Sentenza n. 102 del 1977
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SENTENZA N. 102

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 250 e 253 del d.l. 29 ottobre 1955, n. 6, del Presidente della Regione siciliana, trasfuso nella legge regionale 15 marzo 1963, n. 16 (ordinamento amministrativo degli enti locali della Regione siciliana); artt. 261, 263, 264 e 265 del r.d. 3 marzo 1934, n. 383 (testo unico della legge comunale e provinciale), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 7 giugno 1974 dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana - nel giudizio di responsabilità a carico di Pecorella Francesco, iscritta al n. 445 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 324 dell'11 dicembre 1974;

2) ordinanza emessa il 24 maggio 1974 dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana - nel giudizio di responsabilità a carico di Amoroso Gaetano ed altro, iscritta al n. 256 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 228 del 27 agosto 1975;

3) ordinanza emessa il 25 marzo 1975 dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana - nel giudizio di responsabilità a carico di Barbera Carlo ed altro, iscritta al n. 483 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 320 del 3 dicembre 1975;

4) ordinanza emessa il 7 giugno 1974 dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana - nel giudizio di responsabilità a carico di D'Anna Antonino e Caruso Salvatore, iscritta al n. 500 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 332 del 17 dicembre 1975;

5) ordinanza emessa il 17 gennaio 1976 dalla Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana - nel giudizio di responsabilità a carico di Ragusa Maria Concetta, iscritta al n. 260 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 del 3 giugno 1976;

6) ordinanza emessa il 19 aprile 1975 dalla Corte dei conti - seconda sezione giurisdizionale - nel giudizio di responsabilità a carico di Principe Giovanni e De Michele Gerardo, iscritta al n. 356 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 268 dell'8 ottobre 1975.

Visto l'atto di costituzione di De Michele Gerardo;

udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 1977 il Giudice relatore Antonino De Stefano;

udito l'avv. Roberto Gava, per De Michele.

Ritenuto in fatto

Con tre ordinanze - due delle quali emesse il 7 giugno 1974 e l'altra il 25 marzo 1975 in altrettanti giudizi di responsabilità promossi nei confronti di Pecorella Francesco, di D'Anna Antonino e Caruso Salvatore e di Barbera Carlo e Quartana Giacomo - la Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione siciliana - ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale degli artt. 250 e 253 dell'ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione siciliana, approvato con d.l. del Presidente della Regione siciliana 29 ottobre 1955, n. 6, trasfuso, poi, nella legge regionale 15 marzo 1963, n. 16, deducendo che le disposizioni in essi contenute, concernenti, rispettivamente, la responsabilità civile per i danni cagionati agli enti locali ed alle istituzioni dipendenti da tali enti, con dolo o colpa grave, dai loro amministratori e dai loro impiegati, e l'attribuzione della competenza a conoscere di tale responsabilità all'autorità giudiziaria ordinaria, contrasterebbero con l'art. 103, comma secondo, della Costituzione, secondo cui la cognizione dei danni che vengono dai dipendenti cagionati alle finanze degli enti pubblici, spetterebbe alla Corte dei conti, giudice naturale delle responsabilità contabili pubbliche.

Il giudice a quo rileva che, secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte e della Corte di Cassazione, deve ritenersi ormai acquisito il carattere di immediata precettività dell'art. 103, comma secondo, della Costituzione che attribuisce alla Corte dei conti la giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica allorché concorrano l'elemento soggettivo, riferito alla natura pubblica dell'ente, e l'elemento oggettivo, riguardante la qualificazione pubblica del denaro e dei beni gestiti. Questa efficacia precettiva immediata, però, opera soltanto nei casi in cui esistano lacune normative, allorquando cioé nessuna disposizione di legge disciplini materia attinente alla contabilità pubblica; nell'ipotesi, invece, in cui tali disposizioni sussistano, sorge il problema della loro compatibilità col richiamato precetto costituzionale, e il giudice adito può soltanto proporre la relativa questione di legittimità costituzionale ove appaia rilevante e non manifestamente infondata.

Ora é appunto questa seconda ipotesi che ricorre nei casi in esame, in cui la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana é chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità (regolata dalle norme impugnate) per danni arrecati da amministratori e dipendenti di enti locali. Tale responsabilità indubbiamente rientra nelle materie della contabilità pubblica, giacché natura pubblica hanno gli enti da cui dipendono i convenuti e natura pubblica hanno anche il denaro e i beni da tali enti gestiti; così come innegabilmente rientrano nella nozione di contabilità pubblica tutti i rapporti, inclusi quelli di responsabilità per danni nel rapporto interno di Impiego o di semplice servizio, connessi alla gestione finanziaria o patrimoniale svolta dall'Amministrazione dello Stato o di qualsiasi ente pubblico.

La cognizione dei giudizi in materia é affidata alla Corte del conti, organo istituzionalmente preposto a garanzia del vasto e delicato settore del pubblico denaro, che si caratterizza per la sua imparzialità e obiettività. É sufficiente rilevare in proposito che nei giudizi sulle responsabilità amministrative e contabili di competenza della Corte l'esercizio del diritto di azione é obbligatorio e spetta al Procuratore generale, il quale agisce nell'interesse obiettivo dell'ordinamento ed ai fini di giustizia; nei giudizi di responsabilità innanzi all'Autorità giudiziaria ordinaria, invece, il promuovimento dell'azione resta affidato all'iniziativa discrezionale di altri soggetti, non aventi i necessari requisiti di imparzialità e neutralità, e la loro possibile inattività porta a consolidare il danno per l'ente e lascia esente da conseguenze l'operato del danneggiante; l'azione di responsabilità dinanzi alla Corte é soggetta a termine decennale di prescrizione, mentre l'azione di responsabilità civile dinanzi al giudice ordinario é quinquennale, di talché può in pratica accadere (nella ipotesi che autore del danno sia lo stesso soggetto cui spetta l'iniziativa di promuovere il giudizio), che l'eventuale sua omissione per tale lasso di tempo, pregiudichi definitivamente ogni possibilità di tutela dell'erario dell'ente.

Sono questi, secondo le ordinanze, i motivi per i quali la Costituzione ha devoluto in via esclusiva ad un organo imparziale e del tutto sganciato dall'ente che ha subito danno, il promuovimento dell'azione di responsabilità, realizzando in tal modo un criterio di uniformità nel perseguimento dei responsabili e nel contempo assicurando un controllo penetrante sulle gestioni di pubblico denaro.

In parte identica a quella dianzi esposta é la questione di legittimità costituzionale sollevata, dalla stessa sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana, con altre due ordinanze in data 24 maggio 1974 e 17 gennaio 1976 - emesse nei giudizi di responsabilità promossi nei confronti di Amoroso Gaetano e Meli Giuseppe e di Ragusa Maria Concetta - nelle quali si denuncia il solo art. 253 del citato d.l. n. 6 del 1955, per contrasto, però, oltre che con l'art. 103, comma secondo, anche con gli artt. 97, comma primo, e 3 della Costituzione.

Le argomentazioni svolte nelle due ordinanze in esame possono così sintetizzarsi:

a) l'art. 103, comma secondo, della Costituzione - per come risulta dalla giurisprudenza ormai consolidata - attribuisce in via generale alla Corte dei conti la giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica: appare, quindi, come un isolato residuo storico, privo di attuali giustificazioni, l'articolo 253 denunciato, che affida al giudice ordinario la cognizione delle responsabilità degli amministratori ed impiegati degli enti locali per danni arrecati ai rispettivi enti, non potendo revocarsi in dubbio il carattere pubblico sia degli enti in parola, sia del denaro e dei beni da essi gestiti, sia del rapporto che lega gli amministratori e gli impiegati agli enti predetti;

b) l'art. 97, comma primo, della Costituzione, enuncia il duplice principio del buon andamento e dell'imparzialità dell'amministrazione: il giudizio civile di responsabilità previsto dall'art. 253 contrasta con la richiamata norma costituzionale poiché praticamente affida il promuovimento della relativa azione all'iniziativa degli organi dell'ente danneggiato, i quali, non essendo imparziali come il Procuratore generale, potrebbero, per discrezionali valutazioni, ometterne l'esercizio, cagionando così danno alle finanze dell'ente;

c) l'art. 3 della Costituzione sancisce il principio di uguaglianza: la norma denunciata vulnera tale principio giacché, senza razionale giustificazione, per ipotesi dello stesso genere di responsabilità per danno cagionato ad enti da dipendenti pubblici, assicura una posizione di privilegio agli amministratori ed impiegati degli enti locali - la cui responsabilità resta subordinata alle valutazioni discrezionali degli organi deliberante dell'ente danneggiato - rispetto agli amministratori e dipendenti di altri enti pubblici, Stato compreso, i quali, invece, sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti ed all'azione obbligatoria del Procuratore generale.

Particolari profili d'incostituzionalità vengono, infine, prospettati dall'ordinanza emessa nel giudizio contro Ragusa Maria Concetta con riferimento alla circostanza che l'azione di responsabilità, di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria, si prescrive col decorso di cinque anni dal giorno in cui avvenne il fatto dannoso, mentre, invece, é decennale la prescrizione dell'azione nei giudizi di responsabilità di competenza della Corte.

Per tutti questi giudizi non vi é stata costituzione di parti.

Può ritenersi identica a quelle innanzi precisate la questione sollevata dalla Corte dei conti - sezione Il giurisdizionale - con ordinanza 19 aprile 1975, che denuncia l'incostituzionalità, in riferimento agli stessi parametri costituzionali (artt. 3, 97 e 103, comma secondo, della Costituzione), degli artt. 261 e 265 del testo unico della legge comunale e provinciale approvato con r.d. 3 marzo 1934, n. 383-sostanzialmente corrispondenti agli artt. 250 e 253 del d.l. Pres. reg. sic. n. 6 del 1955-nonché degli artt. 263 e 264 dello stesso testo unico, articoli tutti concernenti la disciplina della responsabilità degli amministratori e degli impiegati degli enti locali.

L'ordinanza é stata emessa nel corso di un giudizio di responsabilità promosso dal Procuratore generale della Corte dei conti nei confronti di Principe Giovanni e De Michele Gerardo, chiamati a rispondere - nella loro qualità di ex sindaci del Comune di Napoli - delle spese giudiziali poste a carico del predetto Comune, rimasto soccombente in giudizi amministrativi aventi ad oggetto l'omesso e il ritardato rilascio di licenze edilizie e la mancata esecuzione del giudicato.

Il giudice a quo, nel dare atto dell'avvenuta proposizione di regolamento preventivo di giurisdizione da parte del convenuto De Michele, si richiama al costante indirizzo giurisprudenziale della Corte dei conti, che esclude la proponibilità e quindi l'efficacia sospensiva del regolamento preventivo nei giudizi innanzi alla Corte medesima.

Nei riguardi delle norme denunciate vengono richiamati e ribaditi i motivi d'incostituzionalità svolti nelle ordinanze della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana nei confronti degli artt. 250 e 253 del d.l. Pres. reg. sic. n. 6 del 1955. Si sostiene, in particolare, che anche gli artt. 261 e 265 del testo unico della legge comunale e provinciale (nel limitare la responsabilità degli amministratori e degli impiegati degli enti locali ai soli danni provocati con dolo o colpa grave; nell'affidare l'esercizio della relativa azione - prescrivibile in cinque anni - all'iniziativa degli organi dell'ente danneggiato o all'autorità di vigilanza e nel rimettere, infine, la cognizione dei giudizi di responsabilità al giudice ordinario) pongono in essere una differenziata disciplina di privilegio (rispetto agli altri dipendenti dell'Amministrazione dello Stato, delle Regioni e degli altri enti pubblici istituzionali, e rispetto agli amministratori degli stessi enti locali chiamati a rispondere ai sensi degli artt. 260 e precedenti) che non trova alcuna giustificazione, sia perché la responsabilità amministrativa di tutti i pubblici dipendenti trova unico e generale fondamento nella violazione degli obblighi di impiego e di servizio, sia perché il carattere unitario di siffatta responsabilità dipende dal carattere parimenti indifferenziale del bene, integrità della finanza, alla cui tutela l'istituto stesso é rivolto. In tale concezione unitaria la disciplina della responsabilità amministrativa non può atteggiarsi in maniera diversa in ragione di elementi meramente formali quali l'amministrazione o l'ente di dipendenza, ovvero il tipo di funzione amministrativa esercitata.

Violato, altresì, appare l'art. 97 della Costituzione, non potendosi ritenere garantito il principio d'imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione da norme che attribuiscono in definitiva allo stesso autore del danno la funzione di perseguire se stesso. Basti al riguardo considerare che negli enti locali la deliberazione di promuovere l'azione di responsabilità viene adottata o da maggioranze consiliari cui appartengono gli autori del danno o da maggioranze opposte che potrebbero essere spinte da motivazioni tutt'altro che obiettive e imparziali: inconvenienti questi non eliminabili neppure con l'iniziativa dell'autorità di vigilanza giacché anche per questa l'azione non costituisce un obbligo.

Non infondata, infine, la questione, in riferimento all'articolo 103, comma secondo, della Costituzione, che attribuisce alla Corte dei conti una competenza di carattere generale nella materia di contabilità pubblica, nella cui nozione rientrano anche le controversie concernenti la responsabilità per danni degli amministratori verso gli enti locali.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte si é costituito soltanto De Michele Gerardo rappresentato e difeso dall'avvocato Roberto Gava, il quale nelle deduzioni depositate in Cancelleria il 28 ottobre 1975 conclude per l'infondatezza della proposta questione, rilevando che gli artt. 261 e 265 del testo unico della legge comunale e provinciale:

a) non violano l'art. 3 della Costituzione poiché gli amministratori di enti locali, stante la loro elettività e l'autonomia degli enti, si trovano in posizione diversa rispetto agli impiegati dello Stato e dei Comuni;

b) non contrastano con l'art. 97 della Costituzione sia perché l'imparzialità attiene all'organizzazione della P.A., sia perché l'azione di responsabilità può essere promossa dall'autorità di vigilanza (oggi Comitato regionale di controllo) la quale si trova in posizione di autonomia verso gli enti controllati e i suoi amministratori;

c) non violano, infine, l'art. 103, comma secondo, della Costituzione, poiché la materia contemplata dalle norme denunciate "non riguarda specificamente la contabilità pubblica, ma comportamenti ed azioni che si riflettono sulla gestione patrimoniale degli enti locali e quindi toccano solo indirettamente la contabilità pubblica".

All'udienza pubblica la difesa del De Michele ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, rilevando che la stessa é stata sollevata dopo la proposizione del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione alle sezioni unite della Cassazione. Ha ribadito nel merito le proprie conclusioni di infondatezza.

Considerato in diritto

1. - Le questioni sottoposte alla Corte dalle ordinanze in epigrafe, emesse dalla Corte dei conti, sezione II giurisdizionale per le materie di contabilità pubblica e sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, possono così sintetizzarsi:

se le norme contenute negli artt. 261, 263, 264 e 265 del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con r.d. 3 marzo 1934, n. 383, e negli artt. 250 e 253 dell'ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione siciliana, approvato con d.lg.vo del Presidente della Regione siciliana 29 ottobre 1955, n. 6, e trasfuso nella legge della stessa Regione 15 marzo 1963, n. 16-le quali disciplinano in modo diverso la responsabilità degli amministratori e degli impiegati degli enti locali ed istituzioni da essi dipendenti (rispetto ai dipendenti dello Stato e di altri enti pubblici) disponendo in particolare: che essi rispondano solo dei danni arrecati con dolo o colpa grave all'ente o ai terzi verso cui l'ente é responsabile; che il promuovimento della relativa azione spetti agli organi dell'ente danneggiato o all'autorità di vigilanza (anziché al Procuratore generale della Corte dei conti); che l'azione per danni si prescriva in cinque anni (anziché dieci)); e che la cognizione dei giudizi spetti all'autorità giudiziaria ordinaria (e non alla Corte dei conti) - siano costituzionalmente illegittime per contrasto:

a) con l'art. 103, comma secondo, della Costituzione, che riconosce in via generale alla Corte dei conti la giurisdizione in materia di contabilità pubblica;

b) con l'art. 97 della Costituzione, che enuncia i principi del buon andamento e dell'imparzialità dell'Amministrazione;

c) con l'art. 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

2. - I giudizi, avendo ad oggetto questioni in parte identiche ed in parte connesse, vengono riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3. - La Corte ritiene che, ancor prima di verificare la legittimazione del giudice a quo e la rilevanza delle sollevate questioni, sia imprescindibile accertare se queste si configurino come vere e proprie questioni di legittimità costituzionale, ai fini della loro ammissibilità.

A tal uopo occorre innanzi tutto considerare che, sia pure sotto diversi profili di illegittimità costituzionale, le ordinanze in epigrafe chiedono in sostanza alla Corte di operare un raffronto tra il precetto costituzionale (art. 135, comma secondo), che attribuisce alla Corte dei conti giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica, e il sistema in vigore per la disciplina della responsabilità civile degli amministratori e dipendenti degli enti locali. Sistema scaturente da una complessa normativa, che non soltanto indica sedi di impulso processuale e di giudizio diverse da quelle previste per la responsabilità dei dipendenti statali, ma comprende anche specifiche disposizioni che, mentre limitano la responsabilità al dolo e alla colpa grave. e stabiliscono un termine di prescrizione quinquennale anziché decennale, nel contempo non conferiscono all'autorità giurisdizionale ordinaria il c.d. potere riduttivo proprio della Corte dei conti in questi giudizi.

La non puntuale corrispondenza fra gli evocati parametri costituzionali (artt. 3 e 97, oltre al già citato art. 103) e i singoli aspetti della normativa di rango ordinario, fa palese che i giudici a quibus, sotto la specie di una pronuncia caducatoria, richiedono alla Corte, invece, una dichiarazione giudiziale della capacità espansiva della disciplina sulla responsabilità dei dipendenti dello Stato in forza di due caratteristiche attribuite in termini rigidi alla norma dell'art. 103, comma secondo, della Costituzione sulla giurisdizione della Corte dei conti: la sua assoluta (e non tendenziale) generalità, e la sua immediata operatività in tutti i casi, ritenendosi implicitamente (in contrasto con quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 110 del 1970) che alla sua concreta attuazione anche per particolari settori, originariamente sottratti alla giurisdizione della Corte dei conti, non sia mai necessaria una interpositio legislatoris.

Ma allora le questioni, nei termini in cui sono sollevate, concernono non il contrasto della denunciata normativa con gl'indicati parametri costituzionali, ma i limiti e i modi di attuazione dell'art. 103, comma secondo, della Costituzione, limiti e modi che non possono non essere diversi, nella presente fattispecie, rispetto ai casi decisi da questa Corte con le sentenze n. 110 del 1970 e n. 211 del 1972, postulando valutazioni e deliberazioni che si appartengono al legislatore. Non é del resto casuale che a varie riprese si siano appunto avute iniziative legislative tendenti ad istituire sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, con competenza direttamente commisurata alla tendenziale generalità del principio di cui al comma secondo dell'art. 103 della Costituzione.

Conclusivamente, in assenza, nella presente fattispecie, di autentiche questioni di legittimità costituzionale, la Corte non può che addivenire ad una pronuncia di inammissibilità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 261, 263, 264 e 265 del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con r.d. 3 marzo 1934, n. 383, e degli artt. 250 e 253 dell'ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione siciliana, approvato con d.lg.vo del Presidente della Regione siciliana 29 ottobre 1955, n. 6, e trasfuso nella legge della stessa Regione 15 marzo 1963, n. 16, sollevate con le ordinanze in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 97 e 103, comma secondo, della Costituzione

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 2 giugno 1977.