SENTENZA
N. 152
ANNO
2018
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI
Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de
PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco
VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale
dell’art. 19, comma 1, della legge
della Regione Siciliana 5 dicembre 2016, n. 24 (Assestamento del bilancio di
previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2016 e per il triennio
2016-2018. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio
finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018) e dell’art. 34 della legge
della Regione
Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e correttive per
l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I), promossi dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorsi notificati rispettivamente
il 6-9 febbraio e il 24-30 ottobre 2017, depositati in cancelleria, il primo,
il 14 febbraio e, il secondo, il 3 novembre 2017, iscritti rispettivamente al n. 13
e al n.
86 del registro ricorsi 2017 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 12 e 50, prima serie speciale,
dell’anno 2017.
Udito nell’udienza
pubblica del 5 giugno 2018 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
udito l’avvocato dello
Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso
notificato il 6-9 febbraio 2017 e depositato il 14 febbraio 2017 (reg. ric. n.
13 del 2017) ha impugnato l’art. 19, comma 1, della legge della Regione
Siciliana 5 dicembre 2016, n. 24 (Assestamento del bilancio di previsione della
Regione per l’esercizio finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018. Variazioni
al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2016 e per
il triennio 2016-2018). La disposizione censurata, ad avviso del ricorrente,
sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 97 e 117, secondo comma,
lettera e), e terzo comma, della Costituzione, nonché con gli artt.
17 e 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione
dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.
2.– Premette il ricorrente che con legge della
Regione Siciliana 11 agosto 2015 n. 16 (Tassa automobilistica regionale.
Modifica dell’articolo 47 della legge regionale 7 maggio 2015, n. 9), è stata
istituita, a far tempo dal 1° gennaio 2016, la tassa automobilistica regionale,
chiamata a sostituire quella erariale, in precedenza vigente (art. 1). L’art 2,
comma 1, della stessa legge regionale, prevede in particolare, che «[i]l
presupposto d’imposta, la misura della tassa, i soggetti passivi e le modalità
applicative restano disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 5
febbraio 1953, n. 39 e successive modifiche ed integrazioni».
3.– Ciò premesso, nel ricorso si evidenzia che
la disposizione censurata interviene sull’impianto della detta legge reg.
Siciliana n. 16 del 2015, introducendo all’interno del citato art. 2, il comma
2-bis, in forza del quale, anche con riferimento alla tassa automobilistica
regionale, «[t]rovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 13,
comma 1, lettere a), a bis) e b), del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.
472 in materia di ravvedimento». La norma impugnata prevede altresì che «[i]n
caso di mancato ravvedimento la Regione provvede, ai sensi dell’articolo 12 del
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, sulla base
delle notizie occorrenti per l’applicazione del tributo e per l’individuazione
del proprietario del veicolo comunicate dal tenutario del pubblico registro
automobilistico all’archivio regionale della tassa automobilistica,
all’iscrizione a ruolo delle somme dovute che costituisce accertamento per
l’omesso, insufficiente o tardivo versamento della tassa automobilistica e
l’irrogazione delle sanzioni e dei relativi accessori».
A giudizio del ricorrente viene, dunque,
previsto un meccanismo in base al quale la Regione Siciliana, a fronte di un
tributo che si paga mediante versamento diretto, procede ad un’automatica
iscrizione a ruolo, eliminando la fase di accertamento, assorbita in quella di
emissione e notifica della cartella di pagamento.
4.– Siffatta previsione, ad avviso del
Presidente del Consiglio dei ministri, sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost.,
perché destinata a riservare un’ingiustificata disparità di trattamento ai
contribuenti residenti in Sicilia; ancora, sarebbe in conflitto con l’art. 97
Cost., perché elimina il preventivo contraddittorio con il contribuente, da
ritenersi necessario in presenza di un tributo che non è oggetto di
dichiarazione, né di richiesta da parte dell’ente impositore.
5.– La disposizione impugnata si porrebbe,
inoltre, in contrasto con la legislazione nazionale di riferimento.
Il ricorrente, in primo luogo, riporta testualmente
gli estremi della normativa statale dettata per la tassa automobilistica, dalla
quale si ricaverebbe, a suo giudizio, la necessaria autonomia di fasi tra
accertamento e riscossione del tributo in esame. Ascrive, poi, particolare
rilievo al disposto dell’art. 2 della legge 24 gennaio 1978, n. 27 (Modifiche
al sistema sanzionatorio in materia di tasse automobilistiche). A tal fine, si
evidenzia nel ricorso che, se per un verso, in linea con quanto affermato dalla
Corte di cassazione, l’attuale conformazione della tassa – legata, nel suo
presupposto costitutivo, non più alla circolazione bensì al possesso del
veicolo – ha tolto rilievo al processo verbale di accertamento disciplinato dai
primi sei commi del citato art. 2; per altro verso, l’azione esecutiva volta al
recupero del dovuto presupporrebbe comunque la notifica al contribuente di un
apposito atto – l’ingiunzione di pagamento prevista dal comma 7 del detto art.
2 della legge n. 27 del 1978 – destinata a precedere obbligatoriamente
l’iscrizione a ruolo, diversamente da quanto previsto dalla disposizione
regionale censurata.
6.– Né, del resto, ad avviso del Presidente del
Consiglio dei ministri, la fattispecie in esame può ritenersi omologa agli
altri casi di diretta iscrizione a ruolo previsti dalla legislazione nazionale,
limitati, in campo tributario, alle sole ipotesi in cui la fase preventiva di
contraddittorio sarebbe priva di utilità, e cioè nei casi di imposte dichiarate
e non versate. Solo in siffatte situazioni, infatti, sarebbe possibile derogare
alle indicazioni dettate dalla legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in
materia di statuto dei diritti del contribuente) e, in particolare, al
principio desumibile dall’art. 6, comma 5, di tale legge in forza del quale, a
pena di nullità dei relativi provvedimenti, «[p]rima di procedere alle
iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da
dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della
dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a
mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti
necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque
non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta».
7.– Rimarca, inoltre, il Governo che lo statuto
del contribuente è stato emesso «in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97
della Costituzione», e che le relative disposizioni «costituiscono principi
generali dell’ordinamento tributario» (art. 1, comma 1, della legge n. 212 del
2000), ai quali deve attenersi anche la Regione Siciliana (in ragione di quanto
previsto dal comma 3 del medesimo art. 1). E sotto tale profilo la disposizione
impugnata sarebbe in contrasto con gli artt. 17 e 36 dello statuto della
Regione Siciliana e, in particolare, con quest’ultimo articolo che,
nell’interpretazione di questa Corte, impone comunque alla Regione Siciliana di
osservare i limiti dei principi e degli interessi generali cui si informa la
legislazione nazionale e dunque di adeguarsi alla tipologia adottata, per ogni
singolo tributo, dalla legge statale; sarebbe in conflitto, ancora, con l’art.
117, secondo comma, lettera e), Cost., il quale attribuisce alla competenza
legislativa esclusiva statale il «sistema tributario e contabile dello Stato»,
nonché con il terzo comma dello stesso articolo, che, attribuendo alla
legislazione concorrente il «coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario», impone a tutte le Regioni il rispetto dei principi fondamentali
del sistema tributario, tra i quali andrebbero annoverati quelli previsti dallo
statuto del contribuente.
8.– La Regione Siciliana non si è costituita in
giudizio.
9.– Il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso
notificato il 24-30 ottobre 2017 e depositato il 3 novembre 2017 (reg. ric. n.
86 del 2017), ha altresì impugnato, tra gli altri, l’art. 34 della legge della
Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e
correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I), con il
quale è stato modificato il comma 2-bis dell’art. 2 della legge reg. Siciliana
n. 16 del 2015.
10.– Il ricorrente premette che la norma
modificata dalla disposizione censurata è stata introdotta, nell’impianto
dell’art. 2 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2015, dall’art. 19, comma 1,
della legge reg. Siciliana n. 24 del 2016. Evidenzia, inoltre, che tale ultima
disposizione è stata impugnata innanzi a questa Corte (reg. ric. n. 13 del
2017).
Sempre in premessa, il Presidente del Consiglio
dei ministri ha altresì evidenziato che, con la modifica posta allo scrutinio
della Corte, il legislatore regionale ha inteso delimitare nel tempo
l’efficacia della norma innovata, circoscrivendone l’operatività al triennio
2017-2019.
Tale limitazione, ad avviso del ricorrente, non
avrebbe, tuttavia, determinato il venir meno dei profili di illegittimità
costituzionale addotti a suo tempo nei confronti della disposizione manipolata.
Di qui la riproposizione, anche nel tenore
argomentativo, delle censure prospettate a suo tempo nei confronti della norma
modificata, in ragione dell’immutato conflitto con gli artt. 3, 97 e 117,
secondo comma, lettera e), Cost.
11.– Anche in questo giudizio la Regione
Siciliana non ha inteso costituirsi.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha
impugnato (reg. ric. n. 13 del 2017) l’art. 19, comma 1, della legge della
Regione Siciliana 5 dicembre 2016, n. 24 (Assestamento del bilancio di
previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2016 e per il triennio
2016-2018. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio
finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018), con il quale è stato aggiunto il
comma 2-bis all’art. 2 della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2015, n.
16 (Tassa automobilistica regionale. Modifica dell’articolo 47 della legge
regionale 7 maggio 2015, n. 9).
2.– Giova premettere che con la legge reg.
Siciliana n. 16 del 2015, la Regione resistente ha istituito, a far tempo dal
1° gennaio 2016, la tassa automobilistica regionale, chiamata a sostituire
quella erariale in precedenza vigente (art. 1), ribadendone pedissequamente i
relativi profili costitutivi (art. 2, comma 2).
2.1.– La disposizione
censurata interviene sull’impianto della legge regionale citata da ultimo.
In particolare, essa introduce, all’interno
dell’art. 2, il comma 2-bis, tramite il quale si prevede che in caso di omesso,
insufficiente o tardivo pagamento del tributo in esame – decorsi i termini
previsti per l’eventuale ravvedimento spontaneo dall’art. 13, comma 1, lettere
a), a-bis) e b), del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni
generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme
tributarie a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n.
662) – l’importo dovuto, comprensivo di interessi e sanzioni, venga
immediatamente iscritto a ruolo.
Grazie alla innovazione in esame, dunque, la
relativa pretesa impositiva assume immediata forza esecutiva, senza passare da
una comunicazione al contribuente, precedente alla formazione del ruolo.
3.– Ad avviso del Presidente del Consiglio dei
ministri la disposizione impugnata sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 97,
117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione, nonché con
gli artt. 17 e 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455
(Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.
3.1.– In relazione ai parametri non competenziali evocati nel ricorso, il ricorrente lamenta la
violazione dell’art. 3 Cost. per l’addotta, irragionevole, disparità di
trattamento riservata ai contribuenti siciliani con riguardo all’accertamento
ed alla riscossione della tassa automobilistica; prospetta, anche, il contrasto
della disposizione censurata con l’art. 97 Cost., perché il modulo
procedimentale configurato dalla disciplina regionale, omettendo il contraddittorio
preventivo con il contribuente, finisce per incidere negativamente sul buon
andamento dell’azione amministrativa.
3.2.– La difesa
erariale procede, poi, ad una ricostruzione della disciplina normativa
nazionale di riferimento, in esito alla quale giunge ad affermare che, quanto
al tributo in oggetto, l’azione esecutiva tramite il ruolo presuppone comunque
la presenza di un atto prodromico di contestazione inviato al contribuente.
Si segnala, inoltre, nel ricorso, che la norma
impugnata sarebbe in conflitto con l’art. 6, comma 5, della legge 27 luglio
2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente).
Alla luce di tali premesse, la difesa erariale
evoca, per un verso, i limiti statutari relativi alla competenza legislativa
della Regione Siciliana in materia impositiva, richiamando all’uopo gli artt.
17 e 36 dello statuto regionale di autonomia, giacché la citata norma dello
statuto dei diritti del contribuente, come confermato dall’art. 1 della
medesima legge n. 212 del 2000, costituirebbe principio generale
dell’ordinamento tributario, cui devono attenersi anche le Regioni ad autonomia
speciale; per altro verso, adduce la violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost. (in relazione al «coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario»).
Si prospetta, inoltre, la violazione dell’art.
117, secondo comma, lettera e), Cost., avuto riguardo alla competenza
legislativa esclusiva nazionale in tema di «sistema tributario e contabile
dello Stato».
4.– Qualche mese dopo, la Regione Siciliana, con
l’art. 34 della legge regionale 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni
programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale.
Stralcio I), è intervenuta sulla disposizione impugnata, delimitando l’ambito
di operatività del previsto procedimento di accertamento e riscossione del
tributo in esame al solo triennio 2017-2019.
4.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri
ha impugnato (reg. ric. n. 86 del 2017) anche tale ultima disposizione (in uno
ad altri articoli della stessa legge reg. Siciliana n. 16 del 2017).
Ad avviso del Governo, la modifica apportata non
avrebbe eliso le ragioni di vulnus prospettate con il ricorso n. 13 del 2017
nei confronti della disposizione modificata.
4.2.– È stata, dunque, promossa l’impugnazione
anche nei confronti di tale ultima disposizione di modifica, ritenuta in
contrasto con gli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera e), Cost., sulla
base del medesimo percorso argomentativo seguito nel contestare la legittimità
costituzionale dell’art. 19, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 24 del
2016.
5.– La stretta connessione che lega le
disposizioni oggetto dei due ricorsi e la sostanziale sovrapponibilità delle
censure prospettate rendono opportuna la riunione dei giudizi, per una
trattazione e definizione unitaria degli stessi.
5.1.– Lo scrutinio degli altri articoli della
legge reg. Siciliana n. 16 del 2017 impugnati dal Presidente del Consiglio dei
ministri resta riservato ad una separata decisione.
5.2.– La modifica introdotta con l’art. 34 legge
reg. Siciliana n. 16 del 2017, avendo esclusivamente delimitato nel tempo il
perimetro di futura operatività del procedimento configurato dall’art. 2, comma
2-bis, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2015, non ha inciso, dunque, sull’interesse
del ricorrente alla verifica di legittimità costituzionale sollecitata nei
confronti dell’impugnato art. 19, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 24 del
2016.
6.– La tassa automobilistica, disciplinata dal d.P.R. 5 febbraio 1953, n. 39 (Testo unico delle leggi
sulle tasse automobilistiche), e successive modificazioni, trovava, in origine,
il suo presupposto nella «circolazione sulle strade ed aree pubbliche degli
autoveicoli e dei relativi rimorchi» (art. 1 del citato decreto).
Per effetto dell’art. 5 del decreto-legge 30
dicembre 1982, n. 953 (Misure in materia tributaria), convertito, con
modificazioni, nella legge 28 febbraio 1983, n. 53, è divenuta tassa sulla
proprietà del veicolo (o su titolo equiparato a tali fini), legata, quindi, nel
suo presupposto costitutivo, ai dati emergenti dal Pubblico Registro
Automobilistico (PRA).
6.1.– Assumendo la denominazione di tassa
automobilistica regionale, il tributo in esame è stato attribuito, dall’art.
23, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della
finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre
1992, n. 421), per intero alle Regioni a statuto ordinario, legittimate, ai
sensi del successivo art. 24, comma 1, anche ad incidere sulle aliquote entro
un limite massimo prestabilito dalla legge statale. Con l’art. 17, comma 10,
della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della
finanza pubblica), il legislatore statale ha altresì demandato alle dette
Regioni «la riscossione, l’accertamento, il recupero, i rimborsi,
l’applicazione delle sanzioni ed il contenzioso amministrativo relativo».
6.2.– Innanzi ad un tale quadro normativo,
successivo alla riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, ma
precedente alla delega conferita al Governo con la legge 5 maggio 2009, n. 42
(Delega al Governo in materia di federalismo fiscale in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione), questa Corte (ex plurimis,
sentenze n. 451
del 2007 e n.
455 del 2005) ha costantemente escluso che la tassa in esame potesse
ritenersi tributo proprio delle Regioni a statuto ordinario ai sensi del
combinato disposto degli artt. 117, quarto comma, e 119, secondo comma, Cost.
Non sono stati considerati rilevanti, a tal
fine, l’integrale destinazione del gettito; né la possibilità di variare (entro
certi limiti) le aliquote di riferimento; né, infine, il conferimento alle
Regioni ordinarie delle funzioni concernenti la riscossione, i rimborsi, il
recupero della tassa e delle sanzioni.
Piuttosto, si è dato rilievo decisivo al fatto
della mancata devoluzione, a dette Regioni, del potere di disciplinare gli
altri elementi costitutivi del tributo, così da confermare che la relativa
disciplina legislativa doveva ritenersi ascritta alla competenza esclusiva
dello Stato in materia di tributi erariali.
Di qui la violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost., riscontrata in diverse occasioni scrutinando norme
regionali che disponevano esenzioni dalla tassa automobilistica (sentenza n.
296 del 2003) o modificavano la disciplina dei termini per l’accertamento
del tributo (sentenze
n. 297 e n. 311 del 2003).
6.3.– Siffatta lettura interpretativa ha trovato
continuità anche dopo la legge n. 42 del 2009 ed in esito alla conseguente
emanazione del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in
materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province,
nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore
sanitario).
L’art. 8 del citato decreto legislativo, dopo
aver disposto, al comma 1, la trasformazione di un’ampia serie di tributi
statali in tributi propri regionali, a decorrere dal 1° gennaio 2013, prevede,
al comma 2, che «[f]ermi restando i limiti massimi di manovrabilità previsti
dalla legislazione statale, le regioni disciplinano la tassa automobilistica
regionale»; aggiunge, inoltre, al comma 3, che alle Regioni a statuto ordinario
spettano gli altri tributi ad esse riconosciuti dalla legislazione vigente alla
data di entrata in vigore del decreto stesso, precisando che i predetti tributi
costituiscono tributi propri derivati.
Come già evidenziato da questa Corte (sentenza n. 288 del
2012), «[l]a diversificazione operata tra i citati commi 2 e 3 induce alla
conclusione che la tassa in questione non ha acquisito, nel nuovo regime, la
natura di tributo regionale proprio. Dalla formulazione del comma 2 si
inferisce, infatti, non già la natura di tributo proprio della tassa
automobilistica regionale […] ma solo la volontà del legislatore di riservare
ad essa un regime diverso rispetto a quello stabilito per gli altri tributi
derivati, attribuendone la disciplina alle Regioni, senza che questo comporti
una modifica radicale di quel tributo».
Di qui la ritenuta natura di tributo derivato
della tassa automobilistica pur in tale nuovo assetto normativo, con il conseguente,
ribadito, limite, per le Regioni a statuto ordinario, di non poter incidere sui
profili sostanziali della disciplina normativa di riferimento, comunque
riservati al legislatore nazionale (in termini, da ultimo, sentenze n. 242
e n. 199 del
2016).
7.– Una siffatta conclusione interpretativa non
può essere automaticamente estesa anche alle autonomie speciali.
Non si può escludere, infatti, che, in forza
dell’autonomia impositiva prevista dai rispettivi statuti, gli enti interessati
introducano, nella materia in esame, un tributo proprio, sostitutivo o comunque
distinto da quello di matrice erariale, come, del resto, questa Corte ha già
avuto modo di riconoscere proprio con riferimento alla tassa automobilistica (sentenze n. 118 del
2017 e n.
142 del 2012).
8.– In parte qua giova ribadire che
l’autonomia finanziaria e tributaria della Regione Siciliana è
disciplinata dagli artt. 36, 37 e 38 dello statuto, nonché dalle norme di
attuazione dettate dal d.P.R. 26 luglio 1965, n.
1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia
finanziaria).
8.1.– In particolare, in base all’art. 36 dello
statuto, «[a]l fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi
patrimoniali della Regione a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima»;
disposizione alla quale risulta immediatamente correlato l’art. 1 del d.P.R. n. 1074 del 1965, in forza del quale la Regione
siciliana provvede al suo fabbisogno finanziario anche «mediante le entrate
tributarie ad essa spettanti».
Mentre l’art. 2 del decreto citato da ultimo
indica in che percentuali le entrate tributarie, diverse da quelle direttamente
deliberate dalla Regione, sono da ritenersi destinate alla stessa, il
successivo art. 6, a completamento del disposto dell’art. 36 dello statuto, per
un verso (comma 1), afferma che «le disposizioni delle leggi tributarie dello
Stato hanno vigore e si applicano anche nel territorio della Regione», fatto
salvo quanto venga disposto dalla Regione nell’esercizio e nei limiti della competenza
legislativa ad essa spettante; per altro verso (comma 2), ribadisce che «nei
limiti dei principi del sistema tributario dello Stato la Regione può istituire
nuovi tributi in corrispondenza alle particolari esigenze della comunità
regionale».
Vengono così estesi all’autonomia legislativa in
materia di imposizione fiscale, i vincoli previsti dall’art. 17 dello statuto
di autonomia, riferiti, in genere, alle competenze legislative ivi indicate,
non coincidenti con quelli previsti dall’art.14, da esercitare entro «i limiti
dei principi e degli interessi cui si informa la legislazione dello Stato».
8.2.– In virtù di tale quadro normativo, la
Regione Siciliana ha, dunque, il potere di integrare la disciplina dei tributi
erariali, nei limiti segnati dai principi della legislazione statale relativi
alla singola imposizione (sentenze n. 138
e n. 111 del
1999), in termini non dissimili da quanto previsto per le Regioni ordinarie
dall’art. 117, comma secondo, lettera e), Cost.; ancora, può deliberare, con
legge regionale, tributi propri, disciplinando in
modo originale tutti gli elementi del prelievo, anche quelli
fondamentali, nel rispetto dei principi del «sistema tributario italiano» così
come imposto dall’art. 6, comma 2, delle norme di attuazione richiamate.
8.3.– Tale ultimo limite, peraltro, si distingue
da quello della necessaria osservanza «dei principi fondamentali di coordinamento
del sistema tributario» previsto dall’art. 119, secondo comma, Cost., per le
Regioni ordinarie.
L’autonomia legislativa riconosciuta, in forza
dello statuto speciale, alla Regione resistente in materia di imposizione
fiscale, appare, infatti, più ampia rispetto a quella garantita alle Regioni
ordinarie (sentenza
n. 102 del 2008, relativa ad una analoga previsione statutaria della
Regione autonoma Sardegna; ordinanza n. 250
del 2007 relativa allo statuto siciliano); e ciò trova conferma, per quel
che qui immediatamente interessa, nella facoltà, attribuita alle autonomie
speciali, di istituire tributi propri con riferimento a presupposti già coperti
dall’imposizione erariale, ipotesi invece preclusa alle Regioni ordinarie in
forza di quanto esplicitato dall’art. 7, comma 1, lettera b), n. 3 della legge
n. 42 del 2009.
9.– Come già evidenziato, con la legge reg. n.
16 del 2015 la Sicilia ha disciplinato autonomamente il tributo in questione,
introducendo una disciplina espressamente volta a sostituire quella erariale
(art 1). In coerenza, ne ha assunto direttamente le funzioni amministrative di
controllo e riscossione.
L’art. 3 della citata legge regionale prevede in
particolare che le stesse vengano svolte secondo le modalità tracciate dalla
relativa disciplina nazionale, facendo apposito riferimento al decreto del
Ministro delle finanze del 25 novembre 1998, n. 418 (Regolamento recante norme
per il trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni in materia
di riscossione, accertamento, recupero, rimborsi e contenzioso relative alle
tasse automobilistiche non erariali), il cui art. 3, a sua volta, rimanda alla
riscossione delegata a terzi, all’epoca (del citato decreto ministeriale)
regolata dal d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43
(Istituzione del Servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate dello
Stato e di altri enti pubblici, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge
4 ottobre 1986, n. 657).
9.1.– Se, dunque, prima della novità legislativa
offerta dalla legge reg. Siciliana n. 16 del 2015, non v’era incertezza in
ordine alla natura derivata della tassa automobilistica regionale riscossa in Sicilia
(sentenza n. 135
del 2012), di contro, l’innovazione apportata da tale legge regionale
impone di verificare l’attuale tenuta di una siffatta conclusione.
9.2.– Alla stregua di quanto previsto dal
secondo comma dell’art. 119 Cost., per le Regioni ordinarie, nonché in forza di
quanto dettato, per le autonomie speciali, dalle specifiche previsioni
statutarie e attuative, l’introduzione di tributi propri da parte delle Regioni
presuppone essenzialmente il rispetto dell’art. 23 Cost. e dunque la necessaria
istituzione tramite legge regionale.
Peraltro, mentre per le Regioni ordinarie, la
competenza legislativa regionale in materia appare condizionata dal necessario
rispetto dei «principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario» dettati dalla legge nazionale, primo tra tutti quello del divieto
della doppia imposizione; per le autonomie speciali, in forza di clausole
omologhe a quella prevista per la Regione resistente, l’unica specifica
condizione richiesta per legittimamente istituire e disciplinare i tributi
propri regionali è che il tributo proprio sia «in armonia con i principi del
sistema tributario dello Stato» (sentenza n. 102 del
2008).
9.3.– È ben vero che questa Corte (sentenza n. 118 del
2017), proprio con riferimento alla tassa automobilistica introdotta da
altro ente dotato di autonomia speciale (la Provincia autonoma di Trento), nel
qualificare la stessa come tributo proprio, ha dato rilievo anche ad una
specifica copertura statutaria di tale prelievo, in quella occasione
riscontrata.
Tuttavia, va nuovamente rimarcato che la legge
reg. Siciliana n. 16 del 2015, non lascia dubbi in ordine al radicale subentro
della disciplina regionale in luogo di quella erariale previgente.
Di contro, nella disciplina presa in
considerazione dalla detta sentenza (art. 4 della legge della Provincia
autonoma di Trento 11 settembre 1998, n. 10, recante «Misure collegate con
l’assestamento di bilancio per l’anno 1998»), si dava espressamente atto della
transitorietà delle relative previsioni (comma 2 del citato art. 4), «in attesa
di una disciplina organica della tassa automobilistica provinciale». Siffatto
elemento testuale, considerato alla luce del richiamo alla legislazione
nazionale di riferimento, contenuto nella detta disciplina, era foriero di
possibili incertezze interpretative quanto alla temporanea continuità della
derivazione erariale del tributo; incertezze, queste, poi definitivamente
superate, secondo le valutazioni svolte da questa Corte nell’occasione, dalla
sopravvenuta modifica statutaria apportata dall’art. 2, comma 107, lettera c),
numero 1), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria
2010)», tramite la quale è stata riconosciuta «esplicitamente alla tassa
automobilistica istituita con legge provinciale la natura di tributo proprio»
(così la citata sentenza
n. 118 del 2017).
La previsione statutaria riferita alla specifica
situazione impositiva, dunque, lungi dal costituire un presupposto generale
indefettibile per la legittima introduzione di tributi propri da parte delle
autonomie speciali, rappresentava, in quella particolare situazione, un
ulteriore spunto argomentativo per meglio inquadrare la natura del tributo.
9.4.– Si è anticipato che la tassa regionale
predisposta dal legislatore siciliano replica integralmente i tratti
costitutivi di quella erariale, cui fa espresso riferimento (art. 2).
A ben vedere, tuttavia, tale elemento di
valutazione non assume un rilievo decisivo per escludere la natura propria del
tributo in esame. Infatti, nell’esercitare la propria autonomia impositiva,
l’ente territoriale dotato di autonomia speciale può decidere di ribadire i
tratti costituivi della omologa previsione erariale, ritenendoli confacenti
alle proprie esigenze territoriali, senza che questo incida sulla qualifica del
tributo.
10.– Non vi sono, dunque, ragioni per non
ritenere la tassa automobilistica regionale introdotta dalla legge reg.
Siciliana n. 16 del 2015 un tributo proprio della Regione resistente.
Ciò porta a ritenere decisiva la censura
prospettata dal ricorrente in riferimento ai rilevati limiti statutari e, al
contempo, rende non pertinenti le questioni prospettate in relazione all’art.
117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, Cost.
11.– Ristretto, dunque, il perimetro cognitivo
ascritto a questa Corte unicamente al riscontro della condizione legittimante
offerta dal disposto degli artt. 36 dello statuto di autonomia e 6, comma 2,
del d.P.R. n. 1074 del 1965, deve escludersi che le
disposizioni censurate diano luogo a distonie di sistema con la tipologia e la
struttura degli istituti tributari statali visti nel loro complessivo assetto
ordinamentale.
La disciplina regionale in esame, piuttosto,
appare in armonia con lo «"spirito” del sistema tributario dello Stato» (sentenze n. 102 del
2008 e n.
304 del 2002), dando corpo ad un modulo procedimentale di determinazione
della pretesa tributaria che si rivela omogeneo ad altre ipotesi impositive
previste dalla legislazione statale, caratterizzate da analoghi profili
strutturali nel verificare il corretto adempimento della prestazione
tributaria.
11.1.– Sotto questo
versante, si rivela inconferente la ricostruzione normativa operata nei ricorsi
del Presidente del Consiglio dei ministri quanto alla disciplina statale della
tassa in esame, la quale, in ogni caso, non vincola la Regione autonoma, una
volta considerata l’imposizione in oggetto un tributo "proprio” in senso
stretto.
Appare, invece, pertinente il riferimento al
comma 5 dell’art. 6 dello statuto dei diritti del contribuente in forza del
quale – in caso di liquidazioni di tributi risultanti da dichiarazioni e sempre
che sussistano «incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione» –
l’iscrizione a ruolo, altrimenti possibile anche in via immediata, deve essere
preceduta, a pena di nullità, da un avviso rivolto al contribuente, finalizzato
ad ottenere da quest’ultimo gli opportuni chiarimenti, anche documentali.
Secondo il Presidente del Consiglio dei
ministri, siffatta previsione avrebbe una portata sistematica generale; vincolerebbe,
inoltre, anche la Regione Siciliana in ragione di quanto previsto dall’art. 1,
comma 1, dello stesso statuto dei diritti del contribuente, perché
riconducibile ai «principi generali dell’ordinamento tributario».
12.– Anche a voler ritenere che il principio
desumibile dal comma 5 dell’art. 6 dello statuto dei diritti del contribuente
sia dotato di una portata generale, tale da superare il riferimento letterale
alle liquidazioni di tributi che risultano da dichiarazioni del contribuente,
la censura si rileva comunque non fondata.
13.– Secondo quanto previsto dalla disciplina
regionale impugnata, il ruolo, che conferisce all’obbligazione tributaria forza
esecutiva, non viene preceduto da alcun atto partecipativo destinato al
contribuente: si forma unilateralmente per determinazione amministrativa, al
semplice riscontro della omissione, della inesattezza o della intempestività
del pagamento.
Il contribuente acquisisce contezza della
pretesa azionata dall’ente impositore solo per il tramite della cartella di
pagamento; ed avverso la cartella può proporre ricorso per vizi che afferiscono
non solo alla stessa ed al ruolo che la giustifica, ma anche all’an della pretesa tributaria.
13.1.– Non è superfluo
sottolineare che l’accertamento inerente al tributo in esame, nella sua
ordinarietà, è connotato da una evidente semplicità di contenuti, risolvendosi
in un mero controllo cartolare.
La definizione della pretesa impositiva in esame
riposa infatti, di regola, sulla spontaneità di adempimento del contribuente, chiamato
a provvedere al pagamento senza sollecitazione alcuna, sulla base delle
scadenze indicate e dei parametri di commisurazione determinati, secondo canoni
standard, dalla norma impositiva.
In caso di inadempimento, la determinazione
della pretesa tributaria da attuare – che mantiene comunque una sua autonomia
rispetto alla successiva fase esecutiva – passa attraverso l’esame delle
risultanze del PRA, comunicate all’ente impositore dal relativo tenutario (art.
5 del d.l. n. 953 del 1982); e si correla, dunque, ad
una indagine documentale elementare, realizzata tramite il controllo incrociato
tra gli elementi attestanti la titolarità del mezzo e i flussi informativi
inerenti il puntuale adempimento della prestazione richiesta. Spicca, sotto
questo profilo, la particolare attendibilità del dato documentale destinato ad
attestare la riferibilità soggettiva del relativo presupposto impositivo,
derivante da un pubblico registro formato su iniziativa dello stesso
contribuente (su impulso del quale si procede alle relative iscrizioni e
trascrizioni).
Ciò finisce per riconoscere alle emergenze
documentali poste alla base della formazione del ruolo un rilevante grado di
verosimiglianza quanto alla corretta imputazione soggettiva del tributo: a
fronte della evidente modestia tecnica della fase amministrativa di
determinazione del dovuto (sentenze n. 62 del
1998 e n. 233
del 1996) e in considerazione del grado di affidabilità del procedimento
che porta alla formazione unilaterale del titolo (ordinanza n. 111
del 2007), si neutralizzano, in coerenza, i margini di utilità che
potrebbero derivare da una partecipazione attiva del contribuente alla fase che
precede l’iscrizione a ruolo del tributo.
14.– La censura mossa dal Presidente del
Consiglio dei ministri riposa su una concezione del ruolo caratterizzata da una
valenza principalmente esecutiva quale atto della riscossione.
Il ricorrente, tuttavia, non considera
adeguatamente il diverso atteggiarsi della natura del ruolo a seconda delle
caratteristiche proprie della pretesa tributaria da attuare, diversamente
graduata in rapporto alla complessità dell’attività di verifica che precede e
sostanzia la determinazione del dovuto.
Sotto tale profilo, va rimarcato che, nel tempo,
il sistema tributario statale è stato interessato da una tendenziale
unificazione delle fasi di accertamento e riscossione.
14.1.– In proposito, è certamente di interesse
la disciplina introdotta dall’art. 29 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78
(Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122,
chiamata a regolare l’azione impositiva inerente le
imposte sul reddito, l’imposta sul valore aggiunto (IVA) e l’imposta regionale
sulle attività produttive (IRAP).
In forza di quanto previsto dal citato art. 29,
infatti, gli avvisi di accertamento relativi a dette imposte (limitatamente a
quelli emessi dal 1° ottobre 2011, relativi ai periodi di imposta in corso alla
data del 31 dicembre 2007 e successivi), una volta divenuti definitivi perché
non impugnati giudizialmente, legittimano l’erario ad azionare la fase di
riscossione senza passare dall’iscrizione a ruolo del tributo e prescindendo,
anche, dall’invio della cartella di pagamento. L’atto di accertamento trasmesso
al contribuente contiene dunque in sé anche i prodromi della futura attività di
esazione del tributo.
14.2.– Inoltre, nell’ottica che più interessa
l’odierna verifica di legittimità costituzionale, assumono particolare rilievo
le ipotesi, legate al recupero delle medesime imposte dirette, divenute
residuali e rimaste estranee al modulo configurato dal detto art. 29 del d.l. n. 78 del 2010, ricavabili dal complessivo tenore
dell’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602
(Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito).
Tra queste spiccano, per quel che qui
immediatamente rileva, le liquidazioni effettuate in base alle dichiarazioni e
per mezzo delle procedure automatizzate ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in
materia accertamento delle imposte sui redditi), cui vanno equiparate quelle
previste dall’art. 54-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto). Ipotesi,
queste, rispetto alle quali le somme dovute a titolo di imposta, comprese
quelle inerenti ai correlati accessori, sono «iscritte direttamente nei ruoli a
titolo definitivo», in forza dell’art. 2 del decreto legislativo 18 dicembre
1997, n. 462 (Unificazione a fini fiscali e contributivi delle procedure di
liquidazione, riscossione e accertamento a norma dell’articolo 3, comma 134,
lettera b, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).
All’iscrizione immediata tuttavia non si
provvede laddove il contribuente abbia provveduto al pagamento del dovuto
«entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione prevista dai commi 3
dei predetti articoli 36-bis e 54-bis» (art. 2, comma 2, del citato d.lgs. n.
462 del 1997), cui l’amministrazione è tenuta solo se dai controlli emerge un
risultato diverso da quello prospettato dalla dichiarazione o, ancora, una
imposta o una maggiore imposta, e solo se ciò può consentire al contribuente di
evitare la reiterazione di errori o di regolarizzare aspetti formali.
14.3.– Le previsioni
citate da ultimo danno conto della certa compatibilità del modulo previsto
dalla norma siciliana impugnata con il sistema tributario statale.
Rappresentano, infatti, situazioni nelle quali
il ruolo e la successiva cartella perdono la loro connotazione esclusivamente
esecutiva per esprimere anche la fase (se non di accertamento, quantomeno) di
liquidazione della pretesa. Danno conferma, soprattutto, della possibilità,
assentita dal sistema, di procedere alla immediata iscrizione a ruolo senza
prevedere alcuna forma di partecipazione preventiva del contribuente, ogni
qualvolta la verifica dell’inadempimento si rilevi immune da valutazioni
interpretative.
Il tutto seguendo un modulo semplificato che
trova ulteriori riscontri, ad esempio, in caso di inadempimento nel pagamento
delle somme rateizzate ex art. 15-ter del d.P.R. n.
602 del 1973; o ancora, nell’ipotesi inerente all’irrogazione delle sanzioni,
ex art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997.
14.4.– Assume valenza
dirimente in tal senso l’ipotesi della dichiarazione non seguita dal versamento
del dovuto.
Come confermato dalla costante giurisprudenza
della Corte di Cassazione (ex plurimis, tra le più
recenti, Corte di cassazione civile, ordinanze n. 27716 e n. 21020 del 2017;
sentenza n. 13759 del 2016; ordinanza n. 3153 del 2015), l’iscrizione a ruolo
non deve essere preceduta dalla comunicazione rivolta al contribuente. L’avviso
preventivo rispetto alla formazione immediata del ruolo perde, infatti, la sua
ragion d’essere nelle ipotesi di versamenti incompleti, tardivi o integralmente
omessi, rispetto ad un presupposto impositivo già cristallizzato, quale quello
emergente dalla dichiarazione proveniente dallo stesso contribuente.
Diviene pertanto superflua l’interlocuzione
preventiva con il contribuente a fronte di una verifica amministrativa che ha
contenuti esclusivamente cartolari, priva di margini interpretativi (Corte di
cassazione civile, sentenza n. 9672 del 2018).
14.5.– Del resto, una
tale interpretazione trova la sua conferma proprio nella disposizione dello
statuto dei diritti del contribuente evocata dal Governo a sostegno
dell’addotta censura.
Siffatta disposizione non impone, a pena di
nullità, che la comunicazione preventiva al contribuente venga effettuata per
ogni ipotesi di liquidazione. Piuttosto, prevede l’avviso preventivo solo per
quelle liquidazioni rispetto alle quali si riscontrino «incertezze su aspetti
rilevanti» della pretesa tributaria oggetto del ruolo: ipotesi, questa, che va
radicalmente esclusa, per l’appunto, laddove si versi in caso di omesso,
integrale o parziale, o comunque intempestivo versamento del dovuto,
determinato in forza della stessa dichiarazione del contribuente e riscontrato
in esito ai riferiti controlli automatici (ex plurimis,
Corte di cassazione civile, ordinanze n. 1711 del 2018 e n. 27716 del 2017).
14.6.– Diversamente da
quanto ritenuto dal ricorrente, le superiori indicazioni interpretative si
attagliano perfettamente al procedimento impositivo configurato dalle
disposizioni impugnate.
14.6.1.– L’immediata iscrizione a ruolo prevista
dalla disciplina regionale censurata si lega ad un tributo il cui profilo
determinativo, in caso di inadempimento, emerge per tabulas,
attraverso meri riscontri documentali; e ciò in termini non diversi da quanto
accade per i versamenti non eseguiti, riscontrati in esito ai citati controlli
realizzati ex artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973
e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972.
I presupposti del debito tributario (la
dichiarazione predisposta dal contribuente per un verso e le emergenze del PRA,
per altro verso), nonché la stessa condotta che concreta l’inadempimento
fiscale presentano, infatti, immediate e decisive analogie di contenuto.
14.6.2.– L’inserzione
della liquidazione del tributo nella fase di formazione del ruolo appare,
quindi, giustificata da una azione amministrativa di determinazione del dovuto
priva di significativi margini di discrezionalità interpretativa.
Parimenti, il sacrificio del contradittorio
preventivo con il contribuente trova una giustificazione di sistema identica a
quella già descritta in tema di controlli automatici; e, alla stessa stregua di
tali ultime ipotesi, risulta adeguatamente compensato dalla possibilità, per il
contribuente, di fare valere l’insussistenza della pretesa sia in via amministrativa,
sollecitando un annullamento in autotutela, sia in sede giudiziaria, anche
tramite l’eventuale attivazione della tutela cautelare, anticipatoria della
futura decisione di merito (ordinanza n. 111
del 2007).
14.6.3.– Ne consegue che, nelle situazioni
ordinarie, laddove al presupposto costitutivo documentato dal PRA non faccia
seguito, alla relativa scadenza, l’adempimento dell’obbligazione tributaria, la
disciplina regionale censurata finisce per porsi certamente in linea con
l’indicazione di principio emergente dall’art. 6, comma 5, dello statuto dei
diritti del contribuente.
Ciò non preclude, del resto, che, proprio in
forza di tale ultima disposizione, l’avviso strumentale ad un contraddittorio
antecedente alla formazione del ruolo possa recuperare la sua funzionalità ogni
qual volta la determinazione del tributo e l’inadempimento che la fonda
riposino su valutazioni interpretative di competenza dell’amministrazione
interessata, per ciò solo estranee alle connotazioni di strutturale semplicità
che di norma caratterizzano il recupero della tassa in questione.
14.7.– In conclusione,
va ribadito che con le norme censurate si realizza una crasi procedimentale che
compensa adeguatamente l’esigenza collettiva di ottimizzazione della esazione
fiscale con quelle di difesa del contribuente, senza porsi in termini di
incompatibilità con il sistema tributario statale, il quale prevede ipotesi di
regolamentazione non dissimili in presenza di presupposti analoghi.
15.– Esclusa, dunque, l’incompatibilità di
sistema sottesa alla censura prospettata in riferimento ai limiti statutari,
non è superfluo rimarcare, inoltre, che le disposizioni censurate non
entrerebbero in conflitto neppure con la specifica normativa di settore imposta
dalla disciplina erariale.
15.1.– La normativa
nazionale in materia, ricostruita nel ricorso dall’Avvocatura, non prevede una
obbligatoria partecipazione del contribuente alla formazione del ruolo
impositivo.
In particolare, non depone in tal senso l’art. 2
della legge 24 gennaio 1978, n. 27 (Modifiche al sistema sanzionatorio in
materia di tasse automobilistiche), diversamente dal rilievo che a siffatta
disposizione mostra di dare il Presidente del Consiglio dei ministri.
15.2.– Il processo verbale di constatazione
previsto dal comma 1 di tale disposizione, da notificare al proprietario del
mezzo non oltre novanta giorni dall’accertamento, pena l’estinzione del dovuto
per la violazione riscontrata, dà infatti luogo ad un modulo procedimentale
che, nell’interpretazione della Corte di cassazione civile (sentenza n. 13147
del 2014, la quale riprende un orientamento tracciato con la sentenza n. 1649
del 1998), per il vero correttamente citata dalla stessa difesa del ricorrente,
aveva una ragion d’essere nell’originaria configurazione del tributo quale
tassa sulla circolazione.
Mutato il presupposto di imposta, ora legato
solo alla proprietà (o ad un titolo considerato equipollente a tali fini) del
mezzo, l’accertamento della violazione (non più inerente la
circolazione su strada del mezzo) appare oggi esclusivamente demandato al
flusso informativo, disciplinato dall’art. 5 del d.l.
n. 953 del 1982, legato alle emergenze del PRA.
15.3.– Né, ancora, assume rilievo al fine
l’ingiunzione di pagamento (comma 7, sempre del citato art. 2 della legge n. 29
del 1978) che l’amministrazione, sul presupposto della notifica del verbale di
constatazione (previsto dal comma 1) e del protratto inadempimento del
contribuente, avrebbe dovuto emettere per la riscossione del tributo evaso
(comma 6).
L’ingiunzione concretava, in quel modulo,
l’inizio della fase di esecuzione, secondo modalità di azione definitivamente
superate dal riferimento alla riscossione a mezzo ruolo a far data dalla vigenza
dell’art. 67, comma 1, del d.P.R. n. 43 del 1988: si
rivela, dunque, oggi ininfluente perché nulla dice in ordine alle iniziative
che, venuto meno l’accertamento (su strada) originariamente previsto, una volta
completata la fase interna di verifica amministrativa, dovrebbero precedere
l’iscrizione a ruolo.
15.4.– Non va trascurato, infine, che la
disciplina regionale censurata attiene alle funzioni di accertamento e
riscossione dell’imposizione relative alla tassa automobilistica demandate
dallo Stato alle Regioni ordinarie con la già richiamata legge n. 449 del 1997.
Con riguardo alla Regione Siciliana, va poi ribadito che la riscossione risulta
ascritta ai profili di sua esclusiva pertinenza (ex art. 8 delle norme di
attuazione del 1965), mentre l’attività di accertamento del tributo in
questione, prima svolta dall’Agenzia delle entrate, risulta oggi
definitivamente avocata alle competenze della Regione Siciliana, in forza di
quanto previsto dall’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2015.
In questa cornice di riferimento, la previsione
regionale relativa al procedimento impositivo deve ritenersi coerente con lo
spazio riconosciuto alla Regione Siciliana relativamente all’azione
amministrativa che porta alla attuazione della pretesa tributaria in oggetto. E
ciò a maggior ragione alla luce delle considerazioni di principio già svolte
nel rimarcare la stretta analogia che corre tra la disciplina oggetto di
scrutinio ed altre fattispecie di attuazione dell’imposizione fiscale previste
dal sistema nazionale, rispetto alle quali, come nel caso in esame, la
partecipazione del contribuente alla fase di formazione della pretesa
impositiva si rivela non determinante sul corretto incedere della relativa
azione amministrativa.
Non a caso, del resto, siffatto modulo risulta
già adottato da altre Regioni, anche a statuto ordinario, con riferimento al
tributo in esame. Rilevano, in via esemplificativa, in tal senso l’art. 61,
comma 2-bis, della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 15 aprile 2008, n.
9 (Assestamento del bilancio di previsione per l’anno finanziario 2008,
modifiche a disposizioni legislative, variazioni al bilancio di previsione per
l’anno finanziario 2008 e a quello pluriennale per il triennio 2008-2010); gli
artt. 85 e 86 della legge della Regione Lazio 13 agosto 2011, n. 12
(Disposizioni collegate alla legge di assestamento del bilancio 2011-2013);
l’art. 4 della legge della Regione Emilia-Romagna 7 dicembre 2011, n. 17 (Norme
in materia di tributi regionali). Disposizioni, queste, mai impugnate da parte
dello Stato.
Di qui l’infondatezza della censura prospettata
in riferimento agli artt. 17 e 36 dello statuto regionale siciliano.
16.– Infine, sono inammissibili, perché
generiche in quanto prive di alcun sostegno argomentativo, le due censure
estranee ai parametri competenziali, riferite ad
entrambe le disposizioni impugnate.
16.1.– Secondo quanto
costantemente affermato da questa Corte, il ricorso in via principale deve
contenere «una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della
richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale della legge. In
particolare, l’atto introduttivo al giudizio non può limitarsi a indicare le
norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di
compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di
costituzionalità, ma deve contenere […] anche una argomentazione di merito, sia
pure sintetica, a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità,
posto che l’impugnativa deve fondarsi su una motivazione adeguata e non
meramente assertiva» (ex plurimis, sentenza n. 107 del
2017 che richiama anche le sentenze n. 251,
n. 153, n. 142, n. 82 e n. 13 del 2015).
16.2.– Ciò premesso, in relazione alla censura
mossa in riferimento all’art. 3 Cost., è meramente assertiva l’affermazione in
forza alla quale la disciplina censurata darebbe luogo ad una discriminazione
in danno dei contribuenti siciliani, non altrimenti argomentata. Ciò ancor più
considerando l’autonomia legislativa in materia impositiva nel caso di specie
esercitata dalla resistente in forza di quanto previsto dallo statuto speciale.
16.3.– Parimenti è a dirsi in ordine alla
ritenuta violazione dell’art. 97 Cost., addotta senza motivare le ragioni in
forza delle quali la mancanza della comunicazione di un atto prodromico alla
iscrizione a ruolo metterebbe in crisi il buon funzionamento dell’azione
amministrativa.
Il tutto, del resto, senza confrontarsi con le
peculiarità proprie del tributo in questione e senza argomentare in alcun modo
in ordine alle fattispecie impositive connotate da contenuti analoghi,
riscontrate nel sistema tributario nazionale e regolate in termini non
dissimili dalla disciplina dettata in tema di tassa automobilistica dalla
Regione Siciliana.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
riservata a separate pronunce la decisione delle
ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del
Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 86 del 2017, in
relazione alle disposizioni diverse dall’art. 34 della legge della Regione
Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e correttive per
l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I);
1) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, della legge della Regione
Siciliana 5 dicembre 2016, n. 24 (Assestamento del bilancio di previsione della
Regione per l’esercizio finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018.
Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario
2016 e per il triennio 2016-2018), promosse, in riferimento agli artt. 3 e 97
della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso
indicato in epigrafe iscritto al n. 13 del registro ricorsi 2017;
2) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 34 della legge della reg. Siciliana n. 16
del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dal Presidente del
Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe iscritto al n. 86
del registro ricorsi 2017;
3) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, della legge reg. Siciliana n.
24 del 2016, promosse, in riferimento agli artt. 17 e 36 del regio decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione
siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 e in
relazione all’art. 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, Cost., dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe
iscritto al n. 13 del registro ricorsi 2017;
4) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 34 della legge reg. Siciliana n. 16 del
2017, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,
dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe iscritto
al n. 86 del registro ricorsi 2017.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2018.