Sentenza n. 257/2002

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.257

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 5 novembre 1998 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti del dr. Gianfranco Amendola, promosso dal Tribunale di Roma, notificato il 21 giugno 2001, depositato in cancelleria il 5 luglio 2001 ed iscritto al n. 21 del registro conflitti 2001.

Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;

udito nell'udienza pubblica del 23 aprile 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona;

udito l'avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1. - Nell'ambito di un giudizio civile per risarcimento danni promosso dal dr. Gianfranco Amendola nei confronti del deputato Vittorio Sgarbi per il contenuto di alcune espressioni ritenute offensive e diffamatorie, il Tribunale di Roma ha sollevato, con ricorso in data 22 novembre 2000, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera con la quale l’Assemblea, nella seduta del 5 novembre 1998, ha dichiarato che i fatti per i quali era in corso il procedimento civile concernevano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, insindacabili a norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il giudice ricorrente - premesso che durante un dibattito televisivo andato in onda l'8 aprile 1993 il deputato Sgarbi, in risposta a un rilievo sollevato dal dr. Amendola, allora deputato al Parlamento europeo, aveva replicato "[…] Quale classe politica? A te, tu classe politica, io che cazzo c'entro? Maiale, corrotto, tu sei, io non c'entro nulla con la classe politica, io ho sempre votato contro il governo. Quale classe politica? Parla di quello che sai, ignorante, incapace e bugiardo" - ritiene che nel caso di specie le opinioni espresse dal parlamentare non siano assistite dalla prerogativa di cui all'art. 68 della Costituzione, in quanto non risultano "legate da "nesso funzionale" con le attività svolte "nella qualità" di membro delle Camere", nè costituiscono "estrinsecazione delle facoltà proprie del parlamentare in quanto membro dell'Assemblea".

Ad avviso del ricorrente non é infatti accettabile una dilatazione del significato di "funzione" fino a ricomprendervi l'attività politica che il parlamentare svolge in qualsiasi sede, nè tanto meno é sufficiente che le dichiarazioni possano trovare collocazione in un contesto genericamente politico, in quanto il "nesso funzionale" deve essere inteso "come identificabilità della dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare".

Alla luce di tali premesse, il ricorrente ritiene che la deliberazione di insindacabilità adottata dall'Assemblea il 5 novembre 1998 "non sia conforme all'ordinamento costituzionale (art. 68 Cost.) e debba essere annullata", in quanto le espressioni usate dal deputato Sgarbi "non possono assolutamente essere ricomprese nella sfera di immunità prevista dall'art. 68, primo comma Cost.", essendo state pronunciate da persona che, pur se rivestita di incarichi di rappresentanza popolare, non svolgeva alcuna funzione politico-parlamentare.

Infine, il ricorrente rileva che la stessa Giunta per le autorizzazioni a procedere, nell'esprimere parere contrario alla insindacabilità di tali espressioni, aveva affermato che "[...] proprio la dignità delle prerogative parlamentari impone di non "coprire" attraverso queste l'ingiuria e l'offesa personale, in quanto la salvaguardia della libertà di pensiero deve tener conto dell'esigenza di rispettare l'altrui diritto all'onore e al decoro. Espressioni che sono insulto gratuito e personale, nulla hanno a che vedere con la funzione parlamentare. Se così fosse, "l'insindacabilità" significherebbe permettere di insultare, diffamare e offendere chiunque".

2. - Il conflitto é stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 196 del 2001. Il ricorso, unitamente all'ordinanza di ammissibilità, é stato notificato alla Camera dei deputati il 21 giugno 2001 ed é stato depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 5 luglio 2001.

3. - Con atto depositato l'11 luglio 2001 si é costituita la Camera dei deputati, in persona del suo Presidente, assistito e difeso dall'Avv. Roberto Nania, chiedendo alla Corte di dichiarare che spetta alla Camera il potere di affermare l'insindacabilità, a norma dell'art. 68, primo comma, Cost., delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi.

La Camera preliminarmente rileva che secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale la garanzia della insindacabilità opera anche per le opinioni espresse dai parlamentari fuori della sede istituzionale, purchè siano inerenti all'esercizio delle funzioni parlamentari.

La particolare sede in cui sono state pronunciate le espressioni in questione "depone di per sè a favore della sussistenza del nesso tra le opinioni stesse e la dimensione politico-parlamentare": si trattava infatti di un ""faccia a faccia" televisivo tra l'esponente del movimento La Rete on. Leoluca Orlando, Sindaco di Palermo e il pubblico", cui é seguito un "dibattito al quale avevano partecipato parecchi uomini politici su un argomento di grande attualità, quale il rapporto tra politica e magistratura".

Il giudice avrebbe invece "scorporato" alcuni frammenti delle frasi pronunciate dal deputato Sgarbi nel corso del dibattito televisivo, per poi negarne la riconducibilità all'attività parlamentare, senza tenere conto che la trasmissione riguardava proprio i rapporti tra magistratura e politica, che nel corso del programma si era anche vivacemente dibattuto in ordine alle inchieste giudiziarie avviate nei confronti di vari esponenti politici e che il deputato Sgarbi aveva riproposto "la sua lettura delle finalità e delle implicazioni politico-istituzionali della attività posta in essere dagli organi inquirenti".

La Camera ritiene pertanto che, una volta ricollocati i frammenti linguistici all'interno del contesto nel quale sono stati pronunciati, "l'appartenenza delle opinioni manifestate dal deputato all'area della insindacabilità risulti comprovata dall'attività parlamentare da questi posta in essere e nella quale risulta assolutamente preponderante l'impegno sul tema dei rapporti tra sfera giurisdizionale e sfera politico-rappresentativa".

A dimostrazione dell'impegno del parlamentare sullo specifico argomento, la Camera resistente allega all'atto di costituzione alcune interrogazioni, precedenti e successive all'aprile del 1993, nelle quali il deputato Sgarbi figura come co-firmatario, ove si manifesta la preoccupazione che l'atteggiamento dei giudici possa vulnerare gravemente il "principio costituzionale di neutralità della magistratura e del suo operato" e si ipotizza "una ispirazione eversiva dell'azione giudiziaria tesa a provocare la delegittimazione dell'intera Assemblea legislativa e diretta al fine di impedire, anche temporaneamente, l'esercizio della sua funzione" (interrogazione n. 3/00480 del 18 novembre 1992); si mostra preoccupazione in merito alle conseguenze degli "avvisi di garanzia" (interrogazione n. 1/00200 del 24 giugno 1993); e, ancora, si chiede di conoscere perchè si sia consolidata in molti uffici giudiziari la sistematica violazione del segreto istruttorio (interrogazione n. 2/00642 del 25 marzo 1993).

Ad avviso della Camera, le dichiarazioni del deputato non consistono, quindi, in "insulti gratuiti e personali", come sono stati definiti dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere, ma si inscrivono all'interno del dibattito politico-parlamentare allora in corso.

In ogni caso, la giurisprudenza costituzionale non avrebbe mai ritenuto sindacabili le opinioni espresse da un parlamentare in ragione delle sole modalità formali di esternazione, in quanto la correlazione delle dichiarazioni rese con l'attività politico-parlamentare é sempre stata valutata "indipendentemente dal carattere offensivo [...] ravvisato in via anticipata dal giudice ricorrente". Lo scrutinio della Corte deve infatti consistere non già nell'eventuale riscontro circa la "sussistenza di identità testuali magari rispetto a frammenti di frasi", ma nella verifica "della "sostanziale corrispondenza di significati" tra le posizioni politiche espresse nelle diverse sedi".

La difesa della Camera ha depositato in data 10 aprile 2002 memoria nella quale eccepisce l'inammissibilità del ricorso, in quanto l'atto con cui é stato sollevato il conflitto non conterrebbe la richiesta di annullamento della deliberazione della Camera, e pertanto incorrerebbe nel medesimo vizio di inammissibilità rilevato dalla Corte quando il ricorso si presenta "carente nell'indicazione del petitum"; nel merito la memoria richiama e sintetizza le considerazioni svolte nell'atto di costituzione.

Considerato in diritto

1. - Il conflitto di attribuzione sollevato dal Tribunale di Roma nei confronti della Camera dei deputati investe la deliberazione con cui l'Assemblea, nella seduta del 5 novembre 1998, su proposta difforme della Giunta per le autorizzazioni a procedere, ha affermato - a norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione - l'insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi, per le quali pende giudizio civile per risarcimento danni promosso dal dr. Gianfranco Amendola.

Le espressioni ritenute offensive erano state indirizzate al magistrato Gianfranco Amendola, allora deputato al Parlamento europeo, nel corso di un dibattito televisivo andato in onda il giorno 8 aprile 1993 ed avente come tema i rapporti tra politica e magistratura. Rispondendo ad un rilievo del dr. Amendola, il deputato Sgarbi aveva reagito apostrofandolo con i termini riportati nella esposizione in fatto.

2. - Nella memoria depositata il 10 aprile 2002, la difesa della Camera resistente ha eccepito in via preliminare l'inammissibilità del ricorso, in quanto privo della rituale richiesta di annullamento della deliberazione parlamentare oggetto dell'impugnativa.

L'eccezione é priva di fondamento, in quanto la richiesta di annullamento, pur non essendo contenuta nel dispositivo del ricorso, é espressamente formulata nelle considerazioni conclusive che immediatamente lo precedono.

3. - Nel merito, il ricorso é fondato.

4. - Questa Corte é chiamata ad accertare, in relazione alla prerogativa sancita dall'art. 68, primo comma, Cost., se risulti lesa o menomata una competenza costituzionale spettante ad uno dei poteri confliggenti; in particolare, se la delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati abbia determinato una illegittima interferenza nelle attribuzioni dell'autorità giudiziaria ricorrente.

Trattandosi di valutare la sussistenza della prerogativa dell'immunità in relazione a dichiarazioni rese dal parlamentare nel corso di un dibattito televisivo, nell'ambito, cioé, di un'attività sottratta alle forme di controllo e di intervento previste dall'ordinamento parlamentare, occorre accertare se le dichiarazioni stesse rappresentino la divulgazione all'esterno di un'opinione già espressa nell'esercizio di funzioni parlamentari tipiche (v. sentenza n. 289 del 2001). Al riguardo, questa Corte ha avuto ripetutamente occasione di affermare che ai fini della sussistenza del nesso con le funzioni parlamentari é necessario che vi sia quantomeno "una sostanziale corrispondenza di significati tra le dichiarazioni rese al di fuori dell'esercizio delle attività parlamentari tipiche svolte in Parlamento e le opinioni già espresse nell'ambito di queste ultime" (sentenza n. 321 del 2000 e, in termini sostanzialmente analoghi, sentenze n. 79 del 2002, n. 289, n. 137 e n. 76 del 2001, n. 320, n. 58, n. 56, n. 11 e n. 10 del 2000).

5. - Contrariamente a quanto sostenuto negli atti difensivi della Camera, nelle espressioni rivolte dal deputato Sgarbi al dr. Amendola non é dato ravvisare alcuna "corrispondenza di significati", nè formale nè sostanziale, con il contenuto di atti parlamentari tipici.

Gli atti di sindacato ispettivo evocati e prodotti dalla difesa della Camera, in cui il deputato Sgarbi compare come co-firmatario, precedenti o di poco successivi al dibattito televisivo, non hanno alcuna connessione con l'attività giudiziaria posta in essere dal dr. Amendola o, comunque, con comportamenti tenuti dallo stesso, ma contengono rilievi critici di ordine generale sui rapporti tra magistratura e potere politico, sui supposti obiettivi di delegittimazione delle assemblee legislative perseguiti dall'autorità giudiziaria, ovvero su disfunzioni dell'attività processuale strumentali al raggiungimento di finalità politiche, talvolta specificate in relazione ad altri magistrati o a uffici giudiziari diversi da quelli in cui il dr. Amendola ha svolto le sue funzioni.

A prescindere dal rilievo che alcune delle espressioni usate si sostanziano in meri insulti personali, si deve concludere che le parole pronunciate dal deputato Sgarbi non sono coperte dall'immunità ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost. e che la Camera dei deputati ha pertanto interferito illegittimamente con le attribuzioni dell'autorità giudiziaria. Ne consegue che deve essere disposto l'annullamento della deliberazione oggetto dell'impugnativa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta alla Camera dei deputati dichiarare, a norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, l'insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi, per le quali é in corso davanti al Tribunale di Roma il giudizio civile indicato in epigrafe;

annulla, per l'effetto, la deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 5 novembre 1998.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2002.