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SENTENZA N. 297
ANNO 2003
Commento alla decisione di
Matteo Barbero e Valter Baratta, Brevi considerazioni sugli effetti delle recenti sentenze n. 296-297 del 2003 della Corte costituzionale nei confronti della contabilità regionale (nella Rivista telematica Lexitalia.it)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, e 5, comma 3, della legge della Regione Veneto 9 agosto 2002, n. 18 (Disposizioni in materia di gestione dei tributi regionali), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato l’11 ottobre 2002, depositato in Cancelleria il 19 successivo ed iscritto al n. 75 del registro ricorsi 2002.
udito nell’udienza pubblica dell’8 aprile 2003 il Giudice relatore Annibale Marini;
uditi l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso ritualmente notificato e depositato il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 119, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, e 5, comma 3, della legge della Regione Veneto 9 agosto 2002, n. 18 (Disposizioni in materia di gestione dei tributi regionali).
L’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 18 del 2002, disponendo il «rinvio» al 31 dicembre 2003 del termine del 31 dicembre 2002, previsto per il recupero delle tasse automobilistiche regionali dovute per l’anno 1999, violerebbe l’art. 119, secondo comma, Cost., in quanto si porrebbe in contrasto con il principio fondamentale del sistema tributario, enunciato nell’art. 3 della legge statale 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), secondo cui i termini di prescrizione e decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati.
La medesima norma sarebbe, sotto altro aspetto, lesiva della potestà legislativa esclusiva dello Stato, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione nella materia dell’ordinamento civile, comprensiva della disciplina delle cause di estinzione dei diritti per prescrizione o decadenza.
L’art. 5 della stessa legge, dopo aver dichiarato, al comma 1, non più applicabile, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, la tassa di concessione per la ricerca e la raccolta dei tartufi, dichiara estinti, al comma 3, i crediti relativi alla medesima tassa ed alle connesse sanzioni, ancora dovuti alla data di cui sopra.
Quest’ultima disposizione, ad avviso dell’Avvocatura, sarebbe lesiva dei principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in quanto attribuirebbe un ingiustificato beneficio ai contribuenti che non abbiano tempestivamente adempiuto l’obbligazione tributaria.
La medesima norma si porrebbe, altresì, in contrasto con l’art. 119, secondo comma, Cost., in quanto non rispettosa dei principi fondamentali risultanti, in materia, dalla legislazione statale, ed in particolare di quello della «necessarietà per la Regione di provvedere alla “realizzazione” dei crediti corrispondenti al tributo alla stessa attribuito e dalla stessa istituito, nei confronti di tutti i contribuenti obbligati per legge al verificarsi del relativo presupposto».
2.- La Regione Veneto si è costituita in giudizio, concludendo per il rigetto del ricorso.
La Regione resistente muove dalla premessa che l’ordinamento delineato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), insieme all’attribuzione allo Stato della potestà legislativa esclusiva per la disciplina dei soli tributi erariali (art. 117, secondo comma, lettera e), ed alle regioni per quanto riguarda tutti gli altri tributi regionali e locali (art. 117, quarto comma), debba portare a riconoscere che le regioni sono dotate di una potestà normativa d’imposizione primaria e non secondaria.
L’art. 119, secondo comma, Cost., nel disporre che gli enti locali e le regioni stabiliscono e applicano i tributi propri secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, opererebbe un implicito richiamo all’art. 117, terzo comma, che ricomprende il coordinamento tra le materie oggetto di legislazione concorrente, nelle quali allo Stato spetta solo la determinazione dei principi fondamentali. Fermo restando che in assenza di una legge quadro sul coordinamento del sistema tributario le regioni potrebbero legiferare, ricavando i principi dalla disciplina vigente, come del resto affermato dalla stessa Corte nella sua prima giurisprudenza sul punto (sentenza n. 282 del 2002
).
Sulla base di tali premesse, le norme impugnate si sottrarrebbero, dunque, alle censure di illegittimità costituzionale avanzate dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Quanto al differimento dei termini per il recupero delle tasse automobilistiche (art. 2, comma 1), assume, infatti, la Regione che il principio di cui all’art. 3 della legge n. 212 del 2000 sarebbe derogabile e privo di valore assoluto e che la disposta proroga sarebbe giustificata dal fine di evitare il rischio di emettere cartelle di pagamento errate, a causa della inidoneità della documentazione in possesso della Regione stessa ad assicurare una corretta azione di recupero.
Circa l’estinzione dei crediti relativi alla soppressa tassa di concessione per la ricerca e la raccolta dei tartufi, osserva la medesima Regione che la disposizione denunciata, comunque riguardante un tributo economicamente insignificante, troverebbe la sua giustificazione nella onerosità della riscossione a fronte della esiguità del gettito e che, d’altro canto, l’impugnativa proposta dal Governo sembrerebbe voler escludere l’esistenza di qualsiasi spazio di autonomia in capo alla regione.
3.- Nell’imminenza dell’udienza pubblica, entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative a sostegno delle conclusioni rispettivamente assunte.
Considerato in diritto
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in via principale, degli artt. 2, comma 1, e 5, comma 3, della legge della Regione Veneto 9 agosto 2002, n. 18 (Disposizioni in materia di gestione dei tributi regionali), in riferimento agli artt. 3, 117, secondo comma, lettera l), e 119, secondo comma, della Costituzione.
Ad avviso del ricorrente, entrambe le norme si porrebbero in contrasto con i principi fondamentali del sistema tributario posti dalla legislazione statale. L’art. 2, comma 1 - relativo alla disciplina della prescrizione del potere di accertamento della tassa automobilistica – violerebbe, inoltre, la competenza legislativa esclusiva dello Stato prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera l), nella materia dell’ordinamento civile, mentre l’art. 5, comma 3, dichiarando estinti i crediti, esistenti alla data di entrata in vigore della legge, relativi alla tassa di concessione per la ricerca e la raccolta dei tartufi, sarebbe lesivo dei principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in quanto si risolverebbe nell’attribuzione di un indebito ed irragionevole vantaggio a favore dei contribuenti inadempienti all’obbligo di pagamento del tributo.
2.- La questione relativa all’art. 2, comma 1, della legge della Regione Veneto n. 18 del 2002 è fondata.
Riguardo alla natura del tributo di cui si tratta, va ricordato che la tassa automobilistica, disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 5 febbraio 1953, n. 39 (Testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche), e successive modificazioni, è stata «attribuita» per intero alle regioni a statuto ordinario dall’art. 23, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), assumendo contestualmente la denominazione di tassa automobilistica regionale (mantenuta nonostante l’intervenuto mutamento della sua natura giuridica), e che l’art. 17, comma 10, della successiva legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), ha altresì demandato alle regioni «la riscossione, l’accertamento, il recupero, i rimborsi, l’applicazione delle sanzioni ed il contenzioso amministrativo relativo» alla suddetta tassa.
Lo stesso art. 17 della legge n. 449 del 1997 determina, al comma 16, il criterio di tassazione degli autoveicoli a motore – in base alla potenza effettiva anziché, come in passato, ai cavalli fiscali – e stabilisce, ai fini dell’applicazione di tale disposizione, che le nuove tariffe delle tasse automobilistiche sono fissate «con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro dei trasporti e della navigazione, [...] per tutte le regioni, comprese quelle a statuto speciale, in uguale misura», confermando, a decorrere dall’anno 1999, il potere - attribuito alle regioni dall’art. 24, comma 1, del decreto legislativo n. 504 del 1992 - di determinare con propria legge gli importi della tassa per gli anni successivi, «nella misura compresa tra il 90 ed il 110 per cento degli stessi importi vigenti nell’anno precedente».
In definitiva, alle regioni a statuto ordinario è stato attribuito dal legislatore statale il gettito della tassa, unitamente all’attività amministrativa connessa alla sua riscossione, nonché un limitato potere di variazione dell’importo originariamente stabilito con decreto ministeriale, restando invece ferma la disciplina statale per ogni altro aspetto sostanziale della tassa stessa.
La tassa automobilistica non può, dunque, allo stato, ritenersi «tributo proprio della regione», nel senso in cui oggi tale espressione è adoperata dall’art. 119, secondo comma, Cost., essendo indubbio il riferimento della norma costituzionale ai soli tributi istituiti dalle regioni con propria legge, nel rispetto dei principi del coordinamento con il sistema tributario statale.
Ne discende che la disciplina sostanziale dell’imposta non è divenuta – come la stessa Avvocatura sembra erroneamente ritenere – oggetto di legislazione concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, ma rientra tuttora nella esclusiva competenza dello Stato in materia di tributi erariali, secondo quanto previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera e).
La norma impugnata, modificando la disciplina dei termini per l’accertamento del tributo, in senso oltretutto lesivo del legittimo affidamento dei cittadini nel rapporto con l’amministrazione finanziaria, viola tale esclusiva competenza statale e va, perciò, dichiarata costituzionalmente illegittima.
3.- Non è invece fondata la questione relativa all’art. 5, comma 3, della medesima legge regionale n. 18 del 2002.
Va premesso che la tassa di concessione di cui si tratta deve considerarsi «tributo proprio della regione» – nel senso sopra chiarito – essendo stata istituita dall’art. 12, comma 1, della legge regionale 28 giugno 1988, n. 30 (Disciplina della raccolta, coltivazione e commercializzazione dei tartufi), in base all’autorizzazione contenuta nell’art. 17 della legge 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo). Nell’esercizio della propria competenza legislativa la Regione ha, poi, abolito il tributo in considerazione – come si ricava dai lavori preparatori - «dell’esiguità dell’introito derivante (dal tributo stesso) rapportato ai costi di gestione amministrativa».
Risulta, ancora, dai lavori preparatori che la disposizione censurata – finalizzata a «risolvere definitivamente» il contenzioso relativo al tributo – trova la sua giustificazione in identiche ragioni di antieconomicità della riscossione, rafforzate da una previsione sostanzialmente non favorevole riguardo all’esito di quel contenzioso insorto «tra amministrazione e contribuenti anche in relazione all’interpretazione dell’art. 51 della legge regionale 9 febbraio 2001, n. 5», che aveva ricollegato l’obbligo di pagamento della tassa annuale alla effettiva raccolta dei tartufi piuttosto che alla mera titolarità della relativa concessione.
Se tale è, dunque, la ratio della norma impugnata, nessuna lesione può derivarne all’art. 3 Cost., né sotto il profilo della ragionevolezza, essendo certo non manifestamente irragionevole che la regione rinunci a coltivare un contenzioso per la stessa economicamente dannoso e comunque dagli esiti prevedibilmente sfavorevoli all’ente impositore, né sotto il profilo del principio di eguaglianza, non potendo considerarsi omogenee le situazioni dei contribuenti che abbiano spontaneamente riconosciuto l’esistenza dell’obbligo tributario rispetto a quelle di coloro che invece lo abbiano contestato, sulla base di una norma che sembra porre a carico dell’ente concedente un onere probatorio particolarmente gravoso (quale è quello di dimostrare l’effettivo svolgimento, nell’anno, di attività di ricerca e raccolta di tartufi).
Deve infine escludersi che risulti in concreto violato un principio generale del sistema tributario, quale sarebbe – secondo la prospettazione del ricorrente - quello della irrinunciabilità al credito tributario. Il senso della norma impugnata, per quanto si è sin qui osservato, non è infatti quello di una generalizzata rinuncia a crediti già maturati, dovendo, invece, ritenersi limitato alla cessazione, per le ragioni già viste, di un contenzioso, in atto o potenziale, relativo ad un tributo ormai soppresso, salvi restando gli effetti non solo dei pagamenti già eseguiti, ma anche di eventuali accertamenti divenuti definitivi in quanto non opposti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge della Regione Veneto 9 agosto 2002, n. 18 (Disposizioni in materia di gestione dei tributi regionali);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, della stessa legge, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 settembre 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2003.