SENTENZA N. 185
ANNO 1982
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Leopoldo ELIA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv.Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, n. 14, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 e del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione del contenzioso tributario), promosso con ordinanza emessa il 6 dicembre 1979 dalla Commissione tributaria di 2 grado di Roma, sul ricorso proposto da D'Amico Giuseppe, iscritta al n. 75 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 92 del 2 aprile 1980.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1982 il Giudice relatore Guglielmo Roehrssen;
udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza 6 dicembre 1979, la Commissione tributaria di 2 grado di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 103, secondo comma, alla VI Disposizione transitoria e all'art. 97, primo e secondo comma, della Costituzione, dell'art. 10, n. 14 della legge 9 ottobre 1971, n. 825 e dell'intero d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (sulla "revisione del contenzioso tributario"), rientrando a suo giudizio il " contenzioso tributario nelle materie di contabilità pubblica, che l'art. 103, secondo comma, della Costituzione, attribuisce alla giurisdizione della Corte dei conti".
A sostegno si deduce che l'art. 103 Cost. attribuisce direttamente ed in via esclusiva alla Corte dei conti competenza in tema di contabilità pubblica, da intendersi come comprensiva di ogni attività attinente non solo alle spese ma anche alle entrate dello Stato, comprese quelle tributarie.
L'assunto - secondo l'ordinanza di rimessione sarebbe dimostrato in base alle seguenti considerazioni:
a) nelle materie di contabilità pubblica la Corte dei conti ha competenza ordinaria generale, giudica in materia di interessi legittimi e di diritti soggettivi, conosce del fatto e del diritto ed é giudice esclusivo;
b) la nozione di "contabilità pubblica" appare sufficientemente individuata con il concorso di due elementi: l'uno, soggettivo, che attiene alla natura dell'ente; l'altro, oggettivo, che riflette la qualificazione pubblica del denaro e del bene oggetto della gestione;
c) i giudizi di responsabilità e di conto "rientrano" nelle materie di contabilità pubblica, ma non l'esauriscono;
d) l'accertamento dell'entrata, sia che riguardi la gestione patrimoniale sia quella finanziaria, é una sola operazione rivolta all'acquisizione dei mezzi necessari all'ente pubblico per provvedere al conseguimento dei fini istituzionali e dunque " rientra" nelle materie della contabilità pubblica.
Pertanto, le norme impugnate, sottraendo la materia tributaria alla competenza della Corte dei conti ed attribuendola alle Commissioni tributarie, avrebbero violato l'art. 103 della Costituzione.
Parimenti avrebbero violato la VI Disposizione transitoria della Costituzione, dovendo il legislatore, per il combinato disposto dell'art. 103 e di detta norma costituzionale, attribuire la materia tributaria alla competenza della Corte dei conti.
La normativa impugnata, inoltre, contrasterebbe con l'art. 97 della Costituzione, per essere le commissioni tributarie composte da persone delle più svariate estrazioni professionali, non sempre dotate della preparazione necessaria e per non essere previsto che tanto l'Amministrazione che le parti debbano essere assistite da avvocati.
Si é costituita l'Avvocatura dello Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata, in base a quanto statuito nelle sentenze n. 297 del 1974 e 215 del 1976 di questa Corte. In subordine ha chiesto che sia dichiarata non fondata, perché "la materia considerata dall'art. 103 della Costituzione é soltanto quella che riguarda la gestione del pubblico denaro nei rapporti fra l'Amministrazione dello Stato o gli enti e coloro che, nella veste di amministratori o di dipendenti, di quella gestione sono incaricati". A sostegno di ciò si richiama quella sentenza n. 68 del 1971, secondo la quale la nozione di contabilità pubblica recepita dall'art. 103 é quella tradizionalmente accolta, che ha per suo connotato e presupposto specifico un rapporto di servizio.
Si osserva, inoltre, che essendo l'art. 103 e la VI Disposizione transitoria entrambe norme costituzionali, si deve ritenere che le materie per le quali la VI Disposizione transitoria presupponeva e consentiva la devoluzione ad altre giurisdizioni speciali, che già ne erano investite, sono rimaste escluse dall'ambito del più generale precetto dell'art. 103.
Considerato in diritto
1. - La Corte é chiamata a risolvere la questione se la giurisdizione tributaria, preveduta e disciplinata dall'art. 10, n. 14, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 ("Delega al Governo per la riforma tributaria") e dal d.P.R. 26 ottobre 1972,n.636 ("Revisione della disciplina del contenzioso tributario") abbia ad oggetto controversie le quali rientrino nell'ambito delle "materie di contabilità pubblica" di cui all'art. 103, secondo comma, Cost. e se di conseguenza, essendo tale materia riservata alla giurisdizione della Corte dei conti, le cennate disposizioni violino lo stesso art. 103, secondo comma, la disposizione VI transitoria e l'art. 97, primo e secondo comma, della Costituzione.
2. - La questione non é fondata.
Questa Corte con la sentenza n. 68 del 1971, ha già avuto occasione di affermare che il secondo comma dell'art. 103 Cost., nel riservare alla giurisdizione della Corte dei conti "le materie di contabilità pubblica", ha assunto di queste, sotto l'aspetto oggettivo, la nozione tradizionalmente accolta nella legislazione vigente e nella giurisprudenza, sicché essa é comprensiva dei giudizi di conto e di responsabilità. Tale giurisprudenza ha chiarito come l'accertamento della responsabilità predetta si estrinsechi in due ordini di giudizi, i quali sebbene distinti per l'oggetto (responsabilità contabile e responsabilità amministrativa in senso stretto), e altresì, entro certi limiti, per i soggetti (agenti contabili ed impiegati amministrativi), hanno tuttavia entrambi lo scopo di tutelare il pubblico danaro mediante la reintegrazione dei danni subiti dall'erario per irregolarità di gestione o per comportamenti imputabili agli agenti ed agli impiegati medesimi.
Nell'ambito della tutela del pubblico danaro (intendendosi per questo, secondo la più moderna accezione di finanza pubblica a cui si ricollega la nozione di contabilità pubblica, non soltanto il danaro inerente alla finanza propriamente statale, ma anche quello attinente alla finanza delle regioni, degli enti locali e degli enti istituzionali) rientrano: a) la giurisdizione che si esercita sui conti dei tesorieri, dei ricevitori, dei cassieri e degli agenti in genere, incaricati di riscuotere, di pagare, di conservare e di maneggiare danaro pubblico o di tenere in custodia valori e materie di pertinenza dello Stato e degli enti pubblici; b) la giurisdizione sulla responsabilità patrimoniale, sia degli impiegati e degli agenti dello Stato, sia di quelli dipendenti da amministrazioni, aziende e gestioni statali ad ordinamento autonomo, nonché dagli enti pubblici in genere, i quali, nell'esercizio delle loro funzioni, per azione od omissione imputabili anche a semplice colpa o negligenza, cagionino danni allo Stato o ad altra amministrazione dalla quale dipendono.
Deve in sostanza trattarsi di un'attività, la quale abbia ad oggetto beni che sono già entrati nella disponibilità del soggetto pubblico, e che dia luogo essenzialmente, a rapporti di servizio fra il soggetto pubblico e i titolari di suoi organi, siano o meno legati da rapporto di pubblico impiego.
In questo ambito non rientrano le norme concernenti la predisposizione dei titoli giuridici delle entrate a carattere tributario, e quindi i rapporti che, per quanto attiene alle entrate dello Stato, si sostanziano nell'accertamento tributario. Rapporti che non hanno ad oggetto beni già pertinenti all'ente pubblico, ma sorgono e si svolgono fra soggetti distinti, avendo lo scopo di fornire all'ente pubblico una parte dei mezzi ad esso occorrenti per il perseguimento delle proprie finalità, cioè una parte di quei mezzi che poi, una volta acquisiti dall'ente, formeranno oggetto, dal momento della riscossione, della contabilità pubblica.
Consegue da ciò che la legge n. 825 del 1971, affidando ad appositi giudici la definizione delle controversie in materia tributaria, non ha intaccato la materia attribuita dall'art. 103, secondo comma, alla Corte dei conti.
La pretesa violazione della disposizione VI transitoria é stata, poi, già esclusa da questa Corte con la sentenza n. 215 del 1976, dalla quale non si ha motivo di discostarsi.
Per quel che riguarda, infine, la pretesa violazione dell'art. 97, primo e secondo comma, Cost., la censura del giudice a quo si sostanzia e si riassume nella considerazione che, ove fosse eliminata la giurisdizione delle commissioni in parola e fosse riconosciuta quella della Corte dei conti, "meglio e più rapidamente potrebbe essere raggiunta" l'attuazione dei principi di cui all'art. 97 e di quelli afferenti alla buona amministrazione della cosa pubblica: ma in tal modo il giudice a quo chiede, in sostanza, un giudizio di merito sulle scelte politiche del legislatore, giudizio che non spetta a questa Corte, come chiaramente stabilisce l'art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, n. 14, della legge 9 ottobre 1971, n. 825 ("Delega al Governo per la riforma tributaria") e del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636 ("Revisione della disciplina del contenzioso tributario"), sollevata dalla Commissione tributaria di 2 grado di Roma, con l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 103, secondo comma, 97, primo e secondo comma ed alla VI disposizione transitoria della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 novembre 1982.
Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE . Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA.
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 17 novembre 1982.