SENTENZA N. 305
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della delibera della Giunta regionale del Veneto del 5 ottobre 2010, n. 2371, recante «Stagione venatoria 2010/2011: applicazione del regime di deroga previsto dall’art. 9, comma 1, lettera c), della Direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Approvazione ai sensi dell’art. 2, comma 1, della Legge regionale 12 agosto 2005, n. 13», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 10 dicembre 2010, depositato in cancelleria il 15 dicembre 2010 ed iscritto al n. 11 del registro conflitti tra enti 2010.
Visti l’atto di costituzione della Regione Veneto nonchè l’atto di intervento della World Wide Fund Italia Onlus ONG ed altri;
udito nell’udienza pubblica del 4 ottobre 2011 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi l’avvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Bruno Barel e Luigi Manzi per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1.–– Giusta conforme deliberazione governativa del 30 novembre 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato alla Regione Veneto in data 10 dicembre 2010, ha sollevato conflitto di attribuzione fra enti in relazione alla delibera della Giunta regionale del Veneto del 5 ottobre 2010, n. 2371, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione n. 79 del 12 ottobre 2010, recante «Stagione venatoria 2010/2011: applicazione del regime di deroga previsto dall’art. 9, comma 1, lettera c), della Direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Approvazione ai sensi dell’art. 2, comma 1, della Legge regionale 12 agosto 2005, n. 13».
1.1.–– Il ricorrente rileva che con la delibera in questione è stata autorizzata, per la stagione venatoria 2010/2011 e con riguardo alla cattura di talune specie di uccelli migratori indicate in un allegato alla delibera medesima, la deroga all’art. 9 della direttiva comunitaria 2009/147/CE.
Precisa altresì che, sebbene la competenza a consentire deroghe alla citata normativa comunitaria spetti alle Regioni, essa deve essere esercitata nel rispetto del diritto comunitario e dei principi fissati dal legislatore statale, costituenti limiti minimi ed uniformi a tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
Rileva il ricorrente che, invece, la deroga in questione è stata adottata in assenza dei presupposti e delle condizioni alla cui osservanza l’art. 9 della direttiva comunitaria 2009/147/CE (così come, in passato, l’art. 9 della direttiva 79/409/CEE) prevede sia subordinato il rilascio. Risulterebbero in tal modo violati sia il vincolo comunitario di cui all’art. 117, primo comma, della Costituzione che le previsioni contenute nella legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).
Per un verso, infatti, la direttiva 2009/147/CE subordina la deroga al divieto di cattura delle specie protette alla ricorrenza di determinate condizioni ed in misura non eccedente le “piccole quantità”, mentre l’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992, oltre a richiamare l’art. 9 della succitata direttiva comunitaria, precisa, al comma 3, che la deroga deve essere preceduta dalla acquisizione del parere espresso dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), già Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS), ora sostituito.
Tali condizioni non sarebbero soddisfatte nel caso che interessa, come sarebbe confermato dal parere espresso, in senso negativo, dall’ISPRA in data 5 marzo 2010, ove si legge che, non essendo possibile, sulla base dei dati attualmente disponibili, fornire una nozione «oggettiva e scientificamente solida della piccola quantità cacciabile», non è consentita la deroga all’art. 9, comma 1, della direttiva 2009/147/CE.
Soggiunge il ricorrente che la Giunta regionale, onde determinare la «piccola quantità cacciabile», in mancanza di dati attuali, si è, invece, rifatta a quelli riferiti alle stagioni venatorie 2005/2006 e 2006/2007, non conformandosi al contenuto del parere reso dall’ISPRA e violando il dettato dell’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992, definito «strumento adottato dallo Stato per governare in maniera unitaria le determinazioni regionali in materia di caccia».
1.2.–– Poiché la disposizione statale sopra richiamata detta misure di tutela inderogabili in favore dell’ambiente e dell’ecosistema, competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, la Regione, disattendendole, avrebbe ecceduto dalle proprie competenze, invadendo l’ambito di competenza esclusiva dello Stato.
Ricorda, ancora, il ricorrente che, proprio a seguito della adozione da parte della Regione Veneto di misure legislative volte a consentire “la caccia in deroga”, è stata aperta una procedura di infrazione di fronte agli organi della giurisdizione comunitaria, che, con sentenza C-573/08 del 15 luglio 2010, hanno sanzionato l’Italia in quanto il sistema di recepimento dell’art. 9 della direttiva 2009/147/CE quivi vigente non garantisce il rispetto delle condizioni da esso poste.
Conclude parte ricorrente rammentando che la delibera impugnata ha contenuto analogo a quello di talune leggi regionali (della Lombardia e della Toscana) già dichiarate illegittime con sentenza n. 266 del 2010, per violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione.
1.3.–– Chiede, in conclusione, che sia dichiarato che non spetta alla Regione Veneto stabilire un regime di deroga all’art. 9 della più volte ricordata direttiva comunitaria 2009/147/CE, in mancanza dei requisiti minimi sanciti dal legislatore statale, in particolare non tenendo conto del fatto, evidenziato nel parere reso dall’ISPRA, che i dati attualmente disponibili non consentono di determinare, per le specie migratrici oggetto della delibera, in maniera oggettiva e scientificamente solida la “piccola quantità cacciabile” e che, pertanto, sia annullata la delibera della Giunta regionale del Veneto del 5 ottobre 2010, n. 2371.
2.–– Si è costituita in giudizio la Regione Veneto concludendo, in via gradata, per la cessazione della materia del contendere, per la inammissibilità del ricorso ovvero per il suo rigetto.
Con riguardo alla prima ipotesi prospettata, la Regione rileva che il provvedimento impugnato, avente ad oggetto l’individuazione di talune deroghe al divieto di caccia, essendo destinato ad operare per la stagione venatoria 2010/2011, conclusasi riguardo alle specie in questione nell’autunno del 2010, ha oramai spiegato definitivamente i suoi effetti, sicché sarebbe venuto meno qualsivoglia interesse da parte dello Stato alla emananda decisione.
Relativamente alla dedotta inammissibilità del ricorso, la Regione osserva che in esso si dà per scontato il fatto che il contrasto fra il contenuto dell’atto impugnato ed il “vincolo comunitario” valga ad integrare la lesione di una attribuzione statale, ma che tale assunto sarebbe infondato. Ritiene, infatti, la Regione resistente che la direttiva comunitaria 2009/147/CE, oltre a fissare lo standard minimo di tutela della fauna protetta, individua i limiti in cui ne è consentita la deroga a scopo venatorio. Mentre per il primo profilo la direttiva incide sulla materia ambiente, di competenza statale, riguardo al secondo, la materia di riferimento è quella della caccia, di competenza regionale. Da ciò deriva che spetta alla Regione dare attuazione alla direttiva riguardo a questo secondo aspetto; né ha rilievo il fatto che dall’inadempimento degli obblighi derivanti dalla legislazione comunitaria possa derivare una responsabilità a carico dello Stato: infatti, ferme restando le attribuzioni regionali, lo Stato dispone di idonei strumenti, fra cui il potere di annullamento degli atti regionali previsto dall’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992, per potere evitare tale rischio, senza che ciò comporti la sussistenza di un’attribuzione competenziale statale suscettibile di essere difesa con lo strumento del conflitto.
Conclude sul punto la resistente, osservando che l’inammissibilità del ricorso emerge anche dalla circostanza che la censura statale investe esclusivamente il profilo del corretto esercizio da parte della Regione delle sue attribuzioni in materia di governo della attività venatoria, in particolare riguardo alla congruità della motivazione addotta a sostegno della deliberazione impugnata, senza che sia contestata la sussistenza in capo alla Regione della competenza ad adottare l’atto in questione.
2.1.–– Nel merito la Regione rileva che erra il ricorrente nell’affermare che il provvedimento impugnato è stato adottato in essenza dei necessari presupposti: in particolare non sarebbe vero che esso si discosta dal parere negativo, reso dall’ISPRA con nota del 5 marzo 2010.
Sul punto la Regione osserva, in primo luogo, che la direttiva 2009/147/CE non fa menzione di alcun parere, essendo questo preteso solo dall’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992, in secondo luogo rivendica la natura non vincolante del parere medesimo, che, diversamente, avrebbe costituito un’inammissibile compressione della autonomia regionale.
Peraltro, il parere dell’ISPRA non sarebbe stato reso in senso negativo, in quanto l’ISPRA avrebbe omesso di rendere il parere tecnico, sostenendo di non disporre dei dati necessari per poter determinare la “piccola quantità” cacciabile. Quindi la Regione ha svolto un’accurata istruttoria volta all’acquisizione di altri elementi per l’accertamento del dato richiesto, avvalendosi delle indicazioni desumibili dalla «Guida alla disciplina della caccia nell’ambito della direttiva 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli» predisposta dalla Commissione europea, giungendo alla definizione di “piccola quantità” cacciabile nella misura, definita «prudenziale», dell’1% della mortalità annua dei capi delle singole specie. Determinazione, poi, ulteriormente ridotta «nella proporzione di sei quattordicesimi» per l’eventualità, peraltro non verificatasi, che anche la limitrofa Regione Lombardia avesse deliberato di autorizzare il prelievo venatorio in deroga delle medesime specie per le quali esso è stato autorizzato dalla Regione Veneto.
In definitiva, ritiene la Regione, poiché la percentuale numerica di esemplari catturabili in deroga risulta essere, per ciascuna specie, di gran lunga inferiore alla soglia dell’1% della mortalità annua, essa è ampiamente idonea a soddisfare le esigenze di conservazione di tali specie, come è obbiettivo della direttiva comunitaria in questione.
2.2.–– Conclude, perciò, la resistente rilevando come essa, negli ultimi anni, ha costantemente disciplinato il prelievo venatorio in deroga (fra l’altro con la deliberazione oggetto del presente conflitto di attribuzione) attenendosi ai criteri contenuti nelle Direttive comunitarie – prescindendo pertanto da quelli fissati dalla sua legislazione regionale, oggetto di censura di fronte alla Corte di giustizia dell’Unione europea – e conformandosi, sia nelle metodologie che nel rilevamento dei dati, alle indicazioni della giurisprudenza comunitaria desumibili dalla sentenza 15 dicembre 2005, in causa C-344/03, le quali hanno trovato conferma nella successiva sentenza 11 novembre 2010, in causa C-164/2009.
3.–– Sono, altresì, intervenuti nel giudizio, con unica memoria, il World Wild Fund Italia Onlus ONG, l’Ente Nazionale Protezione Animali ENPA Onlus, la Lega Antivivisezione L.A.V. Onlus e la Lega Italiana Protezione degli Uccelli LIPU Birdlife Italia Onlus, tutti in persona dei rispettivi legali rappresentanti, associandosi alle conclusioni formulate dal Presidente del Consiglio dei ministri delle quali chiedono, pertanto, l’accoglimento.
4.–– Nell’imminenza della udienza, l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria illustrativa nella quale, contestata la eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla Regione Veneto, ribadisce che quest’ultima avrebbe leso la competenza statale avente ad oggetto la determinazione delle condizioni per poter derogare al regime, fissato in sede comunitaria, di tutela della fauna selvatica ed insiste, pertanto, nell’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
1.–– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, nei confronti della Regione Veneto, conflitto di attribuzione fra enti, contestando la legittimità della delibera della locale Giunta regionale del 5 ottobre 2010, n. 2371 – pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione n. 79 del 12 ottobre 2010, recante «Stagione venatoria 2010/2011: applicazione del regime di deroga previsto dall’art. 9, comma 1, lettera c), della Direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Approvazione ai sensi dell’art. 2, comma 1, della Legge regionale 12 agosto 2005, n. 13» – con la quale sono state individuate, come precisato nell’allegato A alla medesima delibera, le deroghe al regime di cacciabilità di talune specie di uccelli migratori.
Ritiene il ricorrente che il provvedimento derogatorio impugnato sia stato adottato in assenza dei presupposti e delle condizioni alla cui osservanza l’art. 9 della direttiva comunitaria 2009/147/CE (così come, in precedenza, l’art. 9 della direttiva 79/409/CEE) prevede sia subordinato il rilascio. Risulterebbero in tal modo violati sia il vincolo comunitario di cui all’art. 117, primo comma, della Costituzione che le previsioni contenute nella legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).
Per un verso, infatti, la direttiva 2009/147/CE subordina la deroga al divieto di cattura delle specie protette alla ricorrenza di determinate condizioni ed in misura non eccedente le “piccole quantità”, mentre l’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 precisa, al comma 3, che la deroga deve anche essere preceduta dalla acquisizione del parere espresso dall’INFS (ora sostituito dall’ISPRA).
Tali condizioni non sarebbero state soddisfatte nel caso che interessa, come sarebbe confermato dal parere espresso, in senso negativo, dall’ISPRA in data 5 marzo 2010, ove si legge che, non essendo possibile, sulla base dei dati allora disponibili, fornire una nozione «oggettiva e scientificamente solida della piccola quantità cacciabile» non sarebbe consentita la deroga all’art. 9, comma 1, della direttiva 2009/147/CE.
2.–– Deve, in limine litis, valutarsi l’ammissibilità dell’intervento in giudizio spiegato dal World Wild Fund Italia Onlus ONG, dall’Ente Nazionale Protezione Animali ENPA Onlus, dalla Lega Antivivisezione LAV Onlus e dalla Lega Italiana Protezione degli Uccelli LIPU Birdlife Italia Onlus, tutti in persona dei rispettivi legali rappresentanti.
2.1.–– Come più volte dichiarato da questa Corte, nei giudizi per conflitto di attribuzione fra enti non è ammesso l’intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il ricorso o a resistervi, subendo tale regola l’eccezione relativa all’ipotesi in cui gli atti impugnati siano oggetto di un giudizio di fronte agli organi della giurisdizione comune – ordinaria, amministrativa, tributaria, militare o contabile – in cui l’interventore sia parte e la pronuncia della Corte sia suscettibile di condizionare l’esito di tale giudizio (fra le molte, sentenze n. 279 del 2008, n. 368 del 2007, n. 312 del 2006).
Poiché, nel caso in questione, non è dato rinvenire la ricorrenza dei fattori che giustificano l’eccezione alla regola generale, i predetti interventi sono inammissibili.
3.–– Preliminarmente alla valutazione della fondatezza, o meno, della stessa eccezione, avanzata dalla difesa della Regione resistente, volta alla affermazione della intervenuta cessazione della materia del contendere, è necessario, stante il contenuto sostanziale della pronunzia che in tal modo si sollecita, esaminare la ammissibilità del ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri.
3.1.–– Il ricorso è inammissibile.
Osserva, infatti, questa Corte che il ricorrente per sua stessa ammissione riconosce pienamente la spettanza in capo alla Regione resistente del potere di disporre deroghe al regime della cacciabilità delle specie migratorie come dettato dalla direttiva comunitaria 2009/147/CE. D’altra parte, l’espresso tenore normativo dell’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 non lascia al riguardo adito a dubbi là dove testualmente prevede che «Le Regioni disciplinano l’esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE» (riferimento quest’ultimo che, ad oggi, deve intendersi rivolto, senza che sia tuttavia cambiata la disciplina sostanziale, alla direttiva 2009/147/CE che ha sostituito quella ricordata nella citata disposizione legislativa statale).
In realtà, il ricorrente non lamenta uno sconfinamento della Regione all’interno di un ambito competenziale dello Stato, tale da lederne una attribuzione costituzionalmente tutelata, dato che l’effettivo oggetto delle doglianze statali è il modo attraverso il quale la competenza regionale in materia di deroghe alla cacciabilità degli uccelli migratori è stata esercitata, in particolare la mancata ottemperanza al contenuto del parere, obbligatorio, reso sul punto dall’ISPRA. In altre parole, ciò che si lamenta non è la spettanza del potere ma le modalità attraverso le quali questo è stato esercitato.
3.2.–– La Corte ha, in molte occasioni, affermato che «la figura dei conflitti di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l’appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per sé, ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall’illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all’altro soggetto» (ex plurimis, sentenze n. 195 del 2007, n. 99 del 1991, n. 285 del 1990 e n. 110 del 1970).
Ma, in questa ultima ipotesi, occorre che l’atto per il suo contenuto sia idoneo ad arrecare di per sé pregiudizio alla sfera di competenze costituzionali vantate dall’ente ricorrente. Nel caso – come quello in esame – in cui la lesione si sostanzi e si esaurisca nella mera presunta erronea applicazione della legge da parte dell’atto impugnato non sussiste materia per un conflitto di attribuzione, restando aperta, invece, la strada della ordinaria tutela giurisdizionale al fine di farne valere la affermata illegittimità, dato che il pregiudizio denunciato non sarebbe riconducibile ad un’autonoma attitudine lesiva dello stesso, ma soltanto al modo erroneo in cui è stata applicata la legge (in particolare sentenza n. 467 del 1997, ma, nello stesso senso, fra le altre, anche le sentenze n. 95 del 2003, n. 473 e n. 245 del 1992).
Nel caso in questione vi è un aggiuntivo elemento che esclude che il sopra descritto contrasto possa essere inquadrato nell’ambito dei conflitti tra enti sottoponibili al giudizio di questa Corte. Nello stesso corpo normativo della legge che il ricorrente ritiene violata è infatti contenuta, come sottolinea la resistente Regione, una disposizione che consentiva allo Stato, laddove avesse inteso reprimere con immediata tempestività la denunziata illegittimità della censurata delibera della Giunta regionale del Veneto, di annullare il provvedimento impugnato. L’art. 19-bis, comma 4, della legge n. 157 del 1992, prevede infatti che, entro il termine – introdotto a seguito della novella recata dall’art. 42, comma 3, lettera a), della legge 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2009) – di due mesi dalla loro entrata in vigore, è in potere del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali di concerto con quello dell’ambiente e della tutela del territorio, annullare, se ritenuti in contrasto con la legislazione vigente e previa diffida alla Regione interessata, i provvedimenti con i quali sono state fissate deroghe al regime di cacciabilità delle specie animali. È, quindi, del tutto contraddittorio ed illogico sostenere che un atto la cui complessiva regolamentazione, non contestata dalla resistente, prevede anche la sua sottoposizione al potere di annullamento dello Stato possa determinare un vulnus alla sfera di attribuzioni costituzionali di quest’ultimo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alla delibera della Giunta regionale del Veneto del 5 ottobre 2010, n. 2371, recante «Stagione venatoria 2010/2011: applicazione del regime di deroga previsto dall’art. 9, comma 1, lettera c), della Direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Approvazione ai sensi dell’art. 2, comma 1, della Legge regionale 12 agosto 2005, n. 13», con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 novembre 2011.