicato dall’autorità di settore».
Dalla relazione illustrativa al disegno di legge di conversione, emergerebbe che l’art. 13, comma 3, del richiamato decreto-legge si giustificherebbe per il mutato contesto normativo che vede l’intervento di un’Autorità di settore e sarebbe necessario per «raccordare la determinazione degli incrementi tariffari con i nuovi PEF e, ancor prima, con i nuovi criteri di determinazione dei modelli tariffari stabiliti dall’Autorità, così che fosse rispettato il principio di correlazione delle tariffe pagate dagli utenti ai costi effettivamente sostenuti dal gestore del servizio». La dilatazione dei termini procedimentali, pertanto, mirerebbe a garantire che il procedimento «[avvenga] in coerenza con il nuovo quadro normativo, disegnato a partire dal 2011, reso applicabile anche alle concessioni in essere nel 2018 e divenuto operativo con il completarsi dell’attività regolatoria condotta da ART nel corso del 2019».
Il sistema per l’adeguamento tariffario introdotto con le delibere dell’ART, infatti, è profondamente diverso rispetto al precedente ed è ispirato al principio per cui l’adeguamento per investimenti è riconosciuto «solo a fronte dell’effettiva realizzazione degli stessi», sicché lo slittamento dei termini è «giustificato dal mancato perfezionamento dei piani economico finanziari, che rappresentano il quadro di riferimento per la quantificazione delle variazioni tariffarie riconoscibili». D’altra parte, resta ferma per il concessionario la garanzia «del pieno recupero delle eventuali differenze tariffarie non riconosciute nell’anno di riferimento tramite il meccanismo delle poste figurative disciplinate dall’ART».
2.1.1.− Quanto alla seconda disposizione censurata, l’Avvocatura generale dello Stato osserva che, come nuovamente emerge dalla relazione illustrativa del decreto-legge, l’ulteriore slittamento dei termini, e la conseguente sospensione degli adeguamenti tariffari anche per l’anno 2021, è dovuto anche alla circostanza che molti concessionari hanno presentato l’aggiornamento dei PEF «ben oltre» il termine individuato dal d.l. n. 162 del 2019, come convertito, oltre al fatto che le istanze di adeguamento tariffario «non contemplano il nuovo regime tariffario» introdotto dall’ART.
2.2.− La difesa dell’interveniente – dopo aver dato conto delle successive modifiche all’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, comunque sia non rilevanti nel giudizio a quo – ritiene opportuno porre in evidenza che la legge 16 dicembre 2024, n. 193 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023) «ha provveduto ad operare un generale riordino della normativa inerente al settore autostradale», che incide anche sul procedimento per l’approvazione dei PEF e, quindi, degli adeguamenti tariffari. In particolare, ora è previsto che la proposta di PEF sia a carico del concedente, in modo non solo da rafforzare il ruolo del MIT, ma anche da evitare che la riserva del potere di iniziativa in capo ai concessionari «potesse continuare ad alimentare ritardi e situazioni di stallo nei relativi iter approvativi», specie considerando che le richieste sinora avanzate non erano pienamente allineate «alle richieste avanzate dal concedente (e anche dall’ART) per garantirne la conformità ai vincoli regolatori di sistema». La nuova normativa, sottolinea il Presidente del Consiglio dei ministri, è funzionale anche a evitare che i PEF non vengano tempestivamente aggiornati e, correlativamente, a consentire che si faccia un effettivo vaglio sugli investimenti realizzati.
2.3.− Ciò premesso, l’interveniente ritiene non fondati, innanzitutto, i dubbi relativi alla violazione dell’art. 77 Cost. Nel caso di specie, infatti, non si verterebbe in un caso di «evidente mancanza» dei presupposti per l’adozione del decreto-legge.
Le novità apportate a partire dalla delibera dell’ART n. 16 del 2019, infatti, avrebbero reso necessario ancorare l’adeguamento delle tariffe ai nuovi PEF, in quanto altrimenti vi sarebbero stati incrementi tariffari elaborati sulla base di «regimi convenzionali ormai obsoleti». Le disposizioni censurate, pertanto, risponderebbero all’esigenza «di dare impulso alla presentazione di Piani conformi alla nuova disciplina», impedendo che l’aggiornamento immediato delle tariffe potesse «determinare incrementi significativi dei pedaggi, con effetti negativi su cittadini ed imprese». A tal proposito, l’Avvocatura generale dello Stato insiste particolarmente sul fatto che «il procedimento di aggiornamento tariffario è strettamente legato al preventivo aggiornamento del PEF, in assenza del quale non è possibile – soprattutto in ragione del mutato regime tariffario derivante dalla attribuzione dei nuovi poteri regolatori ad ART – prevedere una corretta misura di incremento tariffario».
2.4.− Le disposizioni censurate non sarebbero neppure irragionevoli in quanto, diversamente da quanto sostenuto dal giudice rimettente, consentirebbero, in virtù del coordinamento dei termini procedimentali, la continuità dell’azione amministrativa in coerenza con il nuovo quadro regolatorio e di settore.
Esse, infatti, rispondono all’esigenza di escludere adeguamenti tariffari calcolati sulla base dei regimi previgenti, anche in considerazione della circostanza che le delibere dell’ART prevedono «una remunerazione del capitale investito mediamente inferiore a quella contemplata nei piani economico-finanziari con periodo regolatorio scaduto». Del resto, le proposte di aggiornamento dei PEF non erano adeguate al nuovo regime tariffario, sicché l’intervento normativo ha lo scopo di consentire che l’adeguamento delle tariffe sia rispettoso di quanto previsto dalla delibera dell’ART n. 16 del 2019: il che poteva essere ottenuto solo prevedendo che il PEF sia rispettoso delle delibere dell’autorità di settore, considerato che le revisioni tariffarie si giustificano anche sulla base dei costi e degli investimenti di cui al PEF.
Anche la fissazione del termine del 30 marzo 2020, previsto dalla prima disposizione censurata, sarebbe funzionale a porre un termine certo entro il quale presentare un PEF adeguato rispetto alla normativa sopravvenuta e non invece, come sostiene il giudice a quo, a impedire la continuità amministrativa. La dilazione temporale stabilita dalla seconda delle disposizioni censurate, poi, troverebbe la sua ragion d’essere nel protrarsi dello stato di emergenza dettato dalla crisi pandemica da COVID-19.
L’interveniente rileva, infine, che i concessionari, in sede di negoziazione del PEF e degli adeguamenti tariffari, possono portare argomenti circa i mancati introiti da omessi adeguamenti e che, comunque sia, maturano le cosiddette poste figurative, sicché le disposizioni censurate non sarebbero lesive delle legittime aspettative dell’operatore economico.
2.5.− Non fondate sarebbero anche le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., poiché non vi sarebbe stato alcun azzeramento irreversibile e definitivo degli aggiornamenti tariffari, in quanto i concessionari mantengono il diritto a ottenere un riequilibrio, solo posticipato nel tempo e al fine di effettuare l’adeguamento tariffario a seguito degli aggiornamenti dei PEF.
In ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione, le disposizioni censurate consentono una «attenta valutazione dell’impatto economico-finanziario delle modifiche, garantendo un quadro normativo transitorio che consente di contemperare le esigenze dei concessionari con la necessità di una gestione equilibrata della rete autostradale». Il tutto, peraltro, anche al fine di «garantire equità e sostenibilità sociale delle tariffe autostradali», in linea con la normativa europea.
L’intervento normativo censurato, inoltre, avrebbe natura propulsiva dell’attività amministrativa, inducendo i concessionari a presentare proposte di adeguamento dei PEF che siano rispettose delle delibere dell’ART e, a cascata, proposte di adeguamento tariffario coerenti con i nuovi PEF. Esse, dunque, garantiscono la continuità dell’attività amministrativa entro il nuovo quadro regolatorio complessivo.
Le disposizioni censurate sarebbero allora da considerare un mezzo, adeguato e proporzionato, volto a raggiungere l’obiettivo di garantire efficienza nelle gestioni autostradali, contenendo gli extra-profitti delle società concessionarie, le quali hanno presentato proposte di adeguamento tariffario sulla base dei criteri previsti dai PEF scaduti e proposte di aggiornamento di questi ultimi non conformi alle delibere dell’ART.
2.6.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene, poi, manifestamente non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 41 Cost.
Il differimento dei termini, come già argomentato, si sarebbe reso necessario per consentire un adeguamento al nuovo quadro regolatorio. Per altro verso, «fisiologicamente i procedimenti di aggiornamento tariffario si concludono a periodo tariffario in corso, autorizzando incrementi che tengono conto in media dell’intero periodo e questo non ha mai impedito ai concessionari di recuperare i costi di investimento e gli oneri sostenuti. E ciò tanto più nel nuovo sistema tariffario introdotto che vede quale momento fondamentale di riequilibrio il meccanismo delle poste figurative».
Restano dunque garantite le legittime aspettative di remunerazione dell’attività svolta e le esigenze programmatorie e organizzative dell’impresa, in un equo bilanciamento con le esigenze di regolazione del settore infrastrutturale, che è servizio di interesse generale, in linea con quanto richiede l’art. 41 Cost.
D’altra parte, «il settore è connotato dalla sussistenza di rapporti concessori affidati senza gara e particolarmente risalenti nel tempo», sicché si è a fronte di rapporti di durata che, alle condizioni indicate dalla giurisprudenza costituzionale e sovranazionale, consentono l’intervento modificativo da parte dello Stato.
2.7.− Per quel che concerne le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., come integrati dal richiamo agli artt. 49, 56 e 63 TFUE, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene che esse appaiano generiche e non sostenute da una adeguata motivazione in punto di non manifesta infondatezza, con conseguente loro inammissibilità.
Il Consiglio di Stato, infatti, si sarebbe limitato a evocare le disposizioni del TFUE, adducendo poi argomentazioni che riguardano il «diverso tema del principio di affidamento connesso ad esigenze di stabilità del rapporto concessorio e alla tutela del diritto di proprietà».
2.7.1.− Le disposizioni censurate, ad ogni modo, sarebbero in linea con la giurisprudenza della CGUE richiamata dal giudice a quo, che ammette «interventi regolatori motivati da esigenze di interesse pubblico prioritario» (è citata, in particolare, quinta sezione, sentenza 7 novembre 2024, causa C-683/22, Adusbef). Ciò tanto più ove si consideri che, nel caso di specie, non si è dinanzi a una modifica unilaterale dei rapporti concessori, ma soltanto a un differimento di termini funzionale a dare concreta attuazione al nuovo quadro regolatorio, nel rispetto peraltro di quella giurisprudenza della CGUE che richiede, a fronte di una modifica delle condizioni contrattuali in essere, termini congrui per i concessionari per adeguarsi al nuovo assetto normativo.
D’altra parte, la normativa censurata non violerebbe neppure il diritto di proprietà, in quanto è funzionale a tutelare i consumatori, impedendo aumenti tariffari che non siano giustificati da adeguati investimenti sulla infrastruttura. Al contempo, il differimento dei termini non compromette l’equilibrio economico-finanziario delle concessioni, in quanto i concessionari potranno ottenere gli adeguamenti tariffari e le necessarie compensazioni una volta approvati i nuovi PEF.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, infine, sottolinea come la nuova regolazione del settore intenda garantire una maggiore efficienza del sistema, l’effettiva parità di trattamento fra gli operatori e una più efficace tutela dei destinatari dell’attività oggetto della concessione.
3.− Con atto depositato il 25 febbraio 2025 si è costituita in giudizio RAV, concludendo per l’accoglimento delle questioni.
3.1.− La parte, nel ricostruire ampiamente i termini del rapporto concessorio in essere e la disciplina normativa che lo regola, rileva in particolare che «[l]a procedura di adeguamento tariffario annuale è […] del tutto autonoma e distinta sia per oggetto che per funzione dalla diversa procedura di aggiornamento quinquennale del PEF, come anche più volte evidenziato dal Giudice Amministrativo». Ciò premesso, riferisce di non avere mai avuto aggiornato dal MIT il PEF, nonostante sia scaduto sin dal 31 dicembre 2013, e che da allora è costretta ad adempiere ai propri obblighi convenzionali pur in assenza di un PEF che garantisca l’equilibrio finanziario, per di più senza neppure vedersi riconosciuti dal 2020, sulla base della normativa censurata, gli adeguamenti tariffari annuali. Anche le delibere dell’ART, adottate sulla base di normativa successiva alla convenzione concessoria, hanno confermato che le tariffe sono soggette ad adeguamento annuale e che il PEF ha durata quinquennale, disponendo altresì che il nuovo sistema tariffario avrebbe trovato applicazione in sede di aggiornamento del PEF.
3.1.1.− RAV riferisce, altresì, che, una volta scaduto il PEF nel 2013, il concedente ha adottato provvedimenti «che in tutto o in parte negavano [l’]adeguamento annuale essenzialmente in ragione della mancanza del PEF aggiornato»; tali provvedimenti sono tutti stati annullati dal TAR Valle d’Aosta, che ha riconosciuto il diritto della concessionaria di «conseguire l’adeguamento tariffario annuale così come previsto in Convenzione indipendentemente dall’intervenuto aggiornamento del PEF».
Nel 2019, a fronte della richiesta di adeguamento annuale per il 2020, il concedente aveva concluso l’istruttoria «sulla base del rapporto convenzionale vigente riconoscendo la correttezza della richiesta formulata, con una minima correzione degli indici inflattivi considerati» e, pertanto, aveva ritenuto «corretta la richiesta di RAV di adeguamento annuale delle tariffe nella misura del 6,11%». Lo stesso giorno dell’entrata in vigore del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, il MIT ha poi adottato la prima nota ministeriale della cui legittimità si controverte nel giudizio a quo.
Nel 2020, rimasto senza esito il procedimento di aggiornamento del PEF, RAV aveva presentato la proposta di adeguamento tariffario per il 2021. Anche in questo caso, il MIT aveva ritenuto corretta la richiesta di adeguamento tariffario nella misura del 5,83 per cento, salvo poi adottare, entrata in vigore la seconda delle disposizioni censurate, l’altra nota della cui legittimità si controverte nel giudizio a quo.
3.1.2.− La difesa della parte osserva, infine, che, a fronte di ulteriori slittamenti del termine per l’adeguamento tariffario, «il MIT non ha in alcun modo concluso il procedimento di aggiornamento del PEF di RAV (e di nessun altro concessionario autostradale con il periodo regolatorio scaduto)», nonostante la concessionaria abbia sempre presentato proposte di aggiornamento in conformità alla delibera dell’ART n. 64 del 2019. A tal proposito, si sottolinea come RAV tra il 2020 e il 2024 abbia presentato «n. 15 proposte di aggiornamento del PEF», abbia nel corso degli anni effettuato investimenti sull’infrastruttura per più di 87 milioni di euro, non previsti nel PEF scaduto, «per adempiere ai propri obblighi di Convenzione di adeguare l’infrastruttura ai migliori standard di sicurezza per l’utenza» e, ciononostante, non si sia vista riconoscere gli adeguamenti tariffari per le annualità 2020, 2021, 2022 e 2023, neppure in misura pari all’inflazione maturata.
3.2.− Tutto ciò premesso, nel merito RAV ritiene fondati tutti i dubbi di legittimità costituzionale avanzati dal Consiglio di Stato.
3.2.1.− Quanto alla questione sollevata in riferimento all’art. 77 Cost., la difesa della parte sottolinea come, da un esame degli indici intrinseci ed estrinseci del d.l. n. 162 del 2019, emerga che la finalità perseguita dalla normativa censurata sia quella di prorogare i termini al fine di garantire la continuità amministrativa.
Il conseguimento di tale obiettivo, tuttavia, sarebbe ostacolato, e anzi precluso «irrimediabilmente», proprio dalle disposizioni all’esame di questa Corte. La continuità amministrativa, infatti, non necessiterebbe di alcuna dilazione temporale di termini, poiché l’amministrazione competente può provvedere anche a termini scaduti, «salve le conseguenze – di tipo sanzionatorio e risarcitorio – connesse alla responsabilità per il ritardato esercizio di tale potere (che – all’evidenza – la norma ha voluto inopinatamente eliminare)». La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’assenza di collegamento tra finalità del decreto-legge e disposizione censurata è indice della evidente mancanza dei presupposti del primo e, pertanto, in assenza di ulteriori e diverse finalità che giustifichino l’intervento normativo di cui si discute, la questione in esame dovrebbe ritenersi fondata.
RAV osserva, inoltre, che il differimento dei termini in discorso è stato disposto, in verità, in un momento successivo alla loro scadenza, secondo un modus operandi che questa Corte avrebbe riconosciuto essere costituzionalmente illegittimo già con la sentenza n. 314 del 2007.
La normativa censurata non avrebbe neppure influito sul recepimento del nuovo sistema tariffario introdotto dall’ART – che era previsto già dalla normativa previgente – e non avrebbe nemmeno coordinato il procedimento di adeguamento tariffario con quello di approvazione dei nuovi PEF.
3.2.2.− Le disposizioni censurate sarebbero altresì in contrasto con il parametro costituzionale di proporzionalità. A fronte della incongruenza con la dichiarata finalità del legislatore, la verifica circa gli effetti delle disposizioni stesse sui destinatari dovrebbe essere «particolarmente penetrante, pena un sacrificio palesemente ingiustificato».
Orbene, poiché la mancata approvazione del PEF non è idonea a determinare un arresto del procedimento annuale di aggiornamento delle tariffe – come più volte ha affermato la giurisprudenza amministrativa – la dilazione dei termini prevista dalla normativa censurata risulterebbe palesemente ingiustificata perché, in assenza di un collegamento tra i due procedimenti, «pregiudica soltanto e ingiustificatamente diritti e interessi della Concessionaria». L’effetto di posticipazione dell’adeguamento tariffario, d’altra parte, è stato accentuato dalle ulteriori dilazioni disposte dalla normativa successiva a quella impugnata, tanto che RAV non ha ottenuto alcun adeguamento dall’annualità 2020 in poi.
3.2.3.− Le disposizioni all’esame di questa Corte, in quanto norme-provvedimento, sarebbero poi anche lesive degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto non sarebbero rispettati i limiti per l’adozione di norme di tale natura enucleati dalla giurisprudenza costituzionale. In particolare, sarebbero lesi diritti e interessi legittimi dei soggetti destinatari, senza che sia perseguita una migliore realizzazione dell’interesse pubblico.
Pochi dubbi potrebbero nutrirsi in ordine al pregiudizio arrecato, poiché il mancato adeguamento delle tariffe autostradali è a carico esclusivo delle concessionarie e determina, evidentemente, un danno economico corrispondente alla mancata provvista finanziaria, senza la certezza di recuperare in futuro il mancato incremento tariffario. Nel rapporto concessorio, osserva RAV, «la percezione dei pedaggi, debitamente adeguati nel periodo, costituisce l’unica modalità con cui il concessionario può ripagarsi degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti».
Per altro verso, come rileva il giudice rimettente, le norme censurate impediscono al concessionario di ricorrere agli istituti di carattere generale che assicurano il buon andamento dell’attività amministrativa, senza che si rinvengano interessi pubblici che giustifichino l’intervento normativo.
Così come il concessionario deve proseguire nella gestione della concessione, così pure il concedente deve adempiere ai propri obblighi, provvedendo annualmente all’adeguamento delle tariffe. Peraltro, l’«assetto squilibrato del rapporto concessorio» prodotto dalle norme censurate non potrebbe non incidere sulla manutenzione dell’infrastruttura autostradale, la quale necessita di una pianificazione degli investimenti e delle attività della concessionaria che diventano sempre più complesse dal punto di vista finanziario in ragione dei mancati adeguamenti.
3.2.4.− RAV argomenta, poi, in ordine alla violazione dell’art. 41 Cost. e dell’art. 16 CDFUE, che assicurano le medesime tutele alla libertà d’impresa e, in particolare, ammettono la possibilità di limitazioni alla libertà di iniziativa economica privata solo a fronte di «comprovate giustificazioni di utilità sociale, nonché di un comprovato nesso fra la restrizione apportata e il fine sociale perseguito».
Le norme censurate non rispetterebbero tali condizioni, in quanto inciderebbero irrimediabilmente su elementi essenziali dell’attività d’impresa del concessionario autostradale. I livelli tariffari, infatti, sono funzionali a garantire il complessivo equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione stabilito nel PEF, sicché il differimento del loro adeguamento impedisce «al concessionario di programmare la propria attività, sotto il profilo sia gestorio che finanziario»; e ciò, a fronte di obblighi convenzionali che impongono pur sempre al concessionario, «anche a fini di sviluppo e sicurezza dell’infrastruttura – oltre ad ingenti costi operativi (comprensivi dell’ordinaria manutenzione) – elevatissimi costi di investimento, cui si collega una rilevante esposizione finanziaria (sia in capitale di rischio, che in capitale di debito)». Il quadro che ne deriva non troverebbe neppure giustificazione in obiettivi di utilità sociale, non potendo essere in tale ottica considerati né la continuità dell’azione amministrativa, che è invece ostacolata, né il calmierare le tariffe, che è obiettivo che dovrebbe «trovare sede e disciplina nel quadro istituzionale e normativo all’uopo istituito dal legislatore».
3.2.5.− Ampiamente richiamando il procedimento di infrazione n. 2419/2006, avviato dalla Commissione europea a seguito del regime delle concessioni autostradali previsto dal d.l. n. 262 del 2006, come convertito, RAV osserva come le disposizioni censurate si pongano altresì in contrasto con le disposizioni del TFUE richiamate dal rimettente.
La giurisprudenza della CGUE, infatti, «ha […] costantemente confermato che ricadono nel campo di applicazione del Trattato, e segnatamente delle richiamate norme del Mercato Interno, le norme nazionali che regolano i rapporti di concessione e ostacolano, o rendono meno attraente, l’esercizio della concessione medesima». Norme quali quelle censurate, che rendono meno profittevole l’esercizio dell’attività in concessione, possono trovare giustificazione solo se necessarie e proporzionate al perseguimento di superiori finalità di interesse pubblico, che debbono essere provate dallo Stato membro, e comunque rispettose dei princìpi generali di certezza del diritto e di legittimo affidamento. Le previsioni oggetto del presente giudizio non rispetterebbero tali condizioni, poiché inciderebbero sulle disposizioni che regolano l’equilibrio economico-finanziario del rapporto senza rispondere ad alcun interesse pubblico meritevole di tutela.
3.2.6.− Secondo RAV, infine, sarebbero fondate anche le questioni di legittimità costituzionale sollevate, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 17 CDFUE e all’art. 1 Prot. addiz. CEDU.
Richiamata la giurisprudenza della CGUE e della Corte EDU al riguardo, la difesa della parte osserva che le norme censurate «intervengono direttamente sull’aspettativa legittima del concessionario, consegnata nella convenzione e riconosciuta dal quadro normativo-regolatorio conferente, di ottenere l’approvazione del PEF e l’adeguamento tariffario annuale per gli anni 2020 e 2021». Il concessionario, così, viene a essere «privato di un "bene” essenziale per l’esercizio dell’attività d’impresa, sostanzialmente qualificabile come un "credito”, mediante reiterati interventi legislativi che spostano nel tempo il suo riconoscimento effettivo».
4.− In data 4 giugno 2025 RAV ha depositato una memoria con la quale, replicando agli argomenti del Presidente del Consiglio dei ministri, ha insistito per l’accoglimento delle questioni.
4.1.− La parte osserva, innanzitutto, che sarebbe dimostrato dai fatti che i ritardi nell’aggiornamento dei PEF in senso conforme alle delibere dell’ART si devono al concedente e non ai concessionari. RAV, infatti, avrebbe sempre presentato tempestivamente le proposte di aggiornamento, tanto che anche il TAR Valle d’Aosta ha riconosciuto che «la mancata ultimazione della procedura di applicazione del nuovo PEF è imputabile esclusivamente al concedente», il quale non ha neppure adottato «un provvedimento espresso esplicativo delle ragioni che ne hanno impedito una tempestiva approvazione». Complessivamente, riferisce la difesa della parte, RAV ha presentato venti proposte di aggiornamento del PEF tra il 2014 e il 2024.
Il concedente avrebbe tenuto un tale comportamento nei confronti anche di altre concessionarie autostradali, che ha portato anche il Consiglio di Stato ad accertare l’inadempimento ministeriale. Lo stesso giudice amministrativo avrebbe altresì affermato che, di per sé, l’entrata in vigore del nuovo sistema tariffario deliberato dall’ART non costituisce ragione idonea a posticipare la conclusione del procedimento di approvazione dell’aggiornamento del PEF.
4.2.− Del pari erronea sarebbe l’affermazione del Presidente del Consiglio dei ministri secondo cui vi sarebbe un nesso di presupposizione tra aggiornamento del PEF e adeguamento annuale delle tariffe autostradali. La giurisprudenza amministrativa, infatti, avrebbe più volte sancito il diritto di RAV, e in generale delle concessionarie autostradali, a conseguire l’adeguamento annuale delle tariffe indipendentemente dall’avvenuto aggiornamento del PEF.
RAV, d’altra parte, nella richiesta di aggiornamento annuale per il 2021 avrebbe espressamente formulato la propria istanza in conformità al nuovo sistema tariffario definito dall’ART, per il caso in cui si fosse perfezionato l’aggiornamento del PEF.
Ad ogni modo, la parte osserva che le disposizioni censurate non introducono alcun nesso di presupposizione, in quanto si limitano a posticipare la conclusione del procedimento di adeguamento tariffario contestualmente a quello di aggiornamento del PEF.
4.3.− La concessionaria contesta anche l’affermazione del Presidente del Consiglio dei ministri secondo cui le disposizioni censurate sarebbero volte ad applicare il nuovo sistema tariffario introdotto dall’ART, in mancanza del quale l’adeguamento tariffario non sarebbe commisurato al costo delle infrastrutture. Ripercorrendo la disciplina applicabile, dettata dalla Convenzione e dalle delibere CIPE, RAV osserva che l’adeguamento tariffario sarebbe stato riconosciuto limitatamente all’effettivo costo delle infrastrutture sostenuto dal concessionario nell’anno precedente. Le disposizioni censurate, al contrario, avrebbero violato il principio pay for use sotteso a quella disciplina, in quanto gli utenti dell’autostrada in concessione a RAV corrispondono tariffe che non contemplano i costi di investimento sostenuti.
Ne consegue, secondo la parte, che le norme censurate non sono ragionevoli né proporzionate, in quanto non sarebbe corretto il presupposto da cui muovono, ovvero che gli aggiornamenti annuali delle tariffe sulla base della disciplina convenzionale sarebbero stati maggiori rispetto a quelli derivanti dalle delibere dell’ART.
4.4.− Ribadito che la disciplina oggetto delle questioni di legittimità costituzionale è stata ulteriormente aggravata dagli interventi legislativi successivi, la difesa di RAV insiste nell’affermare che le disposizioni censurate non sono funzionali al raggiungimento della finalità dichiarata dal Governo in sede di adozione del decreto-legge – garantire la continuità dell’azione amministrativa – che sarebbe anzi preclusa irrimediabilmente. La continuità amministrativa, infatti, implica la tendenziale inesauribilità del potere attribuito al soggetto pubblico, mentre le disposizioni censurate posticipano il termine di conclusione del procedimento, «giustificando l’inadempimento del Concedente e precludendo una definizione dell’affare amministrativo sottoposto alla sua cognizione». Tale contraddizione dimostrerebbe la fondatezza dei dubbi relativi alla evidente mancanza dei presupposti per l’adozione del decreto-legge.
Del resto, non sarebbe neppure corretto sostenere che la disciplina censurata consenta un migliore recepimento del sistema tariffario introdotto dall’ART, in quanto questo si fonda sugli artt. 37 e 41 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, sicché «il Concedente avrebbe potuto certamente richieder[ne] il rispetto, in sede di analisi dei PEF presentati da parte delle concessionarie autostradali».
4.4.1.− RAV rileva, poi, che l’insussistenza di un nesso di presupposizione tra approvazione del PEF e adeguamento tariffario è volta anche a evitare di riconoscere al concedente – irragionevolmente – la possibilità di ritardare detta approvazione, per contestualmente negare l’adeguamento delle tariffe.
Al tempo stesso, «l’affermazione circa l’incidenza dell’applicazione del nuovo sistema tariffario in termini di minor incremento delle tariffe risulta indimostrata e apodittica e, dunque, in quanto tale inidonea a giustificare un intervento normativo di questo tipo»; mentre il mancato aumento tariffario ha un effetto distorsivo, come rilevato dal rimettente.
4.5.− La parte osserva, poi, come il mancato adeguamento delle tariffe autostradali – postergato anche negli anni successivi – abbia determinato un evidente pregiudizio economico, non recuperabile neppure in futuro poiché l’eventuale adeguamento troverà applicazione per i soli futuri utenti autostradali, con il risultato che la concessionaria non potrebbe ripagarsi degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti. Lo stesso richiamo al meccanismo delle poste figurative sarebbe inconferente, a fronte della negazione di adeguamenti tariffari per un quinquennio.
Di qui, pertanto, la fondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, 41 e 97 Cost.
4.6.− Per quel che riguarda, infine, la lamentata violazione della normativa sovranazionale, la difesa di RAV osserva, innanzitutto, che si tratta di questioni adeguatamente motivate da parte del rimettente, a differenza di quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel merito, le questioni sarebbero fondate, perché modifiche in peius dei rapporti di durata – quali quelle in esame – costituiscono, a dire della parte, restrizioni alle libertà di circolazione, in quanto impediscono ai concessionari di far fruttare il proprio investimento. Inoltre, le norme censurate «intervengono unilateralmente sulle disposizioni convenzionali che disciplinano l’equilibrio economico-finanziario del rapporto», senza che vi sia alcun obiettivo di interesse pubblico che le giustifichi e determinando «effetti irragionevoli e sproporzionati sulle concessionarie autostradali».
Né varrebbe obiettare che modifiche alle concessioni sarebbero consentite dall’art. 43 della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, in quanto tale disposizione concerne le ipotesi di modifica senza gara e in favore del concessionario.
5.− Il 4 giugno 2025, anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, con la quale ha insistito per l’inammissibilità o la non fondatezza delle questioni.
5.1.− L’interveniente rammenta, innanzitutto, che all’ART è stato attribuito il compito di definire sistemi tariffari dei pedaggi uniformi per tutte le concessioni autostradali, anche quelle in essere, allo scopo di «garantire una effettiva parità di trattamento tra gli operatori del settore e una più efficace tutela dei destinatari dell’attività oggetto di concessione», come ha riconosciuto anche il Consiglio di Stato. La revisione da parte di ART del sistema tariffario sinora fissato dalle convenzioni persegue, pertanto, «scopi di chiara utilità generale in termini di uniformità e razionalizzazione del sistema».
5.2.− Ciò premesso, l’interveniente rileva che la giurisprudenza amministrativa richiamata da RAV circa l’assenza di nesso tra adeguamento tariffario e aggiornamento del PEF è relativa a domande di adeguamento antecedenti alla riforma legislativa poc’anzi richiamata, sicché non porta argomenti utili allo scrutinio delle odierne questioni.
La nuova metodologia di calcolo della tariffa, invece, giustifica «la necessaria correlazione tra il piano economico finanziario e l’aggiornamento tariffario», in quanto i criteri di attribuzione di rilevanza anche agli investimenti determinano uno stretto legame tra i due procedimenti.
5.2.1.− La disciplina censurata interviene in questo quadro, «dettata dalla necessità di raccordare la determinazione degli incrementi tariffari con i nuovi PEF e, ancor prima, con i nuovi criteri di determinazione dei modelli tariffari stabiliti dall’Autorità». Ciò anche perché, insiste il Presidente del Consiglio dei ministri, «la maggior parte dei concessionari non avevano presentato proposte di PEF aggiornate».
5.3.− È radicata, dunque, nel profondo mutamento del quadro normativo l’urgenza di dettare disposizioni, quali quelle censurate, che consentissero di allineare l’adeguamento tariffario al nuovo sistema basato sulle delibere dell’ART: il che esclude che si versi in un caso di evidente mancanza dei presupposti per l’adozione del decreto-legge. Del resto, l’intervento legislativo in esame era «l’unica opzione praticabile al fine di assicurare la corretta individuazione dell’adeguamento tariffario», che non poteva altrimenti essere disposta in assenza di piani economico finanziari non conformi al nuovo regime.
A conferma di ciò, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che, sino all’entrata in vigore della legge annuale per la concorrenza 2023, il PEF doveva essere approvato solo successivamente a un accordo preliminare tra concedente e concessionario. La normativa oggetto di scrutinio, pertanto, è strumento utile a sollecitare il raggiungimento di detto accordo e a individuare adeguamenti tariffari in linea con il nuovo PEF.
La stessa situazione di ritardo nell’aggiornamento dei PEF, lamentata da RAV, sarebbe determinata non dall’inerzia del concedente, ma «dalla difficoltà di garantire un pieno allineamento delle proposte di PEF predisposte dal concessionario» alle delibere dell’ART. Tanto è vero che, con la richiamata legge per la concorrenza del 2023, il legislatore ha attribuito al concedente la definizione dei PEF «per evitare che la riserva del potere di iniziativa sull’approvazione e revisione dei PEF in capo ai concessionari potesse continuare ad alimentare ritardi e situazioni di stallo nei relativi iter approvativi».
5.4.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce, poi, che lo slittamento dei termini per l’adeguamento non fa venire meno la garanzia, per il concessionario, di recuperare le eventuali differenze tariffarie attraverso il meccanismo delle cosiddette poste figurative disciplinate dall’ART, che «hanno carattere di certezza e vengono definite ex ante» e la cui congruità è valutata dalla stessa ART, chiamata a verificare sistematicamente la corretta applicazione dei criteri da essa stessa fissati.
Considerato in diritto
1.− Il Consiglio di Stato, sezione quinta, con la sentenza non definitiva indicata in epigrafe (reg. ord. n. 9 del 2025) ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, e dell’art. 13, comma 5, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, con i quali, per i concessionari aventi il Piano economico finanziario (PEF) scaduto, è stato differito il termine per l’adeguamento delle tariffe autostradali, rispettivamente, per l’anno 2020 e per l’anno 2021. In entrambi i casi, detto termine è stato differito sino alla definizione del procedimento di aggiornamento del PEF, da perfezionarsi entro il 31 luglio 2020 (prima disposizione censurata) e, poi, entro il 31 luglio 2021 (seconda disposizione censurata).
1.1.− Il giudice rimettente deve fare applicazione di entrambe le disposizioni perché è chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione, da parte della concessionaria autostradale RAV, di due distinte note del concedente MIT, le quali, sulla base delle norme censurate, non hanno riconosciuto alla ricorrente l’adeguamento annuale delle tariffe relative all’autostrada Aosta-Traforo del Monte Bianco per gli anni 2020 e 2021, nella percentuale di incremento richiesta.
Per il giudice a quo, le disposizioni censurate sarebbero in contrasto – secondo quanto si è ampiamente esposto nel Ritenuto in fatto – con plurimi parametri costituzionali (art. 77 Cost. e artt. 3, 41 e 97 Cost.) nonché, per il tramite degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., con il diritto dell’Unione europea (artt. 49, 56 e 63 TFUE; artt. 16 e 17 CDFUE, quest’ultimo da interpretarsi in coerenza con l’art. 1 Prot. addiz. CEDU).
2.− La circostanza per cui il Consiglio di Stato dubita della compatibilità delle due disposizioni censurate in riferimento tanto a parametri costituzionali, quanto a plurime norme del diritto dell’Unione europea, non inficia l’ammissibilità delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
In evenienze del genere, la giurisprudenza più recente di questa Corte lascia al giudice la scelta di quale rimedio avvalersi tra l’incidente di costituzionalità e la non applicazione del diritto nazionale, eventualmente – come peraltro prospettato nel caso di specie dal giudice rimettente – previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in quanto anche il sindacato accentrato di costituzionalità garantisce il primato del diritto dell’Unione (così a partire dalla sentenza n. 269 del 2017). Si è anzi anche riconosciuto che i due rimedi possono contestualmente essere esperiti, quando ricorrano le condizioni per non applicare il diritto nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione e al contempo sollevare su di esso questione di legittimità costituzionale (così nel caso della sentenza n. 15 del 2024): si realizza così a pieno un «concorso di rimedi giurisdizionali [che] esclude ogni preclusione» (sentenza n. 20 del 2019) e che «coopera nella costruzione di tutele sempre più integrate» (sentenza n. 1 del 2025).
Come lo stesso giudice rimettente non manca di rilevare, l’interlocuzione con questa Corte, del resto, ha il pregio, in caso di accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale, di rimuovere le norme censurate dall’ordinamento con effetti erga omnes, offrendo dunque una garanzia aggiuntiva al primato del diritto dell’Unione e un tutt’altro che trascurabile beneficio al valore di rilievo costituzionale della certezza del diritto (sentenze n. 7 del 2025, n. 181 e n. 15 del 2024).
2.1.− Né può dubitarsi, nel caso di specie, del "tono costituzionale” delle questioni sollevate, per il tramite degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione al diritto dell’Unione (sentenze n. 93, n. 31 e n. 7 del 2025, n. 181 del 2024; ordinanza n. 21 del 2025). Il nesso con interessi o princìpi di rilievo costituzionale, infatti, è in re ipsa, essendo evocate – in vario modo e sotto vari profili – norme del diritto dell’Unione che, come anche il parimenti evocato art. 41 Cost., tutelano la libertà d’impresa e al contempo delineano i limiti che essa può o deve incontrare.
3.− L’esame nel merito delle questioni non può prescindere da un’essenziale ricostruzione del complesso quadro, fattuale e normativo, entro il quale è insorto il contenzioso oggetto del giudizio a quo e in cui si inseriscono le disposizioni censurate.
3.1.− La delibera CIPE n. 39 del 2007 dispone che «la tariffa relativa a ciascun concessionario è adeguata annualmente» (punto 4.1.), sulla base di una formula tariffaria ivi definita. La Convenzione che regola la concessione di cui è titolare RAV – sottoscritta il 29 dicembre 2009 con ANAS spa, cui è successivamente subentrato il MIT, e approvata con atto legislativo (art. 8-duodecies, comma 2, del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, recante «Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee», convertito, con modificazioni, nella legge 6 giugno 2008, n. 101) – ribadisce e specifica quanto previsto dalla richiamata delibera CIPE (artt. 15 e 18).
L’art. 21, comma 5, del d.l. n. 355 del 2003, come convertito, dispone che le proposte di variazione tariffaria sono formulate dal concessionario al concedente entro il 15 ottobre di ogni anno; il MIT, con decreto ministeriale adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, approva o rigetta le variazioni proposte entro il successivo 15 dicembre.
Le delibere CIPE n. 39 del 2007 (al punto 5) e n. 27 del 2013 prevedono che la durata della concessione sia divisa in periodi regolatori di durata quinquennale, disciplinati da un Piano economico finanziario allegato a ciascuna convenzione. Tale Piano «ha la funzione di garantire l’equilibrio economico e finanziario dell’iniziativa […] lungo tutto l’arco temporale della gestione […]. Se la concessione si qualifica per il trasferimento del rischio operativo dal concedente al concessionario, il PEF è lo strumento mediante il quale si attua la concreta distribuzione del rischio tra le parti del rapporto, la cui adeguatezza e sostenibilità deve essere valutata dall’amministrazione concedente alla luce delle discipline tecniche ed economiche applicabili e sulla base delle eventuali prescrizioni che la stessa amministrazione ha dettato con la lex specialis della procedura per la selezione del concessionario» (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 4 febbraio 2022, n. 795).
Il PEF è soggetto ad aggiornamento al termine di ogni periodo regolatorio, da concludersi – a seguito di interlocuzioni tra le parti – entro il 30 giugno del primo esercizio del nuovo periodo regolatorio (delibera CIPE n. 27 del 2013).
3.2.− Su questa disciplina del rapporto di concessione ha inciso l’istituzione dell’ART, avvenuta ad opera dell’art. 37 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito.
Alla nuova Autorità di regolazione del settore, infatti, il legislatore ha attribuito la competenza a definire i «criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti delle tariffe, dei canoni, dei pedaggi, tenendo conto dell’esigenza di assicurare l’equilibrio economico delle imprese regolate, l’efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese, i consumatori» (art. 37, comma 2, lettera b); a «verificare la corretta applicazione da parte dei soggetti interessati dei criteri fissati ai sensi della lettera b)» (art. 37, comma 2, lettera c); nonché, con particolare riferimento al settore autostradale, a stabilire «sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap, con determinazione dell’indicatore di produttività X a cadenza quinquennale per ciascuna concessione» (art. 37, comma 2, lettera g).
Tali competenze, con l’art. 16, comma 1, del d.l. n. 109 del 2018, come convertito, sono state estese – mercé modifiche del citato art. 37 – anche alle concessioni già in essere.
Lo stesso d.l. n. 201 del 2011, per come modificato dal d.l. n. 109 del 2018, come convertito, ha altresì previsto che, in relazione agli aggiornamenti alle convenzioni autostradali in essere, laddove comportino variazioni o modificazioni al piano degli investimenti (come nel caso dell’aggiornamento del PEF), il concedente sente ART per i profili di competenza ex art. 37, comma 2, lettera g) (ovvero, per i sistemi tariffari); ART, eventualmente, detta prescrizioni cui deve adeguarsi il testo convenzionale; il concedente verifica l’applicazione dei criteri di determinazione delle tariffe (art. 43, commi 1 e 2-bis).
3.2.1.− ART ha esercitato le proprie competenze nel corso del 2019.
L’Autorità ha dapprima avviato il procedimento per stabilire il nuovo sistema tariffario di pedaggio (delibera n. 16 del 2019), indicendo una consultazione pubblica sul documento, allegato alla delibera, concernente detto sistema tariffario. Successivamente, secondo quanto previsto nella delibera n. 16 del 2019, ha adottato una deliberazione conclusiva per ciascuna concessione: per quel che riguarda RAV, si tratta della delibera n. 64 del 2019, la quale espressamente prevede che il nuovo sistema tariffario si applichi con decorrenza dal 1° gennaio 2020 (punto 32.1. dell’Allegato A alla medesima delibera).
3.3.− Le disposizioni oggi censurate incidono sul quadro normativo sinora richiamato.
La prima di esse – l’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e nel testo rilevante nel giudizio a quo, in quanto sulla sua base è stata adottata la prima delle note ministeriali ivi impugnate – dispone quanto segue:
«3. Per i concessionari il cui periodo regolatorio quinquennale è pervenuto a scadenza, il termine per l’adeguamento delle tariffe autostradali relative all’anno 2020 è differito sino alla definizione del procedimento di aggiornamento dei piani economici finanziari predisposti in conformità alle delibere adottate ai sensi dell’articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 109 del 2018, dall’Autorità di regolazione dei trasporti di cui all’articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Entro il 30 marzo 2020 i concessionari presentano al Concedente le proposte di aggiornamento dei piani economico finanziari, riformulate ai sensi della predetta normativa, che annullano e sostituiscono ogni precedente proposta di aggiornamento. L’aggiornamento dei piani economici finanziari presentati nel termine del 30 marzo 2020 è perfezionato entro e non oltre il 31 luglio 2020».
L’effetto di tale disposizione per i concessionari il cui periodo regolatorio quinquennale è scaduto – quale è RAV, il cui PEF è scaduto a fine 2013 e, come risulta dagli atti e dalla discussione in udienza, mai è stato rinnovato – è, come osserva anche il rimettente Consiglio di Stato, triplice: i) differisce il termine per l’adeguamento delle tariffe per il 2020 «sino alla definizione del procedimento di aggiornamento dei piani economici finanziari»; ii) fissa al 30 marzo 2020 il termine per la presentazione delle proposte di aggiornamento dei PEF, che devono essere riformulate in conformità alle delibere dell’ART e che annullano le precedenti proposte di aggiornamento; iii) fissa al 31 luglio 2020 il termine per l’aggiornamento dei PEF: termine questo che, dunque, diventa anche il termine per l’adeguamento tariffario per il 2020.
La seconda delle disposizioni censurate – art. 13, comma 5, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, rilevante nel giudizio a quo in quanto sulla sua base è stata adottata la seconda delle note ministeriali ivi impugnate – incide sul testo della prima disposizione censurata con due sostituzioni, laddove prevede che «le parole "relative all’anno 2020” sono sostituite dalle seguenti: "relative all’anno 2020 e all’anno 2021” e le parole "non oltre il 31 luglio 2020” sono sostituite dalle seguenti: "non oltre il 31 luglio 2021”».
In base a tale disposizione, pertanto: i) è ulteriormente differito il termine per l’adeguamento delle tariffe per il 2020; ii) è differito il termine per l’adeguamento delle tariffe per il 2021; iii) è ulteriormente differito al 31 luglio 2021 il termine per l’aggiornamento dei PEF, che funge anche da termine per l’adeguamento tariffario delle citate due annualità.
3.4.− Come ampiamente dà conto anche il giudice a quo, il legislatore, successivamente al d.l. n. 183 del 2020, come convertito, ha ulteriormente modificato il testo dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, spostando di volta in volta in avanti i termini per l’aggiornamento dei PEF e per l’adeguamento delle tariffe, anche di ulteriori annualità.
3.4.1.− Con l’art. 2, comma 1, del decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121 (Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali), convertito, con modificazioni, nella legge 9 novembre 2021, n. 15, il termine per l’aggiornamento dei PEF è stato differito al 31 dicembre 2021; contestualmente, sono stati ulteriormente differiti anche i termini per l’adeguamento tariffario delle annualità 2020 e 2021 nonché «di quelle relative a tutte le annualità comprese nel nuovo periodo regolatorio».
3.4.2.− Con l’art. 24, comma 10-bis, del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2022, n. 25, il termine per l’aggiornamento dei PEF è stato differito al 31 ottobre 2022; conseguentemente, in ragione della modifica apportata dal poc’anzi richiamato d.l. n. 121 del 2021, come convertito, il termine per l’adeguamento tariffario degli anni 2020, 2021 e 2022 è stato differito al medesimo 31 ottobre 2022.
3.4.3.− Ancora, con l’art. 10, comma 4, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 14, il termine per l’aggiornamento dei PEF è stato differito al 31 dicembre 2023 e, conseguentemente, è stato differito il termine per l’adeguamento tariffario per gli anni 2020, 2021, 2022 e 2023.
3.4.4.− Con l’art. 8, comma 9, del d.l. n. 215 del 2023, come convertito, infine, il legislatore ha interamente sostituito l’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, in questi termini:
«3. Entro il 30 marzo 2024 le società concessionarie per le quali è intervenuta la scadenza del periodo regolatorio quinquennale presentano le proposte di aggiornamento dei piani economico-finanziari predisposti in conformità alle delibere adottate ai sensi dell’articolo 16, comma 1, del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2018, n. 130, dall’Autorità di regolazione dei trasporti di cui all’articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nonché alle disposizioni emanate dal concedente. L’aggiornamento dei piani economico-finanziari, presentati entro il termine del 30 marzo 2024 conformemente alle modalità stabilite, è perfezionato entro il 31 dicembre 2024. Nelle more degli aggiornamenti convenzionali, le tariffe autostradali relative alle concessioni di cui al primo periodo sono incrementate nella misura del 2,3 per cento, corrispondente all’indice di inflazione previsto per l’anno 2024 dalla Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2023. Gli adeguamenti, in eccesso o in difetto, rispetto ai predetti incrementi tariffari sono definiti in sede di aggiornamento dei piani economico-finanziari».
Con la novella, dal contenuto normativo in parte diverso rispetto a quello che esprimeva il testo sostituito, il legislatore, pertanto, ha differito al 31 dicembre 2024 il termine per l’adozione dei PEF, prevedendo che questi siano presentati, in conformità alle delibere dell’ART, entro il 30 marzo 2024; ha stabilito che, entro il termine del 31 dicembre 2024, devono essere adottati i PEF il cui aggiornamento sia stato presentato «conformemente alle modalità stabilite»; infine, ha determinato un provvisorio incremento delle tariffe autostradali, posticipando al momento dell’aggiornamento dei PEF le variazioni tariffarie che possono dar luogo a una posta in eccesso o in difetto rispetto a quella forfettaria indicata ex lege.
3.5.− Il quadro normativo d’interesse è stato ulteriormente inciso con due diversi interventi legislativi, che non hanno interessato il testo dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e novellato, ma dei quali pure è necessario dare conto.
3.5.1.− Con l’art. 1, comma 1, del decreto-legge 29 giugno 2024, n. 89 (Disposizioni urgenti per le infrastrutture e gli investimenti di interesse strategico, per il processo penale e in materia di sport), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 2024, n. 120, è stato aggiunto il seguente comma 3-bis al richiamato art. 13 del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e novellato: «Entro il 31 luglio 2024 le società concessionarie per le quali interviene la scadenza del periodo regolatorio quinquennale nell’anno 2024 presentano le proposte di aggiornamento dei piani economico-finanziari predisposti in conformità alle delibere adottate ai sensi dell’articolo 16, comma 1, del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2018, n. 130, dall’Autorità di regolazione dei trasporti di cui all’articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nonché alle disposizioni emanate dal concedente. L’aggiornamento dei piani economico-finanziari, presentati entro il termine del 31 luglio 2024 conformemente alle modalità stabilite, è perfezionato entro il 31 dicembre 2024».
Con tale disposizione, il legislatore ha sostanzialmente applicato, anche ai concessionari il cui periodo regolatorio quinquennale sarebbe giunto a scadenza nel corso dell’anno 2024, la disciplina di cui all’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e novellato, espressamente riferita, come detto, ai soli concessionari il cui periodo regolatorio è già scaduto.
3.5.2.− Da ultimo, con la legge n. 193 del 2024, il legislatore è significativamente intervenuto sul settore delle concessioni autostradali.
Per quel che qui maggiormente interessa, ha previsto che il PEF sia predisposto dal concedente e che del pari sia il concedente a proporne le modifiche nel corso della durata della concessione; in entrambi i casi, è ribadita la competenza dell’ART a esprimere un parere (art. 9, commi 2 e 5). Quanto alle tariffe autostradali, è ribadita la competenza dell’ART a dettare il sistema tariffario applicabile (art. 12). Al contempo, sono stati ulteriormente modificati gli artt. 37, comma 2, lettera g), e 43, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, sulla scia degli interventi precedenti che avevano già attribuito all’ART la competenza in materia tariffaria e di PEF sulle concessioni già in essere (art. 16, rispettivamente commi 3 e 4).
Contestualmente, è stato previsto che, alle procedure di aggiornamento dei PEF delle società concessionarie per le quali, alla data di entrata in vigore del d.l. n. 215 del 2023, era intervenuta la scadenza del periodo regolatorio quinquennale, si applicano le disposizioni dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e novellato (art. 14, comma 1); per le società concessionarie per le quali, successivamente all’entrata in vigore della legge, intervenga la scadenza del periodo regolatorio quinquennale, trova applicazione la disciplina recata dall’art. 14, comma 2.
4.− Tutti i richiamati interventi legislativi successivi alle disposizioni censurate non incidono sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato.
4.1.− Le disposizioni che, successivamente al d.l. n. 183 del 2020, come convertito, hanno modificato o sostituito l’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, sono state, invero, tutte adottate dopo le note ministeriali impugnate da RAV e dunque – come correttamente rileva lo stesso giudice rimettente, il quale peraltro osserva che esse, ulteriormente posticipando i termini, hanno avuto effetto «in termini peggiorativi sul differimento» già recato – sono insuscettibili di influire sul giudizio amministrativo.
4.2.− Del pari ininfluenti sul giudizio a quo sono gli altri interventi legislativi, successivi alle disposizioni censurate, che hanno modificato il quadro normativo di riferimento.
Ciò vale, innanzitutto, per il nuovo comma 3-bis aggiunto all’art. 13 del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e novellato, che regola il procedimento per l’adozione dei PEF relativi a concessioni il cui periodo regolatorio quinquennale sarebbe scaduto nel corso del 2024, mentre le disposizioni censurate si applicano ai concessionari i cui PEF siano già venuti a scadenza.
Insuscettibile di incidere sulla rilevanza delle odierne questioni, poi, è la nuova disciplina in materia posta dalla legge n. 193 del 2024, in ragione della espressa disposizione transitoria recata dall’art. 14, comma 1, il quale, come si è poc’anzi detto, rende applicabile la disciplina di cui all’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come sostituito dal d.l. n. 215 del 2023, come convertito, alle procedure di aggiornamento dei PEF delle società concessionarie per le quali, alla data di entrata in vigore di tale ultimo decreto-legge, era intervenuta la scadenza del periodo regolatorio quinquennale.
5.− Tra le diverse questioni di legittimità costituzionale, hanno priorità logico-giuridica quelle sollevate, per l’asserita evidente mancanza dei presupposti per l’adozione del decreto-legge, in riferimento all’art. 77 Cost., in quanto concernenti il corretto esercizio della funzione normativa primaria (tra le molte, sentenze n. 146 del 2024 e n. 8 del 2022).
Secondo il Consiglio di Stato, le disposizioni censurate sono omogenee rispetto ai decreti-legge in cui esse sono inserite, entrambi volti – come risulta dal preambolo e dai lavori preparatori – a prorogare o differire termini al fine di garantire la continuità amministrativa.
Tuttavia, secondo il giudice a quo, il differimento dei termini recato dalle suddette disposizioni non era necessario per raggiungere l’obiettivo dichiarato dal legislatore – garantire la continuità amministrativa – in quanto l’amministrazione ha sempre la potestà di provvedere oltre il termine ordinatorio; non era neppure urgente, sia perché i termini procedimentali erano già scaduti, sia perché, già prima delle disposizioni censurate, era necessario tenere conto delle delibere dell’ART tanto per l’aggiornamento dei PEF, quanto per gli adeguamenti tariffari.
5.1.− In relazione alle questioni sollevate circa il corretto utilizzo del decreto-legge, questa Corte ha da tempo e costantemente affermato che, in ragione della elasticità della clausola di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., «[n]on si possono predeterminare […] i casi straordinari di necessità e di urgenza che legittimano il ricorso a tale strumento» (sentenza n. 146 del 2024), di modo che il proprio scrutinio, che non deve sovrapporsi a quello di Governo e Parlamento, è limitato ai casi di «evidente mancanza» dei presupposti (così a partire dalla sentenza n. 29 del 1995), da riscontrarsi alla luce di indici intrinseci ed estrinseci alle disposizioni censurate (ex multis, sentenze n. 146 del 2024, n. 33 del 2019, n. 5 del 2018, n. 93 del 2011, n. 128 del 2008 e n. 171 del 2007) e a prescindere da ogni valutazione in ordine alla ragionevolezza della disciplina introdotta (ancora sentenza n. 171 del 2007).
5.2.− Nella dianzi ricordata prospettiva, le odierne questioni non sono fondate.
5.2.1.− Entrambe le disposizioni censurate – come riconosce, d’altra parte, anche il rimettente Consiglio di Stato – sono materialmente omogenee rispetto ai decreti-legge in cui esse sono inserite. Esse, infatti, incidono su termini, come fanno le altre disposizioni di entrambi i decreti-legge e come si evince dai rispettivi titoli, dai rispettivi preamboli, nonché dalla identica rubrica dell’art. 13 del d.l. n. 162 del 2019 e dell’art. 13 del d.l. n. 183 del 2020.
5.2.2.− Neppure può riscontrarsi, nei termini di evidenza del vizio richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte, un’eterogeneità delle disposizioni censurate rispetto alla finalità – garantire la continuità dell’azione amministrativa – espressa identicamente nei preamboli di entrambi i decreti-legge.
L’adozione delle delibere ART sul sistema tariffario di pedaggio nel corso del 2019, cui si aggiunge, in relazione alla seconda delle disposizioni censurate, l’emergenza epidemiologica da COVID-19, sviluppatasi a partire dal febbraio 2020 e avente un significativo impatto sullo svolgimento dei procedimenti amministrativi in corso, non possono far considerare in sé arbitraria la valutazione del Governo sulla sussistenza del caso straordinario di necessità e urgenza di differire i termini per la conclusione dei procedimenti relativi all’aggiornamento dei PEF e all’adeguamento tariffario, in un ambito materiale concernente infrastrutture di primario rilievo e interesse per il Paese.
6.− Il Consiglio di Stato, poi, reputa le disposizioni censurate in contrasto con gli artt. 3, 41 e 97 Cost.
6.1.− Muovendo dall’osservazione per cui l’amministrazione, a fronte di termini ordinatori, ha sempre la potestà di provvedere anche ove questi siano decorsi, il giudice a quo osserva che le norme oggetto di scrutinio pregiudicano irragionevolmente la continuità dell’azione amministrativa, con violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
Esse, infatti, producono conseguenze che non si sarebbero verificate ove fossero valse le «regole generali che informano i procedimenti amministrativi». E ciò perché esse, da un lato, impongono un ritardo nel decidere sull’istanza di adeguamento tariffario e sull’aggiornamento del PEF e, per un altro, «non consentono o comunque posticipano e rendono maggiormente difficoltosa l’applicazione degli istituti che compulsano la conclusione dei procedimenti aventi termini (ordinatori) scaduti»; senza che tutto ciò sia funzionale a calmierare le tariffe, non solo in quanto la razionalizzazione di queste ultime era già stata operata dalle delibere dell’ART, ma anche perché il differimento del loro adeguamento – che dovrà tenere in conto quanto non già corrisposto a titolo di compensazione – altera «la corrispondenza fra fruizione del bene e pagamento del relativo pedaggio e ne allontana nel tempo la corrispondenza, potenzialmente riverberandosi sui fruitori futuri, che fruiscono di un bene che non corrisponde (più) a quello considerato nel pedaggio corrisposto».
Il mancato adeguamento tariffario e il mancato aggiornamento del PEF sarebbero, poi, «indice di una gestione non scrupolosa del rapporto concessorio», che si riverbera sulle prestazioni richieste al concessionario in ordine agli investimenti e, in ultima analisi, sull’idoneità e sicurezza dell’infrastruttura e sugli interessi dei fruitori del tratto autostradale.
6.2.− Le disposizioni censurate produrrebbero altresì conseguenze negative «sulla libertà d’impresa e sull’utilità sociale», violando l’art. 41 Cost.
Il differimento dei termini che esse determinano, infatti, «pregiudica le capacità programmatorie e di ottenimento delle risorse necessarie per lo svolgimento dell’attività di impresa». Il Consiglio di Stato osserva, in proposito, che l’incertezza creata dalla normativa censurata – peraltro reiterata nel tempo – impedisce l’organizzazione dell’attività d’impresa, che non può contare nell’immediato sulla provvista finanziaria, né sapere quando l’otterrà.
6.3.− Le questioni sono fondate.
6.3.1.− Concessioni come quelle in materia autostradale hanno natura contrattuale e trovano la loro fonte di disciplina nella relativa convenzione, che regola i rapporti tra concedente e concessionario.
È un fenomeno giuridico riconducibile al cosiddetto government by contract, nell’ambito del quale la funzione amministrativa è esercitata non per mezzo di un provvedimento, ma con l’adozione di un modulo consensuale, talora ritenuto dal legislatore più adatto per governare manifestazioni del reale complesse tanto sotto il profilo economico e sociale, quanto sotto il profilo delle dinamiche intercorrenti tra interesse pubblico e interessi dei privati. Non a caso, si tratta di rapporti contrattuali di grande rilievo per gli interessi del Paese, in ragione dell’impatto che essi hanno, come nella specie, sulla realizzazione di complesse infrastrutture essenziali, sui trasporti e sulla stessa competitività nazionale.
Da tale inquadramento del fenomeno discendono alcune considerazioni, attinenti sia all’esercizio della funzione amministrativa sia all’assetto dei rapporti quali delineati dal modulo consensuale adottato, riconducibile alla fattispecie un tempo significativamente denominata di concessione-contratto.
6.3.2.− Sul versante dell’azione amministrativa, le cui coordinate vanno rinvenute nell’art. 97 della Carta, va rilevato che il principio di continuità della stessa impone di evitare ogni ritardo che non sia strettamente funzionale alla salvaguardia dell’interesse pubblico cui è finalizzato il concreto procedimento e che possa pregiudicare, in tal modo ingiustificatamente, l’interesse dei privati. A fronte di un procedimento complesso ma analiticamente disciplinato, finalizzato a garantire l’equilibrio tra le parti insito nell’adozione del modulo consensuale (recte: contrattuale), risulta del tutto distonica una disposizione che, regolando direttamente quel procedimento, incide unilateralmente su un elemento della fattispecie, in senso sfavorevole per una sola delle parti. E appare significativo sottolineare che, in tal modo, il legislatore incide sfavorevolmente sulla parte privata e a vantaggio dell’amministrazione pubblica, operando in via legislativa quell’alterazione della parità delle parti tra amministrazione e privato che l’adozione in via amministrativa del modulo consensuale intendeva evitare.
Né tale alterazione della parità delle parti e conseguentemente dell’equilibrio contrattuale appare sorretta, nel caso in esame, da una idonea ragione di interesse pubblico.
L’esigenza, manifestata dalla difesa dell’interveniente, di assicurare l’applicazione del nuovo sistema tariffario a fronte di richieste asseritamente contrastanti con esso da parte della concessionaria, poteva già essere soddisfatta dall’applicazione delle delibere sia del CIPE sia dell’ART nel frattempo intervenute e avrebbe giustificato semmai un diniego di approvazione dei PEF non conformi alle stesse e dei conseguenti aumenti tariffari proprio sulla base di tale difformità, mentre – come si è visto – le delibere impugnate nel giudizio a quo sono motivate esclusivamente sulla base dell’intervenuto differimento dei termini in forza delle disposizioni censurate.
Per converso, come rilevato sia dal giudice a quo che da RAV, imponendo di non provvedere nei termini originariamente previsti sull’istanza di adeguamento tariffario e sull’aggiornamento del PEF, alla soluzione di continuità nell’esercizio dell’azione amministrativa e nell’ordinario svolgimento del rapporto contrattuale, si è aggiunto l’effetto di rendere sostanzialmente inoperanti gli istituti volti a favorire la conclusione di procedimenti il cui termine ordinatorio sia scaduto, a garanzia del buon andamento di tale azione amministrativa; con la conseguenza di produrre, a detrimento di quel buon andamento, la deresponsabilizzazione dei pubblici dipendenti e, soprattutto, la copertura in via legislativa di comportamenti della pubblica amministrazione astrattamente idonei a generare la sua responsabilità sul piano civilistico.
Gli illegittimi effetti determinati dalle disposizioni censurate, d’altra parte, sono stati accentuati dalle ulteriori dilazioni dei termini dettate dalla normativa successiva, le quali reiterano e consolidano l’alterazione della parità tra la parte pubblica e quella privata, senza che vi sia un interesse pubblico a sorreggere tale mutamento dell’equilibrio.
Non va da ultimo sottaciuto, anche sul piano della ragionevolezza, l’effetto paradossale della censurata posticipazione dei termini procedimentali, che non fa altro che alterare la corrispondenza tra fruizione del bene e pagamento del relativo pedaggio, in spregio del principio, posto a garanzia dell’utenza, del pay for use, tenendo immuni dagli aumenti delle tariffe proprio i fruitori, in un dato tempo, dell’infrastruttura, e potenzialmente riverberandosi, con i connessi aumenti, sui fruitori futuri.
6.3.3.− L’alterazione dell’equilibrio tra le parti risulta, d’altra parte, particolarmente accentuato sul versante del rapporto contrattuale che discende dalla concessione, con conseguente lesione dell’art. 41 Cost. Va infatti considerato che, in rapporti di tal genere, proprio per la importanza che essi rivestono e per gli interessi che intendono soddisfare, l’equilibrio contrattuale convenuto fra le parti assume massimo rilievo, in quanto funzionale a rendere l’esercizio della concessione in linea con gli interessi del Paese e nella piena garanzia dell’utenza.
Entro tale quadro, il legislatore non perde la possibilità di incidere sul rapporto concessorio, dettando una disciplina normativa in parte diversa da quella vigente all’epoca della stipula della convenzione. Vale in proposito quanto questa Corte afferma costantemente, ovvero che «con riferimento ai rapporti di durata, e alle modificazioni peggiorative che su di essi incidono secondo il meccanismo della cosiddetta retroattività impropria, […] il legislatore dispone di ampia discrezionalità e può anche modificare in senso sfavorevole la disciplina di quei rapporti, ancorché l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non trasmodi in un regolamento irrazionalmente lesivo del legittimo affidamento dei cittadini (ex plurimis, sentenze n. 241 del 2019, n. 16 del 2017, n. 203 del 2016 e n. 236 del 2009)» (sentenza n. 234 del 2020).
Ciò è valso particolarmente nel settore autostradale, ove «le concessioni in essere – per la quasi totalità assentite da decenni e senza l’esperimento di procedure concorsuali – sono il risultato di scelte effettuate con un’ottica non attenta all’efficienza del settore e delle gestioni», con un conseguente quadro «non sufficientemente trasparente sotto il profilo dei criteri, dei modelli tariffari applicati e dei sistemi di ammortamento degli investimenti» (Corte dei conti, sez. centr. contr. amm. Stato, deliberazione n. 18/2019/G).
È sulla scia di valutazioni e considerazioni di questo genere, d’altra parte, che, come si è visto, il legislatore ha ritenuto di istituire un’Autorità di regolazione dei trasporti, affidandole competenze specifiche, da esercitare – si noti – anche in riferimento alle concessioni in essere, in ordine alla determinazione dei criteri per la fissazione delle tariffe autostradali, nonché alla verifica del rispetto di tali criteri da parte dei soggetti interessati. In presenza di rapporti concessori pluriennali concernenti la gestione di beni comuni di rilievo strategico, infatti, resta prioritario «garantire il rispetto di standard di efficienza ed economicità, a tutela dell’interesse degli utenti al mantenimento di adeguati livelli qualitativi del servizio» (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 4 maggio 2022, n. 3484).
Le disposizioni censurate pongono invece una disciplina che – pur non modificando ex se la regolazione del rapporto concessorio, in quanto apparentemente si limita a differire i termini per la conclusione dei procedimenti di adeguamento tariffario e di aggiornamento dei PEF – finisce per alterare irragionevolmente l’equilibrio contrattuale tra le parti, sbilanciandolo in favore di una di esse, l’amministrazione concedente, con ricadute negative sugli interessi tanto dei concessionari, quanto dell’utenza.
Il loro effetto sostanziale, infatti, è quello di "bloccare” – e far ripartire daccapo – il procedimento di aggiornamento dei PEF, spostando in avanti il termine per la sua conclusione, ulteriormente differito peraltro con interventi legislativi successivi. Così facendo, il legislatore legittima il silenzio-inadempimento del concedente – il quale, secondo quanto è emerso anche durante la discussione nell’udienza pubblica, allo stato mai ha espressamente rigettato una proposta di PEF – e contestualmente impedisce al concessionario di agire contro tale silenzio.
Incidendo in tal modo sulla relazione paritaria concessoria, in cui come detto sono prevalenti gli elementi del rapporto contrattuale rispetto a quelli autoritativi, non soltanto è leso – come si è detto – il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, che secondo una moderna concezione del potere pubblico impone che il relativo esercizio sia improntato ai canoni di correttezza e del giusto procedimento nonché al principio di doverosità della funzione amministrativa, ma possono determinarsi conseguenze di non poco momento sull’infrastruttura autostradale, sulla sua efficienza e sulla sua sicurezza, che necessitano di manutenzione e investimenti che vanno programmati.
Sotto questo profilo, infatti, l’aggiornamento del PEF e l’adeguamento annuale delle tariffe – che, nel contesto dell’innovato quadro normativo imperniato attorno alle competenze di ART in materia, sono posti in stretta correlazione tra loro – sono funzionali a consentire al concessionario di programmare le capacità di spesa e gli investimenti da effettuare sulla rete autostradale, in modo da assolvere efficientemente agli obblighi contrattuali derivanti dalla convenzione. Il differimento dei termini per la conclusione dei procedimenti qui in esame altera l’equilibrio contrattuale e impedisce al concessionario di avere la provvista finanziaria necessaria, minandone dunque la libertà di iniziativa economica privata.
6.3.4.− Lo sbilanciamento del rapporto concessorio così posto in essere non è funzionale neppure a impedire, secondo quanto affermato nelle difese dal Presidente del Consiglio dei ministri, un asserito aumento ingiustificato delle tariffe, sul presupposto che queste potessero essere calcolate sulla base dei vecchi criteri.
A escludere una tale evenienza stanno proprio l’istituzione dell’ART e la successiva estensione delle sue competenze alle concessioni in essere, che hanno portato alle delibere del 2019, le quali hanno dettato criteri uniformi per il calcolo delle tariffe. Spetta ora a una efficace e doverosa interlocuzione tra le parti, ispirata al principio di buona fede, dare applicazione alle delibere dell’Autorità di regolazione dei trasporti, aggiornando i PEF e adeguando le tariffe secondo i criteri dettati da tali delibere.
Le disposizioni censurate – e quelle che ne sono seguite – hanno, invece, sistematicamente differito e diversamente scansionato la sequenza procedimentale, di natura contrattuale, in ordine all’aggiornamento dei PEF e all’adeguamento delle tariffe, trasformandola invero in una sequenza di non-provvedimenti.
L’esito è duplice. In primo luogo, si realizza un irragionevole blocco dell’attività amministrativa, che ha quale paradossale conseguenza quella di impedire di dare seguito a quel disegno del legislatore imperniato su tariffe omogenee, stabilite sulla base dei criteri dell’autorità di settore. In secondo luogo, viene a crearsi uno squilibrio tra le parti del rapporto concessorio: il concessionario è tenuto agli adempimenti di tutti gli obblighi inerenti alla concessione, e specificati nella convenzione, senza peraltro poter contare sulla provvista finanziaria che il sistema normativo gli garantisce in tempi prestabiliti; l’amministrazione concedente è esonerata, per un tempo limitato ma indefinito e comunque di significativa durata, dall’adempimento degli obblighi assunti nei confronti del concessionario, a garanzia delle esigenze economiche dell’impresa, e, correlativamente, della sicurezza dell’infrastruttura a tutela dell’utenza.
6.3.5.− Deve essere pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e nel testo vigente prima delle modifiche di cui all’art. 13, comma 5, del d.l. n. 183 del 2020, nonché del medesimo art. 13, comma 5, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito.
Restano assorbite le ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate.
6.3.6.− La declaratoria d’illegittimità costituzionale deve essere estesa in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), alle disposizioni che, incidendo sul testo originario dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, hanno ulteriormente differito i termini ivi previsti, così aggravando i vizi di costituzionalità in questa sede accertati. Gli atti legislativi in questione, nella loro sequenza, sono ancor più sintomatici del cattivo uso del potere legislativo sopra riscontrato.
Devono pertanto essere dichiarati costituzionalmente illegittimi anche l’art. 2, comma 1, del d.l. n. 121 del 2021, come convertito, l’art. 24, comma 10-bis, del d.l. n. 4 del 2022, come convertito, e l’art. 10, comma 4, del d.l. n. 198 del 2022, come convertito.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8 e nel testo vigente prima delle modifiche di cui all’art. 13, comma 5, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall’Unione europea», convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5, del decreto-legge n. 183 del 2020, come convertito;
3) dichiara in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121 (Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali), convertito, con modificazioni, nella legge 9 novembre 2021, n. 156;
4) dichiara in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 10-bis, del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2022, n. 25;
5) dichiara in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 4, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 14;
6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e nel testo vigente prima delle modifiche di cui all’art. 13, comma 5, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, sollevata, in riferimento all’art. 77 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione quinta, con la sentenza non definitiva indicata in epigrafe;
7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 5, del d.l. n. 183 del 2020, convertito, con modificazioni, nella legge n. 21 del 2021, sollevata, in riferimento all’art. 77 Cost., dal Consiglio di Stato, sezione quinta, con la sentenza non definitiva indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 14 ottobre 2025