SENTENZA
N. 16
ANNO
2017
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
composta dai
signori:
-
Paolo GROSSI Presidente
-
Giorgio LATTANZI
Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
-
Giancarlo CORAGGIO ”
-
Giuliano AMATO ”
-
Silvana SCIARRA ”
-
Daria de PRETIS ”
-
Nicolò ZANON ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 26, commi 2 e 3, del decreto-legge
24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela
ambientale e l’efficientamento energetico
dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle
imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché
per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea),
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, promossi
dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III-ter, con tre ordinanze del 3 luglio, una
del 7 luglio, cinque del 9 luglio, una del 23 giugno, tre del 24 giugno, due
del 26 giugno, una del 30 giugno, due del 10 luglio, una del 20 luglio, una del
10 luglio, due del 24 giugno, una del 26 giugno, una del 10 luglio, tre del 20
luglio, una del 1° settembre, due del 3 luglio, una del 10 luglio, una del 20
luglio, una dell’8 luglio, due del 20 luglio, tre del 4 agosto, una del 20
luglio, cinque del 4 agosto, tre del 1° settembre, una del 24 giugno, una del 3
luglio, quattro del 4 agosto, una del 25 giugno e nove del 3 agosto 2015,
rispettivamente iscritte ai nn. da 253 a 261, 265,
da 266
a 274,
da 279
a 287,
da 293
a 302,
da 309
a 317,
da 324
a 329
del registro ordinanze 2015 ed ai nn. da 37 a 46 del
registro ordinanze 2016, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 48, 49, 50, 51 e 52, prima serie
speciale, dell’anno 2015 ed ai nn. 1 e 10, prima
serie speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione della Entec
spa, della Apulia Renewable
Energy srl, della Iniziative Solari srl, della Assorinnovabili
ed altra, della Fima srl ed altre, della Alchimia
Energy 3 srl ed altre, della San Vito srl, della O.T.T.
Oceanic Transport Trailers spa, della Amber Turtle
srl, del GSE-Gestore dei servizi energetici spa,
nonché quelli, fuori termine, della Ph20 energy srl
ed altre e gli atti di intervento della Federazione Nazionale delle Imprese
Elettrotecniche ed Elettroniche (ANIE) e del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 dicembre 2016 e nella
camera di consiglio del 7 dicembre 2016 il Giudice relatore Mario Rosario
Morelli;
uditi gli avvocati Valerio Onida
per la Federazione Nazionale delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche
(ANIE), Valerio Onida e Barbara Randazzo
per la Entec spa e per la Assorinnovabili
ed altra, Maria Alessandra Sandulli per la Apulia Renewable Energy srl,
Stefania Maria Piscitelli per la Iniziative Solari srl, Andrea Maffettone per la Fima srl ed
altre, Francesco Saverio Marini per la Alchimia Energy 3 srl ed altre, per la O.T.T. Oceanic Transport Trailers spa e per la
Amber Turtle srl, Germana Cassar per la San Vito srl,
Carlo Malinconico per il GSE-Gestore dei servizi energetici spa e gli avvocati
dello Stato Vincenzo Nunziata e Maria Gabriella Mangia per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.−
Nel corso di sessantatre giudizi amministrativi, di analogo contenuto –
proposti da varie società e/o imprenditori individuali, titolari di uno o più
impianti fotovoltaici con potenza nominale superiore a 200 kW e di altrettante
convenzioni ventennali stipulate con il GSE-Gestore dei Servizi Energetici spa
[da ora: GSE], i quali avevano chiesto l’annullamento di due decreti del
Ministero dell’economia e delle finanze del 16 e 17 ottobre 2014, rimodulativi,
con effetti per loro pregiudizievoli, delle tariffe incentivanti previste nelle
suddette convenzioni – l’adito Tribunale regionale amministrativo del Lazio,
sezione III-ter, ha sollevato, con le
(altrettante) ordinanze in epigrafe, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 26, comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti
per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento
energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo
delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche,
nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa
europea), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116.
Detta norma, alla quale i decreti
impugnati nei giudizi a quibus hanno dato applicazione (dal che, secondo il
rimettente, la rilevanza della questione) – nella parte, appunto, in cui
prevede che, a decorrere dal 2015, le tariffe relative all’energia prodotta
dagli impianti suindicati siano rimodulate sulla base di tre prefissate
opzioni, tutte peggiorative dei regimi anteriori regolati dalle convenzioni con
il GSE, tra le quali l’operatore sarebbe stato, comunque, obbligato a
scegliere, applicandosi, altrimenti, in via automatica, il terzo schema di
rimodulazione (di cui alla lettera c)
– viene denunciata per contrasto con gli articoli 3 e 41 della Costituzione,
per lesione del principio dell’affidamento riposto su posizioni consolidate di
vantaggio riconosciute da negozi «di diritto privato»; con gli stessi artt. 3 e 41 Cost., sotto i
profili ulteriori della irragionevolezza e della disparità di trattamento tra
operatori del settore; con gli articoli 11 e 117, primo comma, Cost.,
in relazione all’art. 1 del Protocollo
addizionale n. 1 alla Convenzione per
la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU),
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4
agosto 1958, n. 848 e all’art.
6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea, per sottrazione da parte
dello Stato, di parte dei crediti spettanti ai ricorrenti produttori di energia
da impianti fotovoltaici in virtù delle convenzioni stipulate con il GSE; e per
violazione, da ultimo, dell’art. 77 Cost., in
quanto adottata con decretazione d’urgenza, senza che ne ricorressero i
presupposti giustificativi.
2.− In tre
delle su riferite ordinanze di rimessione (iscritte nel Ruolo ordinanze ai nn. 254 e 255 del 2015; 37 del 2016), il suddetto TAR Lazio
ha esteso l’impugnativa al precedente comma 2 dello stesso art. 26 del citato
d.l. n. 91 del 2014.
Quest’ultima
disposizione – nella parte in cui interviene sulle modalità di corresponsione
delle tariffe incentivanti, prevedendo, «dal secondo semestre 2014», che il GSE
le eroghi «con rate mensili costanti, in misura pari al 90 per cento della
producibilità media annua stimata di ciascun impianto, nell’anno solare di
produzione», con effettuazione del «conguaglio, in relazione alla produzione
effettiva, entro il 30 giugno dell’anno successivo» − si porrebbe, a sua
volta, in contrasto, secondo il rimettente, con gli artt. 3, 41 e 77 Cost., per
profili analoghi di lesione del principio dell’affidamento, di irragionevolezza
e di incidenza su rapporti in corso con illegittima fonte normativa.
3.− In
quarantasei, dei sessantatre, giudizi di cui si è detto, si sono ritualmente costituite
le rispettive numerose parti ricorrenti dei processi principali, ciascuna delle
quali ha svolto, tramite i propri difensori, diffuse e articolate
argomentazioni adesive alla prospettazione del Tribunale amministrativo a quo.
3.1.−
Nel giudizio relativo all’ordinanza n. 37 del 2016, la Federazione Nazionale
delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche (ANIE) ha depositato atto di
intervento adesivo, che, con ordinanza di questa Corte resa in udienza, è stato
dichiarato inammissibile.
4.− In
sette dei giudizi in esame (r.o. nn.
254, 256, 280, 281, 287, 324 del 2015 e 37 del 2016), si è costituito anche il
GSE, per eccepire la «inammissibilità e infondatezza» della questione rispetto
ad ognuno dei parametri evocati.
Premessa
l’efficacia ex nunc
delle norme denunciate in coerenza ai principi applicabili in tema di rapporti
di durata, detto Gestore ha posto poi l’accento sulla natura, comunque,
accessoria delle convenzioni agli atti amministrativi di concessione degli
incentivi, che resterebbero condizionati alle esigenze del pubblico interesse.
Ha escluso,
quindi, la configurabilità di un sinallagma tra incentivi ed investimenti,
evidenziando, altresì, la sussistenza dell’elemento della prevedibilità del
mutamento dell’incentivazione in base all’evoluzione della situazione
precedente alla normativa vigente e alla convenzione quadro.
Ha
sottolineato, infine, come – per essere le risorse per il finanziamento dei
suddetti incentivi a carico non già della fiscalità generale, ma degli utenti
dell’energia elettrica (attraverso la componente A3 della bolletta elettrica) –
ragionevolmente il legislatore dal 2014, con il cosiddetto "intervento spalma
incentivi obbligatorio”, avrebbe dato prevalenza al contenimento degli oneri
economici gravanti sui consumatori finali dell’energia (utenti domestici e
imprese costituenti il tessuto produttivo nazionale) rispetto al mantenimento
intatto dell’incentivazione delle fonti rinnovabili.
5.− Il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura
generale dello Stato, ha depositato, a sua volta, atti di intervento (di
sostanzialmente identico contenuto) nei giudizi relativi a tutte le ordinanze
in epigrafe.
In via
pregiudiziale, la difesa dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della
questione per suo difetto di incidentalità, in quanto sollevata nel contesto di
una asserita lis ficta, e per
la sua inidoneità a surrogare un intervento riservato al potere discrezionale
del legislatore. Nel merito, ha escluso la violazione di ciascuno dei parametri
invocati.
Nel merito,
anche secondo l’Avvocatura dello Stato, la disposizione censurata sarebbe
giustificata dal perseguimento di un interesse pubblico prevalente comportante
un sacrificio ragionevole e proporzionato dei contrapposti interessi delle
parti private. Diversamente, il mantenimento dei pregressi sistemi di
incentivazione avrebbe comportato che i costi del sistema continuassero a
gravare sulla collettività, al solo scopo di conservare un’alta remunerazione
di un numero esiguo di impianti (appartenenti alla platea di quelli eroganti
una potenza superiore a 200 kW).
6.−
Quasi tutte le parti costituite, con singole o congiunte memorie, hanno
replicato alle eccezioni pregiudiziali dell’Avvocatura dello Stato, chiedendone
il rigetto.
Nel merito,
hanno ribadito le censure di illegittimità costituzionale della normativa in
esame tornando, in particolare, a sottolinearne la irragionevolezza, la non
proporzionalità e l’effetto lesivo del principio dell’affidamento, anche in
considerazione dell’assenza di un ponderato bilanciamento degli interessi in
gioco e, comunque, di un ragionevole nesso tra lo scopo (di reperimento di
risorse finanziarie) perseguito dal legislatore e l’intervento adottato,
unilateralmente e autoritativamente modificativo di rapporti in corso.
Anche il GSE,
nei giudizi in cui si è costituito, e il Presidente del Consiglio dei ministri,
in tutti i giudizi in epigrafe, hanno depositato memorie, per reiterare, ed
ulteriormente argomentare, le rispettive conclusioni di non fondatezza di tutte
le questioni sollevate.
Considerato in diritto
1.– Con le sessantatre ordinanze di
sostanzialmente identico contenuto, di cui si è in narrativa detto, il
Tribunale regionale amministrativo del Lazio, sezione III-ter, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 26,
comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il
settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento
energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo
delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche,
nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa
europea), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, in
riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione ed agli artt. 11 e 117,
primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1
alla Convenzione per la salvaguardia
dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1958, n. 848 e
all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea, e per contrasto,
altresì, con l’art. 77 Cost.
1.1.− In
tre delle suddette ordinanze (nn. 254 e 255 del 2015;
37 del 2016), il rimettente estende l’impugnativa al precedente comma 2 dello
stesso art. 26 del d.l. n. 91 del 2014, per contrasto con gli artt. 3, 41 e 77
Cost.
1.2.− I
sessantatre giudizi − in quarantasei dei quali si sono ritualmente
costituiti numerosi imprenditori e società ricorrenti, in sette dei quali si è
costituito anche il Gestore dei Servizi elettrici spa (in acronimo: GSE) e, in
tutti, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri – stante la
coincidenza del petitum,
vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.
2.− L’art.
26 del d.l. n. 91 del 2014, come convertito dalla legge n. 116 del 2014 −
«Al fine [dichiarato sub comma 1] di
ottimizzare la gestione dei tempi di raccolta ed erogazione degli incentivi e
favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie
rinnovabili» − prevede nuove modalità di erogazione delle tariffe
incentivanti dell’energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici,
riconosciute in base all’articolo 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003,
n. 387 (Attuazione della direttiva
2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti
energetiche rinnovabili nel mercato interno) e dall’articolo 25, comma 10, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28
(Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso
dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione
delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE).
E, in coerenza a tali obiettivi, nel
denunciato suo comma 3, testualmente dispone
che «A decorrere dal 1° gennaio 2015, la tariffa incentivante per l’energia
prodotta dagli impianti di potenza nominale superiore a 200 kW è rimodulata, a
scelta dell’operatore, sulla base di una delle seguenti opzioni da comunicare
al GSE entro il 30 novembre 2014: a) la tariffa è erogata per un periodo di 24
anni, decorrente dall’entrata in esercizio degli impianti, ed è
conseguentemente ricalcolata secondo la percentuale di riduzione indicata nella
tabella di cui all’allegato 2 al presente decreto; b) fermo restando il periodo
di erogazione ventennale, la tariffa è rimodulata prevedendo un primo periodo
di fruizione di un incentivo ridotto rispetto all’attuale e un secondo periodo
di fruizione di un incentivo incrementato in ugual misura. Le percentuali di
rimodulazione sono stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico,
sentita l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, da
emanare entro il 1° ottobre 2014 in modo da consentire, nel caso di adesione di
tutti gli aventi titolo all’opzione, un risparmio di almeno 600 milioni di euro
all’anno per il periodo 2015-2019, rispetto all’erogazione prevista con le
tariffe vigenti; c) fermo restando il periodo di erogazione ventennale, la
tariffa è ridotta di una quota percentuale dell’incentivo riconosciuto alla
data di entrata in vigore del presente decreto, per la durata residua del
periodo di incentivazione, secondo le seguenti quantità: 1) 6 per cento per gli
impianti aventi potenza nominale superiore a 200 kW e fino alla potenza
nominale di 500 kW; 2) 7 per cento per gli impianti aventi potenza nominale
superiore a 500 kW e fino alla potenza nominale di 900 kW; 3) 8 per cento per
gli impianti aventi potenza nominale superiore a 900 kW. In assenza di
comunicazione da parte dell’operatore il GSE applica l’opzione di cui alla
lettera c)».
Nella
coincidente prospettazione di tutte le ordinanze di rimessione, la norma
suddetta contrasterebbe con:
gli artt. 3 e
41 Cost., determinando la lesione del principio di legittimo affidamento, in
conseguenza della sua incidenza ingiustificata sulle posizioni di vantaggio
consolidate e riconosciute contrattualmente ai fruitori degli incentivi, che
non avrebbero potuto prevedere la sopravvenuta modifica peggiorativa del
rapporto di durata precedentemente concluso con il GSE. E, con ciò, contravvenendo alle garanzie di
stabilità dei regimi incentivati già in corso e mantenute in occasione delle
pregresse rimodulazioni, con fisiologica ripercussione degli effetti negativi
sulle scelte (ispirate al canone di "prudenza ed accortezza”) di libera
iniziativa economica imprenditoriale dei titolari degli impianti produttori di
energia alternativa a quella proveniente da fonte solare di potenza superiore a
200 kW, non adeguatamente compensati da un idoneo meccanismo statale in grado
di coprire le prevedibili perdite finanziarie future;
gli stessi
artt. 3 e 41 Cost., per l’irragionevolezza della ingiusta penalizzazione dei
soli produttori (considerati di maggiori dimensioni) di energia alternativa a
quella proveniente da fonte solare di potenza superiore a 200 kW, e per la
disparità del trattamento loro riservato rispetto ad enti locali e scuole,
titolari di impianti di pari potenza, esentati dalla rimodulazione degli
incentivi; con ulteriore correlato vulnus
al principio della concorrenza e della libertà di iniziativa economica per
effetto del pregiudizio arrecato ai suddetti produttori impossibilitati ad
operare sul mercato a parità di condizioni con gli altri produttori da fonte
solare (e, più in generale, di energia rinnovabile);
gli artt. 11 e
117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 1, Protocollo addizionale n. 1
alla CEDU e all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea, sul
presupposto che tali parametri sovranazionali legittimino l’interferenza
statale solo in presenza di un preminente interesse generale, mentre, nella
specie, la sottrazione di parte dei crediti spettanti ai produttori di energia
da impianti fotovoltaici in virtù delle convenzioni stipulate con il GSE non
sarebbe giustificata, siccome lesiva del principio di proporzionalità, non
risultando l’intervento della pubblica autorità adeguatamente bilanciato dalla
finalità di diminuire le tariffe elettriche in favore di alcune categorie di
consumatori;
l’art. 77
Cost., in relazione al difetto dei presupposti per provvedere nelle forme del
decreto-legge, non riportando il preambolo del decreto, a differenza del
titolo, alcuna motivazione a sostegno della specifica normativa disciplinata,
oltretutto costituente parte di un insieme di misure eterogenee per le imprese
non ispirate al perseguimento di una finalità unitaria e caratterizzata da
contenuti non tutti suscettibili di applicazione immediata.
2.1.− Il
precedente comma 2 dell’art. 26 del d.l. n. 91 del 2014 – con riferimento in
questo caso, agli impianti di qualsiasi potenza nominale − a sua volta,
dispone che «A decorrere dal secondo semestre 2014, il Gestore dei servizi
energetici spa eroga le tariffe
incentivanti di cui al comma 1, con rate mensili costanti, in misura pari al 90
per cento della producibilità media annua stimata di ciascun impianto,
nell’anno solare di produzione ed effettua il conguaglio, in relazione alla
produzione effettiva, entro il 30 giugno dell’anno successivo. Le modalità
operative sono definite dal GSE entro quindici giorni dalla pubblicazione del
presente decreto e approvate con decreto del Ministro dello sviluppo
economico».
Detta norma,
incidente sulle modalità di applicazione della tariffa, violerebbe anch’essa,
secondo il TAR rimettente, gli artt. 3, 41 e 77 Cost., oltre che per le ragioni
già esposte in relazione al successivo comma 3, perché la sua dichiarata (sub comma 1) finalità di ottimizzare la
gestione dei tempi di raccolta ed erogazione degli incentivi avverrebbe a
scapito del fruitore degli stessi, il quale, in particolare per il primo anno,
subirebbe il pregiudizio economico della ritardata percezione del 10 percento
dell’incentivo (qualificato) in termini di «conguaglio», essendo differita al
30 giugno dell’anno successivo l’erogazione dell’incentivo dovuto in base alla
produzione effettiva.
3.−
Preliminarmente va confermata l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum della Federazione
Nazionale delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche (ANIE) nel giudizio n.
37 del 2016, per le motivazioni di cui all’allegata ordinanza resa in udienza.
4.−
Sempre in limine, va esaminata la
duplice eccezione di inammissibilità, delle su riferite questioni, formulata
dall’Avvocatura generale dello Stato, rispettivamente:
(a) sul
rilievo di un loro difetto di incidentalità, poiché prospettate attraverso «una
lis ficta», in
quanto «sub specie di impugnazione di
provvedimenti amministrativi» i ricorrenti attiverebbero, in realtà, «un
giudizio di impugnazione, "in via immediata e diretta”, dell’art. 26, commi 2 e
3, del d.l. n. 91 del 2014»;
(b) in ragione
di una asserita non pertinenza del correlativo petitum al proprium del giudizio di
costituzionalità, poiché «l’affermazione del (preteso) diritto alla
conservazione delle condizioni preesistenti […] sarebbe realizzabile solo
attraverso un vero e proprio "intervento additivo non rientrante nei poteri
della Corte costituzionale ma nelle scelte discrezionali del legislatore”».
5.−
Nessuna di tali eccezioni è fondata.
5.1.−
Quanto alla prima, è sufficiente ricordare come l’incidentalità sia stata
reiteratamente riscontrata nei casi (come appunto quello che ne occupa) in cui
le doglianze mosse contro provvedimenti o norme secondarie non potrebbero
altrimenti essere accolte che a seguito dell’eventuale accoglimento della
questione di legittimità proposta nei confronti della disposizione di legge da
quei provvedimenti applicata (sentenze n. 151 del
2009, punto 4.4; n. 303 del 2007,
punto 6.1; n. 4
del 2000, punto 2.2, del Considerato in diritto).
Neppure vi è,
del resto, nel caso di specie, l’asserita identità tra il petitum del giudizio incidentale
di legittimità e il petitum
dei giudizi a quibus.
Infatti, l’eventuale accoglimento dell’impugnativa del d.l. n. 91 del 2014 non
si identificherebbe con il petitum dei giudizi di merito, ma, rispetto a questi, costituirebbe
solo la pregiudiziale logico-giuridica per l’accoglimento della duplice domanda
dei ricorrenti volta all’annullamento dei provvedimenti impugnati ed
all’accertamento del conseguente loro diritto alla corresponsione degli
incentivi nella misura indicata nelle Convenzioni rispettivamente stipulate con
il GSE.
5.2.−
Priva di fondamento è anche la seconda eccezione, poiché ciò che i rimettenti
auspicano è non già l’intervento "additivo”, che l’Avvocatura dello Stato
assume riservato alla discrezionalità del legislatore, ma un intervento
"demolitorio” della normativa impugnata, che ne elimini il deprecato automatico
impatto in peius
sulle condizioni dei rapporti in corso.
Vale a dire
che ciò che richiedono i giudici a quibus non altro è che una declaratoria di
illegittimità costituzionale della normativa denunciata: provvedimento che
proprio (e solo) a questa Corte compete di adottare.
6.−
Anche il GSE ha formulato varie eccezioni di inammissibilità.
Tali eccezioni
– non avendo un contenuto ostativo all’esame delle questioni sollevate, ed
essendo sostanzialmente, invece, rivolte a contestare le argomentazioni poste a
base delle singole censure articolate nelle ordinanze di rimessione,
eccependone, con formula di stile, la «inammissibilità e infondatezza» – vanno
più propriamente rimesse al correlativo esame nel merito.
7.− La
censura di violazione dell’art. 77 Cost., ancorché prospettata dal Tribunale a quo solo in via residuale, va
esaminata con carattere di priorità, per essere logicamente pregiudiziale
rispetto ad ogni altra doglianza, configurandosi come potenzialmente assorbente
della sua valutazione in caso di eventuale accoglimento.
Nella (comune)
prospettazione delle numerose ordinanze di rinvio, il contrasto del comma 3 e
(nelle sole tre ordinanze di cui si è sopra detto anche) del comma 2 dell’art.
26 del d.l. n. 91 del 2014 è motivato sulla base della «circostanza che, pur
rinvenendosi nel titolo del d.l. n. 91 del 2014 il riferimento al "rilancio e
[al]lo sviluppo delle imprese” e al "contenimento dei costi gravanti sulle
tariffe elettriche”, nel preambolo del provvedimento non si rinviene tuttavia
esplicitazione di tali punti». Da ciò inferendosi che alle disposizioni
censurate − in quanto eterogenee ed eccentriche rispetto al contenuto ed
alle finalità del menzionato decreto – non potrebbero riferirsi i presupposti
della straordinaria necessità ed urgenza, che legittimano l’adozione del
decreto-legge. Presupposti, dai quali le disposizioni impugnate non potrebbero,
per di più, ritenersi assistite anche perché recanti misure di non immediata
applicazione.
7.1.− La
censura così formulata è priva di fondamento.
7.1.1.−
In primo luogo, non si ravvisa l’asserita estraneità delle disposizioni
scrutinate rispetto al decreto-legge che le contiene.
Non si vede,
infatti, quale rilievo possa attribuirsi al dato formale della mancata
esplicitazione, nel preambolo, degli obiettivi (pur espressamente indicati nel
titolo) relativi al rilancio dell’impresa ed al contenimento dei costi gravanti
sulle tariffe elettriche, una volta che l’intero (omogeneo) capo III del d.l.
n. 91 del 2014 – rubricato «Disposizioni urgenti per le imprese» −
contiene ben quattordici articoli (dal 23 al 30 sexies) dedicati al settore delle
energie, ed all’interno di questo si colloca, appunto, il censurato art. 26 che
(come indicato nell’incipit del suo
comma 1) proprio quegli obiettivi si propone di realizzare nello specifico
ambito delle energie prodotte da impianti fotovoltaici, in piena coerenza, quindi, con lo scopo unitario della
«crescita economica», che accomuna i plurimi interventi operati dal decreto in
esame, relativi a materie, se pur diverse, del pari, però, richiedenti rimedi
urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare (ex plurimis, sentenze
n. 22 del 2012, n. 128 del 2008,
n. 171 del 2007).
7.1.2.−
Neppure è poi fondato il rilievo per cui il decreto-legge conterrebbe «anche
misure che non sono "di immediata applicazione”, come sancito dall’articolo 15,
comma 3, l. n. 400/88», quali quelle sulla cedibilità di quota dell’incentivo
ad un acquirente selezionato e sul recesso dai contratti di finanziamento
(commi da 7 a 12 del citato art. 26), perché l’obiettivo immediato del decreto
legge, con la rimodulazione delle incentivazioni sulla base dell’opzione
effettuata dall’operatore e comunque, in caso negativo, con l’imposizione ex lege di una
delle tre alternative, è d’immediata applicazione e ne realizza di per sé la
finalità.
E ciò a
prescindere dalla considerazione che la straordinaria necessità ed urgenza non
postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative
contenute nel decreto-legge, ma ben può fondarsi sulla necessità di provvedere
con urgenza, anche laddove il risultato sia per qualche aspetto necessariamente
differito.
8.− Le
censure di violazione dei residui parametri costituzionali ed europei evocati
nelle ordinanze di rimessione condividono un motivo di fondo costituito dal vulnus che l’impugnato comma 3 dell’art.
26 del d.l. n. 91 del 2014 avrebbe arrecato al legittimo affidamento riposto,
dai fruitori degli incentivi in questione, nella conservazione delle posizioni
di vantaggio consolidate loro riconosciute nelle convenzioni stipulate con il
GSE.
8.1.− In
linea di principio, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica
costituisce un «elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto»
(sentenze n. 822
del 1988 e n.
349 del 1985). Ma – come chiarito dalla costante giurisprudenza di questa
Corte (in consonanza anche con quella della Corte EDU) – la tutela
dell’affidamento non comporta che, nel nostro sistema costituzionale, sia
assolutamente interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali
modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, e ciò «anche
se il loro oggetto sia costituito dai diritti soggettivi perfetti, salvo,
qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della
materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.)», fermo restando tuttavia che
dette disposizioni, «al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono
trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni
sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche
l’affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica[recte: giuridica]» (sentenza n. 822 del
1988; in senso analogo, ex plurimis, sentenze n. 203 del
2016; n. 64
del 2014; n.
1 del 2011; n.
302 del 2010; n.
236, n. 206
e n. 24 del 2009;
n. 409 e n. 264 del 2005;
n. 446 del 2002;
n. 416 del 1999).
8.2.−
L’esame della ratio e del contenuto
della norma impugnata induce ad escludere che questa abbia inciso all’interno
dei rapporti di durata, riconducibili
alle convenzioni stipulate dai fruitori degli incentivi di che trattasi con il
GSE, in modo irragionevole, arbitrario e imprevedibile, così da ledere – come
si denuncia – il principio evocato.
Il legislatore
del 2014 è intervenuto, infatti, in un contesto congiunturale nel quale – a
fronte della remuneratività delle tariffe
incentivanti per l’energia solare prodotta da fonte fotovoltaica, rivelatasi
progressivamente più accentuata, sia rispetto anche ai costi di produzione (in
ragione del repentino sviluppo tecnologico del settore), sia rispetto al quadro
complessivo europeo – era venuto specularmente in rilievo il crescente peso
economico di tali incentivi sui consumatori finali di energia elettrica (in particolare sulle piccole e medie imprese
costituenti il tessuto produttivo nazionale).
Ed ha operato,
con logica perequativa, al dichiarato fine di «favorire una migliore
sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili» (art. 26,
comma 1, d.l. n. 91 del 2014) e di «pervenire ad una più equa distribuzione
degli oneri tariffari fra le diverse categorie di consumatori elettrici», prevedendo a tal proposito che i minori oneri
per l’utenza derivanti dalla rimodulazione degli incentivi per gli impianti
fotovoltaici siano, appunto, «destinati alla riduzione delle tariffe elettriche
dei clienti di energia elettrica in media tensione e di quelli in bassa
tensione […]» (art. 23 d.l. citato).
È, dunque,
quello in esame un intervento che risponde ad un interesse pubblico, in termini
di equo bilanciamento degli opposti interessi in gioco, volto a coniugare la
politica di supporto alla produzione di energia da fonte rinnovabile con la
maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali
dell’energia elettrica.
Gli incentivi
al fotovoltaico rientrano, infatti, tra i cosiddetti oneri generali del sistema
elettrico e sono posti (anche) a carico del cliente finale, che li paga
direttamente, in ragione della copertura di cui alla componente A/3 della
bolletta elettrica.
8.3.−
Anche il TAR rimettente riconosce, del resto, che «non sono certo contestabili
gli scopi complessivi avuti di mira dal legislatore che intende "pervenire a
una più equa distribuzione degli oneri tariffari fra le diverse categorie di
consumatori elettrici”, distribuendo tra costoro "i minori oneri per l’utenza”
derivanti, tra le altre, dalle misure dell’art. 26», ma sostiene che la
disposizione impugnata sarebbe, comunque, lesiva del principio dell’affidamento
– in danno della platea dei titolari di impianti fotovoltaici con potenza
superiore ai 200 KW – per il carattere «improvviso ed imprevedibile»
dell’operata rimodulazione riduttiva di incentivi che, sulla base della
pregressa legislazione di settore e in adesione alle indicazioni di carattere
europeo, sarebbero stati loro concessi con garanzia di "stabilità”.
Al riguardo, i
giudici a quibus
richiamano la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale una mutazione ex lege dei
rapporti di durata deve ritenersi illegittima quando incide sugli stessi in
modo, appunto, «improvviso e imprevedibile» (sentenze n. 64 del
2014 e n.
302 del 2010).
Ma un tal
principio non può dirsi, in realtà, violato dalla normativa scrutinata.
In consonanza
con le linee di indirizzo di fonte internazionale ed europea, la politica di
supporto alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili ha preso
avvio nel mercato interno, con le misure di incentivazione introdotte dal
decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla
promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel
mercato interno) ed è proseguita con il successivo decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della
direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti
rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive
2001/77/CE e 2003/30/CE).
L’art. 7 del citato d.lgs. n. 387 del
2003 – rubricato «Disposizioni specifiche per il solare» − prende,
appunto, in considerazione la produzione di elettricità mediante conversione
fotovoltaica della fonte solare e demanda a «uno o più decreti»
interministeriali (del Ministro delle attività produttive, di concerto con il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e d’intesa con la
Conferenza unificata) la definizione dei criteri di incentivazione, al fine, tra
l’altro, di «garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di
esercizio».
I decreti adottati in base a detto
articolo 7 sono noti con la denominazione di "conti energia” e sono
identificati con numero ordinale progressivo in relazione alle versioni via via
succedutesi, con le quali sono state avviate cinque diverse procedure di
accesso alle incentivazioni.
Ora è pur vero che, nel contesto di tale
complessivo quadro normativo, l’introduzione del regime di sostegno delle
energie rinnovabili si presenta assistito da caratteristiche di stabilità a
lungo termine per rispondere all’esigenza di creare certezza per gli
investitori; e che, su questa linea in particolare il d.lgs. n. 28 del 2011 –
che, secondo il TAR avrebbe «amplificato» la percezione di una tale «stabilità»
– dispone che «l’incentivo resta costante per tutto il periodo di diritto»
(art. 24, comma 2, lettera c).
La garanzia di costanza dell’incentivo
per tutto il periodo di diritto non implica però, come necessaria conseguenza,
che la correlativa misura debba rimanere, per venti anni, immutata e del tutto
impermeabile alle variazioni proprie dei rapporti di durata. Ciò ancor più ove
si consideri che le convenzioni stipulate con il Gestore non sono riducibili a
contratti finalizzati ad esclusivo profitto dell’operatore − che dovrebbe
vedere ferme le condizioni iniziali, per vent’anni, anche ove le condizioni
tecnologiche mutino profondamente − ma costituiscono strumenti di
regolazione, volti a raggiungere l’obiettivo dell’incentivazione di certe fonti
energetiche nell’equilibrio con le altre fonti di energia rinnovabili, e con il
minimo sacrificio per gli utenti che pure ne sopportano l’onere economico.
Nella sequenza evolutiva della normativa
di settore non mancano, del resto, indicazioni di segno contrario alla pretesa
consolidazione di un "diritto quesito” dei fruitori dell’incentivo a
conservarne immutata la misura originaria per l’intero ventennio di convenuta
durata del rapporto.
Il citato d.lgs. n. 28 del 2011 (sub art. 23, comma 1) coniuga
espressamente l’obiettivo della «stabilità nel tempo dei sistemi di
incentivazione» con quelli di «armonizzazione con altri strumenti di analoga
finalità e […] riduzione degli oneri di sostegno specifici in capo ai
consumatori».
Su questa linea, il d.m.
6 agosto 2010 (terzo conto energia), adottato sulla base del precedente d.lgs.
n. 387 del 2003, già richiamava la necessità di intervenire al fine di adeguare
le tariffe incentivanti alla luce della decrescita dei costi della tecnica
fotovoltaica per rispettare il principio di equa remunerazione degli
investimenti.
Il d.m. 5
maggio 2011 (quarto conto energia), sub
art. 2, comma 3, prevedeva, a sua volta, la possibilità di rivedere le modalità
di incentivazione.
Nella Convenzione-tipo, approvata con
delibera dell’AEEG del 6 dicembre 2012, si legge poi, testualmente (sub art. 17, punto 17.3), che «Il GSE si
riserva di modificare unilateralmente le clausole della presente Convenzione
che, per effetto di eventuali evoluzioni normative e regolamentari, siano in
contrasto con il vigente quadro di riferimento».
E il decreto-legge 23 dicembre 2013, n.
145 (Interventi urgenti di avvio del
piano "Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del
gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle
imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015),
convertito con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2014, n. 9,
immediatamente precedente alla normativa censurata, ancora una volta sottolineava,
in premessa, la «straordinaria necessità ed urgenza di emanare misure per
l’avvio del piano "Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe
elettriche e del gas», quali fattori essenziali di rilancio della competitività
delle imprese e di attrazione di investimenti nel nostro Paese.
Tutto ciò
induce ad escludere che la rimodulazione degli incentivi attivata dalla
disposizione impugnata presenti gli asseriti caratteri di "imprevedibilità”,
risultando la stessa anzi, in qualche modo, preannunciata e finalizzata proprio
ad assicurare la "stabilità” presa in considerazione dalle leggi istitutive
degli incentivi al fotovoltaico, come caratteristica dell’intero sistema e non
del singolo incentivo; oltre a costituire (nel quadro di un mercato "regolato”
di settore, come quello di cui si discute) un elemento fisiologicamente
riconducibile al rischio normativo di impresa.
8.4.−
Dubita ancora il TAR rimettente che sia, comunque, irragionevole e
sproporzionata «la leva» con cui il legislatore ha inteso operare con la
disposizione impugnata.
Anche tale
censura risulta, però, destituita di fondamento.
La denunciata
rimodulazione dell’incentivo non incide radicalmente sugli investimenti
effettuati, come (solo in astratto e senza concreti riscontri nei giudizi a quibus) si
prospetta, ma appare viceversa declinata in modo da tener conto della loro
sostenibilità.
In alternativa
all’intervento, residuale, di riduzione della tariffa incentivante nella (non
eccessiva) misura dal 6 all’8 per cento (per gli impianti di potenza nominale,
rispettivamente, da 200 a 500, da 500 a 900, ovvero superiore a 900 kW) – ferma
restandone l’erogazione ventennale – è lasciata, infatti, al titolare
dell’impianto una diversa duplice opzione: quella, cioè, di bilanciare la
riduzione dell’incentivo con il prolungamento, per ulteriori quattro anni, del
periodo di sua erogazione, ovvero quella di affiancare ad un primo periodo di
riduzione della tariffa incentivante un periodo successivo di suo incremento in
«egual misura».
La rimodulazione
della tariffa, così articolata, è, inoltre, accompagnata da benefíci
compensativi, come la possibilità per i fruitori delle tariffe rimodulate di
accedere a finanziamenti bancari per un importo massimo pari alla differenza
tra l’incentivo attuale e l’incentivo rimodulato [finanziamenti di cui possono
beneficiare, cumulativamente o alternativamente, sulla base di apposite
convenzioni con il sistema bancario, di provvista dedicata o di garanzia
concessa dalla Cassa Depositi e Prestiti (art. 26, comma 5)], o come la
cessione degli incentivi ad un «acquirente selezionato tra i primari operatori
finanziari europei» (art. 26, commi 7 e seguenti, del d.l. 91 del 2014).
Gli
investimenti restano conclusivamente, in tal modo, salvaguardati dalla
gradualità della rimodulazione, dalle varietà delle opzioni previste dalla
legge e dalle misure compensative (che consentono di attenuare l’incidenza
economica della riduzione dell’incentivazione), restandone, pertanto,
assicurata l’equa remunerazione.
9.− Stante
la sostanziale coincidenza degli indici sintomatici della lesione del principio
dell’affidamento elaborati nella giurisprudenza di questa Corte e in quella
delle Corti europee, resta conseguentemente esclusa anche la denunciata
violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1,
del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU, ed all’art. 6, paragrafo 3, del
Trattato UE.
Il principio
di "protezione della proprietà”, esteso ai diritti di credito, di cui al citato
art. 1 del Protocollo CEDU, non è di ostacolo infatti, ad interferenze da parte
della pubblica autorità in presenza di un interesse generale (Corte EDU, sentenza 14
febbraio 2012, Arras e altri c. Italia) e, al fine della verifica di
sussistenza di un tale interesse e della congruità delle sue modalità
attuative, è riconosciuto, a ciascuno Stato membro, un ampio margine di
apprezzamento (Corte EDU,
sentenza della Grande Camera, 29 marzo 2010, Depalle
c. Francia; Corte EDU,
sentenza della Grande Camera, 26 giugno 2012, Herrmann
c. Germania).
A sua volta,
la Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella nota sentenza
Plantanol GmbH & Co KG
c. Hauptzollamt Darmstadt (C-201/08
del 10 settembre 2009), citata anche nelle ordinanze di rimessione, ha
riconosciuto che l’abolizione anticipata di un regime di favore rientra nel
potere discrezionale delle Autorità nazionali, incontrando ostacolo solo
nell’affidamento che nel mantenimento dello stesso potrebbe porre l’«operatore
economico prudente e accorto».
E, per quanto
in precedenza osservato, l’intervento del legislatore, del quale qui si
discute, non è stato imprevedibile né improvviso, per cui l’«operatore
economico prudente e accorto» avrebbe potuto tener conto della possibile
evoluzione normativa, considerate le caratteristiche di temporaneità e
mutevolezza dei regimi di sostegno.
10.− Non
maggior fondamento ha la denuncia di violazione degli artt. 3 e 41 Cost. in
relazione agli ipotizzati profili di disparità di trattamento.
La diversa
dimensione degli impianti, di potenza rispettivamente inferiore o superiore ai
200 kW, di per sé giustifica, infatti, la rimodulazione delle tariffe solo
relativamente a quelli di portata eccedente i 200 kW, che assorbono la maggior
quantità di incentivi, con corrispettivo maggior onere sul sistema.
L’esclusa
riferibilità della rimodulazione agli impianti, di portata pur superiore ai 200
kW, nella titolarità di enti locali o scuole neppure poi autorizza a
configurare la disparità di trattamento per tal profilo prospettata, stante
l’evidente non omogeneità delle categorie di soggetti così comparate, e le
ragioni di rispondenza a pubblico interesse della deroga in favore di enti e
scuole.
Né maggior
consistenza ha, infine, l’ipotesi adombrata di deteriore trattamento dei
produttori da fonte solare rispetto agli altri percettori di incentivi
parimenti finanziati dagli utenti attraverso i cosiddetti oneri generali di
sistema.
Anche per
questo aspetto, il giudice a quo (che
pur fa riferimento all’accentuato sviluppo del fotovoltaico) non conferisce
adeguato rilievo alle ragioni (tra cui la dimensione degli impianti) che sono
alla base della diversificata normativa di accesso alle incentivazioni
pubbliche, rispettivamente adottata per il fotovoltaico e per le altre fonti
rinnovabili di energia.
11.− Non
sussiste, infine, la lesione dell’autonomia privata, prospettata in ragione
dell’incidenza, della contestata riduzione delle tariffe incentivanti, su
«negozi di diritto privato».
A prescindere
dalla accessorietà di detti "negozi” a provvedimenti di concessione
dell’incentivo, viene, infatti, nel caso in esame, in rilievo il principio –
più volte ribadito nella giurisprudenza di questa Corte – per cui non è
configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica allorché
l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda
all’utilità sociale, come sancito dall’art. 41, secondo comma, Cost., purché,
per un verso, l’individuazione di quest’ultima non appaia arbitraria e, per
altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure
palesemente incongrue (ex plurimis, sentenze n. 203 del
2016, n. 56
del 2015, n.
247, n. 152
del 2010 e n.
167 del 2009). Condizioni, queste, che, per quanto dimostrato, risultano entrambe rispettate dall’intervento
di riduzione e rimodulazione degli incentivi qui scrutinato.
12.−
Conclusivamente, l’impugnata disposizione di cui all’art. 26, comma 3, del d.l.
n. 91 del 2014 supera il vaglio di costituzionalità in relazione ad ognuno dei
parametri evocati nelle ordinanze di rimessione.
13.− La
questione di legittimità costituzionale della disposizione di cui al precedente
comma 2 dell’impugnato art. 26 del d.l. n. 91 del 2014 – sollevata (nelle sole
tre ordinanze del TAR Lazio di cui si è innanzi detto), con generico rinvio
alle medesime censure rivolte al comma 3, in termini di incompatibilità
dell’intervento normativo con i precetti di cui agli artt. 3, 41 e 77 Cost. –
è, alla stregua delle considerazioni che precedono, a sua volta,
conseguentemente non fondata.
Per altro, la
nuova modalità di pagamento delle tariffe incentivanti – introdotta dal
suddetto comma 2 dell’art. 26 in esame (con riguardo anche agli impianti di
potenza inferiore ai 200KW) – non è tale da penalizzare gli operatori del
settore, ai quali anzi garantisce, a regime, una maggiore certezza e stabilità
dei flussi finanziari, per effetto del previsto meccanismo di
anticipazione-conguaglio, basato sulla corresponsione di rate mensili, di
importo costante, corrispondenti al «90 per cento della producibilità media
annua stimata di ciascun impianto, nell’anno solare di produzione» e successivo
«conguaglio, in relazione alla produzione effettiva, entro il 30 giugno
dell’anno successivo».
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3,
del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore
agricolo, la tutela dell’ambiente e l’efficientamento
energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo
delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche,
nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa
europea), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116,
sollevata − in riferimento agli articoli 3, 11, 41, 77 e 117, primo
comma, della Costituzione, in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale
n. 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, (CEDU),
firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1958, n.
848 e all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea − dal
Tribunale regionale amministrativo del Lazio, sezione III-ter, con le sessantatre ordinanze
indicate in epigrafe;
2) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 2,
dello stesso d.l. 91 del 2014, convertito,
con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 11 agosto 2014, n. 116, sollevata, in riferimento agli articoli
3, 41 e 77 Cost., dal Tribunale regionale amministrativo del Lazio, sezione
III-ter, con le tre ordinanze di cui
ai numeri di reg. ord. 254 e 255 del 2015, e reg. ord. n. 37 del 2016.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 dicembre 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2017.
Allegato:
Ordinanza letta all’udienza del 7 dicembre 2016