Sentenza n. 152 del 2018

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SENTENZA N. 152

ANNO 2018

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Giorgio                       LATTANZI                                        Presidente

-      Aldo                           CAROSI                                             Giudice

-      Marta                          CARTABIA                                               

-      Mario Rosario            MORELLI                                                  

-      Giancarlo                   CORAGGIO                                              

-      Giuliano                     AMATO                                                     

-      Silvana                       SCIARRA                                                  

-      Daria                          de PRETIS                                                 

-      Nicolò                        ZANON                                                     

-      Franco                        MODUGNO                                               

-      Augusto Antonio        BARBERA                                                

-      Giulio                         PROSPERETTI                                         

-      Giovanni                    AMOROSO                                               

-      Francesco                   VIGANÒ                                                    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, della legge della Regione Siciliana 5 dicembre 2016, n. 24 (Assestamento del bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018) e dell’art. 34 della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorsi notificati rispettivamente il 6-9 febbraio e il 24-30 ottobre 2017, depositati in cancelleria, il primo, il 14 febbraio e, il secondo, il 3 novembre 2017, iscritti rispettivamente al n. 13 e al n. 86 del registro ricorsi 2017 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 12 e 50, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2018 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

udito l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 6-9 febbraio 2017 e depositato il 14 febbraio 2017 (reg. ric. n. 13 del 2017) ha impugnato l’art. 19, comma 1, della legge della Regione Siciliana 5 dicembre 2016, n. 24 (Assestamento del bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018). La disposizione censurata, ad avviso del ricorrente, sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione, nonché con gli artt. 17 e 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

2.– Premette il ricorrente che con legge della Regione Siciliana 11 agosto 2015 n. 16 (Tassa automobilistica regionale. Modifica dell’articolo 47 della legge regionale 7 maggio 2015, n. 9), è stata istituita, a far tempo dal 1° gennaio 2016, la tassa automobilistica regionale, chiamata a sostituire quella erariale, in precedenza vigente (art. 1). L’art 2, comma 1, della stessa legge regionale, prevede in particolare, che «[i]l presupposto d’imposta, la misura della tassa, i soggetti passivi e le modalità applicative restano disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 5 febbraio 1953, n. 39 e successive modifiche ed integrazioni».

3.– Ciò premesso, nel ricorso si evidenzia che la disposizione censurata interviene sull’impianto della detta legge reg. Siciliana n. 16 del 2015, introducendo all’interno del citato art. 2, il comma 2-bis, in forza del quale, anche con riferimento alla tassa automobilistica regionale, «[t]rovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 1, lettere a), a bis) e b), del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 in materia di ravvedimento». La norma impugnata prevede altresì che «[i]n caso di mancato ravvedimento la Regione provvede, ai sensi dell’articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, sulla base delle notizie occorrenti per l’applicazione del tributo e per l’individuazione del proprietario del veicolo comunicate dal tenutario del pubblico registro automobilistico all’archivio regionale della tassa automobilistica, all’iscrizione a ruolo delle somme dovute che costituisce accertamento per l’omesso, insufficiente o tardivo versamento della tassa automobilistica e l’irrogazione delle sanzioni e dei relativi accessori».

A giudizio del ricorrente viene, dunque, previsto un meccanismo in base al quale la Regione Siciliana, a fronte di un tributo che si paga mediante versamento diretto, procede ad un’automatica iscrizione a ruolo, eliminando la fase di accertamento, assorbita in quella di emissione e notifica della cartella di pagamento.

4.– Siffatta previsione, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., perché destinata a riservare un’ingiustificata disparità di trattamento ai contribuenti residenti in Sicilia; ancora, sarebbe in conflitto con l’art. 97 Cost., perché elimina il preventivo contraddittorio con il contribuente, da ritenersi necessario in presenza di un tributo che non è oggetto di dichiarazione, né di richiesta da parte dell’ente impositore.

5.– La disposizione impugnata si porrebbe, inoltre, in contrasto con la legislazione nazionale di riferimento.

Il ricorrente, in primo luogo, riporta testualmente gli estremi della normativa statale dettata per la tassa automobilistica, dalla quale si ricaverebbe, a suo giudizio, la necessaria autonomia di fasi tra accertamento e riscossione del tributo in esame. Ascrive, poi, particolare rilievo al disposto dell’art. 2 della legge 24 gennaio 1978, n. 27 (Modifiche al sistema sanzionatorio in materia di tasse automobilistiche). A tal fine, si evidenzia nel ricorso che, se per un verso, in linea con quanto affermato dalla Corte di cassazione, l’attuale conformazione della tassa – legata, nel suo presupposto costitutivo, non più alla circolazione bensì al possesso del veicolo – ha tolto rilievo al processo verbale di accertamento disciplinato dai primi sei commi del citato art. 2; per altro verso, l’azione esecutiva volta al recupero del dovuto presupporrebbe comunque la notifica al contribuente di un apposito atto – l’ingiunzione di pagamento prevista dal comma 7 del detto art. 2 della legge n. 27 del 1978 – destinata a precedere obbligatoriamente l’iscrizione a ruolo, diversamente da quanto previsto dalla disposizione regionale censurata.

6.– Né, del resto, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la fattispecie in esame può ritenersi omologa agli altri casi di diretta iscrizione a ruolo previsti dalla legislazione nazionale, limitati, in campo tributario, alle sole ipotesi in cui la fase preventiva di contraddittorio sarebbe priva di utilità, e cioè nei casi di imposte dichiarate e non versate. Solo in siffatte situazioni, infatti, sarebbe possibile derogare alle indicazioni dettate dalla legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente) e, in particolare, al principio desumibile dall’art. 6, comma 5, di tale legge in forza del quale, a pena di nullità dei relativi provvedimenti, «[p]rima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta».

7.– Rimarca, inoltre, il Governo che lo statuto del contribuente è stato emesso «in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione», e che le relative disposizioni «costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario» (art. 1, comma 1, della legge n. 212 del 2000), ai quali deve attenersi anche la Regione Siciliana (in ragione di quanto previsto dal comma 3 del medesimo art. 1). E sotto tale profilo la disposizione impugnata sarebbe in contrasto con gli artt. 17 e 36 dello statuto della Regione Siciliana e, in particolare, con quest’ultimo articolo che, nell’interpretazione di questa Corte, impone comunque alla Regione Siciliana di osservare i limiti dei principi e degli interessi generali cui si informa la legislazione nazionale e dunque di adeguarsi alla tipologia adottata, per ogni singolo tributo, dalla legge statale; sarebbe in conflitto, ancora, con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., il quale attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale il «sistema tributario e contabile dello Stato», nonché con il terzo comma dello stesso articolo, che, attribuendo alla legislazione concorrente il «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», impone a tutte le Regioni il rispetto dei principi fondamentali del sistema tributario, tra i quali andrebbero annoverati quelli previsti dallo statuto del contribuente.

8.– La Regione Siciliana non si è costituita in giudizio.

9.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 24-30 ottobre 2017 e depositato il 3 novembre 2017 (reg. ric. n. 86 del 2017), ha altresì impugnato, tra gli altri, l’art. 34 della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I), con il quale è stato modificato il comma 2-bis dell’art. 2 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2015.

10.– Il ricorrente premette che la norma modificata dalla disposizione censurata è stata introdotta, nell’impianto dell’art. 2 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2015, dall’art. 19, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2016. Evidenzia, inoltre, che tale ultima disposizione è stata impugnata innanzi a questa Corte (reg. ric. n. 13 del 2017).

Sempre in premessa, il Presidente del Consiglio dei ministri ha altresì evidenziato che, con la modifica posta allo scrutinio della Corte, il legislatore regionale ha inteso delimitare nel tempo l’efficacia della norma innovata, circoscrivendone l’operatività al triennio 2017-2019.

Tale limitazione, ad avviso del ricorrente, non avrebbe, tuttavia, determinato il venir meno dei profili di illegittimità costituzionale addotti a suo tempo nei confronti della disposizione manipolata.

Di qui la riproposizione, anche nel tenore argomentativo, delle censure prospettate a suo tempo nei confronti della norma modificata, in ragione dell’immutato conflitto con gli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera e), Cost.

11.– Anche in questo giudizio la Regione Siciliana non ha inteso costituirsi.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato (reg. ric. n. 13 del 2017) l’art. 19, comma 1, della legge della Regione Siciliana 5 dicembre 2016, n. 24 (Assestamento del bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018), con il quale è stato aggiunto il comma 2-bis all’art. 2 della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2015, n. 16 (Tassa automobilistica regionale. Modifica dell’articolo 47 della legge regionale 7 maggio 2015, n. 9).

2.– Giova premettere che con la legge reg. Siciliana n. 16 del 2015, la Regione resistente ha istituito, a far tempo dal 1° gennaio 2016, la tassa automobilistica regionale, chiamata a sostituire quella erariale in precedenza vigente (art. 1), ribadendone pedissequamente i relativi profili costitutivi (art. 2, comma 2).

2.1.– La disposizione censurata interviene sull’impianto della legge regionale citata da ultimo.

In particolare, essa introduce, all’interno dell’art. 2, il comma 2-bis, tramite il quale si prevede che in caso di omesso, insufficiente o tardivo pagamento del tributo in esame – decorsi i termini previsti per l’eventuale ravvedimento spontaneo dall’art. 13, comma 1, lettere a), a-bis) e b), del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) – l’importo dovuto, comprensivo di interessi e sanzioni, venga immediatamente iscritto a ruolo.

Grazie alla innovazione in esame, dunque, la relativa pretesa impositiva assume immediata forza esecutiva, senza passare da una comunicazione al contribuente, precedente alla formazione del ruolo.

3.– Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri la disposizione impugnata sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 97, 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, della Costituzione, nonché con gli artt. 17 e 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

3.1.– In relazione ai parametri non competenziali evocati nel ricorso, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 3 Cost. per l’addotta, irragionevole, disparità di trattamento riservata ai contribuenti siciliani con riguardo all’accertamento ed alla riscossione della tassa automobilistica; prospetta, anche, il contrasto della disposizione censurata con l’art. 97 Cost., perché il modulo procedimentale configurato dalla disciplina regionale, omettendo il contraddittorio preventivo con il contribuente, finisce per incidere negativamente sul buon andamento dell’azione amministrativa.

3.2.– La difesa erariale procede, poi, ad una ricostruzione della disciplina normativa nazionale di riferimento, in esito alla quale giunge ad affermare che, quanto al tributo in oggetto, l’azione esecutiva tramite il ruolo presuppone comunque la presenza di un atto prodromico di contestazione inviato al contribuente.

Si segnala, inoltre, nel ricorso, che la norma impugnata sarebbe in conflitto con l’art. 6, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente).

Alla luce di tali premesse, la difesa erariale evoca, per un verso, i limiti statutari relativi alla competenza legislativa della Regione Siciliana in materia impositiva, richiamando all’uopo gli artt. 17 e 36 dello statuto regionale di autonomia, giacché la citata norma dello statuto dei diritti del contribuente, come confermato dall’art. 1 della medesima legge n. 212 del 2000, costituirebbe principio generale dell’ordinamento tributario, cui devono attenersi anche le Regioni ad autonomia speciale; per altro verso, adduce la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. (in relazione al «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario»).

Si prospetta, inoltre, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., avuto riguardo alla competenza legislativa esclusiva nazionale in tema di «sistema tributario e contabile dello Stato».

4.– Qualche mese dopo, la Regione Siciliana, con l’art. 34 della legge regionale 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I), è intervenuta sulla disposizione impugnata, delimitando l’ambito di operatività del previsto procedimento di accertamento e riscossione del tributo in esame al solo triennio 2017-2019.

4.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato (reg. ric. n. 86 del 2017) anche tale ultima disposizione (in uno ad altri articoli della stessa legge reg. Siciliana n. 16 del 2017).

Ad avviso del Governo, la modifica apportata non avrebbe eliso le ragioni di vulnus prospettate con il ricorso n. 13 del 2017 nei confronti della disposizione modificata.

4.2.– È stata, dunque, promossa l’impugnazione anche nei confronti di tale ultima disposizione di modifica, ritenuta in contrasto con gli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera e), Cost., sulla base del medesimo percorso argomentativo seguito nel contestare la legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2016.

5.– La stretta connessione che lega le disposizioni oggetto dei due ricorsi e la sostanziale sovrapponibilità delle censure prospettate rendono opportuna la riunione dei giudizi, per una trattazione e definizione unitaria degli stessi.

5.1.– Lo scrutinio degli altri articoli della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017 impugnati dal Presidente del Consiglio dei ministri resta riservato ad una separata decisione.

5.2.– La modifica introdotta con l’art. 34 legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, avendo esclusivamente delimitato nel tempo il perimetro di futura operatività del procedimento configurato dall’art. 2, comma 2-bis, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2015, non ha inciso, dunque, sull’interesse del ricorrente alla verifica di legittimità costituzionale sollecitata nei confronti dell’impugnato art. 19, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2016.

6.– La tassa automobilistica, disciplinata dal d.P.R. 5 febbraio 1953, n. 39 (Testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche), e successive modificazioni, trovava, in origine, il suo presupposto nella «circolazione sulle strade ed aree pubbliche degli autoveicoli e dei relativi rimorchi» (art. 1 del citato decreto).

Per effetto dell’art. 5 del decreto-legge 30 dicembre 1982, n. 953 (Misure in materia tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1983, n. 53, è divenuta tassa sulla proprietà del veicolo (o su titolo equiparato a tali fini), legata, quindi, nel suo presupposto costitutivo, ai dati emergenti dal Pubblico Registro Automobilistico (PRA).

6.1.– Assumendo la denominazione di tassa automobilistica regionale, il tributo in esame è stato attribuito, dall’art. 23, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), per intero alle Regioni a statuto ordinario, legittimate, ai sensi del successivo art. 24, comma 1, anche ad incidere sulle aliquote entro un limite massimo prestabilito dalla legge statale. Con l’art. 17, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), il legislatore statale ha altresì demandato alle dette Regioni «la riscossione, l’accertamento, il recupero, i rimborsi, l’applicazione delle sanzioni ed il contenzioso amministrativo relativo». 

6.2.– Innanzi ad un tale quadro normativo, successivo alla riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, ma precedente alla delega conferita al Governo con la legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 451 del 2007 e n. 455 del 2005) ha costantemente escluso che la tassa in esame potesse ritenersi tributo proprio delle Regioni a statuto ordinario ai sensi del combinato disposto degli artt. 117, quarto comma, e 119, secondo comma, Cost.

Non sono stati considerati rilevanti, a tal fine, l’integrale destinazione del gettito; né la possibilità di variare (entro certi limiti) le aliquote di riferimento; né, infine, il conferimento alle Regioni ordinarie delle funzioni concernenti la riscossione, i rimborsi, il recupero della tassa e delle sanzioni.

Piuttosto, si è dato rilievo decisivo al fatto della mancata devoluzione, a dette Regioni, del potere di disciplinare gli altri elementi costitutivi del tributo, così da confermare che la relativa disciplina legislativa doveva ritenersi ascritta alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tributi erariali.

Di qui la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., riscontrata in diverse occasioni scrutinando norme regionali che disponevano esenzioni dalla tassa automobilistica (sentenza n. 296 del 2003) o modificavano la disciplina dei termini per l’accertamento del tributo (sentenze n. 297 n. 311 del 2003). 

6.3.– Siffatta lettura interpretativa ha trovato continuità anche dopo la legge n. 42 del 2009 ed in esito alla conseguente emanazione del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario).

L’art. 8 del citato decreto legislativo, dopo aver disposto, al comma 1, la trasformazione di un’ampia serie di tributi statali in tributi propri regionali, a decorrere dal 1° gennaio 2013, prevede, al comma 2, che «[f]ermi restando i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione statale, le regioni disciplinano la tassa automobilistica regionale»; aggiunge, inoltre, al comma 3, che alle Regioni a statuto ordinario spettano gli altri tributi ad esse riconosciuti dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, precisando che i predetti tributi costituiscono tributi propri derivati.

Come già evidenziato da questa Corte (sentenza n. 288 del 2012), «[l]a diversificazione operata tra i citati commi 2 e 3 induce alla conclusione che la tassa in questione non ha acquisito, nel nuovo regime, la natura di tributo regionale proprio. Dalla formulazione del comma 2 si inferisce, infatti, non già la natura di tributo proprio della tassa automobilistica regionale […] ma solo la volontà del legislatore di riservare ad essa un regime diverso rispetto a quello stabilito per gli altri tributi derivati, attribuendone la disciplina alle Regioni, senza che questo comporti una modifica radicale di quel tributo».

Di qui la ritenuta natura di tributo derivato della tassa automobilistica pur in tale nuovo assetto normativo, con il conseguente, ribadito, limite, per le Regioni a statuto ordinario, di non poter incidere sui profili sostanziali della disciplina normativa di riferimento, comunque riservati al legislatore nazionale (in termini, da ultimo, sentenze n. 242 e n. 199 del 2016).

7.– Una siffatta conclusione interpretativa non può essere automaticamente estesa anche alle autonomie speciali.

Non si può escludere, infatti, che, in forza dell’autonomia impositiva prevista dai rispettivi statuti, gli enti interessati introducano, nella materia in esame, un tributo proprio, sostitutivo o comunque distinto da quello di matrice erariale, come, del resto, questa Corte ha già avuto modo di riconoscere proprio con riferimento alla tassa automobilistica (sentenze n. 118 del 2017 e n. 142 del 2012).

8.– In parte qua giova ribadire che l’autonomia finanziaria e tributaria della Regione Siciliana è disciplinata dagli artt. 36, 37 e 38 dello statuto, nonché dalle norme di attuazione dettate dal d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria).

8.1.– In particolare, in base all’art. 36 dello statuto, «[a]l fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima»; disposizione alla quale risulta immediatamente correlato l’art. 1 del d.P.R. n. 1074 del 1965, in forza del quale la Regione siciliana provvede al suo fabbisogno finanziario anche «mediante le entrate tributarie ad essa spettanti».

Mentre l’art. 2 del decreto citato da ultimo indica in che percentuali le entrate tributarie, diverse da quelle direttamente deliberate dalla Regione, sono da ritenersi destinate alla stessa, il successivo art. 6, a completamento del disposto dell’art. 36 dello statuto, per un verso (comma 1), afferma che «le disposizioni delle leggi tributarie dello Stato hanno vigore e si applicano anche nel territorio della Regione», fatto salvo quanto venga disposto dalla Regione nell’esercizio e nei limiti della competenza legislativa ad essa spettante; per altro verso (comma 2), ribadisce che «nei limiti dei principi del sistema tributario dello Stato la Regione può istituire nuovi tributi in corrispondenza alle particolari esigenze della comunità regionale».

Vengono così estesi all’autonomia legislativa in materia di imposizione fiscale, i vincoli previsti dall’art. 17 dello statuto di autonomia, riferiti, in genere, alle competenze legislative ivi indicate, non coincidenti con quelli previsti dall’art.14, da esercitare entro «i limiti dei principi e degli interessi cui si informa la legislazione dello Stato».

8.2.– In virtù di tale quadro normativo, la Regione Siciliana ha, dunque, il potere di integrare la disciplina dei tributi erariali, nei limiti segnati dai principi della legislazione statale relativi alla singola imposizione (sentenze n. 138 e n. 111 del 1999), in termini non dissimili da quanto previsto per le Regioni ordinarie dall’art. 117, comma secondo, lettera e), Cost.; ancora, può deliberare, con legge regionale, tributi propri, disciplinando in modo originale tutti gli elementi del prelievo, anche quelli fondamentali, nel rispetto dei principi del «sistema tributario italiano» così come imposto dall’art. 6, comma 2, delle norme di attuazione richiamate.

8.3.– Tale ultimo limite, peraltro, si distingue da quello della necessaria osservanza «dei principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario» previsto dall’art. 119, secondo comma, Cost., per le Regioni ordinarie.

L’autonomia legislativa riconosciuta, in forza dello statuto speciale, alla Regione resistente in materia di imposizione fiscale, appare, infatti, più ampia rispetto a quella garantita alle Regioni ordinarie (sentenza n. 102 del 2008, relativa ad una analoga previsione statutaria della Regione autonoma Sardegna; ordinanza n. 250 del 2007 relativa allo statuto siciliano); e ciò trova conferma, per quel che qui immediatamente interessa, nella facoltà, attribuita alle autonomie speciali, di istituire tributi propri con riferimento a presupposti già coperti dall’imposizione erariale, ipotesi invece preclusa alle Regioni ordinarie in forza di quanto esplicitato dall’art. 7, comma 1, lettera b), n. 3 della legge n. 42 del 2009.

9.– Come già evidenziato, con la legge reg. n. 16 del 2015 la Sicilia ha disciplinato autonomamente il tributo in questione, introducendo una disciplina espressamente volta a sostituire quella erariale (art 1). In coerenza, ne ha assunto direttamente le funzioni amministrative di controllo e riscossione.

L’art. 3 della citata legge regionale prevede in particolare che le stesse vengano svolte secondo le modalità tracciate dalla relativa disciplina nazionale, facendo apposito riferimento al decreto del Ministro delle finanze del 25 novembre 1998, n. 418 (Regolamento recante norme per il trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni in materia di riscossione, accertamento, recupero, rimborsi e contenzioso relative alle tasse automobilistiche non erariali), il cui art. 3, a sua volta, rimanda alla riscossione delegata a terzi, all’epoca (del citato decreto ministeriale) regolata dal d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 (Istituzione del Servizio di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 4 ottobre 1986, n. 657).

9.1.– Se, dunque, prima della novità legislativa offerta dalla legge reg. Siciliana n. 16 del 2015, non v’era incertezza in ordine alla natura derivata della tassa automobilistica regionale riscossa in Sicilia (sentenza n. 135 del 2012), di contro, l’innovazione apportata da tale legge regionale impone di verificare l’attuale tenuta di una siffatta conclusione.

9.2.– Alla stregua di quanto previsto dal secondo comma dell’art. 119 Cost., per le Regioni ordinarie, nonché in forza di quanto dettato, per le autonomie speciali, dalle specifiche previsioni statutarie e attuative, l’introduzione di tributi propri da parte delle Regioni presuppone essenzialmente il rispetto dell’art. 23 Cost. e dunque la necessaria istituzione tramite legge regionale.

Peraltro, mentre per le Regioni ordinarie, la competenza legislativa regionale in materia appare condizionata dal necessario rispetto dei «principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» dettati dalla legge nazionale, primo tra tutti quello del divieto della doppia imposizione; per le autonomie speciali, in forza di clausole omologhe a quella prevista per la Regione resistente, l’unica specifica condizione richiesta per legittimamente istituire e disciplinare i tributi propri regionali è che il tributo proprio sia «in armonia con i principi del sistema tributario dello Stato» (sentenza n. 102 del 2008).

9.3.– È ben vero che questa Corte (sentenza n. 118 del 2017), proprio con riferimento alla tassa automobilistica introdotta da altro ente dotato di autonomia speciale (la Provincia autonoma di Trento), nel qualificare la stessa come tributo proprio, ha dato rilievo anche ad una specifica copertura statutaria di tale prelievo, in quella occasione riscontrata.

Tuttavia, va nuovamente rimarcato che la legge reg. Siciliana n. 16 del 2015, non lascia dubbi in ordine al radicale subentro della disciplina regionale in luogo di quella erariale previgente.

Di contro, nella disciplina presa in considerazione dalla detta sentenza (art. 4 della legge della Provincia autonoma di Trento 11 settembre 1998, n. 10, recante «Misure collegate con l’assestamento di bilancio per l’anno 1998»), si dava espressamente atto della transitorietà delle relative previsioni (comma 2 del citato art. 4), «in attesa di una disciplina organica della tassa automobilistica provinciale». Siffatto elemento testuale, considerato alla luce del richiamo alla legislazione nazionale di riferimento, contenuto nella detta disciplina, era foriero di possibili incertezze interpretative quanto alla temporanea continuità della derivazione erariale del tributo; incertezze, queste, poi definitivamente superate, secondo le valutazioni svolte da questa Corte nell’occasione, dalla sopravvenuta modifica statutaria apportata dall’art. 2, comma 107, lettera c), numero 1), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», tramite la quale è stata riconosciuta «esplicitamente alla tassa automobilistica istituita con legge provinciale la natura di tributo proprio» (così la citata sentenza n. 118 del 2017).

La previsione statutaria riferita alla specifica situazione impositiva, dunque, lungi dal costituire un presupposto generale indefettibile per la legittima introduzione di tributi propri da parte delle autonomie speciali, rappresentava, in quella particolare situazione, un ulteriore spunto argomentativo per meglio inquadrare la natura del tributo.

9.4.– Si è anticipato che la tassa regionale predisposta dal legislatore siciliano replica integralmente i tratti costitutivi di quella erariale, cui fa espresso riferimento (art. 2).

A ben vedere, tuttavia, tale elemento di valutazione non assume un rilievo decisivo per escludere la natura propria del tributo in esame. Infatti, nell’esercitare la propria autonomia impositiva, l’ente territoriale dotato di autonomia speciale può decidere di ribadire i tratti costituivi della omologa previsione erariale, ritenendoli confacenti alle proprie esigenze territoriali, senza che questo incida sulla qualifica del tributo.

10.– Non vi sono, dunque, ragioni per non ritenere la tassa automobilistica regionale introdotta dalla legge reg. Siciliana n. 16 del 2015 un tributo proprio della Regione resistente.

Ciò porta a ritenere decisiva la censura prospettata dal ricorrente in riferimento ai rilevati limiti statutari e, al contempo, rende non pertinenti le questioni prospettate in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, Cost.

11.– Ristretto, dunque, il perimetro cognitivo ascritto a questa Corte unicamente al riscontro della condizione legittimante offerta dal disposto degli artt. 36 dello statuto di autonomia e 6, comma 2, del d.P.R. n. 1074 del 1965, deve escludersi che le disposizioni censurate diano luogo a distonie di sistema con la tipologia e la struttura degli istituti tributari statali visti nel loro complessivo assetto ordinamentale.

La disciplina regionale in esame, piuttosto, appare in armonia con lo «"spirito” del sistema tributario dello Stato» (sentenze n. 102 del 2008 e n. 304 del 2002), dando corpo ad un modulo procedimentale di determinazione della pretesa tributaria che si rivela omogeneo ad altre ipotesi impositive previste dalla legislazione statale, caratterizzate da analoghi profili strutturali nel verificare il corretto adempimento della prestazione tributaria.

11.1.– Sotto questo versante, si rivela inconferente la ricostruzione normativa operata nei ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri quanto alla disciplina statale della tassa in esame, la quale, in ogni caso, non vincola la Regione autonoma, una volta considerata l’imposizione in oggetto un tributo "proprio” in senso stretto.

Appare, invece, pertinente il riferimento al comma 5 dell’art. 6 dello statuto dei diritti del contribuente in forza del quale – in caso di liquidazioni di tributi risultanti da dichiarazioni e sempre che sussistano «incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione» – l’iscrizione a ruolo, altrimenti possibile anche in via immediata, deve essere preceduta, a pena di nullità, da un avviso rivolto al contribuente, finalizzato ad ottenere da quest’ultimo gli opportuni chiarimenti, anche documentali.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, siffatta previsione avrebbe una portata sistematica generale; vincolerebbe, inoltre, anche la Regione Siciliana in ragione di quanto previsto dall’art. 1, comma 1, dello stesso statuto dei diritti del contribuente, perché riconducibile ai «principi generali dell’ordinamento tributario».

12.– Anche a voler ritenere che il principio desumibile dal comma 5 dell’art. 6 dello statuto dei diritti del contribuente sia dotato di una portata generale, tale da superare il riferimento letterale alle liquidazioni di tributi che risultano da dichiarazioni del contribuente, la censura si rileva comunque non fondata.

13.– Secondo quanto previsto dalla disciplina regionale impugnata, il ruolo, che conferisce all’obbligazione tributaria forza esecutiva, non viene preceduto da alcun atto partecipativo destinato al contribuente: si forma unilateralmente per determinazione amministrativa, al semplice riscontro della omissione, della inesattezza o della intempestività del pagamento.

Il contribuente acquisisce contezza della pretesa azionata dall’ente impositore solo per il tramite della cartella di pagamento; ed avverso la cartella può proporre ricorso per vizi che afferiscono non solo alla stessa ed al ruolo che la giustifica, ma anche all’an della pretesa tributaria.

13.1.– Non è superfluo sottolineare che l’accertamento inerente al tributo in esame, nella sua ordinarietà, è connotato da una evidente semplicità di contenuti, risolvendosi in un mero controllo cartolare.

La definizione della pretesa impositiva in esame riposa infatti, di regola, sulla spontaneità di adempimento del contribuente, chiamato a provvedere al pagamento senza sollecitazione alcuna, sulla base delle scadenze indicate e dei parametri di commisurazione determinati, secondo canoni standard, dalla norma impositiva.

In caso di inadempimento, la determinazione della pretesa tributaria da attuare – che mantiene comunque una sua autonomia rispetto alla successiva fase esecutiva – passa attraverso l’esame delle risultanze del PRA, comunicate all’ente impositore dal relativo tenutario (art. 5 del d.l. n. 953 del 1982); e si correla, dunque, ad una indagine documentale elementare, realizzata tramite il controllo incrociato tra gli elementi attestanti la titolarità del mezzo e i flussi informativi inerenti il puntuale adempimento della prestazione richiesta. Spicca, sotto questo profilo, la particolare attendibilità del dato documentale destinato ad attestare la riferibilità soggettiva del relativo presupposto impositivo, derivante da un pubblico registro formato su iniziativa dello stesso contribuente (su impulso del quale si procede alle relative iscrizioni e trascrizioni).

Ciò finisce per riconoscere alle emergenze documentali poste alla base della formazione del ruolo un rilevante grado di verosimiglianza quanto alla corretta imputazione soggettiva del tributo: a fronte della evidente modestia tecnica della fase amministrativa di determinazione del dovuto (sentenze n. 62 del 1998 e n. 233 del 1996) e in considerazione del grado di affidabilità del procedimento che porta alla formazione unilaterale del titolo (ordinanza n. 111 del 2007), si neutralizzano, in coerenza, i margini di utilità che potrebbero derivare da una partecipazione attiva del contribuente alla fase che precede l’iscrizione a ruolo del tributo.

14.– La censura mossa dal Presidente del Consiglio dei ministri riposa su una concezione del ruolo caratterizzata da una valenza principalmente esecutiva quale atto della riscossione.

Il ricorrente, tuttavia, non considera adeguatamente il diverso atteggiarsi della natura del ruolo a seconda delle caratteristiche proprie della pretesa tributaria da attuare, diversamente graduata in rapporto alla complessità dell’attività di verifica che precede e sostanzia la determinazione del dovuto.

Sotto tale profilo, va rimarcato che, nel tempo, il sistema tributario statale è stato interessato da una tendenziale unificazione delle fasi di accertamento e riscossione.

14.1.– In proposito, è certamente di interesse la disciplina introdotta dall’art. 29 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, chiamata a regolare l’azione impositiva inerente le imposte sul reddito, l’imposta sul valore aggiunto (IVA) e l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).

In forza di quanto previsto dal citato art. 29, infatti, gli avvisi di accertamento relativi a dette imposte (limitatamente a quelli emessi dal 1° ottobre 2011, relativi ai periodi di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi), una volta divenuti definitivi perché non impugnati giudizialmente, legittimano l’erario ad azionare la fase di riscossione senza passare dall’iscrizione a ruolo del tributo e prescindendo, anche, dall’invio della cartella di pagamento. L’atto di accertamento trasmesso al contribuente contiene dunque in sé anche i prodromi della futura attività di esazione del tributo.

14.2.– Inoltre, nell’ottica che più interessa l’odierna verifica di legittimità costituzionale, assumono particolare rilievo le ipotesi, legate al recupero delle medesime imposte dirette, divenute residuali e rimaste estranee al modulo configurato dal detto art. 29 del d.l. n. 78 del 2010, ricavabili dal complessivo tenore dell’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito).

Tra queste spiccano, per quel che qui immediatamente rileva, le liquidazioni effettuate in base alle dichiarazioni e per mezzo delle procedure automatizzate ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia accertamento delle imposte sui redditi), cui vanno equiparate quelle previste dall’art. 54-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto). Ipotesi, queste, rispetto alle quali le somme dovute a titolo di imposta, comprese quelle inerenti ai correlati accessori, sono «iscritte direttamente nei ruoli a titolo definitivo», in forza dell’art. 2 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462 (Unificazione a fini fiscali e contributivi delle procedure di liquidazione, riscossione e accertamento a norma dell’articolo 3, comma 134, lettera b, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).

All’iscrizione immediata tuttavia non si provvede laddove il contribuente abbia provveduto al pagamento del dovuto «entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione prevista dai commi 3 dei predetti articoli 36-bis e 54-bis» (art. 2, comma 2, del citato d.lgs. n. 462 del 1997), cui l’amministrazione è tenuta solo se dai controlli emerge un risultato diverso da quello prospettato dalla dichiarazione o, ancora, una imposta o una maggiore imposta, e solo se ciò può consentire al contribuente di evitare la reiterazione di errori o di regolarizzare aspetti formali.

14.3.– Le previsioni citate da ultimo danno conto della certa compatibilità del modulo previsto dalla norma siciliana impugnata con il sistema tributario statale.

Rappresentano, infatti, situazioni nelle quali il ruolo e la successiva cartella perdono la loro connotazione esclusivamente esecutiva per esprimere anche la fase (se non di accertamento, quantomeno) di liquidazione della pretesa. Danno conferma, soprattutto, della possibilità, assentita dal sistema, di procedere alla immediata iscrizione a ruolo senza prevedere alcuna forma di partecipazione preventiva del contribuente, ogni qualvolta la verifica dell’inadempimento si rilevi immune da valutazioni interpretative.

Il tutto seguendo un modulo semplificato che trova ulteriori riscontri, ad esempio, in caso di inadempimento nel pagamento delle somme rateizzate ex art. 15-ter del d.P.R. n. 602 del 1973; o ancora, nell’ipotesi inerente all’irrogazione delle sanzioni, ex art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997.

14.4.– Assume valenza dirimente in tal senso l’ipotesi della dichiarazione non seguita dal versamento del dovuto.

Come confermato dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione (ex plurimis, tra le più recenti, Corte di cassazione civile, ordinanze n. 27716 e n. 21020 del 2017; sentenza n. 13759 del 2016; ordinanza n. 3153 del 2015), l’iscrizione a ruolo non deve essere preceduta dalla comunicazione rivolta al contribuente. L’avviso preventivo rispetto alla formazione immediata del ruolo perde, infatti, la sua ragion d’essere nelle ipotesi di versamenti incompleti, tardivi o integralmente omessi, rispetto ad un presupposto impositivo già cristallizzato, quale quello emergente dalla dichiarazione proveniente dallo stesso contribuente.

Diviene pertanto superflua l’interlocuzione preventiva con il contribuente a fronte di una verifica amministrativa che ha contenuti esclusivamente cartolari, priva di margini interpretativi (Corte di cassazione civile, sentenza n. 9672 del 2018).

14.5.– Del resto, una tale interpretazione trova la sua conferma proprio nella disposizione dello statuto dei diritti del contribuente evocata dal Governo a sostegno dell’addotta censura.

Siffatta disposizione non impone, a pena di nullità, che la comunicazione preventiva al contribuente venga effettuata per ogni ipotesi di liquidazione. Piuttosto, prevede l’avviso preventivo solo per quelle liquidazioni rispetto alle quali si riscontrino «incertezze su aspetti rilevanti» della pretesa tributaria oggetto del ruolo: ipotesi, questa, che va radicalmente esclusa, per l’appunto, laddove si versi in caso di omesso, integrale o parziale, o comunque intempestivo versamento del dovuto, determinato in forza della stessa dichiarazione del contribuente e riscontrato in esito ai riferiti controlli automatici (ex plurimis, Corte di cassazione civile, ordinanze n. 1711 del 2018 e n. 27716 del 2017).

14.6.– Diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, le superiori indicazioni interpretative si attagliano perfettamente al procedimento impositivo configurato dalle disposizioni impugnate.

14.6.1.– L’immediata iscrizione a ruolo prevista dalla disciplina regionale censurata si lega ad un tributo il cui profilo determinativo, in caso di inadempimento, emerge per tabulas, attraverso meri riscontri documentali; e ciò in termini non diversi da quanto accade per i versamenti non eseguiti, riscontrati in esito ai citati controlli realizzati ex artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972.

I presupposti del debito tributario (la dichiarazione predisposta dal contribuente per un verso e le emergenze del PRA, per altro verso), nonché la stessa condotta che concreta l’inadempimento fiscale presentano, infatti, immediate e decisive analogie di contenuto.

14.6.2.– L’inserzione della liquidazione del tributo nella fase di formazione del ruolo appare, quindi, giustificata da una azione amministrativa di determinazione del dovuto priva di significativi margini di discrezionalità interpretativa.

Parimenti, il sacrificio del contradittorio preventivo con il contribuente trova una giustificazione di sistema identica a quella già descritta in tema di controlli automatici; e, alla stessa stregua di tali ultime ipotesi, risulta adeguatamente compensato dalla possibilità, per il contribuente, di fare valere l’insussistenza della pretesa sia in via amministrativa, sollecitando un annullamento in autotutela, sia in sede giudiziaria, anche tramite l’eventuale attivazione della tutela cautelare, anticipatoria della futura decisione di merito (ordinanza n. 111 del 2007).

14.6.3.– Ne consegue che, nelle situazioni ordinarie, laddove al presupposto costitutivo documentato dal PRA non faccia seguito, alla relativa scadenza, l’adempimento dell’obbligazione tributaria, la disciplina regionale censurata finisce per porsi certamente in linea con l’indicazione di principio emergente dall’art. 6, comma 5, dello statuto dei diritti del contribuente.

Ciò non preclude, del resto, che, proprio in forza di tale ultima disposizione, l’avviso strumentale ad un contraddittorio antecedente alla formazione del ruolo possa recuperare la sua funzionalità ogni qual volta la determinazione del tributo e l’inadempimento che la fonda riposino su valutazioni interpretative di competenza dell’amministrazione interessata, per ciò solo estranee alle connotazioni di strutturale semplicità che di norma caratterizzano il recupero della tassa in questione.

14.7.– In conclusione, va ribadito che con le norme censurate si realizza una crasi procedimentale che compensa adeguatamente l’esigenza collettiva di ottimizzazione della esazione fiscale con quelle di difesa del contribuente, senza porsi in termini di incompatibilità con il sistema tributario statale, il quale prevede ipotesi di regolamentazione non dissimili in presenza di presupposti analoghi.

15.– Esclusa, dunque, l’incompatibilità di sistema sottesa alla censura prospettata in riferimento ai limiti statutari, non è superfluo rimarcare, inoltre, che le disposizioni censurate non entrerebbero in conflitto neppure con la specifica normativa di settore imposta dalla disciplina erariale.

15.1.– La normativa nazionale in materia, ricostruita nel ricorso dall’Avvocatura, non prevede una obbligatoria partecipazione del contribuente alla formazione del ruolo impositivo.

In particolare, non depone in tal senso l’art. 2 della legge 24 gennaio 1978, n. 27 (Modifiche al sistema sanzionatorio in materia di tasse automobilistiche), diversamente dal rilievo che a siffatta disposizione mostra di dare il Presidente del Consiglio dei ministri.

15.2.– Il processo verbale di constatazione previsto dal comma 1 di tale disposizione, da notificare al proprietario del mezzo non oltre novanta giorni dall’accertamento, pena l’estinzione del dovuto per la violazione riscontrata, dà infatti luogo ad un modulo procedimentale che, nell’interpretazione della Corte di cassazione civile (sentenza n. 13147 del 2014, la quale riprende un orientamento tracciato con la sentenza n. 1649 del 1998), per il vero correttamente citata dalla stessa difesa del ricorrente, aveva una ragion d’essere nell’originaria configurazione del tributo quale tassa sulla circolazione.

Mutato il presupposto di imposta, ora legato solo alla proprietà (o ad un titolo considerato equipollente a tali fini) del mezzo, l’accertamento della violazione (non più inerente la circolazione su strada del mezzo) appare oggi esclusivamente demandato al flusso informativo, disciplinato dall’art. 5 del d.l. n. 953 del 1982, legato alle emergenze del PRA.

15.3.– Né, ancora, assume rilievo al fine l’ingiunzione di pagamento (comma 7, sempre del citato art. 2 della legge n. 29 del 1978) che l’amministrazione, sul presupposto della notifica del verbale di constatazione (previsto dal comma 1) e del protratto inadempimento del contribuente, avrebbe dovuto emettere per la riscossione del tributo evaso (comma 6).

L’ingiunzione concretava, in quel modulo, l’inizio della fase di esecuzione, secondo modalità di azione definitivamente superate dal riferimento alla riscossione a mezzo ruolo a far data dalla vigenza dell’art. 67, comma 1, del d.P.R. n. 43 del 1988: si rivela, dunque, oggi ininfluente perché nulla dice in ordine alle iniziative che, venuto meno l’accertamento (su strada) originariamente previsto, una volta completata la fase interna di verifica amministrativa, dovrebbero precedere l’iscrizione a ruolo.

15.4.– Non va trascurato, infine, che la disciplina regionale censurata attiene alle funzioni di accertamento e riscossione dell’imposizione relative alla tassa automobilistica demandate dallo Stato alle Regioni ordinarie con la già richiamata legge n. 449 del 1997. Con riguardo alla Regione Siciliana, va poi ribadito che la riscossione risulta ascritta ai profili di sua esclusiva pertinenza (ex art. 8 delle norme di attuazione del 1965), mentre l’attività di accertamento del tributo in questione, prima svolta dall’Agenzia delle entrate, risulta oggi definitivamente avocata alle competenze della Regione Siciliana, in forza di quanto previsto dall’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2015.

In questa cornice di riferimento, la previsione regionale relativa al procedimento impositivo deve ritenersi coerente con lo spazio riconosciuto alla Regione Siciliana relativamente all’azione amministrativa che porta alla attuazione della pretesa tributaria in oggetto. E ciò a maggior ragione alla luce delle considerazioni di principio già svolte nel rimarcare la stretta analogia che corre tra la disciplina oggetto di scrutinio ed altre fattispecie di attuazione dell’imposizione fiscale previste dal sistema nazionale, rispetto alle quali, come nel caso in esame, la partecipazione del contribuente alla fase di formazione della pretesa impositiva si rivela non determinante sul corretto incedere della relativa azione amministrativa.

Non a caso, del resto, siffatto modulo risulta già adottato da altre Regioni, anche a statuto ordinario, con riferimento al tributo in esame. Rilevano, in via esemplificativa, in tal senso l’art. 61, comma 2-bis, della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 15 aprile 2008, n. 9 (Assestamento del bilancio di previsione per l’anno finanziario 2008, modifiche a disposizioni legislative, variazioni al bilancio di previsione per l’anno finanziario 2008 e a quello pluriennale per il triennio 2008-2010); gli artt. 85 e 86 della legge della Regione Lazio 13 agosto 2011, n. 12 (Disposizioni collegate alla legge di assestamento del bilancio 2011-2013); l’art. 4 della legge della Regione Emilia-Romagna 7 dicembre 2011, n. 17 (Norme in materia di tributi regionali). Disposizioni, queste, mai impugnate da parte dello Stato.

Di qui l’infondatezza della censura prospettata in riferimento agli artt. 17 e 36 dello statuto regionale siciliano.

16.– Infine, sono inammissibili, perché generiche in quanto prive di alcun sostegno argomentativo, le due censure estranee ai parametri competenziali, riferite ad entrambe le disposizioni impugnate.

16.1.– Secondo quanto costantemente affermato da questa Corte, il ricorso in via principale deve contenere «una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale della legge. In particolare, l’atto introduttivo al giudizio non può limitarsi a indicare le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità, ma deve contenere […] anche una argomentazione di merito, sia pure sintetica, a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità, posto che l’impugnativa deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente assertiva» (ex plurimis, sentenza n. 107 del 2017 che richiama anche le sentenze n. 251, n. 153, n. 142, n. 82 e n. 13 del 2015).

16.2.– Ciò premesso, in relazione alla censura mossa in riferimento all’art. 3 Cost., è meramente assertiva l’affermazione in forza alla quale la disciplina censurata darebbe luogo ad una discriminazione in danno dei contribuenti siciliani, non altrimenti argomentata. Ciò ancor più considerando l’autonomia legislativa in materia impositiva nel caso di specie esercitata dalla resistente in forza di quanto previsto dallo statuto speciale.

16.3.– Parimenti è a dirsi in ordine alla ritenuta violazione dell’art. 97 Cost., addotta senza motivare le ragioni in forza delle quali la mancanza della comunicazione di un atto prodromico alla iscrizione a ruolo metterebbe in crisi il buon funzionamento dell’azione amministrativa.

Il tutto, del resto, senza confrontarsi con le peculiarità proprie del tributo in questione e senza argomentare in alcun modo in ordine alle fattispecie impositive connotate da contenuti analoghi, riscontrate nel sistema tributario nazionale e regolate in termini non dissimili dalla disciplina dettata in tema di tassa automobilistica dalla Regione Siciliana.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 86 del 2017, in relazione alle disposizioni diverse dall’art. 34 della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I);

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, della legge della Regione Siciliana 5 dicembre 2016, n. 24 (Assestamento del bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2016 e per il triennio 2016-2018), promosse, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe iscritto al n. 13 del registro ricorsi 2017;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34 della legge della reg. Siciliana n. 16 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe iscritto al n. 86 del registro ricorsi 2017;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2016, promosse, in riferimento agli artt. 17 e 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 e in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe iscritto al n. 13 del registro ricorsi 2017;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2017, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe iscritto al n. 86 del registro ricorsi 2017.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2018.