Sentenza n. 193 del 2024

SENTENZA N. 193

ANNO 2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente:

Augusto Antonio BARBERA

Giudici: Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 16 febbraio 2022, che, approvando la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari (doc. IV-quater, n. 3), ha ritenuto insindacabili, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, le dichiarazioni del senatore Mario Michele Giarrusso, promosso dal Tribunale ordinario di Potenza, sezione civile, con ricorso notificato e depositato in cancelleria il 27 marzo 2023, iscritto al n. 12 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2023, fase di merito.

Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;

udito nell’udienza pubblica del 25 settembre 2024 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

udito l’avvocato Rosaria Aurelia Giunta per il Senato della Repubblica;

deliberato nella camera di consiglio del 25 settembre 2024.

Ritenuto in fatto

1.− Con ricorso notificato e depositato il 27 marzo 2023 (reg. confl. pot. n. 12 del 2022), il Tribunale ordinario di Potenza, sezione civile, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in riferimento alla deliberazione del 16 febbraio 2022 del Senato della Repubblica, con la quale, approvando la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari (doc. IV-quater, n. 3), si è affermato che le dichiarazioni rese al quotidiano «La Verità» l’8 giugno 2020 dall’allora senatore Mario Michele Giarrusso fossero state espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

1.1.− Il ricorso è promosso nell’ambito di un giudizio civile, avviato nei confronti dell’allora senatore Giarrusso da parte del dott. Francesco Basentini, già capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), per ottenere il risarcimento dei danni determinati dalla pubblicazione dell’intervista sopra indicata, reputata diffamatoria.

Il Tribunale ricorrente riferisce che l’attore si ritiene leso nella propria «dignità personale» da affermazioni contenute nell’intervista: per un verso, dall’«accostamento del proprio nome» alla cosiddetta “banda Palamara”; per un altro, dal riferimento a una sua vicinanza a M. Z., detenuto in carcere, con il quale egli avrebbe avuto un incontro alla presenza di un terzo (che si alludeva appartenente ai “servizi segreti”), in seguito all’adozione, da parte del DAP, della circolare 21 marzo 2020 che, durante il periodo pandemico, avrebbe condotto alla scarcerazione di persone di «altissima caratura criminale»: circolare il cui contenuto sarebbe da mettere in collegamento con le rivolte verificatesi all’interno delle carceri.

Il senatore Giarrusso, costituitosi in giudizio, aveva eccepito l’applicabilità dell’art. 68, primo comma, Cost. Il Tribunale di Potenza, non condividendo la prospettazione del convenuto, trasmetteva gli atti al Senato della Repubblica, che con la deliberazione oggetto del ricorso approvava la relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari nel senso dell’insindacabilità delle opinioni.

1.2.− Ciò premesso, il Tribunale potentino ritiene lese da tale deliberazione le proprie attribuzioni giurisdizionali costituzionalmente garantite, in quanto sarebbe inesistente il nesso tra le opinioni dell’allora senatore e l’esercizio delle funzioni parlamentari.

1.2.1.− Il ricorrente richiama, in proposito, la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale detto nesso può riscontrarsi solo al concorso di due requisiti: un legame di ordine temporale fra l’attività parlamentare e l’attività esterna, tale che questa venga ad assumere una finalità divulgativa della prima, e una sostanziale corrispondenza di significato tra le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni e gli atti esterni (sono citate le sentenze di questa Corte n. 144 del 2015, n. 265, n. 221 e n. 55 del 2014, n. 98 del 2011). Ciò perché, altrimenti, si genererebbe un’immunità non funzionale, ma personale, a vantaggio del parlamentare (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 313 del 2013, n. 508 del 2002, n. 56, n. 11 e n. 10 del 2000). È insomma necessario, afferma il giudice ricorrente, che le dichiarazioni extra moenia rappresentino espressione dell’esercizio di tipiche attività parlamentari (sono citate le sentenze di questa Corte n. 98 del 2011, n. 301 del 2010, n. 420 e n. 410 del 2008), non potendosi considerare tali gli insulti (sentenze di questa Corte n. 257 del 2002 e n. 137 del 2001).

La giurisprudenza di questa Corte, inoltre, avrebbe anche ricordato come il nesso funzionale, per come definito, eviterebbe il contrasto con l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza di questa Corte n. 59 del 2018).

1.3.− Il Tribunale di Potenza dà atto che, nel caso di specie, il Senato della Repubblica ha ravvisato il nesso funzionale tra le dichiarazioni per cui il senatore Giarrusso è citato in giudizio e una interrogazione parlamentare, la n. 4-03566, dallo stesso presentata il 28 maggio 2020.

Con tale atto, pressoché integralmente riportato nel ricorso, il senatore Giarrusso, dopo avere accennato alle dimissioni rassegnate da alcuni dirigenti del Ministero della giustizia in seguito alle «cosiddette “intercettazioni Palamara”», interrogava il Ministro sul collegamento tra le rivolte nelle carceri del 2020, un «papello» di richieste avanzate da questi ultimi, e la circolare del DAP del 21 marzo 2020, che lo avrebbe recepito, conducendo alla «scarcerazione di quasi 500 mafiosi».

In tale contesto, vi sarebbe stato un colloquio in carcere tra il dott. Basentini e M. Z., «figura apicale del clan dei Casalesi», alla presenza di una persona «ignota». A tale proposito, l’interrogazione parlamentare richiama un presunto accordo tra «rami dei servizi segreti e l’amministrazione penitenziaria», «volto a favorire rapporti diretti e riservati con mafiosi all’interno delle carceri».

Il senatore Giarrusso chiedeva anche di sapere perché la circolare del 21 marzo 2020, emanata di sabato, sia stata sottoscritta da una dirigente, anziché dal «direttore generale» o dal «capo del DAP».

1.3.1.− Il Tribunale di Potenza esclude, tuttavia, che, a prescindere dallo «iato temporale» tra l’interrogazione parlamentare e l’intervista, sussista il requisito della sostanziale identità di contenuti tra di essa e le dichiarazioni del successivo 8 giugno.

1.3.2.− Il ricorrente osserva, infatti, che, con le dichiarazioni extra moenia dell’8 giugno 2020, il senatore Giarrusso aveva fatto riferimento: «a) al profilo della dismissione della responsabilità da parte di Basentini Francesco a favore del dirigente firmatario della circolare (“Difatti, quella era una circolare talmente scottante, che al ministero si sono rifiutati di firmarla. Alla fine, l’hanno fatta siglare alla dottoressa [A. B.], che abbiamo sentito in Antimafia”); b) alla “banda di Palamara”, espressione evocativa di un preciso disvalore (in particolare, si legge: “Le rivelazioni sul caso Palamara: al ministero s’era insediata una banda di Luca Palamara”; “Come altro definirla? Capo di gabinetto, capo del Dap, vicecapo del Dap, tutti che lo chiamavano affettuosamente e facevano riferimento a lui. Questa intimità, se riguarda i vertici di uno dei ministeri più importanti, è uno scandalo”); c) al lungo colloquio tra Basentini Francesco e [M. Z.] (“La prima domanda è: che ci faceva l’ex capo del Dap in giro dai prigionieri al 41 bis? E non da un 41 bis qualunque, ma da [M. Z.], il fratello di [P. Z.], che sappiamo essere poi stato scarcerato”; “Mi hanno riferito di un lungo colloquio. Era insieme alla direttrice del carcere e a un terzo ignoto, che non era certamente del Gruppo operativo mobile”; d) al collegamento tra le rivolte carcerarie e la circolare del 21 marzo 2020 (“C’è stata una contemporaneità fra le rivolte nelle carceri, scatenate evidentemente dalla criminalità organizzata e che hanno provocato 14 morti e 60 evasi, e l’uscita di un papello di richieste. Le cui indicazioni, probabilmente – stiamo cercando di accertarlo con la commissione Antimafia – sono confluite nella circolare del 21 marzo”); e) al fatto che l’emissione il giorno del sabato abbia risposto alla precisa finalità di sottrarre la circolare al controllo delle direzioni ministeriali deputate a trattare questioni relative l’applicazione dell’art. 41-bis della legge sull’ordinamento penitenziario e la salute dei detenuti (“Mi pare evidente: bisognava scaricare su qualcun altro la responsabilità. E poi perché la circolare è stata emessa di sabato, con gli uffici amministrativi chiusi?”; “Perché di lunedì, a ministero aperto, sarebbe stato impossibile farla passare senza che se ne accorgessero le direzioni che s’occupano di 41-bis o di salute dei detenuti”)».

Nell’atto di sindacato ispettivo, invece, il senatore Giarrusso: a) non avrebbe in alcun modo alluso «all’esistenza di una consorteria d’affari volta alla spartizione degli incarichi apicali all’interno del Ministero della Giustizia (“banda di Palamara”, espressione evocativa di un preciso disvalore)»; b) non si sarebbe riferito alla «dismissione della responsabilità» da parte del dott. Basentini in occasione della firma della circolare del 21 marzo: c) né, infine, avrebbe alluso alla circostanza che l’adozione dell’atto durante il giorno del sabato avrebbe avuto la «precisa finalità» di sottrarre la circolare al controllo di altre direzioni ministeriali.

Tra le dichiarazioni in confronto, pertanto, sarebbe ravvisabile solo una «parziale corrispondenza contenutistica», che non sarebbe idonea a «conferire alle dichiarazioni rese in sede di intervista un’attitudine comunicativa dell’attività parlamentare»: di qui la richiesta di annullamento dell’impugnata deliberazione del Senato della Repubblica.

2.− Con atto depositato l’8 maggio 2023, si è costituito in giudizio il Senato della Repubblica, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e, comunque, non fondato.

2.1.− La difesa del resistente ricostruisce, innanzitutto, le vicende che hanno originato il conflitto, in particolare al fine di osservare, per un verso, che il senatore Giarrusso, nell’intervista, mai si è riferito a «consorteria di affari volta alla spartizione degli incarichi all’interno del Ministero della Giustizia», come invece riferisce il ricorrente; per un altro, che gli altri passaggi dell’intervista, che secondo il Tribunale di Potenza non troverebbero corrispondenza nell’interrogazione parlamentare, non sono mai citati «nell’atto di citazione a motivo della presunta diffamazione».

2.2.− Ciò premesso, il ricorso sarebbe innanzitutto inammissibile.

2.2.1.− Il Tribunale di Potenza, innanzitutto, non avrebbe riportato in modo esaustivo il contenuto delle dichiarazioni extra moenia, il che è necessario per consentire a questa Corte di verificare la sussistenza o meno del nesso funzionale (è citata la sentenza di questa Corte n. 334 del 2011).

Il ricorrente, infatti, non avrebbe citato alcuno stralcio dell’intervista, ma avrebbe soltanto parafrasato e ricostruito alcuni passaggi, «peraltro in modo già orientato». La difesa del Senato della Repubblica si riferisce, in particolare, alla presunta allusione del senatore Giarrusso alla «consorteria di affari volta alla spartizione degli incarichi all’interno del Ministero della Giustizia».

Si tratterebbe di affermazione che non risulta nell’intervista e che sarebbe, invece, frutto di «una ricostruzione operata autonomamente dal Giudice»: il che rende sì insussistente la sovrapponibilità tra intervista e interrogazione parlamentare, ma perché tale affermazione non sarebbe mai stata compiuta. D’altra parte, la mancata trascrizione dell’intervista nel ricorso non consentirebbe a questa Corte di verificare la corrispondenza tra dichiarazioni extra moenia e atto di sindacato ispettivo.

2.2.2.− Il Tribunale ricorrente, inoltre, non avrebbe potuto considerare quelle parti dell’intervista che l’attore nel giudizio civile non ha ritenuto di porre a fondamento della pretesa risarcitoria e rispetto alle quali, quindi, «non aveva chiesto la cognizione del giudice civile».

In particolare, il dott. Basentini non avrebbe fatto alcun riferimento, nel proprio atto di citazione, a quelle affermazioni del senatore Giarrusso che, secondo il giudice ricorrente, avrebbero alluso a una sua dismissione di responsabilità in occasione della firma della circolare del 21 marzo 2020 e alla circostanza che l’adozione di quest’ultima di sabato era volta a eludere il controllo di altre direzioni ministeriali. Anche l’allusione alla consorteria d’affari non sarebbe contenuta nell’atto di citazione, nel quale l’attore si sarebbe lamentato soltanto che il senatore Giarrusso abbia riferito «di un “rapporto di intimità” tra di lui e il dott. Luca Palamara, utilizzando anche il termine “Banda di Palamara».

Il Senato della Repubblica ritiene, allora, che il Tribunale di Potenza non avrebbe potuto promuovere conflitto in ordine ad affermazioni estranee al suo perimetro di cognizione. Se non ragione d’inammissibilità, quest’ultima sarebbe ad ogni modo ragione di non fondatezza, in quanto la deliberazione d’insindacabilità non avrebbe menomato la funzione giurisdizionale, la quale deve essere esercitata solo in relazione alle dichiarazioni rese nell’intervista, sulle quali l’attore ha fondato la pretesa risarcitoria.

2.3.− Nel merito, il ricorso non sarebbe fondato.

2.3.1.− Richiamati i princìpi della giurisprudenza costituzionale sul nesso funzionale (sono citate le sentenze di questa Corte n. 144 del 2015 e n. 371 del 2006), la difesa del Senato rileva che: a) l’interrogazione parlamentare è indubbiamente un atto tipico adottato nell’esercizio delle funzioni, il cui contenuto può essere divulgato extra moenia (è citata la sentenza di questa Corte n. 379 del 2003); b) nel caso di specie, è indubbio che l’intervista del senatore Giarrusso intendesse divulgare le opinioni espresse in sede parlamentare, poiché sin dall’inizio dell’intervista si fa esplicito riferimento all’interrogazione richiamata dalla deliberazione impugnata ; c) l’intervista è di soli dieci giorni successiva all’interrogazione; d) c’è sostanziale corrispondenza di contenuti tra l’intervista e l’interrogazione; e ciò, prendendo in considerazione tutte le dichiarazioni rilasciate dal senatore Giarrusso, comprese quelle non oggetto della richiesta risarcitoria da parte del dott. Basentini.

2.3.2.− Per quel che concerne, in particolare, la corrispondenza di contenuti, la difesa del Senato, riportando integralmente l’interrogazione parlamentare e le doglianze del dott. Basentini nell’atto di citazione, afferma che: a) se pure nell’interrogazione non si usa l’espressione, adoperata invece nell’intervista, «“banda di Palamara”», in essa ad ogni modo si riferisce di «un complessivo legame» del dott. Basentini, e di altri soggetti, con il dott. Palamara, «accomunato da una notazione di specifico disvalore anche in relazione alle funzioni esercitate»; b) tanto nell’interrogazione quanto nell’intervista si parla dell’incontro del dott. Basentini con il detenuto [M. Z.] presso il carcere de L’Aquila, «alla presenza di una persona di identità ignota, presumibilmente appartenente ai servizi segreti»; c) in entrambe è ipotizzato un collegamento tra le rivolte nelle carceri, l’adozione della circolare e la scarcerazione di numerosi condannati per reati di stampo mafioso.

La sovrapponibilità delle dichiarazioni dovrebbe comportare il rigetto del ricorso, «stante la piena operatività della garanzia costituzionale di cui all’art. 68, comma 1, Cost., in parte qua».

2.3.3.− La corrispondenza contenutistica, insiste la difesa del Senato, esiste anche tra interrogazione parlamentare e dichiarazioni rese nell’intervista non oggetto di pretesa risarcitoria da parte del dott. Basentini.

Il senatore Giarrusso, innanzitutto, mai ha parlato di «una consorteria d’affari volta alla spartizione degli incarichi apicali all’interno del Ministero della Giustizia»: si tratterebbe di «affermazione “confezionata” dal ricorrente, che non trova rispondenza nell’intervista». Il riferimento alla “banda Palamara”, invece, si troverebbe anche nell’interrogazione parlamentare, in ragione del già visto riferimento al legame tra il dott. Basentini e il dott. Palamara: ciò tanto più considerando che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non è necessaria una integrale identità tra le espressioni utilizzate.

Il senatore Giarrusso, poi, avrebbe fatto riferimento anche nell’interrogazione parlamentare, oltre che nell’intervista, tanto alla circostanza che la circolare ministeriale sia stata firmata non direttamente dal dott. Basentini, ma da altra dirigente, sia al fatto che essa è stata firmata di sabato.

2.4.− Nel concludere per l’inammissibilità o la non fondatezza del ricorso, il Senato della Repubblica afferma che le conclusioni rassegnate sono «in linea anche con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo richiamata dal Tribunale di Potenza nel ricorso».

Nel caso di specie, infatti, sussisterebbe un «legame evidente» tra l’intervista e l’interrogazione parlamentare, che non può essere disconosciuto «da una persona ragionevole». La deliberazione di insindacabilità, ad ogni modo, si porrebbe comunque in rapporto di proporzionalità con il fine perseguito, considerata anche l’attività svolta dal senatore Giarrusso quale componente «in Commissione antimafia e in Commissione Giustizia».

Considerato in diritto

1.− Il Tribunale di Potenza, sezione civile, con il ricorso indicato in epigrafe, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in riferimento alla deliberazione del 16 febbraio 2022 del Senato della Repubblica, con la quale, approvando la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari (doc. IV-quater, n. 3), si è affermato che le dichiarazioni rese al quotidiano «La Verità» l’8 giugno 2020 dall’allora senatore Mario Michele Giarrusso fossero state espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.

1.1.− Il ricorrente riferisce che Mario Michele Giarrusso è convenuto in un giudizio civile dal dott. Francesco Basentini, già capo del DAP, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni asseritamente patiti a seguito della pubblicazione dell’intervista sopra indicata, reputata diffamatoria.

Il Senato della Repubblica – su richiesta del Tribunale ricorrente ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato) – il 16 febbraio 2022 ha deliberato che quelle del convenuto sono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.

Il Tribunale di Potenza ritiene, per contro, che tali dichiarazioni extra moenia non siano, come richiederebbe la giurisprudenza costituzionale, sostanzialmente né cronologicamente connesse a opinioni espresse in sede istituzionale. In particolare, sarebbe ravvisabile solo una «parziale corrispondenza contenutistica» tra l’intervista e l’interrogazione parlamentare n. 4-03566, del 28 maggio 2020, presentata dal senatore Giarrusso e alla quale ha fatto riferimento la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari nella proposta approvata dal Senato della Repubblica: di qui la richiesta di annullamento della deliberazione impugnata.

2.− In via preliminare, deve essere confermata l’ammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione in relazione alla sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi, come già delibato da questa Corte con l’ordinanza n. 34 del 2023.

Non c’è dubbio, infatti, che il Tribunale di Potenza sia legittimato a promuovere conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, trattandosi di organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene nell’esercizio delle funzioni attribuitegli. Altrettanto pacifica è la legittimazione passiva del Senato della Repubblica, quale organo competente a dichiarare in modo definitivo la propria volontà in ordine all’applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost.

Quanto ai presupposti oggettivi, l’inibizione a esercitare la funzione giurisdizionale, conseguente alla deliberazione del Senato della Repubblica, è idonea a cagionare, ove le affermazioni di Mario Michele Giarrusso non fossero riconducibili a opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., la lesione della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita al potere ricorrente.

3.− Il Senato della Repubblica, costituitosi in giudizio, ha tuttavia eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto due diversi profili.

3.1.− In primo luogo, secondo il resistente il Tribunale di Potenza non è chiamato a conoscere della portata suppostamente diffamatoria dell’intera intervista rilasciata dal senatore Giarrusso, ma solo di quelle parti della stessa che il dott. Basentini ha posto a fondamento della propria pretesa risarcitoria. In ordine alle affermazioni estranee al suo perimetro di cognizione – quali sarebbero quelle per cui è promosso conflitto – il Tribunale ricorrente non sarebbe chiamato a esercitare la funzione giurisdizionale e, dunque, non sarebbe neppure legittimato a promuovere conflitto di attribuzione.

L’eccezione deve essere rigettata.

Il Tribunale di Potenza, per quanto detto nel Ritenuto in fatto, non solo sintetizza adeguatamente i contenuti dell’atto di citazione, ma riferisce ampiamente anche delle affermazioni rese nell’intervista che sono poste alla base della pretesa risarcitoria, precisando poi che solo alcune di esse – quelle in relazione alle quali è promosso l’odierno conflitto – non trovano riscontro contenutistico nell’interrogazione parlamentare del sen. Giarrusso. Deve ritenersi, pertanto, che il Tribunale di Potenza si considera chiamato a esercitare la funzione giurisdizionale anche con riferimento a queste ultime affermazioni e sia, dunque, legittimato a promuovere conflitto. Del resto, non spetta a questa Corte una diversa delimitazione del thema decidendum dinanzi al giudice civile, che soltanto in quella sede, e sempre che ne ricorrano i presupposti, potrà eventualmente essere valutata.

3.2.− Il Senato della Repubblica lamenta, poi, che il Tribunale di Potenza non abbia riportato in modo esaustivo il contenuto delle dichiarazioni extra moenia, il che è necessario per consentire a questa Corte di verificare se esse siano state espresse o meno nell’esercizio della funzione parlamentare. Il ricorrente, infatti, non avrebbe citato alcuno stralcio dell’intervista, ma avrebbe soltanto parafrasato e ricostruito alcuni passaggi, «peraltro in modo già orientato».

Anche questa eccezione deve essere rigettata.

Il Tribunale di Potenza, infatti, riporta testualmente diverse delle affermazioni compiute nell’intervista dal senatore Giarrusso, le mette in raffronto con l’interrogazione parlamentare per poi, infine, riscontrare che solo alcune di esse sono sostanzialmente corrispondenti nel loro significato. Di qui la decisione di proporre l’odierno conflitto in relazione alle affermazioni che, a parere del ricorrente, non sono state espresse nell’esercizio della funzione parlamentare: affermazioni testualmente riportate nel ricorso e che, dunque, questa Corte può verificare se siano riconducibili o meno a opinioni ex art. 68, primo comma, Cost.

4.− Nel merito, il conflitto non è fondato.

4.1.− Ai fini della risoluzione di conflitti quali quello odierno, che vertono sulla riconducibilità o meno di opinioni rese extra moenia all’esercizio della funzione parlamentare, questa Corte, come è stato ancora di recente ribadito, «ha considerato indici rivelatori dell’esistenza del nesso funzionale la sostanziale corrispondenza con opinioni espresse nell’esercizio di attività parlamentare tipica e la sostanziale contestualità temporale fra tale ultima attività e l’attività esterna (si vedano, tra le tante, le sentenze n. 218 del 2023, n. 241 del 2022, n. 59 del 2018, n. 144 del 2015 e n. 115 del 2014). Al ricorrere di queste condizioni, infatti, ben può affermarsi che le opinioni espresse fuori dalle sedi delle Camere siano connesse all’esercizio della funzione parlamentare, in quanto destinate a comunicare all’esterno, pur nell’ineliminabile diversità degli strumenti e del linguaggio adoperato nell’atto tipico e nella sua diffusione all’opinione pubblica, il significato dell’attività compiuta nell’esercizio del mandato, che, d’altronde, per sua natura è destinata” a proiettarsi al di fuori delle aule parlamentari, nell’interesse della libera dialettica politica che è condizione di vita delle istituzioni democratico-rappresentative" (sentenze n. 321 e n. 320 del 2000)» (sentenza n. 104 del 2024).

4.2.− Nel caso di specie, non può dubitarsi, a differenza di quanto fa, pur solo incidentalmente, il Tribunale di Potenza, che ci sia una sostanziale contestualità temporale tra l’interrogazione parlamentare del senatore Giarrusso richiamata dall’impugnata deliberazione, pubblicata il 28 maggio 2020, e la successiva intervista rilasciata dal medesimo senatore, pubblicata l’8 giugno 2020.

4.3.− Per quel che concerne la sostanziale corrispondenza contenutistica tra le opinioni intra ed extra moenia, deve innanzitutto ribadirsi che il conflitto è promosso non in relazione a tutte le affermazioni rese dal senatore Giarrusso nell’intervista, ma solo a quelle che, secondo il ricorrente Tribunale di Potenza, non trovano riscontro nell’interrogazione parlamentare.

Si tratta, più nello specifico, di tre serie di affermazioni.

Con una prima serie, il senatore Giarrusso asserisce che il dott. Basentini appartiene alla cosiddetta “banda Palamara”: «Le rivelazioni sul caso Palamara: al ministero s’era insediata una banda di Luca Palamara”; “Come altro definirla? Capo di gabinetto, capo del Dap, vicecapo del Dap, tutti che lo chiamavano affettuosamente e facevano riferimento a lui. Questa intimità, se riguarda i vertici di uno dei ministeri più importanti, è uno scandalo».

Con una seconda serie, il senatore Giarrusso lamenta una «dismissione della responsabilità» da parte del dott. Basentini in occasione della firma della circolare del DAP del 21 marzo 2020 che, a suo dire, avrebbe condotto alla scarcerazione di detenuti condannati per reati di stampo mafioso: «Difatti, quella era una circolare talmente scottante, che al ministero si sono rifiutati di firmarla. Alla fine, l’hanno fatta siglare alla dottoressa [A. B.], che abbiamo sentito in Antimafia».

Con una terza serie, infine, il senatore Giarrusso allude a che l’adozione di detta circolare durante il giorno del sabato avrebbe avuto la «precisa finalità» di sottrarla al controllo di altre direzioni ministeriali: «Mi pare evidente: bisognava scaricare su qualcun altro la responsabilità. E poi perché la circolare è stata emessa di sabato, con gli uffici amministrativi chiusi?”; “Perché di lunedì, a ministero aperto, sarebbe stato impossibile farla passare senza che se ne accorgessero le direzioni che s’occupano di 41-bis o di salute dei detenuti».

4.4.− La seconda e la terza serie di affermazioni trovano pieno riscontro nell’interrogazione parlamentare.

In quest’ultima, il senatore Giarrusso – dopo aver ampiamente messo in correlazione l’adozione della circolare del 21 marzo 2020 con una presunta trattativa, che asserisce essere stata condotta segretamente dal dott. Basentini, con il coinvolgimento anche di soggetti dei servizi, al fine di far cessare le rivolte in carcere – premette in particolare che «la circolare, emanata sabato 21 marzo, non solo non risulterebbe a firma del capo del DAP o del direttore generale della Direzione detenuti e trattamento, ma di una semplice subordinata non apicale» per poi chiedere al Ministro della giustizia «se possa riferire le motivazioni del perché sia stata una dirigente, la dottoressa [B.], anziché il direttore generale, a firmare la delicatissima circolare del 21 marzo, che ha permesso di dare il via alle scarcerazioni a numerosi e pericolosi boss mafiosi».

Al di là delle diverse «formule letterali usate» (sentenza n. 333 del 2011), che riflettono «[l’]uso di modalità espressive e comunicative fisiologicamente diverse, in considerazione dell’ineliminabile diversità degli strumenti in concreto utilizzati» (sentenza n. 104 del 2024), non v’è dubbio, dunque, che già nell’atto di sindacato ispettivo il senatore Giarrusso avesse lamentato tanto che la circolare non fosse stata firmata dal dott. Basentini, ma da altra dirigente non apicale, quanto che essa fosse stata adottata secondo una procedura opaca, conclusasi di sabato, volta a dare seguito a, come si legge testualmente nell’interrogazione parlamentare, «una qualche trattativa tra il DAP e i detenuti rivoltosi», i quali avevano redatto «un “papello” […] contenente una serie di richieste», alcune delle quali sarebbero «confluite» proprio nell’atto ministeriale.

La sostanziale corrispondenza di significato tra le opinioni intra moenia e le ora esaminate affermazioni pubblicate nell’intervista consente di ritenere sussistente il nesso funzionale richiesto dall’art. 68, primo comma, Cost.

4.5.− Diversamente, la prima serie di affermazioni – con le quali il senatore Giarrusso asserisce che il dott. Basentini appartenesse alla «banda Palamara», che si era «insediata» al Ministero della giustizia – non trova riscontro nell’interrogazione parlamentare, nella quale si fa soltanto un fugace riferimento alle «cosiddette “intercettazioni Palamara”», che sarebbero all’origine, almeno in parte, delle dimissioni di diversi dirigenti del Ministero della giustizia, tra cui quelle del dott. Basentini da capo del DAP.

Ciononostante, anche le opinioni del senatore Giarrusso ora in esame devono considerarsi espresse nell’esercizio della funzione parlamentare.

4.5.1.− La giurisprudenza costituzionale, infatti, se ha riconosciuto che la contestualità temporale e la sostanziale corrispondenza di significato tra opinioni intra ed extra moenia sono indici rivelatori «particolarmente consistenti e qualificati» (sentenza n. 104 del 2024), non ha escluso che, in casi particolari, l’art. 68, primo comma, Cost. possa trovare applicazione anche a «dichiarazioni rese extra moenia, non necessariamente connesse ad atti parlamentari ma per le quali si ritenga nondimeno sussistente un evidente e qualificato nesso con l’esercizio della funzione parlamentare» (sentenza n. 133 del 2018).

Questa Corte ritiene che ciò si verifichi nel caso di specie.

Le affermazioni circa l’appartenenza del dott. Basentini alla “banda Palamara”, infatti, debbono essere lette, innanzitutto, congiuntamente con quelle che le precedono: sollecitato dal giornalista a spiegare il senso dell’interrogazione parlamentare rivolta all’allora Ministro Alfonso Bonafede, il senatore Giarrusso afferma che con essa voleva si chiarisse «il terremoto che c’è stato al ministero della Giustizia», determinato dalle dimissioni di diversi dirigenti apicali («Pensi che il primo ad andarsene, a dicembre, è stato il capo dell’ispettorato, che è uno dei posti strategici del ministero. E se n’è andato con ignominia, inseguito da un’indagine penale»).

È immediatamente dopo queste affermazioni che il senatore Giarrusso rilascia quelle che il Tribunale di Potenza ritiene non essere insindacabili, certo usando anche una modalità espressiva particolarmente aspra – nell’alludere all’appartenenza del capo del DAP a una «banda» – ma funzionale, nel contesto della complessiva opinione espressa, a compiere una valutazione fortemente critica dell’operato del Ministro della giustizia per le nomine ai vertici degli uffici ministeriali e a interrogarsi sull’influenza che i legami tra le persone nominate e il dott. Palamara potessero avere avuto sullo svolgimento delle loro stesse funzioni ministeriali: il che, proprio in considerazione del ruolo di vertice che tali persone erano state chiamate a ricoprire, non può non considerarsi con evidenza connesso all’esercizio della tipica funzione di indirizzo e controllo sull’operato del Governo che è attribuita al Parlamento e a ogni suo componente (si veda anche sentenza n. 194 del 2024).

5.− In considerazione di quanto precede, le affermazioni dell’allora senatore Mario Michele Giarrusso, in relazione alle quali il Tribunale di Potenza ha promosso conflitto di attribuzione, costituiscono opinioni espresse nell’esercizio della funzione parlamentare e, pertanto, spettava al Senato della Repubblica deliberarne l’insindacabilità.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spettava al Senato della Repubblica deliberare che le dichiarazioni rese dal senatore Mario Michele Giarrusso, per le quali pende il procedimento civile davanti al Tribunale ordinario di Potenza, di cui al ricorso in epigrafe, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 settembre 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 5 dicembre 2024