SENTENZA N. 237
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giuseppe TESAURO Presidente
- Sabino CASSESE Giudice
- Paolo Maria NAPOLITANO ˮ
- Giuseppe FRIGO ˮ
- Alessandro CRISCUOLO ˮ
- Paolo GROSSI ˮ
- Giorgio LATTANZI ˮ
- Aldo CAROSI ˮ
- Marta CARTABIA ˮ
- Sergio MATTARELLA ˮ
- Mario Rosario MORELLI ˮ
- Giancarlo CORAGGIO ˮ
- Giuliano AMATO ˮ
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 5 e 8, e 4, comma 10, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 ottobre 2013, n. 125, promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso notificato il 30 dicembre 2013, depositato in cancelleria il 7 gennaio 2014 ed iscritto al n. 4 del registro ricorsi 2014.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 23 settembre 2014 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso notificato il 30 dicembre 2013 e depositato il 7 gennaio 2014, la Provincia autonoma di Trento ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 5 e 8, e 4, comma 10, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 ottobre 2013, n. 125, per violazione degli artt. 79, 103 e 104 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige»); del Titolo VI dello statuto speciale, in particolare degli artt. 79, 80 e 81, nonché delle relative norme di attuazione di cui agli artt. 17, 18 e 19 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale); degli artt. 87 e 88 dello statuto speciale, nonché del d.P.R. 15 luglio 1988, n. 305 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige per l’istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto); degli artt. 8, numero 1), e 16 dello statuto speciale; del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), in particolare degli artt. 2 e 4; degli artt. 117, terzo, quarto e sesto comma, 118 e 119, primo comma, della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione); del principio di ragionevolezza.
1.1.− L’art. 1, comma 5, stabilisce che «La spesa annua per studi e incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi e incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché dalle autorità indipendenti e dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), escluse le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati, nonché gli istituti culturali e gli incarichi di studio e consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario, non può essere superiore, per l’anno 2014, all’80 per cento del limite di spesa per l’anno 2013 e, per l’anno 2015, al 75 per cento dell’anno 2014 così come determinato dall’applicazione della disposizione di cui al comma 7 dell’articolo 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Si applicano le deroghe previste dall’articolo 6, comma 7, ultimo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122».
1.2.− Il successivo comma 8 dispone che «La Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica e il Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della ragioneria generale dello Stato dispongono almeno una volta all’anno visite ispettive, a cura dell’Ispettorato per la funzione pubblica e dei servizi ispettivi di finanza del medesimo Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, al fine di verificare il rispetto dei vincoli finanziari in materia di contenimento della spesa di cui al presente articolo, denunciando alla Corte dei conti le irregolarità riscontrate».
1.3.− Ai sensi dell’art. 4, comma 10, del d.l. n. 101 del 2013, invece, «Le regioni, le province autonome e gli enti locali, tenuto conto del loro fabbisogno, attuano i commi 6, 7, 8 e 9 nel rispetto dei principi e dei vincoli ivi previsti e tenuto conto dei criteri definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 5. Per gli enti del Servizio sanitario nazionale, tenuto conto dei vincoli assunzionali previsti dalla normativa vigente, si procede all’attuazione dei commi 6, 7, 8 e 9, anche con riferimento alle professionalità del Servizio sanitario nazionale, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al precedente periodo saranno previste specifiche disposizioni per il personale dedicato alla ricerca in sanità, finalizzate anche all’individuazione, quali requisiti per l’accesso ai concorsi, dei titoli di studio di laurea e post laurea in possesso del personale precario nonché per il personale medico in servizio presso il pronto soccorso delle aziende sanitarie locali, con almeno cinque anni di prestazione continuativa, ancorché non in possesso della specializzazione in medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza. Resta comunque salvo quanto previsto dall’articolo 10, comma 4-ter, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368».
2.− Premette la ricorrente che la disposizione di cui all’art. 1, comma 5, non si rivolge specificamente alle Province autonome, ma alle amministrazioni pubbliche dell’elenco ISTAT e dunque la sua impugnazione ha un carattere eminentemente cautelativo.
3.− Tuttavia, ove dovesse ritenersi direttamente applicabile e immediatamente vincolante per la Provincia, essa violerebbe in primo luogo l’art. 79 dello statuto speciale, in quanto derogherebbe unilateralmente a tale disposizione senza seguire la procedura stabilita nell’art. 104 dello statuto medesimo.
Secondo la Provincia, l’art. 79 non riguarderebbe solo il patto di stabilità interno e le Province autonome non sarebbero soggette a tutte le norme statali recanti principi di coordinamento della finanza pubblica.
Tali principi, infatti, costituiscono un limite alla competenza concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. L’art. 79, comma 4, invece, ai sensi del quale «La regione e le province provvedono alle finalità di coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando la propria legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5», non si riferirebbe ad essi, ma a norme che abbiano «finalità di coordinamento della finanza pubblica» e che dunque non siano direttamente misure di finanza pubblica.
3.1.− La ricorrente deduce altresì la violazione dell’art. 79, comma 3, dello statuto speciale in quanto dovrebbe essere la Provincia a stabilire gli obblighi “interni” al sistema provinciale; sarebbe anche leso il principio dell’accordo che governa il regime dei rapporti finanziari fra Stato e Regioni ad autonomia speciale, poiché la disposizione impugnata introdurrebbe unilateralmente un’ulteriore misura di coordinamento finanziario, al di fuori degli strumenti previsti dall’art. 79.
4.− Ad avviso della difesa provinciale, inoltre, la disposizione impugnata, a dispetto della qualificazione operata dall’art. 1, comma 9, non avrebbe natura di principio, ma di norma di dettaglio e non lascerebbe margini di apprezzamento al legislatore locale in sede di attuazione, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
4.1.– Sarebbe inoltre lesa l’autonomia della Provincia autonoma in materia di organizzazione, l’autonomia di spesa e la competenza concorrente in materia di finanza locale.
4.2.− Infine, qualora l’art. 1, comma 5, fosse direttamente applicabile anche agli enti pubblici situati in Provincia di Trento, sarebbe violato l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, dato che la materia di riferimento (coordinamento della finanza pubblica) è di competenza concorrente e non esclusiva statale.
5.– La ricorrente impugna in via cautelativa anche l’art. 1, comma 8, trattandosi di una disposizione che, al pari della precedente, non si rivolge specificamente alla Provincia autonoma. Nondimeno, qualora fosse ritenuta direttamente applicabile nei suoi confronti, sarebbe illegittima “in via consequenziale”, in quanto prevederebbe un controllo sul rispetto di un vincolo incostituzionale.
5.1.– Tale disposizione, inoltre, violerebbe il sistema dei rapporti tra Stato e Provincia delineato dagli artt. 87 e 88 dello statuto speciale, nonché dal d.P.R. n. 305 del 1988; in virtù di tale sistema, infatti, non sarebbe consentito alla legge statale introdurre unilateralmente, nei confronti della Provincia autonoma, controlli ad opera di organi ministeriali.
Ciò sarebbe confermato, in via generale, dall’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 266 del 1992, secondo il quale «Nelle materie di competenza propria della regione o delle province autonome la legge non può attribuire agli organi statali funzioni amministrative, comprese quelle di vigilanza, di polizia amministrativa e di accertamento di violazioni amministrative, diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme di attuazione […]».
5.2.– Sarebbe altresì violato l’art. 79, comma 4, dello statuto speciale, il quale, con specifico riferimento al rispetto degli obblighi finanziari, dispone l’inapplicabilità alle Province autonome delle disposizioni statali generali.
5.3.– Nel prevedere «visite ispettive» ad opera di organi ministeriali, la norma impugnata lederebbe anche l’autonomia organizzativa e finanziaria della Provincia; risulterebbe, altresì, evidente l’irragionevolezza di tale intromissione nell’autonomia organizzativa, in vista di un controllo su specifiche voci di spesa.
6.– Con riguardo all’art. 4, comma 10, la ricorrente ne deduce l’illegittimità costituzionale in quanto le norme da esso richiamate non atterrebbero al coordinamento della finanza pubblica, ma all’organizzazione amministrativa, riguardando l’accesso alle pubbliche amministrazioni.
Pertanto la materia di riferimento sarebbe di competenza primaria della Provincia, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., qualora ritenuto più favorevole dell’art. 8, numero 1), dello statuto speciale, con la conseguenza che la Provincia incontrerebbe i soli limiti di cui all’art. 117, primo comma, Cost.
La disposizione impugnata, invece, obbligando le Province ad attuare «i commi 6, 7, 8 e 9 nel rispetto dei principi e dei vincoli ivi previsti e tenuto conto dei criteri definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 5», introdurrebbe limiti diversi da quelli costituzionalmente previsti, sia se riferiti alla potestà primaria delle Province autonome, sia se riferiti alla potestà residuale.
6.1.– Quanto alle singole disposizioni richiamate dal citato comma 10, il comma 6 richiede il «rispetto del limite finanziario fissato dall’art. 35, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno, nonché dei vincoli assunzionali previsti dalla legislazione vigente».
In materia di organizzazione, tuttavia, le Province autonome avrebbero competenza piena e non sarebbero soggette né alle singole norme del d.lgs. n. 165 del 2001, né ai «vincoli assunzionali» previsti dalla legislazione vigente, in quanto norme di dettaglio in materia di coordinamento della finanza pubblica.
6.1.1.– Il rinvio a tali vincoli, oltre a ledere l’autonomia legislativa della Provincia in materia organizzativa, lederebbe anche la sua autonomia amministrativa; quanto alle procedure regolate dai commi da 6 a 9, sarebbe lesa la sua autonomia di spesa; quanto ai vincoli posti a carico degli enti locali, la sua competenza concorrente in materia di finanza locale.
6.2.– Il comma 7, ponendo una preferenza per le assunzioni a tempo indeterminato con contratti di lavoro a tempo parziale, in relazione alle procedure di cui al comma 6, sarebbe una norma di dettaglio che lederebbe l’autonomia amministrativa della Provincia.
6.3.– Il comma 9 violerebbe il principio dell’accordo, in quanto estenderebbe alla Provincia l’art. 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), in assenza delle forme di concertazione previste dallo statuto.
6.4.– Il richiamo ai criteri stabiliti dal d.P.C.m. previsto dal comma 5, infine, introdurrebbe un limite da parte di un atto sub-legislativo e dunque violerebbe il divieto di fonti secondarie statali nelle materie provinciali.
7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio chiedendo che le questioni prospettate siano dichiarate infondate.
7.1.– Secondo l’Avvocatura, infatti, l’art. 1, comma 5, non si applicherebbe immediatamente alle Regioni e alle Province autonome, ma conterrebbe solo un principio di coordinamento della finanza pubblica.
In ogni caso non si tratterebbe di una disposizione che non lascerebbe alle Regioni alcun margine di apprezzamento, in quanto l’obbligo di ridurre le spese per incarichi di studio e consulenza potrebbe essere osservato con una pluralità di interventi alternativi o cumulativi, quali la riduzione del numero di incarichi in tutti i settori; la totale abolizione di incarichi che riguardano specifiche materie; la diminuzione dei compensi a favore dei beneficiari.
7.2.– Non sarebbe pertanto illegittimo neppure il comma 8, essendo tale disposizione collegata in modo diretto al comma 5.
7.3.– Quanto all’art. 4, comma 10, le relative censure non sarebbero fondate alla luce della giurisprudenza costituzionale che ha qualificato come principio di coordinamento della finanza pubblica l’articolo 17, comma 10, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 3 agosto 2009, n. 102, finalizzato alla stabilizzazione dei lavoratori pubblici precari.
Considerato in diritto
1.− La Provincia autonoma di Trento, con ricorso notificato il 30 dicembre 2013 e depositato il 7 gennaio 2014, ha impugnato gli artt. 1, commi 5 e 8, e 4, comma 10, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 ottobre 2013, n. 125, per violazione degli artt. 79, 103 e 104 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige»); del Titolo VI dello statuto speciale, in particolare degli artt. 79, 80 e 81, nonché delle relative norme di attuazione di cui agli artt. 17, 18 e 19 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale); degli artt. 87 e 88 dello statuto speciale, nonché del d.P.R. 15 luglio 1988, n. 305 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige per l’istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto); degli artt. 8, numero 1), e 16 dello statuto speciale; del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), in particolare degli artt. 2 e 4; degli artt. 117, terzo, quarto e sesto comma, 118 e 119, primo comma, della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione); del principio di ragionevolezza.
2.− L’art. 1, comma 5, riguarda la spesa per studi e incarichi di consulenza sostenuta dalle amministrazioni pubbliche dell’elenco ISTAT e prevede che venga ulteriormente decurtata, per gli anni 2014 e 2015, rispetto ai limiti derivanti dall’applicazione dell’art. 6, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122.
3. − Tale disposizione è impugnata dalla ricorrente solo a titolo cautelativo, per l’ipotesi in cui dovesse ritenersi direttamente applicabile alla Provincia autonoma di Trento, in ragione del riferimento alle amministrazioni pubbliche dell’elenco ISTAT.
3.1.− In tal caso, ad avviso della difesa provinciale, sarebbe in contrasto con l’art. 79 dello statuto speciale, perché introdurrebbe unilateralmente una misura di coordinamento della finanza pubblica, senza il previo accordo con la Provincia e dunque in violazione della procedura rinforzata prevista dall’art. 104 dello statuto.
3.2.− Si tratterebbe, inoltre, di una norma di dettaglio, che non lascerebbe al legislatore provinciale alcun margine di apprezzamento in sede di sua attuazione.
4.− Le questioni relative all’art. 1, comma 5, non sono fondate.
4.1.– Il d.l. n. 101 del 2013, all’art. 12-bis, stabilisce che «Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni di principio desumibili dal presente decreto ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, dei rispettivi statuti speciali e delle relative norme di attuazione» (comma 1); e che «Sono fatte salve le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, nonché ai sensi degli articoli 2 e 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3» (comma 2).
Tale clausola di salvaguardia esclude la immediata cogenza delle disposizioni di principio poste dal decreto, imponendo piuttosto un obbligo di adeguamento ad esse in capo alla Provincia.
Nella specie, è questa la natura dell’art. 1, comma 5, il quale, pertanto, non ha applicazione diretta alla Provincia autonoma di Trento, con conseguente non fondatezza delle relative questioni di legittimità costituzionale.
Ciò è conforme alla costante giurisprudenza costituzionale sull’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010. Secondo la Corte, infatti, tale disposizione «stabilisce principi di coordinamento della finanza pubblica, in base all’art. 117, terzo comma, Cost. (sentenze n. 221 e n. 36 del 2013, n. 262, n. 217, n. 211 e n. 139 del 2012)» e «non lede l’autonomia finanziaria di Regioni e Province a statuto speciale (art. 119 Cost. e Titolo VI dello statuto del Trentino-Alto Adige)» (sentenza n. 72 del 2014). Tra questi principi, in particolare, vi è quello posto dal comma 7, che impone di contenere le spese per studi ed incarichi di consulenza entro il 20% del tetto raggiunto nel 2009.
Dell’art. 6, comma 7, l’impugnato art. 1, comma 5, riflette la medesima natura di norma di principio, sia perché esibisce un contenuto normativo analogo, ponendo anch’esso l’obbligo di limitare le spese per studi e incarichi di consulenza entro determinate percentuali del limite previsto per gli anni precedenti; sia perché si presenta anche funzionalmente connesso all’art. 6, comma 7, in quanto i tagli previsti sono rapportati ai limiti di spesa determinati proprio dall’applicazione di quest’ultima disposizione.
5.– La ricorrente ha impugnato a titolo cautelativo anche l’art. 1, comma 8, che affida ad organi ministeriali il compito di effettuare visite ispettive per verificare il rispetto dei vincoli finanziari in materia di contenimento della spesa, denunciando alla Corte dei conti le irregolarità riscontrate.
5.1.– Ad avviso della ricorrente, questa disposizione, nell’ipotesi in cui dovesse ritenersi direttamente applicabile alla Provincia autonoma di Trento, sarebbe costituzionalmente illegittima «in via consequenziale», in quanto prevederebbe un controllo sul rispetto di un vincolo incostituzionale.
5.2.– Essa, inoltre, violerebbe il sistema dei rapporti tra Stato e Provincia quale delineato dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione, che non consentirebbe alla legge statale di introdurre unilateralmente, a carico della Provincia autonoma, controlli ad opera di organi ministeriali.
5.3.– Sarebbe anche violato l’art. 79, comma 4, dello statuto speciale, il quale, con specifico riferimento al rispetto degli obblighi finanziari, dispone l’inapplicabilità alle Province autonome delle disposizioni statali generali.
5.4.– Sarebbe infine lesa l’autonomia organizzativa e finanziaria della Provincia autonoma.
6.− Le questioni relative all’art. 1, comma 8, non sono fondate, nei termini di seguito precisati.
6.1.– Questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme che attribuivano ad apparati ispettivi dell’amministrazione centrale poteri di verifica sul complesso delle attività amministrative e finanziarie degli enti territoriali (sentenze n. 39 del 2014 e n. 219 del 2013).
Siffatte previsioni, infatti, eccedono i limiti del legittimo intervento del legislatore statale, in quanto attribuiscono «non già ad un organo magistratuale terzo quale la Corte dei conti, bensì direttamente al Governo un potere di verifica sull’intero spettro delle attività amministrative e finanziarie degli enti locali, sottraendolo, in tal modo, illegittimamente all’ambito riservato alla potestà normativa di rango primario delle ricorrenti Regioni autonome» (sentenza n. 39 del 2014).
6.2.– Con specifico riguardo alle Province autonome di Trento e di Bolzano, poi, questa Corte ha riconosciuto la spettanza ad esse del potere ispettivo sulle Unità sanitarie locali, in quanto riconducibile al più ampio potere di vigilanza, con la conseguente esclusione di un controllo aggiuntivo da parte del Ministero del tesoro (sentenze n. 182 del 1997 e n. 228 del 1993).
6.3.– È bensì vero che l’impugnato art. 1, comma 8, circoscrive tali verifiche al rispetto, da parte della Provincia autonoma, dei vincoli finanziari in materia di contenimento della spesa previsti dal d.l. n. 101 del 2013 e non le estende all’intero spettro dell’attività amministrativa e finanziaria della ricorrente; nondimeno, tale disposizione, ove applicata alla Provincia autonoma, sarebbe in contrasto con l’art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, ai sensi del quale, nelle materie di competenza propria della Regione o delle Province autonome, la legge non può attribuire agli organi statali funzioni amministrative, compresa quella di vigilanza, diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme di attuazione.
6.4.– L’art. 1, comma 8, pertanto, non può ritenersi applicabile alla ricorrente in forza della clausola di cui all’art. 12-bis, la quale fa salve le potestà attribuite alle Regioni ad autonomia speciale e alle Province autonome dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione (comma 2) e dunque esclude che la Provincia autonoma di Trento sia tenuta ad attuare norme del decreto che interferirebbero con tali potestà.
7.– L’art. 4, comma 10, stabilisce che «Le regioni, le province autonome e gli enti locali, tenuto conto del loro fabbisogno, attuano i commi 6, 7, 8 e 9 nel rispetto dei principi e dei vincoli ivi previsti e tenuto conto dei criteri definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 5».
7.1.– La ricorrente lamenta l’illegittimità costituzionale di questa disposizione, perché le norme da essa richiamate, riguardando l’accesso alle pubbliche amministrazioni, non atterrebbero al coordinamento della finanza pubblica, ma all’organizzazione amministrativa e introdurrebbero limiti diversi da quelli costituzionalmente previsti, in violazione dell’autonomia legislativa, amministrativa e di spesa della Provincia autonoma.
8.– Neppure le questioni relative all’art. 4, comma 10, sono fondate.
9.– Tale disposizione richiama alcuni commi del medesimo articolo che dettano una disciplina volta a ridurre il precariato, limitando l’utilizzo di personale temporaneo e favorendone, con procedure parzialmente riservate, la stabilizzazione.
9.1.– In particolare, il comma 6 prevede la possibilità per le pubbliche amministrazioni di bandire procedure concorsuali, per assunzioni a tempo indeterminato di personale non dirigenziale, riservate a soggetti che abbiano svolto un certo periodo di servizio (almeno tre anni) a tempo determinato.
Questa Corte ha qualificato come principio fondamentale di coordinamento il limite – cui il comma 6 fa rinvio – previsto dall’art. 1, comma 558, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), che ammetteva alla stabilizzazione soltanto personale non dirigenziale che avesse già maturato tre anni di servizio alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 296 del 2006 (in servizio in quel momento o alla luce del lavoro svolto nell’ambito del quinquennio precedente), ovvero che fosse destinato a maturarli in forza di contratti stipulati prima del 29 settembre 2006 (sentenza n. 277 del 2013).
9.2.– Il successivo comma 7 pone il criterio generale della preferenza per le assunzioni con contratti a tempo parziale.
Questa Corte, nello scrutinare una disposizione dal tenore in parte analogo, che sanciva un criterio di priorità «per l’attuazione dei processi assunzionali consentiti», disponendo che le amministrazioni pubbliche interessate attingessero prioritariamente ai lavoratori a tempo determinato in regime di proroga, «salva motivata indicazione concernente gli specifici profili professionali richiesti», ha rilevato come «Nel dare un’indicazione in termini di “priorità” rispetto ai lavoratori da assumere, infatti, il legislatore statale non pone vincoli rigidi, ma lascia alle singole amministrazioni la scelta in ordine alle assunzioni da operare, con la sola richiesta di motivazione, ove necessitino di profili professionali specifici. Pertanto, non si tratta di una norma di dettaglio, ma di una norma che prescrive un criterio generale e impone di motivare le eventuali determinazioni regionali difformi da tale criterio» (sentenza n. 89 del 2014). Il comma 7, pertanto, presenta la medesima natura di principio del comma 6, con il quale peraltro si trova in rapporto di stretta connessione, essendo preordinato a realizzarne meglio le finalità.
9.3.– Il comma 8, a sua volta, stabilisce che le Regioni predispongano un elenco di lavoratori socialmente utili e di giovani inoccupati dal quale gli enti territoriali che hanno vuoti in organico possano attingere per assunzioni a tempo indeterminato.
Anche questa disposizione, essendo finalizzata alla stabilizzazione dei lavoratori precari, è stata legittimamente adottata dallo Stato nell’esercizio della sua competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica (sentenze n. 18 del 2013 e n. 310 del 2011).
9.4.– Il comma 9, infine, prevede la possibilità di prorogare i contratti a tempo determinato, di cui all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, per le pubbliche amministrazioni che abbiano programmato procedure concorsuali di stabilizzazione.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’art. 9, comma 28, «pone un obiettivo generale di contenimento della spesa relativa ad un vasto settore del personale, ma al contempo lascia alle singole amministrazioni la scelta circa le misure da adottare con riferimento ad ognuna delle categorie di rapporti di lavoro da esso previsti» (sentenza n. 61 del 2014).
Si tratta, dunque, di un principio di coordinamento della finanza pubblica e il comma 9 ne riflette la medesima natura, trovandosi con esso in un rapporto di stretta imbricazione.
9.5.– I commi richiamati dalla disposizione impugnata, pertanto, sia per le finalità perseguite, relative alla stabilizzazione dei lavoratori precari, sia per il loro collegamento con norme espressive della potestà statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, sono parimenti disposizioni di principio e ad esse, ai sensi della clausola di cui all’art. 12-bis, la Provincia ha l’obbligo di adeguarsi, mediante la predisposizione delle fonti legislative e regolamentari necessarie alla loro attuazione.
9.6.– Quanto al richiamato comma 5, questa disposizione rimette ad un d.P.C.m. la definizione dei criteri di razionale distribuzione delle risorse che consentano alle pubbliche amministrazioni le assunzioni finalizzate alla stabilizzazione dei precari. Secondo la difesa provinciale, l’art. 4, comma 10, nel richiamare i criteri di cui al d.P.C.m. previsto dal comma 5, violerebbe il divieto di fonti secondarie statali nelle materie provinciali.
9.6.1.– Neppure questa censura è fondata.
9.6.2.– Alla luce della clausola di salvaguardia, infatti, è la Provincia di Trento che deve adeguarsi all’art. 4, comma 10. Ciò comporta che l’obbligo di adeguamento che grava in capo ad essa non è nei confronti del d.P.C.m. (che fra l’altro non risulta neppure adottato ed è al momento sostituito dalla circolare n. 5/2013 della Presidenza del Consiglio), ma è nei confronti della sola fonte legislativa e cioè del predetto art. 4, comma 10.
Pertanto il rinvio al d.P.C.m. previsto dalla disposizione impugnata non opera nei confronti della Provincia, la quale tuttavia deve assolvere al suo obbligo di adeguamento fissando con proprio atto interno i criteri di razionale distribuzione delle risorse.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 ottobre 2013, n. 125, promosse dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 16, 79, 80, 81 e 104 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige»); all’art. 17 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale); all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119, primo comma, della Costituzione;
2) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, del d.l. n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 125 del 2013, promosse dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 79, comma 4, 87 e 88 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige; al Titolo VI dello statuto speciale; al d.P.R. 15 luglio 1988, n. 305 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige per l’istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto); all’art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992; agli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost.; al principio di ragionevolezza;
3) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 10, del d.l. n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 125 del 2013, promosse dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 16, 79, comma 3, 80 e 81 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige; all’art. 17 del d.lgs. n. 268 del 1992; all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992; agli artt. 117, quarto e sesto comma, 118 e 119, primo comma, Cost.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 ottobre 2014.
F.to:
Giuseppe TESAURO, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 ottobre 2014.