SENTENZA N. 169
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sorto a seguito della sentenza della Corte dei conti, sezione II giurisdizionale centrale d’appello, 19 dicembre 2016, n. 1354, della nota della Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti 22 marzo 2017, prot. n. 0005627-22/03/2017-PR_LAZ-T61-P, e della sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, 25 settembre 2012, n. 894, promosso dal Presidente della Repubblica con ricorso notificato il 31 ottobre 2017, depositato in cancelleria il 14 novembre 2017, iscritto al n. 2 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2017, fase di merito, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visto l’atto di intervento di P. D.P.;
udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2018 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi gli avvocati dello Stato Massimo Massella Ducci Teri e Federico Basilica per il Presidente della Repubblica e l’avvocato Francesco Scacchi per P. D.P.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato il 20 aprile 2017 e iscritto al n. 2 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2017, il Presidente della Repubblica, rappresentato e difeso dell’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alla sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, 25 settembre 2012, n. 894 e alla sentenza della Corte dei conti, sezione II giurisdizionale centrale d’appello, 19 dicembre 2016, n. 1354, quest’ultima trasmessa dalla Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti con nota 22 marzo 2017, n. prot. 0005627-22/03/2017-PR_LAZ-T61-P.
2.– In fatto, il ricorrente premette che, in seguito ad accertamenti effettuati dal Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica sulla gestione della tenuta presidenziale di Castelporziano, facente parte della dotazione presidenziale ai sensi dell’art. 84 della Costituzione e della legge 9 agosto 1948, n. 1077 (Determinazione dell’assegno e della dotazione del Presidente della Repubblica e istituzione del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica), sono risultati ammanchi per alcuni milioni di euro per il periodo tra il 2002 e il 2008.
2.1.– Con nota del 27 marzo 2009 il Segretariato generale ha informato l’autorità giudiziaria, che ha avviato un procedimento penale a carico di alcuni dipendenti della Presidenza della Repubblica, poi conclusosi con l’applicazione della pena su richiesta delle parti al dipendente G. G. (Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Roma, ufficio VII, sentenza 11 aprile 2011, n. 921) e con l’assoluzione, in relazione ai medesimi fatti, dei dipendenti A. D., P. D.P. e L. T. (Tribunale ordinario di Roma, sezione VIII penale, sentenza 23 aprile-3 agosto 2013, n. 8262) .
La Presidenza della Repubblica ha adito anche il giudice civile, dal quale ha ottenuto la condanna dei dipendenti G. G. e A. D., in solido tra loro, al pagamento di euro 4.631.691,96, nonché di ulteriori euro 100.000,00 a titolo di risarcimento del danno all’immagine (Tribunale ordinario di Roma, sezione II civile, sentenza 4 agosto 2015, n. 16997). Avverso questa sentenza è pendente il giudizio di appello, promosso dalla stessa Presidenza della Repubblica per il mancato accoglimento della domanda contro L. T., già convenuto in primo grado.
2.2.– In relazione agli stessi fatti e sulla base di notizie giornalistiche, la Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti ha poi avviato un’istruttoria. In seguito all’esercizio dell’azione contabile, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, con la citata sentenza n. 894 del 2012, ha condannato G. G. al pagamento di euro 954.222,00 e P. D.P. al pagamento di euro 477.000,00.
Contro questa sentenza la Presidenza della Repubblica ha proposto ricorso per regolamento di giurisdizione ai sensi degli artt. 41, secondo comma, e 368 cod. proc. civ., che la Corte di cassazione ha poi dichiarato inammissibile (Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanza 20 novembre 2013, n. 26035). In quella pronuncia le sezioni unite affermano, tra l’altro, quanto segue: «è interessante ricordare la pronuncia n. 129 del 1981 emessa dalla Corte costituzionale che ha affermato che non spetta alla Corte dei Conti il potere di sottoporre a giudizio contabile i tesorieri della Presidenza della Repubblica (e della Camera e del Senato); con riferimento ai limiti della giurisdizione contabile nel conflitto con organi costituzionali di vertice fra i quali la Presidenza della Repubblica. E ciò perché il fondamento normativo della giurisdizione contabile della Corte dei Conti posto nell’art. 103 Cost., comma 2, non risulta dotato di un’assoluta ed immediata operatività in tutti i casi. La capacità espansiva del T.U. n. 1214 del 1934 – è stato nuovamente rilevato –, incontra, infatti, i limiti dell’idoneità oggettiva delle materie e del rispetto delle norme e dei principi costituzionali (v. anche sent. n. 110 del 1970, sent. n. 102 del 1977). È stato, quindi, mediante il conflitto sollevato davanti alla Corte costituzionale a essere stato risolto quel caso; ciò dimostrando che quello è lo strumento corretto per la denuncia di situazioni costituenti materia di conflitto tra poteri dello Stato. Il Conflitto che sussiste, non solo nei casi in cui si controverte circa la spettanza di una stessa attribuzione, ma anche quando si discuta “circa l’estensione della giurisdizione propria della Corte dei conti, nel rapporto con l’autonomia organizzativa e funzionale rivendicata dai tre organi costituzionali che hanno sollevato il conflitto” (v. Corte cost. n. 129 del 1981 in motiv.)».
Nelle more, a tutela delle proprie ragioni creditorie, la Presidenza della Repubblica ha provveduto comunque ad adottare, nei confronti dei dipendenti interessati, atti di fermo amministrativo, sequestro, pignoramento e iscrizione di ipoteca.
La sentenza n. 894 del 2012 è stata appellata da P. D.P. e dal Procuratore Generale. Con la citata sentenza n. 1354 del 2016, la Corte dei conti ha respinto la prima impugnazione e accolto parzialmente la seconda, confermando la propria giurisdizione, condannando il dipendente G. G. (già ritenuto responsabile in primo grado) al pagamento in favore della Presidenza della Repubblica di euro 4.631,691,96 e condannando altresì P. D.P. in solido, ma limitatamente alla somma di euro 550.000,00 (ricompresa nella predetta maggiore somma di euro 4.631.691,96).
3.– In rito, il ricorrente osserva che con queste sentenze la Corte dei conti si è ritenuta legittimata «ad agire in giudizio nell’interesse del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica», in contrasto con la sentenza di questa Corte n. 129 del 1981 che, sempre ad avviso del ricorrente, avrebbe «escluso la competenza del giudice contabile nei confronti degli organi costituzionali». Poiché la Corte dei conti si è ritenuta legittimata ad agire e a proseguire in questa iniziativa autonomamente avviata, «senza essere stata in proposito compulsata dalla Presidenza della Repubblica», sarebbe stata lesa la sfera di autonomia della stessa Presidenza, in consapevole e dichiarato dissenso rispetto alla giurisprudenza costituzionale.
3.1.– Il ricorrente ravvisa, perciò, l’esigenza che la Corte costituzionale acclari «il corretto ambito di competenze della Corte dei conti», sottolineando che le attribuzioni presidenziali in questione, poiché discendono da norme costituzionali, non sono disponibili; che rispetto a esse non è configurabile acquiescenza, analogamente a quanto affermato in materia di conflitto tra enti (è citata, in particolare, la sentenza di questa Corte n. 369 del 2010); che a maggior ragione tale affermazione vale nel conflitto tra poteri, caratterizzato dall’assenza di termini decadenziali. Il ricorrente chiede, in particolare, «che venga ritenuta l’interferenza, da parte della Corte dei Conti, nella sfera delle competenze dell’Organo costituzionalmente garantite, con annullamento degli atti lesivi della attribuzione della Presidenza della Repubblica (della sentenza in epigrafe indicata, di quella di primo grado, nonché di tutti gli atti preordinati o comunque collegati)».
3.2.– Il ricorso sarebbe ammissibile dal punto di vista soggettivo, pacifica essendo la legittimazione del Presidente della Repubblica a sollevare conflitto tra poteri.
3.3.– Il ricorso sarebbe ammissibile anche dal punto di vista oggettivo, perché non sarebbe censurato un mero error in iudicando, circostanza che trasformerebbe il conflitto in inammissibile impugnazione di decisioni giudiziarie. Si chiede invece una delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali, a seguito della menomazione causata alla Presidenza della Repubblica in particolare dalla sentenza d’appello della Corte dei conti. Del resto, conflitti tra poteri aventi a oggetto atti giurisdizionali e anche sentenze definitive sarebbero certamente sempre ammissibili, non essendo previsto alcun termine di decadenza per la proposizione del ricorso.
3.4.– In conclusione, il ricorrente ribadisce la propria richiesta a questa Corte di accertare che il giudizio di responsabilità conclusosi con la sentenza della Corte dei conti n. 1354 del 2016 e «riguardante dipendenti della Presidenza della Repubblica per attività comunque riconducibili all’ambito organizzativo dotato di autonomia costituzionalmente tutelata» costituisce un’interferenza della Corte dei conti nelle attribuzioni riservate alla Presidenza della Repubblica e che, per l’effetto, sia annullato «ogni atto lesivo del principio dell’esenzione della Presidenza della Repubblica dalla giurisdizione contabile» e ogni altro atto presupposto o connesso.
4.– Nel merito, il ricorrente rileva che, attraverso una pluralità di atti, a cominciare dall’avvio dell’azione di responsabilità per danno erariale, la Corte dei conti ha ritenuto la propria «giurisdizione», assimilando impropriamente la Presidenza della Repubblica a un’amministrazione pubblica e, così facendo, da un lato, avrebbe esorbitato dai propri poteri, di cui all’art. 103, secondo comma, Cost. e, dall’altro, avrebbe leso i poteri del Presidente della Repubblica derivanti dall’art. 84, terzo comma, Cost., ai cui sensi «l’assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge», e ciò «in evidente contrasto con una chiara consuetudine costituzionale».
4.1.– Il ricorrente riporta un lungo stralcio della censurata sentenza n. 1354 del 2016. In esso, la Corte dei conti, per sostenere la propria giurisdizione, già affermata in primo grado, argomenta che «deroghe alla giurisdizione in favore di una giurisdizione domestica (o autodichia) debbono essere espressamente previste o consentite da disposizioni costituzionali (cfr. Cass. sez. un., n. 6529/2010 e n. 12614/1998), ma anche che deroghe di tal fatta sono sempre di stretta interpretazione (Corte cost. n. 129/1981)»; che «nella fattispecie manca una disposizione costituzionale che escluda, direttamente o indirettamente, l’assoggettamento dei dipendenti del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica ai giudizi di responsabilità per danno erariale di cui conosce la Corte dei conti»; che i giudizi di responsabilità per danno erariale sono distinti sia dall’ordinario contenzioso sui rapporti di lavoro alle dipendenze del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, sia dai giudizi di conto celebrati dinanzi alla stessa Corte dei conti, i quali sarebbero caratterizzati da «necessarietà, ufficiosità, automaticità, continuità, pervasività, inquisitorietà»; che per i predetti i giudizi di responsabilità non risulta «la “consuetudine costituzionale” sulla base della quale la Corte costituzionale, con la sentenza n. 129/1981, aveva (discutibilmente, ad avviso del Collegio) ritenuto di escludere il tesoriere della Presidenza della Repubblica dall’obbligo di presentare il conto giudiziale previsto dall’art. 74 del r.d. n. 2240/1923»; che da tali argomentazioni deriva la coesistenza dell’azione di responsabilità amministrativa davanti al giudice contabile e dell’ordinaria azione di responsabilità davanti al giudice civile, le quali differiscono per presupposti e finalità, salva la preclusione all’esercizio di una quando con l’altra si sia già ottenuto il medesimo bene della vita (il che non sarebbe avvenuto nel caso in esame, non essendo stata la Presidenza della Repubblica reintegrata nel danno di euro 4.631.691,96).
4.2.– Il ricorrente evidenzia che, peraltro, la Corte dei conti non ha preso in considerazione il danno all’immagine, riconosciuto invece in sede civile. Inoltre, diversamente dal giudice civile, la Corte dei conti ha limitato la solidarietà fra i due soggetti condannati alla sola somma di euro 550.000,00 e – in forza del tuttora vigente art. 83 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 (Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato) – può ridurre la misura del danno accertato posta a carico dei responsabili. Pertanto, secondo il ricorrente, anche in via generale, l’azione civile si dimostrerebbe maggiormente idonea a garantire il recupero e il ristoro di tutti i danni subiti.
La pretesa coesistenza fra i due giudizi accentuerebbe l’interferenza con le attribuzioni presidenziali dato che, dopo la conclusione del secondo grado di giudizio dinanzi alla Corte dei conti, l’ulteriore corso del giudizio civile pendente in appello sarebbe «sostanzialmente precluso». Il rischio di un «potenziale conflitto tra ‘giudicati’», infine, sarebbe accresciuto dal fatto che la condanna della Corte dei conti è rivolta nei confronti di soggetti (G. G. e P. D.P.) solo in parte coincidenti con quelli ritenuti responsabili dal Tribunale civile di Roma (G. G. e D. A.; il Tribunale ha invece escluso la responsabilità di P. D.P.).
4.3.– Anche di recente, l’art. 51, comma 7, del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124) ha riferito la notizia di danno erariale e la relativa azione di responsabilità ai soli «dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165», e degli altri enti e organismi puntualmente indicati (con elencazione da ritenersi tassativa). Ad avviso del ricorrente, è proprio la confusione «tra Organo costituzionale e pubblica amministrazione» l’errore in cui sarebbero caduti gli uffici requirenti e giudicanti della Corte dei conti.
Disattendendo l’eccezione di difetto di giurisdizione, esprimendo dissenso rispetto alle tesi enunciate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 129 del 1981 e rimarcando le differenze tra i giudizi di conto oggetto di tale sentenza costituzionale e quelli di responsabilità per danno erariale, la Corte dei conti avrebbe mostrato di volere pervicacemente insistere nell’invasione delle attribuzioni presidenziali, e l’invasione sarebbe stata aggravata dalla nota del 22 marzo 2017, con la quale la Procura regionale per il Lazio della stessa Corte dei conti ha trasmesso, per l’esecuzione, la sentenza d’appello.
Questa nota, poi, non solo cita l’art. 212 del codice di giustizia contabile (rubricato: «Titolo esecutivo»), ma è addirittura accompagnata da una «circolare dell’Ufficio Monitoraggio sentenze di condanna della Procura Regionale per il Lazio», che la Presidenza della Repubblica è «invita[ta]» a «seguire». Secondo il ricorrente, «risulta davvero aberrante anche solo ipotizzare che un ufficio della Corte dei conti possa monitorare l’attività dell’apparato funzionale all’esercizio delle attribuzioni del Presidente della Repubblica».
4.4.– Richiamato l’art. 84, terzo comma, Cost., che prevede che «l’assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge», e l’art. 1 della legge n. 1077 del 1948, che ha attuato la previsione costituzionale, il Presidente della Repubblica rivendica l’esclusività della propria prerogativa di assumere determinazioni con riguardo ai beni ricompresi, per legge, nella propria dotazione e alle somme annue assegnategli, parimenti per legge. Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte dei conti, non si tratterebbe di riconoscere o meno istanze di autodichia, in deroga alla normale giurisdizione; bensì, come rilevato dalle sezioni unite della Corte di cassazione, di escludere in radice interferenze nel libero, indipendente e autonomo esercizio delle funzioni presidenziali.
La netta separazione, nella Parte II della Costituzione, tra il Titolo II, da un lato, e, dall’altro, il Titolo III (e in particolare la Sezione II di questo), comproverebbe la distinzione tra il Presidente della Repubblica, con l’apparato di cui egli abbisogna per esercitare le proprie funzioni in piena indipendenza, e la pubblica amministrazione, come ricordato sempre dalla sentenza n. 129 del 1981.
Anche le disposizioni costituzionali sulla Corte dei conti confermerebbero che il perimetro delle attribuzioni di tale organo non riguarda affatto il Presidente della Repubblica, la sua dotazione e il Segretariato generale.
L’art. 100, secondo e terzo comma, Cost. contempla funzioni di controllo sugli atti del Governo e garantisce l’indipendenza della Corte dei conti di fronte allo stesso Governo, ma non prevede alcun rapporto tra quest’ultima e il Presidente della Repubblica, evidentemente presupponendo l’impossibilità di qualsiasi interferenza. Per quanto riguarda l’art. 103 Cost., il ricorrente argomenta che la dotazione presidenziale è prevista direttamente dalla Costituzione e che alla legge spetta solo determinarne la consistenza effettiva. Pertanto, nessun organo diverso dal Presidente della Repubblica potrebbe assumere determinazioni sull’uso della stessa, pena l’impossibilità per il Capo dello Stato di assolvere alle proprie funzioni, connotate da un livello di massima sicurezza e segretezza. Anche l’art. 113 Cost., poi, si riferirebbe evidentemente alla sola pubblica amministrazione e «non anche agli atti adottati nell’ambito della piena indipendenza e autonomia – anche organizzativa – del Presidente della Repubblica».
Dunque, sarebbe contraddittorio assimilare l’apparato servente del Presidente della Repubblica alla pubblica amministrazione, che fa invece capo al Governo.
Di conseguenza, le norme costituzionali in tema di pubblica amministrazione non riguarderebbero il Presidente della Repubblica e il personale che gli è dedicato; la dotazione, quantificata dalla legge, sarebbe affidata esclusivamente al Presidente della Repubblica, al quale sarebbe altresì riservata ogni determinazione in merito a essa e al relativo personale. Come osservato nella sentenza n. 129 del 1981, rientrerebbe nella autonomia degli organi costituzionali non solo la produzione di norme sull’assetto e sul funzionamento dei propri apparati serventi, ma anche la concreta adozione delle misure atte ad assicurarne l’osservanza, nonché, in via esclusiva, «l’attivazione dei corrispondenti rimedi, amministrativi od anche giurisdizionali». Confondendo l’organo costituzionale con le amministrazioni pubbliche, la Corte dei conti avrebbe esorbitato dalle proprie attribuzioni e interferito con quelle del ricorrente.
Il ricorso richiama gli artt. 1, 3, primo comma, 4 e 9 della legge n. 1077 del 1948 e argomenta che spetterebbe al Presidente della Repubblica stabilire, con proprio decreto, lo stato giuridico ed economico del personale addetto alla Presidenza, incluso il regime di responsabilità dello stesso personale. Di conseguenza, sarebbe «precipuo ma anche esclusivo interesse del Presidente della Repubblica» procedere al recupero di quanto eventualmente indebitamente sottratto alla dotazione.
4.5.– La giurisprudenza costituzionale avrebbe già affermato che le funzioni presidenziali non sono riconducibili ai tre tradizionali poteri dello Stato (è citata l’ordinanza n. 150 del 1980), circostanza dalla quale discenderebbe la radicale esclusione di ogni interferenza e sindacato da parte di tali poteri nei confronti delle funzioni presidenziali. Del resto, anche le attribuzioni della Corte dei conti per i giudizi di responsabilità amministrativa non deriverebbero di diritto dall’art. 103 Cost., ma sarebbero rimesse alla discrezionalità del legislatore ordinario (è citata la sentenza n. 46 del 2008).
Il ricorrente ricorda che nella sentenza di questa Corte n. 143 del 1968 è stata affermata l’esenzione dal controllo della Corte dei conti dell’attività degli organi che – come il Capo dello Stato, il Parlamento e la Corte costituzionale – si trovano in una posizione di vertice nell’ordinamento costituzionale e di assoluta indipendenza. Nella stessa sentenza, si è precisato che «anche in materia di spese, poiché esse sono necessarie al funzionamento dell'organo, un riscontro esterno comprometterebbe il libero esercizio delle funzioni politico-legislative o di garanzia costituzionale che gli sono attribuite».
La sentenza n. 110 del 1970, inoltre, avrebbe affermato l’ammissibilità di deroghe alla giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di organi immediatamente partecipi dei poteri sovrani dello Stato e, perciò, situati ai vertici dell’ordinamento. Questo orientamento sarebbe stato portato a ulteriore compimento dalla già citata sentenza n. 129 del 1981, la quale avrebbe rilevato l’esistenza di una consuetudine costituzionale, integrativa delle norme costituzionali scritte sul regime degli apparati serventi agli organi costituzionali, volta, per ragioni storiche e di salvaguardia della piena autonomia costituzionale degli organi supremi, a limitare la giurisdizione della Corte dei conti di cui all’art. 103 Cost.
Nella impugnata sentenza n. 1354 del 2016, dunque, la Corte dei conti avrebbe errato nell’affermare la propria giurisdizione esclusivamente in virtù del carattere pubblico dell’ente interessato e del denaro o bene gestito, appoggiandosi all’ordinanza della Corte di cassazione, sezioni unite, «n. 13310/2010» (recte: 1° giugno 2010, n. 13330). Inoltre, nella sentenza n. 68 del 1971 e soprattutto nella sentenza n. 209 del 1994, questa Corte avrebbe espressamente riconosciuto l’esenzione dei dipendenti delle due Camere e della Presidenza della Repubblica dalla giurisdizione contabile della Corte dei conti; e la dottrina avrebbe unanimemente ravvisato il fondamento di tale esenzione nella consuetudine costituzionale di cui alla sentenza n. 129 del 1981, pacifica quantomeno riguardo ai giudizi di conto.
4.6.– Questo principio non potrebbe non estendersi anche ai giudizi di responsabilità.
L’unitarietà delle funzioni della Corte dei conti sarebbe stata affermata, in particolare, nella sentenza di questa Corte n. 641 del 1987, secondo la quale la giurisdizione sulle materie di contabilità pubblica «va intesa nel senso tradizionalmente accolto dalla giurisprudenza e dalla legislazione, cioè come comprensiva sia dei giudizi di conto che di responsabilità a carico degli impiegati e degli agenti contabili dello Stato e degli enti pubblici non economici che hanno il maneggio del pubblico denaro». Di conseguenza, nella giurisprudenza costituzionale le funzioni giurisdizionali e di controllo della Corte dei conti risponderebbero a esigenze di garanzia unitaria della finanza pubblica, e la stessa Corte dei conti avrebbe affermato l’unitarietà delle funzioni giurisdizionali e di controllo conferitele dalla Costituzione, malgrado le differenze di natura, procedimenti, finalità ed effetti.
Diversamente dalle amministrazioni pubbliche, gli organi costituzionali non sono soggetti ad alcun controllo preventivo, il cui esito positivo vale come esenzione dalla colpa grave ai fini della responsabilità amministrativa ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti). Sarebbe incongruo sottoporre un organo alla sola responsabilità amministrativo-contabile, quando esso non è sottoposto a controllo: il che comproverebbe che i dipendenti della Presidenza della Repubblica sono esenti sia dal giudizio di conto, sia da quello di responsabilità amministrativo-contabile in forza della stessa consuetudine costituzionale.
4.7.– Questa conclusione sarebbe corroborata dalla distinzione che la giurisprudenza costituzionale ha teorizzato tra la condizione di autonomia, del tutto peculiare, degli organi costituzionali, da un lato, e, dall’altro, quella di altre assemblee rappresentative, quali i Consigli regionali: nonostante alcune analogie, solo la particolare connotazione delle prerogative e dell’indipendenza degli organi costituzionali comporterebbe la deroga rispetto alla generale sottoposizione alla giurisdizione contabile.
Ciò sarebbe altresì confermato dall’esclusione del Parlamento e del Presidente della Repubblica dalle nuove forme di controllo introdotte dall’art. 1 del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213 (è citata la sentenza n. 39 del 2014).
La giurisprudenza costituzionale avrebbe anche ripetutamente chiarito che la giurisdizione della Corte dei conti è solo tendenzialmente generale; che a essa, specie in materia di responsabilità amministrativa non di gestione, sono possibili deroghe; che la giurisdizione di responsabilità non deriva automaticamente dall’art. 103 Cost., ma è rimessa alla discrezionalità del legislatore (è citata, in particolare, la sentenza n. 46 del 2008).
5.– Pertanto, il Presidente della Repubblica conclude chiedendo che, «previa tutela cautelare, venga dichiarato il difetto di potere della Corte dei conti a esercitare la giurisdizione contabile nei confronti della Presidenza della Repubblica per violazione degli artt. 103, comma secondo, e 84, comma terzo, Cost. nonché per contrasto con la evidenziata consuetudine costituzionale, e conseguentemente che venga annullata la sentenza indicata in epigrafe, unitamente a ogni altro atto presupposto o comunque connesso».
6.– Con ordinanza n. 225 del 2017 la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile il ricorso per conflitto ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).
7.– Il ricorso e l’ordinanza sono stati tempestivamente notificati, a cura del ricorrente, alla Corte dei conti, sezione II giurisdizionale centrale d’appello e sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, e alla Procura regionale della Corte dei conti per il Lazio.
Nessuno dei soggetti notificati si è costituito in giudizio davanti a questa Corte.
8.– In data 13 dicembre 2017 ha depositato un atto di intervento ad adiuvandum P. D.P., dipendente della Presidenza della Repubblica, chiedendo che la Corte costituzionale dichiari ammissibile il suo intervento e che, in accoglimento delle richieste formulate dal ricorrente, dichiari il difetto di giurisdizione della Corte dei conti nell’accertamento della responsabilità dei dipendenti della Presidenza della Repubblica e conseguentemente annulli i procedimenti e provvedimenti della Corte dei conti oggetto del conflitto.
L’interveniente ricostruisce innanzitutto, in punto di fatto, la sua posizione processuale: assolto per non avere commesso il fatto nell’ambito del procedimento penale per peculato; non condannato in primo grado al risarcimento del danno nel processo civile, in cui peraltro era stato chiamato in causa da un altro convenuto a titolo di garanzia senza essere stato citato dalla Presidenza della Repubblica, la quale non ha poi proposto impugnazione sul capo relativo alla sua posizione; condannato tuttavia in primo e in secondo grado nel giudizio contabile sorto a seguito dell’istruttoria avviata autonomamente, senza impulso della Presidenza della Repubblica, dalla Procura regionale della Corte dei conti per il Lazio.
Quanto alla ammissibilità dell’intervento, P. D.P. richiama la giurisprudenza costituzionale che ammette l’intervento di terzi nel conflitto tra poteri qualora il pregiudizio o la salvaguardia della loro posizione soggettiva dipendono imprescindibilmente dall’esito del conflitto, e in particolare quando gli atti impugnati nel conflitto sono oggetto di un giudizio di fronte agli organi della giurisdizione comune in cui l’interveniente sia parte (si citano le sentenze n. 305 del 2011, n. 279 del 2008 e n. 368 del 2007). La situazione dell’interveniente rientrerebbe in questi casi, dato che i due provvedimenti giurisdizionali della Corte dei conti che danno origine al conflitto sono stati pronunciati (anche) nei suoi confronti.
Nel merito, l’interveniente si associa alle argomentazioni svolte dal ricorrente circa l’assoluta carenza di giurisdizione della Corte dei conti di fronte al potere degli organi costituzionali relativo sia alla produzione di norme sull’assetto e sul funzionamento dei propri apparati, sia alla concreta adozione delle misure atte ad assicurare l’osservanza di tali norme, da cui discenderebbe «la piena autonomia, da parte degli stessi organi, dell’attivazione dei corrispondenti rimedi, amministrativi od anche giurisdizionali».
9.– Nell’imminenza dell’udienza il Presidente della Repubblica ha depositato memoria insistendo nelle sue richieste.
Rispetto a quanto già dedotto nel ricorso introduttivo, il ricorrente aggiunge che nelle more del giudizio costituzionale è intervenuta la sentenza n. 262 del 2017, sulla cosiddetta autodichia nei confronti dei dipendenti del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica, con la quale la Corte costituzionale ha rigettato il ricorso delle sezioni unite della Corte di cassazione evidenziando la necessità che il libero esercizio delle funzioni presidenziali non possa essere in alcun modo sacrificato. Dopo avere riprodotto alcuni passaggi della sentenza, il ricorrente sostiene che anche nel caso della giurisdizione contabile, oggetto del presente conflitto, come in quello dell’autodichia, dovrebbe affermarsi la necessità di garantire «la non dipendenza del Presidente rispetto ad altri poteri dello Stato»: dipendenza che nel caso di specie si sarebbe invece impropriamente determinata nel momento in cui la Corte dei conti ha esteso la propria giurisdizione a soggetti che prestavano la propria attività lavorativa presso il Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, struttura servente dell’organo costituzionale «la cui disciplina e gestione viene […] sottratta a qualunque ingerenza esterna» (sentenza n. 262 del 2017).
Oltre a richiamare gli altri argomenti già esposti nel ricorso introduttivo, il ricorrente ricorda anche che ai sensi dell’art. 84, terzo comma, Cost. la dotazione del Presidente è determinata per legge, e che la legge ha previsto che nell’ambito della dotazione vi sia la tenuta di Castelporziano con tutti i mobili e le pertinenze (art. 1 della legge n. 1077 del 1948). Ciò comporterebbe che solo ed esclusivamente il Presidente della Repubblica possa assumere determinazioni con riguardo ai beni rientranti in quella dotazione. Nella fattispecie, la Presidenza della Repubblica aveva già esercitato l’azione civile. La Presidenza della Repubblica, anzi, avrebbe agito con maggiore efficacia rispetto alla Corte dei conti, dato che la condanna civile a carico dei funzionari sembra destinata ad avere una maggiore possibilità di recupero, perché i funzionari sono stati condannati in solido per l’intero, e non solo in parte, con risarcimento anche del danno all’immagine, non considerato dal giudice contabile.
Il ricorrente osserva inoltre, in generale, che l’azione civile davanti al giudice ordinario meglio garantisce il recupero e il ristoro non solo di tutte le voci di danno richieste, ma soprattutto dell’intero danno, non essendo previsto il potere di riduzione dell’addebito, che invece la Corte dei conti può sempre applicare nei giudizi di responsabilità (art. 83 del r.d. n. 2440 del 1923, non abrogato dal codice di giustizia contabile del 2016).
Considerato in diritto
1.– Il Presidente della Repubblica, rappresentato e difeso dell’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alla sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, 25 settembre 2012, n. 894 e alla sentenza della Corte dei conti, sezione II giurisdizionale centrale d’appello, 19 dicembre 2016, n. 1354, quest’ultima trasmessa dalla Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti con nota 22 marzo 2017, n. prot. 0005627-22/03/2017-PR_LAZ-T61-P, con le quali è stata accertata la responsabilità amministrativo-contabile di due dipendenti della Presidenza della Repubblica per ingenti ammanchi relativi alla gestione della tenuta presidenziale di Castelporziano negli anni compresi tra il 2002 e il 2008 ed è stata pronunciata condanna al pagamento di somme a titolo di risarcimento del danno in favore della stessa Presidenza.
Il ricorrente chiede che questa Corte dichiari che non spettava alla Corte dei conti esercitare la giurisdizione sulla responsabilità amministrativo-contabile nei confronti di dipendenti della Presidenza della Repubblica, e conseguentemente annulli gli atti impugnati sopra indicati, oltre a quelli a essi presupposti, connessi e collegati.
Secondo il ricorrente la Corte dei conti, ritenendo sussistente la propria giurisdizione, avrebbe assimilato impropriamente la Presidenza della Repubblica a una pubblica amministrazione e, così facendo, da un lato avrebbe ecceduto dai poteri a essa conferiti dall’art. 103, secondo comma, della Costituzione e dall’altro lato avrebbe interferito con le attribuzioni del Presidente della Repubblica di cui all’art. 84, terzo comma, Cost., violando la consuetudine costituzionale che riserva alla Presidenza della Repubblica l’esclusiva disponibilità dei rimedi, anche giurisdizionali, per garantire la corretta amministrazione della propria dotazione.
2.– In via preliminare, deve essere dichiarato ammissibile l’intervento spiegato da P. D.P., il dipendente della Presidenza della Repubblica che è stato parte nei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile che hanno dato luogo alle due sentenze oggetto del presente conflitto di attribuzione e nei confronti del quale la nota della Procura regionale per il Lazio, parimenti qui impugnata, chiede alla Presidenza della Repubblica di dare esecuzione alla decisione di appello della Corte dei conti.
Nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, di regola, non è ammesso l’intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o resistervi. Questa regola, tuttavia, non opera quando l’interveniente sia parte di un giudizio comune, i cui esiti o i cui effetti la pronuncia di questa Corte sia suscettibile di condizionare (tra le molte, sentenza n. 107 del 2015).
Tale è il caso di specie, dal momento che l’interveniente è stato condannato sia in primo che in secondo grado dalle sentenze contabili impugnate in questa sede e che il giudizio costituzionale, vertendo sulla spettanza o meno alla Corte dei conti del potere di esercitare la giurisdizione contabile, è suscettibile di condizionare l’esecuzione a carico dell’interveniente della sentenza di secondo grado.
3.– Sempre in via preliminare va confermata, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’ammissibilità del conflitto già dichiarata da questa Corte, in sede di prima e sommaria delibazione, con l’ordinanza n. 225 del 2017, che ha accertato la sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi.
3.1.– Con riguardo al profilo soggettivo, deve essere ribadita la pacifica legittimazione del Presidente della Repubblica ad attivare il conflitto tra poteri dello Stato per difendere le proprie attribuzioni costituzionali.
La tutela delle attribuzioni del Capo dello Stato si estende al Segretariato generale della Presidenza, che svolge «compiti serventi rispetto alla “funzione presidenziale”, costituzionalmente garantita» (sent. 129 del 1981). Infatti, la legge 9 agosto 1948, n. 1077 (Determinazione dell'assegno e della dotazione del Presidente della Repubblica e istituzione del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica), artt. 3 e ss., ha istituito il Segretariato generale della Presidenza della Repubblica, «nel quale sono inquadrati tutti gli uffici e i servizi necessari per l'espletamento delle funzioni del Presidente della Repubblica e per l’amministrazione della dotazione prevista dall’art. 1» della medesima legge, ai sensi dell’art. 84 Cost. Del resto, come questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, il Presidente della Repubblica «necessita di un proprio apparato organizzativo, non solo per amministrare i beni rientranti nella dotazione presidenziale, ma anche per consentire un libero ed efficiente esercizio delle proprie funzioni, garantendo in tal modo la non dipendenza del Presidente rispetto ad altri poteri dello Stato» (sentenze n. 262 del 2017 e n. 129 del 1981). Sicché l’effettiva autonomia dell’organo costituzionale si estende anche all’apparato amministrativo servente.
Deve inoltre confermarsi la legittimazione passiva delle due sezioni della Corte dei conti e della Procura regionale della Corte dei conti, in quanto tutte espressione di potere giurisdizionale diffuso.
3.2.– L’ammissibilità del conflitto sussiste anche sotto il profilo oggettivo, dato che il ricorrente agisce «per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali», come previsto dall’art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953.
Il ricorso lamenta una menomazione delle attribuzioni costituzionali del Presidente della Repubblica garantite dall’art. 84, terzo comma, Cost. e relative alla dotazione presidenziale causata dalle citate sentenze della Corte dei conti e aggravata dalla richiamata nota della Procura contabile, sostenendo che esse abbiano superato i limiti che la giurisdizione contabile, prevista dall’art. 103 Cost., incontra nei confronti degli organi costituzionali.
4.– Nel merito il conflitto è fondato.
Occorre muovere dalla considerazione che un orientamento antico e costante di questa Corte afferma che l’art. 103, secondo comma, Cost., secondo cui «la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge», si riferisce all’ampio ambito della «tutela del pubblico danaro» (così la sentenza n. 185 del 1982, ma analogamente anche la risalente sentenza n. 68 del 1971) ed è tradizionalmente comprensivo dei giudizi di conto e dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile. È stato altresì già affermato da questa Corte che la giurisdizione della Corte dei conti nella materia della «contabilità pubblica» «è solo tendenzialmente generale (tanto che nell’ordinamento precostituzionale la si qualificava giurisdizione speciale)» (sentenza n. 641 del 1987), sicché la Corte dei conti non può essere ritenuta il giudice esclusivo della tutela da danni pubblici (per esempio, sentenze n. 46 del 2008 e n. 641 del 1987).
Da ciò, la giurisprudenza costituzionale ha tratto due conseguenze. La prima è che il legislatore, nella sua discrezionalità, potrebbe anche attribuire la cognizione di alcune delle materie ricadenti nella nozione di «contabilità pubblica» alla giurisdizione di un giudice diverso (sentenza n. 641 del 1987 e, tra le altre, sentenza n. 189 del 1984). La seconda, che risulta determinante per la soluzione del presente conflitto tra poteri, è che l’ambito della giurisdizione della Corte dei conti, «lungi dall’essere incondizionato» (sentenza n. 129 del 1981), deve contenersi, oltre che all’interno dei confini della materia «contabilità pubblica», anche entro «i limiti segnati da altre norme e principi costituzionali» (sentenze n. 773 del 1988, n. 129 del 1981 e n. 110 del 1970).
5.– Nel caso su cui questa Corte è chiamata oggi a pronunciarsi, l’estensione della giurisdizione contabile è delimitata dalle norme e dai principi costituzionali contenuti nell’art. 84, terzo comma, Cost., che garantiscono l’autonomia della Presidenza della Repubblica nella gestione della dotazione presidenziale.
Tale autonomia, come affermato dalla sentenza n. 129 del 1981, «si esprime anzitutto sul piano normativo», nel senso che alla Presidenza della Repubblica, come alle Camere del Parlamento, «compete la produzione di apposite norme giuridiche, disciplinanti l’assetto ed il funzionamento dei [loro] apparati serventi; ma non si esaurisce nella normazione, bensì comprende – coerentemente – il momento applicativo delle norme stesse, incluse le scelte riguardanti la concreta adozione delle misure atte ad assicurarne l’osservanza». Più specificamente, per quanto rileva ai fini della soluzione del presente conflitto, ciò comporta che, di fronte alle ipotesi di dipendenti che abbiano danneggiato la dotazione presidenziale, rientra «nell’esclusiva disponibilità» del Presidente della Repubblica «l’attivazione dei corrispondenti rimedi, amministrativi od anche giurisdizionali», senza di che la sua autonomia «verrebbe dimezzata» (sentenza n. 129 del 1981).
Non è compatibile con tali principi l’esercizio della giurisdizione contabile di responsabilità, trattandosi di un giudizio attivabile d’ufficio da parte della Procura della Corte dei conti e indipendentemente dall’iniziativa della Presidenza della Repubblica in un ambito rientrante nell’autonomia costituzionale di questa.
6.– L’esclusione dei dipendenti della Presidenza della Repubblica dal giudizio di responsabilità da parte della Corte dei conti non comporta che questi siano esonerati da ogni responsabilità, eventualmente anche di carattere penale, né ostacola il recupero delle somme da loro indebitamente sottratte, attraverso procedure autonomamente individuate dalla stessa Presidenza della Repubblica, sia caso per caso, sia in via generale attraverso una apposita previsione del Regolamento di amministrazione e contabilità.
In proposito può soltanto rilevarsi come, in relazione alle vicende ora sottoposte all’esame della Corte, la Presidenza della Repubblica abbia effettivamente provveduto sia a informare la giustizia penale, che è poi pervenuta a pronunce definitive, sia a far valere la responsabilità di alcuni dei suoi dipendenti presso la giurisdizione civile ordinaria, al fine di ottenere il totale risarcimento del danno subito dalla dotazione presidenziale.
Ne consegue che, esclusa la giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti dei dipendenti della Presidenza della Repubblica, non manca in generale, né è effettivamente mancato nel caso di specie, un rimedio adeguato a tutelare l’interesse del ricorrente alla reintegrazione della propria dotazione.
Per le ragioni sin qui esposte, si deve infine riconoscere che la nota della Procura contabile che trasmette la sentenza di appello, corredandola di istruzioni rivolte alla Presidenza della Repubblica in ordine alla sua esecuzione, concretizza una ulteriore lesione della medesima sfera di autonomia costituzionalmente riconosciuta alla Presidenza stessa dall’art. 84, terzo comma, Cost.
Si deve pertanto accogliere la richiesta del ricorrente e procedere all’annullamento di tutti gli atti impugnati.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara che non spettava alla Corte dei conti, con le due sentenze indicate in epigrafe, esercitare la giurisdizione sulla responsabilità amministrativo-contabile nei confronti di dipendenti della Presidenza della Repubblica, né spettava alla Procura regionale della Corte dei conti, con la nota indicata in epigrafe, dare istruzioni alla Presidenza della Repubblica in vista dell’esecuzione della sentenza contabile di grado di appello;
2) annulla, per l’effetto, la sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, 25 settembre 2012, n. 894, la sentenza della Corte dei conti, sezione II giurisdizionale centrale d’appello, 19 dicembre 2016, n. 1354 e la nota della Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti del 22 marzo 2017, prot. n. 0005627-22/03/2017-PR_LAZ-T61-P.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2018.