SENTENZA N. 93
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Giovanni AMOROSO;
Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 70, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), «in relazione» agli artt. 282 e 301 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), e all’Accordo tra la Comunità economica europea e la Confederazione Svizzera del 22 luglio 1972, concluso con regolamento CEE del 19 dicembre 1972, n. 2840, promosso dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, nel procedimento vertente tra l’Agenzia delle dogane e M.G. G. con ordinanza del 4 luglio 2024, iscritta al n. 167 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visti l’atto di costituzione di M.G. G. e l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 maggio 2025 il Giudice relatore Luca Antonini;
uditi l’avvocato Eugenio Briguglio per M.G. G. e gli avvocati dello Stato Francesco Sclafani e Roberto De Felice per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio dell’11 giugno 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 4 luglio 2024, iscritta al n. 167 reg. ord. del 2024, la Corte di cassazione, sezioni unite civili, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione e all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, questione di legittimità costituzionale dell’art. 70, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), «in relazione» agli artt. 282 e 301 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), e all’Accordo tra la Comunità economica europea e la Confederazione Svizzera del 22 luglio1972, concluso con regolamento CEE del 19 dicembre 1972, n. 2840, nella parte in cui, nel prevedere che «[s]i applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine», non esclude l’applicabilità dell’art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973 nel caso in cui la violazione consista nel mancato versamento dell’IVA all’importazione.
2.– La controversia origina da un provvedimento di confisca emesso ai sensi dell’art. 301 t.u. dogane e notificato a un contribuente che, provenendo dalla Svizzera, era stato sorpreso il 3 ottobre 2012 presso la sala arrivi dell’Aeroporto di Milano-Linate in possesso di un’opera d’arte di ingente valore, di cui aveva omesso la dichiarazione e il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) all’importazione. Il processo penale promosso per tale evasione di imposta si era concluso con l’assoluzione, perché il giudice penale aveva ritenuto il fatto non più previsto come reato a seguito dell’intervento di depenalizzazione della condotta di contrabbando semplice, per effetto dell’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67); una volta trasmessi gli atti all’autorità amministrativa competente, erano stati disposti il sequestro e la confisca dell’opera. Avverso il provvedimento di confisca il contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale che lo aveva rigettato, ma il giudice di secondo grado aveva accolto l’appello del contribuente, sull’assunto che la confisca di cui all’art. 301 t.u. dogane non era più applicabile per effetto della depenalizzazione del reato di contrabbando semplice. Avverso la sentenza del giudice di appello l’Agenzia delle dogane aveva proposto ricorso per cassazione.
Con l’ordinanza interlocutoria 21 luglio 2023, n. 21917, la Corte di cassazione, sezione tributaria, aveva rimesso alle Sezioni unite la questione «di massima di particolare importanza» se, in caso di violazione dell’obbligo di pagamento dell’IVA all’importazione, alle condotte di contrabbando semplice di cui all’art. 282 t.u. dogane depenalizzate per effetto della disposizione di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016, fosse ancora applicabile l’art. 301 t.u. dogane.
3.– Pronunciando sulla questione, le Sezioni unite ritengono che «debba affermarsi la persistente vigenza dell’art. 301 d.P.R. n. 43 del 1973»: innanzitutto, perché il d.lgs. n. 8 del 2016 non ha compiuto alcuna espressa abrogazione della disposizione in parola per le condotte depenalizzate; inoltre, perché non assume rilievo la clausola di chiusura contenuta nell’art. 6 del d.lgs. n. 8 del 2016, secondo cui «[n]el procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal presente decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689»; infine, in quanto una eventuale interpretazione a favore dell’abrogazione sarebbe irragionevole alla luce di una prospettiva sistematica.
4.โ Il giudice a quo, dopo aver precisato che la vicenda in giudizio «riguarda l’importazione di un bene dalla Svizzera in Italia, sicché l’ambito normativo è costituito dall’Accordo tra la CEE e la Confederazione elvetica del 19 dicembre 1972 e, in ispecie, dall’art. 18, primo comma», considera «l’esigenza di valutare il rapporto tra l’Iva all’importazione e i dazi doganali», evidenziando che, secondo la giurisprudenza unionale e di legittimità, la prima non costituirebbe, diversamente dai dazi doganali, un diritto di confine riconducibile nell’alveo dell’art. 34 t.u. dogane.
Sarebbe, infatti, «giurisprudenza assolutamente consolidata (v. ex multis Cass. n. 16109 del 29/07/2015; Cass. n. 8473 del 6/04/2018; Cass. n. 5962 del 28/02/2019), sulla scorta di ripetute affermazioni della Corte di giustizia, che l’Iva all’importazione non è un diritto di confine (riconducibile all’art. 34 TULD) al pari dei dazi doganali ma, quanto alle sue caratteristiche, è la medesima imposta dell’Iva intraunionale».
Quindi, secondo il rimettente, sebbene l’IVA all’importazione rientri tra i tributi che vanno corrisposti in occasione delle operazioni doganali, «il sistema dell’Iva all’importazione è, per sua natura, incardinato in quello generale dell’Iva […], che colpisce sistematicamente e secondo criteri obiettivi sia le operazioni degli Stati membri, sia quelle all’importazione».
5.โ Le Sezioni unite evidenziano che l’IVA all’importazione è però assoggettata alle disposizioni sanzionatorie dettate per i diritti di confine, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972: disposizioni tra le quali rientra quella dell’art. 301 t.u. dogane, che prevede un’ipotesi speciale di confisca, mentre analoga sanzione non è prevista per l’IVA interna.
Pongono poi in rilievo che, sebbene l’IVA all’importazione sia, per natura, riconducibile al sistema generale dell’IVA, al pari di quella interna, la scelta discrezionale del legislatore di prevedere un regime differenziato tra le medesime imposte, per quanto concerne le sanzioni da applicare in caso di violazione degli obblighi di legge, incontra i limiti che derivano, da un lato, dal rispetto del diritto dell’Unione e, dunque, del principio di proporzionalità, e, dall’altro, dalla conformità della disciplina ai principi costituzionali di proporzionalità e di ragionevolezza, ai sensi dell’art. 3 Cost.
Il giudice rimettente ritiene quindi che «il combinato disposto dell’art. 70 d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione agli artt. 282 e 301 TULD non si sottragga a dubbi di costituzionalità rispetto ai principi di proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., oltre che dell’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea», sebbene non sussistano i presupposti né per il rinvio pregiudiziale, «né per la disapplicazione della norma interna».
6.โ Le Sezioni unite escludono, peraltro, dato il tenore letterale dell’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972, la possibilità di compiere un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, «neppure potendosi ipotizzare una estensione, in via interpretativa, dei principi dettati dall’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, comunque collocati nell’alveo di una disciplina autonoma e distinta, da cui il rischio di generare una distonia di sistema».
7.โ In punto di rilevanza, il giudice a quo evidenzia che «la valutata persistenza nell’ordinamento dell’art. 301 TULD e il richiamo operato dall’art. 70 d.P.R. n. 633 del 1972 per l’Iva all’importazione al regime sanzionatorio doganale è idonea a determinare, nella vicenda in giudizio, l’applicazione della confisca doganale per la condotta contestata, non venendo neppure in rilievo l’evasione di dazi, non previsti e non contestati».
8.โ Quanto alla non manifesta infondatezza, le Sezioni unite richiamano, in primo luogo, quanto già affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, sesta sezione, con la sentenza 25 febbraio 1988, causa C-299/86, Rainer Drexl, sul «divario manifestamente sproporzionato nella severità delle sanzioni comminate», che si verifica quando «la sanzione [applicata] per il caso dell’importazione comporta, di norma, pene detentive e la confisca della merce in forza delle norme intese a reprimere il contrabbando, mentre sanzioni comparabili non sono contemplate o non sono applicate in modo generale, nel caso di infrazione all’IVA negli scambi interni».
9.โ In secondo luogo, ritengono che l’applicabilità delle sanzioni doganali alle ipotesi di mancato pagamento dell’IVA all’importazione si rivelerebbe di particolare criticità, poiché l’irrogazione della confisca di cui all’art. 301 t.u. dogane comporterebbe un trattamento sanzionatorio disallineato rispetto a quello previsto per analoghe violazioni relative all’IVA interna.
Infatti, per le condotte di rilievo non penale, in caso di inosservanza degli obblighi relativi all’IVA interna, le infrazioni sono sanzionate soltanto in via amministrativa, secondo le previsioni generali di cui al decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) nonché quelle specifiche di cui al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, recante «Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662», e non è, quindi, prevista la confisca.
Al contrario, per l’IVA all’importazione la confisca doganale si cumulerebbe con l’applicazione delle previste sanzioni amministrative.
Il rimettente precisa, quindi, «che in materia di Iva interna nei soli casi di condotta di rilevanza penale – per il superamento della soglia individuata in relazione alle diverse ipotesi delittuose contemplate dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – è prevista la confisca obbligatoria ex art. 12 bis d.lgs. n. 74 del 2000, mentre per le altre ipotesi, sanzionate solo in via amministrativa e che rinvengono la loro disciplina nel d.lgs. n. 472 del 1997, non è prevista nessuna misura ablatoria, potendo l’erario solo chiedere le misure cautelari del sequestro e dell’ipoteca».
Secondo le Sezioni unite, la circostanza che l’IVA interna sia riscossa al momento dello scambio e, pertanto, possa risultare più agevole l’accertamento delle condotte evasive rispetto a quelle relative all’IVA all’importazione, non sembrerebbe idonea a giustificare, nel secondo caso, l’ablazione della titolarità del bene.
Aggiungono inoltre che, anche tenendo conto della disciplina unionale prevista in caso di violazione degli obblighi doganali, nonostante i caratteri strutturali che differenziano l’IVA all’importazione rispetto al dazio doganale, a quest’ultimo tributo si applicherebbe un regime meno gravoso in materia di confisca, posto che l’art. 124, paragrafo 1, lettera e), del regolamento (UE) 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione, prevede che l’obbligazione doganale riferita al dazio si estingue «quando le merci soggette a dazi all’importazione o all’esportazione vengono confiscate o sequestrate e contemporaneamente o successivamente confiscate».
10.โ La particolare asprezza della risposta punitiva per l’omesso versamento dell’IVA all’importazione sarebbe, inoltre, evidente se raffrontata con la parallela disciplina della confisca applicata, ai sensi dell’art. 12-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), per le condotte di rilevanza penale in materia di IVA interna.
Questa disposizione prevedeva, al comma 2, che «[l]a confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di un sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta».
Secondo il rimettente, sebbene la confisca debba essere obbligatoriamente irrogata in caso di condanna (o di applicazione della pena su richiesta delle parti), «tuttavia se l’imposta evasa è restituita il provvedimento ablatorio non ha più ragione d’essere», il che dovrebbe indurre a ritenere che «[l]a finalità evidentemente perseguita con la disposizione è quella di favorire il recupero del debito impositivo, sicché, qualora questo venga estinto con la restituzione all’Erario del profitto derivante dal reato, viene meno lo scopo perseguito con la confisca».
11.โ A incidere, poi, sulla non proporzionalità della misura sanzionatoria della confisca concorrerebbe anche la sua natura fissa e automatica, in quanto non si terrebbe conto della condotta tenuta dal contravventore e, a tal proposito, il rimettente evidenzia che «nella vicenda in giudizio il contribuente ha sì importato illegalmente un’opera d’arte, ma ha anche, anteriormente alla stessa adozione del provvedimento di confisca, integralmente versato sia l’imposta evasa sia le sanzioni amministrative irrogate».
12.โ Alla luce di questo quadro comparato della disciplina della confisca relativa all’IVA all’importazione rispetto a quella prevista per i dazi doganali e per l’IVA interna, le Sezioni unite concludono affermando che «il cumulo sanzionatorio, costituito dall’applicazione della confisca in aggiunta alle sanzioni amministrative pecuniarie, per la condotta di evasione dell’Iva all’importazione per le operazioni compiute con la Svizzera, risult[a], in sé, di particolare severità e, in ogni caso, maggiore rispetto a quanto previsto per le omologhe condotte sia in tema di Iva interna, sia in tema di Iva all’importazione negli scambi intraunionali. Tale dicotomia persiste anche ove si considerino le fattispecie di rilievo penale, oggettivamente più gravi rispetto a quella in giudizio, sanzionata in via amministrativa».
Le Sezioni unite ritengono, quindi, che «l’art. 70, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione agli artt. 282 e 301 d.P.R. n. 43 del 1973 e all’Accordo tra la CEE e la Confederazione elvetica del 19 dicembre 1972 (recepito nel reg. n. 2840/72/CEE), nella parte in cui, nel prevedere “Si applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”, non esclude l’applicabilità dell’art. 301 TULD, ponga concreti dubbi di costituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost., nonché dell’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea».
13.โ È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare la questione inammissibile o non fondata ovvero di restituire gli atti al giudice a quo per una nuova valutazione alla luce del sopravvenuto mutamento del quadro normativo.
13.1.โ Secondo la difesa statale, sarebbe in primo luogo inammissibile la questione nella parte in cui prospetta la violazione dell’art. 49 CDFUE, non avendo il rimettente esplicitato il contenuto della disposizione richiamata né argomentato su di esso e, anche ove si ritenga che il giudice rimettente abbia inteso fare richiamo al terzo comma del citato art. 49, la questione sarebbe comunque inammissibile in quanto il principio di proporzionalità delle sanzioni appartiene al diritto unionale, quindi il giudice a quo avrebbe semmai dovuto disapplicare la disposizione nazionale contrastante.
Inoltre, il richiamo all’art. 49 sarebbe comunque viziato da aberratio ictus, in quanto il principio di proporzionalità sarebbe «sancito dall’art. 5 comma quarto del Trattato dell’Unione Europea, ed è applicato dagli Stati membri in virtù del principio di sussidiarietà ai sensi dell’art. 5 comma terzo dello stesso Trattato. Invece, l’art. 49 della Carta cit. si riferisce alle pene irrogate dal giudice penale e non alle sanzioni amministrative».
13.2.โ In secondo luogo, secondo la difesa statale la questione sarebbe inammissibile per vizio di motivazione sulla non manifesta infondatezza, in quanto il giudice rimettente avrebbe dovuto considerare che la confisca, nel caso in esame, era relativa a una condotta che continuava a essere penalmente rilevante, perché, dato l’elevato ammontare del tributo evaso, non sarebbe rientrata nell’ambito delle ipotesi di depenalizzazione contemplate dal d.lgs. n. 8 del 2016.
13.3.โ La questione sarebbe, inoltre, inammissibile per contraddittorietà della motivazione, poiché, da una parte, si afferma che il più severo trattamento delle violazioni relative ai tributi dovuti in caso di importazione si giustificherebbe per la loro maggiore difficoltà di accertamento rispetto a quelle di evasione dell’IVA interna, dall’altra, si ritiene, in modo contraddittorio, che non vi sarebbero «differenze procedurali e di accertamento di significativo impatto tra le diverse fattispecie».
14.โ Quanto al merito, la difesa statale evidenzia che, seppure la confisca di cui all’art. 301 t.u. dogane sia più afflittiva rispetto a quella prevista dall’art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, applicabile in caso di violazione di rilevanza penale per violazione degli obblighi relativi all’IVA interna, ciò non sarebbe ingiustificato, in quanto «lo stesso giudice rimettente, citando giurisprudenza, ritiene conforme alla Carta costituzionale un più severo trattamento delle violazioni finanziarie in occasione della introduzione di beni nel territorio dello Stato, piuttosto che delle violazioni finanziarie della stessa imposta commesse all’interno dello Stato».
15.โ Sarebbe in ogni caso opinabile, secondo la difesa statale, che l’IVA all’importazione non abbia natura di diritto di confine e costituisca, quindi, una fattispecie distinta rispetto all’evasione dei dazi.
Questa qualificazione, invece, sarebbe desumibile da una interpretazione letterale e sistematica dell’art. 34 t.u. dogane, che riconduce nell’ambito dei diritti doganali anche i diritti di confine e che individua, fra questi ultimi, «ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato»: fra queste ultime, infatti, dovrebbe ricomprendersi anche l’IVA all’importazione.
16.โ Aggiunge la difesa statale che, in ogni caso, la disposizione censurata non sarebbe sproporzionata, perché la più gravosa disciplina sanzionatoria prevista per la violazione degli obblighi relativi all’IVA all’importazione rispetto a quella per l’IVA interna troverebbe giustificazione nel fatto che «l’introduzione nello Stato di beni in evasione di diritti di confine [sarebbe] estremamente più grave di qualsivoglia operazione di evasione o elusione fiscale interna allo Stato e del medesimo ammontare».
17.โ Infine, la difesa statale ritiene che sussistano i presupposti per una restituzione degli atti al giudice rimettente «per un nuovo esame» alla luce del sopravvenuto intervento normativo di cui al decreto legislativo 26 settembre 2024, n. 141 (Disposizioni nazionali complementari al codice doganale dell’Unione e revisione del sistema sanzionatorio in materia di accise e altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi).
In particolare, evidenzia che l’art. 27, comma 2, dell’«Allegato 1» al d.lgs. n. 141 del 2024, prevede, ora, che «[f]ra i diritti doganali di cui al comma 1 costituiscono diritti di confine […] l’imposta sul valore aggiunto e ogni altra imposta di consumo, dovuta all’atto dell’importazione, a favore dello Stato», sicché il legislatore avrebbe qualificato espressamente l’IVA all’importazione quale diritto doganale, distinguendola in tal modo dall’IVA interna.
Inoltre, osserva che, «[p]oiché la qualificazione dell’IVA come diritto non doganale è fondamentale nell’ordinanza di rimessione, il mutato assetto normativo potrebbe suggerire la restituzione degli atti al giudice rimettente per un nuovo esame alla luce del complessivo mutamento del quadro sanzionatorio, che in parte è una lex mitior retroattiva non solo ai fini penali».
18.โ Nel giudizio si è costituito M.G. G., controricorrente nel giudizio principale, che ha argomentato nel senso della dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.
18.1.โ La parte assume, in primo luogo, che la novella di cui al d.lgs. n. 141 del 2024 non avrebbe alcun impatto sulla disciplina applicabile nel giudizio a quo, tenuto conto che nell’art. 7, comma 3, si prevede espressamente che «[l]e sanzioni amministrative di cui all’allegato 1 e all’articolo 3 si applicano alle violazioni commesse a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto», ossia dal 4 ottobre 2024.
18.2.โ Osserva inoltre che la giurisprudenza di legittimità, in linea con quella unionale, avrebbe costantemente affermato l’identità strutturale tra l’IVA all’importazione e quella interna, ma nonostante ciò vi sarebbe un differente trattamento sanzionatorio, perché, mentre le conseguenze che l’ordinamento prevede per le condotte di evasione dell’IVA interna sarebbero sostanzialmente limitate all’applicazione della sanzione pecuniaria di cui al d.lgs. n. 471 del 1997, invece, nel caso di IVA all’importazione, alle sanzioni pecuniarie si aggiunge la misura della confisca.
D’altro canto, questo disallineamento sarebbe ravvisabile anche nel confronto tra le due imposte nel caso di realizzazione di una condotta penalmente rilevante, in quanto, nel caso di IVA interna, trova applicazione la previsione di cui all’art. 12-bis della legge n. 74 del 2000, che prevede la possibilità di evitare la confisca attraverso il pagamento del debito tributario, mentre, nel caso di IVA all’importazione, trova applicazione la confisca obbligatoria di cui all’art. 301 t.u. dogane.
La maggiore gravosità della sanzione applicata nel caso di IVA all’importazione sarebbe riscontrabile anche nel confronto con le conseguenze sanzionatorie previste in caso di evasione del dazio, poiché in questo caso il Codice doganale dell’Unione (CDU) prevede l’effetto estintivo dell’obbligazione doganale in caso di confisca. Sotto tale profilo, l’effetto irragionevole dell’estensione della confisca doganale alle condotte di evasione dell’IVA all’importazione deriverebbe «dall’applicazione della misura della confisca doganale al di fuori del contesto cui ontologicamente appartiene, ovvero a quello doganale».
19.โ La difesa statale ha depositato il 9 aprile 2025 memoria, con la quale ha insistito sulle deduzioni di cui all’atto di intervento, in particolare sulle eccezioni di non fondatezza della questione.
19.1.โ Nella memoria si evidenzia che «[i]n virtù del rinvio per le sanzioni operato dall’art. 70 del d.p.r. n. 633 del 1972 al T.U. n. 43 del 1973, l’introduzione di un bene – ancorché non soggetto a dazi doganali in forza d’accordo internazionale ma pur sempre soggetto ad IVA all’importazione, con evasione di IVA – deve essere considerata fattispecie di contrabbando IVA».
19.2.โ Inoltre, secondo la difesa statale non sarebbe corretto ritenere che le modalità di accertamento dell’evasione dell’IVA all’importazione non siano più difficoltose di quelle relative all’evasione dell’IVA interna. Invero, «l’omessa dichiarazione di beni o servizi ceduti o resi e pagati in Italia comporta l’accertamento di quanto essi valgano, di quanto siano stati pagati e di chi sia il beneficiario della cessione o dell’importazione, cioè di fatti interni allo Stato e generalmente documentati anche se in modo falso», mentre nel caso di IVA all’importazione sarebbe richiesto «un accertamento più laborioso».
Dovrebbe, poi, tenersi conto del fatto che «l’autore della condotta viola la sovranità nazionale mentendo alle autorità doganali preposte ai controlli, che sono finalizzati anche a impedire l’introduzione nel territorio della Repubblica di oggetti il cui porto è assolutamente vietato o vietato a determinate condizioni (dagli stupefacenti alle armi) e non solo ad assicurare il pagamento dei diritti doganali», con conseguente «danno all’interesse pubblico molto maggiore e ulteriore rispetto a quello costituito dalla mancata percezione dei tributi».
La necessità di tutelare questo interesse statale dovrebbe condurre a ritenere che la funzione della confisca sarebbe quella di «prevenire la commissione di fatti di contrabbando, privando il reo del bene».
Sarebbe quindi errato fare richiamo al principio di proporzionalità che, semmai, potrebbe riguardare la sanzione pecuniaria irrogata, perché con la confisca «non [si] intende recuperare imposte o sanzionare il fatto con una pena pecuniaria, in proporzione all'ammontare evaso, bensì scoraggiare del tutto le condotte di contrabbando».
20.โ La parte ha depositato memoria in data 15 aprile 2025, contenente repliche alle deduzioni della difesa statale contenute nell’atto di intervento e nella memoria.
20.1.โ In particolare, ha puntualizzato il fatto che la questione prospettata riguarda la legittimità costituzionale dell’applicazione della confisca doganale obbligatoria di cui all’art. 301 t.u. dogane all’ipotesi di evasione dell’IVA all’importazione, di cui all’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972, fuori dai casi in cui la condotta non costituisca reato ed in cui vi sia stata l’integrale estinzione dell’obbligazione tributaria mediante il pagamento dell’imposta e delle sanzioni «in data anteriore rispetto all’emissione del provvedimento di confisca impugnato».
Sotto tale profilo, non correttamente la difesa statale avrebbe più volte fatto riferimento alla circostanza che «nella fattispecie che ha dato origine al presente giudizio di costituzionalità si sarebbe configurata un’ipotesi di reato».
20.2.โ Così delimitato il thema decidendum, la parte pone in rilievo, al fine di sostenere la violazione del principio di proporzionalità, il fatto che le condotte di evasione dell’IVA all’importazione sarebbero già adeguatamente punite e scoraggiate mediante l’applicazione di sanzioni pecuniarie particolarmente afflittive (nel caso di specie, con una sanzione di ammontare fino a dieci volte i diritti non pagati).
Sarebbe «la somma tra le predette sanzioni e una misura ablatoria obbligatoria dall’afflittività estrema, qual è la confisca doganale, che infrange il limite della proporzionalità e rende la complessiva reazione dell’ordinamento alle violazioni concernenti l’Iva all’importazione sproporzionata e irragionevole».
20.3.โ Con riferimento, poi, alla sollecitazione della difesa statale di restituzione degli atti al giudice a quo, evidenzia, in primo luogo, che le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 141 del 2024 sono entrate in vigore il 4 ottobre 2024, «sicché non possono avere alcun tipo di impatto sul presente giudizio costituzionale» e che, in ogni caso, dalla disciplina sopravvenuta non deriverebbe «alcun trattamento migliorativo per quanto attiene ai casi e alle modalità di applicazione della confisca doganale alle ipotesi di evasione dell’Iva all’importazione, oggetto del presente giudizio».
Considerato in diritto
1.– La Corte di cassazione, sezioni unite civili, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 70, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, «in relazione» agli artt. 282 e 301 del d.P.R. n. 43 del 1973 e all’Accordo tra la Comunità economica europea e la Confederazione Svizzera del 22 luglio 1972 concluso con il regolamento CEE n. 2840/72, nella parte in cui, nel prevedere che «[s]i applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine», non esclude l’applicabilità dell’art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973 nel caso in cui la violazione consista nel mancato versamento dell’IVA all’importazione.
La disposizione censurata prevede, al secondo periodo del comma 1, che, con riferimento all’IVA all’importazione, «[s]i applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine».
Secondo il giudice rimettente la disposizione si porrebbe in contrasto con i principi di proporzionalità e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e all’art. 49 CDFUE.
Infatti, l’applicabilità delle sanzioni doganali alle ipotesi di mancato pagamento dell’IVA all’importazione si rivelerebbe in contrasto con i principi richiamati, poiché l’irrogazione della confisca obbligatoria di cui all’art. 301 t.u. dogane, in aggiunta alle sanzioni pecuniarie amministrative, comporterebbe un cumulo sanzionatorio sproporzionato e disallineato rispetto al trattamento previsto per analoghe violazioni relative all’IVA interna.
A parità di disvalore, per quest’ultima è prevista, ai sensi dell’art. 12-bis, del d.lgs. n. 74 del 2000, la misura della confisca solo nel caso di rilevanza penale della condotta, ma la stessa non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario.
Questo diverso trattamento sanzionatorio non si giustificherebbe stante l’identità strutturale tra l’IVA interna e quella all’importazione, atteso che, in base alla giurisprudenza unionale e di legittimità, la seconda non costituirebbe un diritto di confine, riconducibile nell’alveo dell’art. 34 t.u. dogane, come invece i dazi doganali, rispetto ai quali sussisterebbe una differenza strutturale, perché il sistema dell’IVA all’importazione sarebbe, per sua natura, incardinato in quello generale dell’IVA.
L’eccesso di cumulo sanzionatorio risulterebbe anche dal raffronto con la disciplina prevista per i dazi, perché l’art. 124, paragrafo 1, lettera e), CDU prevede che l’obbligazione doganale si estingue quando le merci soggette ai dazi all’importazione vengono confiscate.
A evidenziare il carattere sproporzionato della misura della confisca concorrerebbe, infine, anche la sua natura fissa e automatica, che non consente di considerare la condotta tenuta dal contravventore.
2.โ Va preliminarmente disattesa l’eccezione della difesa statale di inammissibilità della questione prospettata in riferimento all’art. 49 CDFUE sotto diversi profili: innanzitutto perché il giudice rimettente avrebbe solo genericamente fatto riferimento a questa disposizione, poi in quanto la disposizione riguarderebbe solo le sanzioni penali, non anche quelle pecuniarie amministrative e infine, perché, come conseguenza del suo ragionamento, il giudice rimettente avrebbe dovuto in realtà disapplicare la disposizione censurata.
2.1.โ Secondo questa Corte, il giudice a quo deve illustrare le ragioni per le quali la disposizione censurata ricadrebbe nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea; ciò che a sua volta condiziona, ai sensi dell’art. 51 CDFUE, la stessa applicabilità delle norme della Carta, inclusa la loro idoneità a costituire parametri interposti nel giudizio di legittimità costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 85 del 2024).
Il giudice rimettente, sotto questo profilo, ha chiaramente e correttamente fatto richiamo alla disposizione di cui all’art. 49 CDFUE al fine di supportare, anche a livello unionale, l’argomento secondo cui la disposizione censurata, nel prevedere la confisca obbligatoria in caso di violazione dell’IVA all’importazione, non sarebbe rispettosa della proporzionalità tra la sanzione e la gravità dell’illecito; principio che discende, oltre che dall’art. 3, primo comma, Cost., anche dal paragrafo 3 del citato art. 49 CDFUE, per il quale «[l]e pene non devono essere sproporzionate rispetto al reato», che l’Italia è tenuta ad osservare in forza degli obblighi unionali cui è vincolata ai sensi degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.
Questa valutazione di non proporzionalità della sanzione della confisca, che ha chiaramente carattere afflittivo, è stata compiuta dal giudice rimettente comparando la disciplina sanzionatoria prevista per l’IVA all’importazione con quella applicabile per l’IVA interna.
Entra qui in considerazione, pertanto (come già evidenziato da questa Corte con la sentenza n. 46 del 2023), «la conformità del sistema sanzionatorio nazionale ai criteri indicati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in tema di proporzionalità delle sanzioni tributarie relative ai tributi armonizzati (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 26 aprile 2017, in causa C-564/15, Farkas; 26 novembre 2015, in causa C-487/14, Total Waste Recycling; 16 luglio 2015, in causa C-255/14, Chmielewski; 17 luglio 2014, in causa C-272/13, Equoland; 18 dicembre 1997, nelle cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96, Molenheide e altri)».
L’assimilazione dell’IVA all’importazione a quella interna comporta, nella prospettiva del giudice rimettente, la riconducibilità della prima nel sistema generale dell’IVA, tributo armonizzato, con conseguente ricaduta della disposizione censurata nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea.
2.2.โ Va osservato, inoltre, con riferimento al profilo relativo all’obbligo di disapplicare la disposizione censurata in contrasto con l’art. 49 CDFUE, che ove la questione abbia altresì «un “tono costituzionale”, per il nesso con interessi o principi di rilievo costituzionale» (ex plurimis, sentenza n. 181 del 2024), il giudice italiano ha sempre, assieme agli altri rimedi, «l’ulteriore possibilità di sollecitare l’intervento di questa Corte, affinché rimuova la legge nazionale ritenuta incompatibile con il diritto dell’Unione» (nello stesso senso, recentemente, sentenza n. 7 del 2025).
Nella specie, è evidente il nesso con il principio costituzionale di proporzionalità della sanzione, desumibile, tra l’altro, dall’art. 3 Cost.
3.โ Non fondata è anche l’eccezione della difesa statale di inammissibilità delle questioni per vizio di motivazione sulla non manifesta infondatezza, in quanto il rimettente non avrebbe considerato che la condotta realizzata nel caso di cui si discute nel giudizio principale, dato l’ammontare del tributo evaso, non rientrava tra quelle oggetto di depenalizzazione.
In realtà, il giudice a quo ha preso atto della circostanza che il processo penale che era stato instaurato nei confronti del contribuente si era concluso con la sua assoluzione, perché il giudice penale aveva ritenuto che il fatto non era più previsto come reato a seguito dell’avvenuta depenalizzazione della fattispecie di contrabbando semplice per effetto dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 8 del 2016, e che, conseguentemente, era stata applicata al contribuente la sanzione amministrativa pecuniaria prevista per tale illecito depenalizzato.
La considerazione della difesa statale che la condotta del contribuente non sarebbe dovuta rientrare nell’ambito della depenalizzazione si scontra, dunque, con l’esito processuale di cui inevitabilmente il giudice rimettente ha dovuto prendere atto.
4.โ È parimenti non fondata l’eccezione della difesa statale di inammissibilità della questione per contraddittorietà della motivazione, perché il rimettente, da un lato, avrebbe affermato che il più severo trattamento delle violazioni relative ai tributi dovuti in caso di importazione si giustificherebbe per la loro maggiore difficoltà di accertamento rispetto a quelle inerenti all’evasione dell’IVA interna; dall’altro, che non vi sarebbero «differenze procedurali e di accertamento di significativo impatto tra le diverse fattispecie».
Secondo questa Corte (sentenze n. 232 del 2019 e n. 206 del 2001) la contraddittorietà della motivazione si traduce nell’inidoneità della medesima a «evidenziare e spiegare il quomodo del preteso vulnus» lamentato (sentenza n. 176 del 2021), come qualora si formuli una censura che «smentisce la stessa premessa da cui muove la ricorrente» (sentenza n. 297 del 2009).
Nell’ordinanza di rimessione, invece, non viene contemporaneamente dedotto che l’evasione dell’IVA all’importazione determina una difficoltà di accertamento maggiore rispetto ad altre fattispecie simili (evasione dell’IVA interna), cui consegue la legittimità di un trattamento repressivo più severo, e che (contraddittoriamente) tra la fattispecie di evasione dell’IVA all’importazione e quella di evasione dell’IVA interna non vi sarebbero differenze quanto a modalità e procedure di accertamento.
Al contrario, le Sezioni unite hanno affermato che le pur esistenti differenze nella modalità di accertamento tra evasione dell’IVA all’importazione e di quella interna non giustificano l’applicazione della confisca doganale alla prima.
Il ragionamento logico sviluppato dal rimettente, dunque, non risulta contraddittorio, in quanto, secondo la prospettazione svolta, le possibili differenze in tema di accertamento dei due tributi non sarebbero tali da costituire ragione valida per una differenziazione sul piano della sanzione da applicare.
5.โ Con riferimento al merito, in via preliminare, occorre precisare che, con la legge 9 agosto 2023, n. 111 (Delega al Governo per la riforma fiscale), il Governo è stato delegato, tra l’altro, a emanare uno o più decreti legislativi, essenzialmente diretti a una razionalizzazione del sistema doganale (art. 11), nonché a una revisione del relativo sistema sanzionatorio (art. 21).
In attuazione della delega è stato emanato, successivamente all’ordinanza di rimessione, il d.lgs. n. 141 del 2024, che all’art. 1 ha disposto l’approvazione delle disposizioni contenute nell’Allegato 1, denominato «Disposizioni nazionali complementari al Codice doganale dell’Unione».
Le nuove disposizioni hanno sostituito un quadro normativo frammentato e segnato dal corso del tempo, introducendo un vero e proprio codice doganale nazionale, aggiornato e complementare a quello dell’Unione europea.
In questa prospettiva, l’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 141 del 2024, ha stabilito che «[q]uando leggi, regolamenti, decreti o altre norme o provvedimenti, fanno riferimento a disposizioni contenute in articoli del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, il riferimento si intende alle corrispondenti disposizioni nazionali complementari al codice doganale dell’Unione di cui all’allegato 1 al presente decreto».
All’art. 8, comma 1, lettera f), è stata quindi disposta l’abrogazione espressa del d.P.R. n. 43 del 1973.
Per quanto qui rileva, va considerato che l’art. 27, comma 2, dell’Allegato 1, ha, peraltro, stabilito – fatte salve le ipotesi eccezionali dell’immissione in libera pratica di merci senza assolvimento dell’IVA per successiva immissione in consumo in altro Stato membro dell’Unione europea o per vincolo a un regime di deposito diverso da quello doganale – che fra «i diritti doganali di cui al comma 1 costituiscono diritti di confine […] l’imposta sul valore aggiunto e ogni altra imposta di consumo, dovuta all’atto dell’importazione, a favore dello Stato».
Nell’Allegato 1 è stato anche modificato il quadro delle sanzioni penali conseguenti alla realizzazione dei fatti di contrabbando (articoli da 78 a 92) e di quelle amministrative relative a violazioni doganali che non costituiscono reati di contrabbando (articoli da 96 a 103).
5.1.– La novella intervenuta con il d.lgs. n. 141 del 2024 non giustifica, tuttavia, la restituzione degli atti al giudice a quo.
Non può infatti essere seguito il ragionamento, del tutto astratto e generico, della difesa erariale, secondo cui tale rimessione si giustificherebbe in forza «del complessivo mutamento del quadro sanzionatorio, che in parte è una lex mitior retroattiva».
A prescindere dalla correttezza di tale valutazione, è infatti indubbio che l’art. 7 (Disposizioni finali e di coordinamento) del d.lgs. n. 141 del 2024 esclude espressamente la retroattività del nuovo apparato sanzionatorio amministrativo, sancendo, al comma 3, che «[l]e sanzioni amministrative di cui all’allegato 1 e all’articolo 3 si applicano alle violazioni commesse a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto».
Nel caso di specie, invece, la violazione risale all’anno 2012 e pertanto esula dal raggio di applicazione della nuova disciplina.
Inoltre, la sanzione pecuniaria è stata definitivamente irrogata e corrisposta dal contribuente e la confisca di cui unicamente in questa sede si discute è stata confermata dalla disciplina oggi vigente.
5.2.– Nemmeno l’esplicita qualificazione dell’IVA all’importazione come diritto di confine, a ben vedere, può sostenere la richiesta dell’Avvocatura generale dello Stato.
È pur vero che l’ordinanza di rimessione si fonda sulla «qualificazione dell’Iva come diritto non doganale» e che nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 141 del 2024 si afferma: «[r]ispetto alla formulazione vigente, tra i diritti di confine viene esplicitamente inserita l’imposta sul valore aggiunto, al fine di chiarire che anche a questo tributo, per le operazioni di importazione, si applica la normativa unionale in materia di individuazione del debitore e di estinzione dell’obbligazione doganale. Ciò in linea anche con la posizione della Corte di cassazione (Cass. pen., Sez. III, Sent., 11/02/2022, n. 4978) che ha ritenuto di dare “continuità all’orientamento giurisprudenziale che qualifica l’IVA all’importazione quale diritto di confine ai sensi dell’art. 34 TULD, la cui evasione integra il reato di contrabbando ex art. 292 TULD, e ciò in quanto detta soluzione interpretativa si presenta più aderente alla lettera dell’art. 34 TULD che, come visto, relativamente alle merci in importazione, ricomprende tra i diritti di confine non solo i dazi ma anche “ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato”».
È pure vero che questo indirizzo è stato confermato dalla Cassazione penale anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 141 del 2024 in relazione a fatti anteriormente commessi, e che è stato posto in evidenza che la disposizione di cui all’art. 27, comma 2, dell’Allegato 1 mirerebbe a convalidare, anche in riferimento al passato, la linea interpretativa che ritiene riconducibile l’IVA all’importazione tra i diritti di confine (Corte di cassazione, terza sezione penale, sentenza 14 ottobre-27 novembre 2024, n. 43140).
Tuttavia, tale esplicita qualificazione legislativa dell’IVA all’importazione come diritto di confine non incide sul nucleo essenziale delle questioni sollevate dall’ordinanza di rimessione e non compromette l’«ordito logico che sta alla base delle censure prospettate» (ordinanza n. 97 del 2022).
Risulta, invece, dirimente «l’esigenza», che il rimettente ha ben considerato, «di valutare il rapporto tra l’Iva all’importazione e i dazi doganali».
Infatti, anche se ora esplicitamente qualificata dal legislatore come diritto di confine, l’IVA all’importazione ha una natura radicalmente diversa dai dazi doganali e tale struttura non può essere incisa dalla suddetta qualificazione.
La prima, infatti, a differenza dei secondi, è strutturata sulla base del principio di neutralità fiscale rispetto a tutte le attività economiche, il che implica il diritto per il soggetto passivo di detrarre l’IVA dovuta o assolta a seguito della cessione di beni o di prestazione di servizi; in tal senso, la Corte di giustizia dell’Unione europea, sesta sezione, sentenza 17 luglio 2014, causa C-272/13, Equoland soc. coop. arl, ha ricordato che la giurisprudenza unionale ha ripetutamente affermato il «ruolo preponderante che il diritto a detrazione occupa nel sistema comune dell’IVA, diretto a garantire la perfetta neutralità fiscale di tale imposta» (punto 41).
I dazi e le misure a essi equivalenti, invece, sono diritti di confine che svolgono funzioni ben diverse, essendo diretti ad aumentare il prezzo di specifiche merci nella prospettiva di proteggere l’economia e il mercato interno nonché ad alimentare le risorse proprie dell’Unione europea.
Se è pur vero che l’IVA all’importazione e i dazi doganali presentano in comune il fatto generatore e il momento dell’esigibilità, che si ricollegano entrambi all’importazione delle merci, e se, quindi, solo in relazione a questo profilo deve ritenersi che il legislatore abbia potuto qualificarla come «diritto di confine», rimane tuttavia fermo che «l’IVA all’importazione non fa parte dei “dazi all’importazione”, ai sensi dell’articolo 5, punto 20, [CDU], che riguarda i dazi doganali dovuti all’importazione delle merci» (Corte GUE, sentenza 12 maggio 2022, causa C-714/20, U.I. srl), perché «non possiede le caratteristiche di una tassa di effetto equivalente a dazi doganali all’importazione ai sensi degli artt. 12 e 13, n. 2, del Trattato» (punto 22) ed è diretta a garantire la neutralità rispetto all’origine dei beni, al fine di porre le merci importate nella stessa situazione dei prodotti nazionali analoghi per quanto riguarda gli oneri fiscali (così già Corte GUE, sentenza 5 maggio 1982, causa C-15/81, Gaston Schul).
6.– Una volta esclusa la necessità della restituzione degli atti, deve essere altresì considerata la portata del petitum del giudice rimettente: se, da un lato, in diversi passaggi della motivazione questi sembra censurare la previsione della confisca solo in rapporto ai fatti di evasione dell’IVA all’importazione sanzionati in via amministrativa, in altri, operando un raffronto tra il trattamento sanzionatorio delle violazioni di rilievo penale concernenti l’IVA all’importazione e quelle di rilievo penale concernenti l’IVA interna, mostra di volere sottoporre in termini generali a questa Corte la questione di legittimità costituzionale relativa all’applicabilità ai fatti considerati della confisca obbligatoria prevista dall’art. 301 t.u. dogane.
Dal momento che il dispositivo dell’ordinanza non contiene alcuno specifico riferimento all’illecito amministrativo e che le Sezioni unite formulano la questione sul combinato disposto dell’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 282 – che punisce il contrabbando «con la multa non minore di due e non maggiore di dieci volte i diritti di confine» – e 301 t.u. dogane, questa Corte ritiene di dover decidere sulla più generale questione se l’applicabilità della confisca prevista da quest’ultima disposizione costituisca, in caso di evasione dell’IVA all’importazione, una sanzione punitiva sproporzionata, contrastante con l’art. 3 Cost. e l’art. 49 CDFUE.
7.– La questione è fondata nei termini che seguono.
Questa Corte non solo in più occasioni ha precisato che il principio della proporzionalità è «applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative» (ex plurimis, sentenza n. 266 del 2022), ma ha espressamente affermato che tale principio riguarda anche le sanzioni tributarie (sentenza n. 46 del 2023), per le quali, del resto, anche la Corte di giustizia dell’Unione europea ha elaborato una copiosa giurisprudenza in riferimento ai tributi armonizzati (in materia di IVA, tra le altre, Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione prima, sentenza 8 maggio 2019, causa C-712/17, En.Sa srl).
Anche per queste sanzioni si presenta quindi l’esigenza che non venga manifestamente meno quel rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito che la giurisprudenza di questa Corte ha fatto discendere, in particolare, dall’art. 3, primo comma, Cost., ma che deriva, altresì, dagli obblighi unionali cui l’Italia è vincolata ai sensi degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., e in particolare dall’art. 49, paragrafo 3, CDFUE, che sancisce espressamente il principio secondo cui «[l]e pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato».
7.1.– La prospettiva di assicurare una maggiore proporzionalità delle sanzioni previste dall’ordinamento tributario italiano è stata, peraltro, tracciata sin dalla legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita), che ha evidenziato l’esigenza di una commisurazione del sistema sanzionatorio tributario all’effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni.
Successivamente, la legge 9 agosto 2023, n. 111 (Delega al Governo per la riforma fiscale) ha espressamente disposto, nell’art. 20, comma 1, lettera c), numero 1), che, nel disciplinare il sistema delle sanzioni amministrative tributarie, il legislatore delegato si attenesse al principio di «migliorare la proporzionalità delle sanzioni tributarie, attenuandone il carico e riconducendolo ai livelli esistenti in altri Stati europei».
Il decreto legislativo 14 giugno 2024, n. 87 (Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell’articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111), ha dato attuazione al principio contenuto nella indicata legge delega, ridisegnando all’insegna della proporzionalità il volto del sistema sanzionatorio tributario; le innovazioni introdotte sono poi confluite nel decreto legislativo 5 novembre 2024, n. 173 (Testo unico delle sanzioni tributarie amministrative e penali).
7.2.– Anche rispetto a questa complessiva evoluzione il sistema normativo censurato si presenta disallineato.
L’art. 70, primo comma, del d.lgs. n. 633 del 1972, inserito nel Titolo V (Importazioni), dispone, infatti, che «[l]’imposta relativa all’importazione è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione. Si applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine».
Il richiamo al trattamento sanzionatorio delle disposizioni delle leggi doganali comporta l’applicazione, ratione temporis, dell’art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973 che prevede, al suo primo comma: «[n]ei casi di contrabbando è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto ovvero il prodotto o il profitto».
Questa confisca costituisce una misura che non estingue l’obbligazione tributaria e che si aggiunge al pagamento della sanzione pecuniaria (da due a dieci volte l’importo evaso, in base agli articoli da 282 a 292 del d.P.R. n. 43 del 1973) per una condotta avente natura di illecito penale o amministrativo a seconda che tale importo sia o meno superiore a euro 10.000,00.
Si determina, in questi termini, un cumulo sanzionatorio che non ha eguali non solo rispetto al regime dell’IVA interna, ma nemmeno in riferimento a quello dei più tradizionali diritti di confine, i dazi, come constatano le stesse Sezioni unite rimettenti.
Per questi ultimi, infatti, l’art. 124, paragrafo 1, lettera e), CDU, prevede che l’obbligazione doganale si estingue «quando le merci soggette a dazi all’importazione o all’esportazione vengono confiscate o sequestrate e contemporaneamente o successivamente confiscate».
Per l’IVA interna, invece, la confisca è prevista, ma solo nel caso in cui la condotta costituisca reato, dall’art. 12-bis, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 2000.
Originariamente, il comma 2 del citato articolo prevedeva che «[l]a confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta».
Con l’art. 1, comma 1, lettera e), numero 2), del d.lgs. n. 87 del 2024, la disposizione ha ora assunto il seguente tenore: «2. Salvo che sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto altresì conto della gravità del reato, il sequestro dei beni finalizzato alla confisca di cui al comma 1 non è disposto se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti».
Nonostante la diversa formulazione, entrambe le disposizioni, in ogni caso, si orientano nel senso di valorizzare il comportamento dell’autore del fatto illecito, al quale è data la possibilità di evitare la confisca mediante il pagamento dell’imposta e delle sanzioni.
7.3.– A fronte del cumulo sanzionatorio stabilito dalla norma censurata, la richiesta formulata dal rimettente è rivolta all’ablazione della previsione della possibilità stessa della confisca nel caso di evasione dell’IVA all’importazione.
Va precisato, però, che «il petitum dell’ordinanza di rimessione ha la funzione di chiarire il contenuto e il verso delle censure mosse dal giudice rimettente», ma non vincola questa Corte, che, «ove ritenga fondate le questioni, rimane libera di individuare la pronuncia più idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata» (ex plurimis, sentenza n. 53 del 2025).
7.4.– In questa prospettiva, occorre considerare che la confisca obbligatoria prevista dall’art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973 è qualificata, nella rubrica dell’articolo, quale «misura di sicurezza».
Con l’ablazione del bene si intende, in particolare, tutelare l’interesse dello Stato non solo alla regolarità delle importazioni e alla completa e tempestiva percezione del tributo, ma anche a neutralizzare l’attrattiva alla realizzazione dell’illecito ove il contravventore potesse contare sul fatto che il bene gli sarebbe lasciato nella sua disponibilità.
La confisca dell’oggetto non ha quindi una finalità ripristinatoria dello status quo ante, ma riveste carattere punitivo, secondo i principi declinati nelle sentenze n. 7 del 2025 e n. 112 del 2019. Essa, infatti, non si limita a reintegrare lo Stato della somma indebitamente non versata (pari all’importo dell’IVA evasa), ma comporta anche per il contribuente una perdita patrimoniale in misura ben superiore a quella somma.
Tuttavia, sussiste una duplice differenza con la confisca obbligatoria dei beni utilizzati per commettere l’illecito, dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 7 del 2025, quanto alla previsione dell’art. 2641 del codice civile, relativa ai reati societari, e con la sentenza n. 112 del 2019, con riguardo agli abusi di mercato sanzionati in via amministrativa.
In primo luogo, perché nel caso dei beni strumentali non c’è alcun rapporto predeterminato tra l’entità dell’ablazione patrimoniale e il profitto ricavato dall’autore del fatto: il valore dei beni strumentali può risultare enormemente superiore a quello del profitto ricavato dall’agente, che potrebbe anche mancare del tutto.
Di contro, la confisca obbligatoria del bene oggetto di contrabbando viene nella sostanza a risolversi in una sanzione patrimoniale a carattere proporzionale: l’ammontare dell’IVA all’importazione è sempre pari, infatti, a una percentuale del valore del bene (nel caso oggetto del giudizio a quo, il 10 per cento), sicché, correlativamente, la confisca di quest’ultimo colpisce il patrimonio dell’agente per un multiplo del profitto realizzato (che si identifica con l’IVA evasa). La misura si adatta automaticamente, quindi, a uno degli elementi – il più significativo – che esprimono il disvalore dell’illecito: il che stempera la questione dell’“insensibilità” della confisca in esame alle peculiarità del caso concreto.
In secondo luogo, la rimozione della confisca obbligatoria dei beni strumentali, operata con le citate sentenze di questa Corte, ha fatto subentrare ad essa la generale disciplina che prevede tale confisca come facoltativa (art. 240, primo comma, del codice penale, quanto ai reati; art. 20, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, recante «Modifiche al sistema penale», quanto alle violazioni amministrative).
Questo non avverrebbe se fosse rimossa la confisca obbligatoria dell’oggetto della violazione: una volta soppressa l’applicabilità dell’art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973, in caso di evasione dell’IVA all’importazione, non ci sarebbe alcuna norma che renderebbe possibile la confisca, sia pur facoltativa, del bene importato rispetto al quale si realizza l’evasione dell’IVA, questa misura non essendo prevista né in rapporto alle violazioni amministrative, né in relazione a quelle di rilievo penale.
Il sistema sanzionatorio risulterebbe disallineato anche rispetto a quanto previsto dal ricordato art. 124 CDU, che, invece, nel momento stesso in cui stabilisce che l’obbligazione doganale di pagare il dazio si estingue nel caso di confisca delle merci, riconosce la possibilità che queste ultime siano oggetto di ablazione.
Ciò porta a escludere non solo l’ipotesi, coincidente con la richiesta del rimettente, di una reductio ad legitimitatem attraverso l’ablazione dell’intero rimando, per il tramite dell’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972, all’art. 301, ma anche quella, più limitata, della caducazione della sola confisca dell’oggetto, lasciando, invece, intatta la possibilità della confisca del prodotto o del profitto.
7.5.– A quest’ultima soluzione si oppone anche una considerazione che attiene alla significativa differenza tra i meccanismi che presidiano l’IVA interna rispetto a quella all’importazione.
La prima, infatti, è caratterizzata da un sistema di tracciabilità, negli scambi, dei soggetti passivi, mentre per la seconda il fatto generatore e il momento dell’esigibilità coincidono con l’ingresso fisico del bene nel territorio dello Stato, per cui la principale e fondamentale garanzia effettiva del pagamento dell’imposta è quella che si sviluppa facendo leva sul bene.
È la stessa ordinanza di rimessione che ha cura di riconoscere che «l’applicabilità all’Iva all’importazione delle più severe sanzioni previste dalle leggi doganali per i dazi può essere giustificata» alla luce della «diversità dei presupposti e degli elementi costitutivi e di accertamento che presiedono, rispettivamente, l’Iva interna e l’Iva all’importazione, più complessi e suscettibili di più difficile rilevazione per quest’ultima (Corte di giustizia, sentenza 25 febbraio 1988, causa C-299/86, Rainer Drexl, che ha precisato, al punto 22, “le due categorie di infrazioni di cui trattasi si distinguono per diverse circostanze che attengono tanto gli elementi costitutivi dell'infrazione quanto alla difficoltà maggiore o minore di scoprirla. Infatti, l’IVA all’importazione è riscossa all’atto del semplice ingresso fisico del bene nel territorio dello Stato membro interessato, piuttosto che in occasione di uno scambio. Dette differenze implicano che gli Stati membri non sono obbligati ad istituire un regime identico per le due categorie di infrazioni.”)».
In caso di evasione dell’IVA all’importazione, non sarebbe sempre possibile, soprattutto in riferimento a beni non frazionabili, operare un sequestro conservativo (che rimarrebbe possibile, peraltro, solo per il profitto, cioè l’IVA evasa, ma non per le sanzioni) su beni di valore molto più elevato dell’IVA evasa.
In altre parole, una volta perduta la possibilità della confisca dell’oggetto, lo Stato potrebbe trovarsi sostanzialmente disarmato di fronte all’evasione dell’IVA all’importazione.
7.6.– Tanto chiarito, va considerato che l’illegittimità costituzionale della norma censurata non si prefigura, alla luce di quanto precisato, in forza di una sproporzione intrinseca o “cardinale”, quanto, invece, per un cumulo sanzionatorio che si rivela viziato per sproporzione relativa, o “ordinale”, nel confronto sia con l’art. 124 CDU, che, come si è visto, in caso di confisca esclude la debenza dell’obbligazione doganale, sia con la disciplina dell’omesso versamento dell’IVA interna, che, in sostanza, nello stabilire solo la confisca, diretta e per equivalente, dell’importo evaso, ai sensi dell’art. 12-bis, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 2000, prevede che il sequestro dei beni finalizzato alla confisca non è disposto se il debito tributario è in corso di estinzione.
7.7.– Se l’apprensione del bene trova giustificazione nella finalità di garanzia della confisca in questione, che opera fin tanto che il contribuente non provveda al pagamento di quanto dovuto, la reductio ad legitimitatem passa – superando così anche la questione della rigidità della sanzione – attraverso la valorizzazione della condotta dell’autore del fatto illecito, che, del resto, costituendo un paradigma che informa non solo il citato art.12-bis, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 2000, ma anche altre diverse disposizioni del d.lgs. n. 87 del 2024 sulle sanzioni tributarie (tra queste, l’art. 1, comma 1, lettere b, c, f e g), rappresenta una grandezza pre-data che permette di raggiungere una soluzione «costituzionalmente adeguata» (ex plurimis, sentenza n. 95 del 2022).
Nell’ipotesi in cui l’autore dell’illecito si attiva per rimediare al mancato pagamento dell’IVA all’importazione, corrispondendo il tributo evaso, gli accessori, comprensivi degli interessi, nonché la sanzione pecuniaria, il mantenimento della misura della confisca risulta infatti sproporzionato, dal momento che lo Stato ha recuperato l’intero debito tributario e quindi viene meno anche quella funzione di garanzia che può giustificare la confisca obbligatoria.
L’art. 70, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 deve quindi essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, nello stabilire che «[s]i applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine», non prevede che, in caso di applicazione dell’art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973, le cose che costituiscono oggetto della violazione non sono confiscate se l’obbligato provvede al pagamento integrale dell’importo evaso, degli accessori, comprensivi degli interessi, e della sanzione pecuniaria.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 70, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), in relazione agli artt. 282 e 301 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), nella parte in cui, nello stabilire che «[s]i applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine», non prevede che, in caso di applicazione dell’art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973, le cose che costituiscono oggetto della violazione non sono confiscate se l’obbligato provvede al pagamento integrale dell’importo evaso, degli accessori, comprensivi degli interessi, e della sanzione pecuniaria.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 giugno 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2025
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