Sentenza n. 151 del 2011

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SENTENZA N. 151

ANNO 2011

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                           MADDALENA                               Presidente

-           Alfio                            FINOCCHIARO                               Giudice

-           Alfonso                       QUARANTA                                           

-           Franco                         GALLO                                                    

-           Luigi                            MAZZELLA                                            

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             

-           Sabino                         CASSESE                                                

-           Giuseppe                     TESAURO                                               

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          

-           Paolo                           GROSSI                                                   

-           Giorgio                        LATTANZI                                              

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, 8, comma 4, 11, commi 1 e 2, 22, comma 6, e 33, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 12 maggio 2010, n. 6 (Legge di tutela della natura e altre disposizioni), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 26 luglio 2010, depositato in cancelleria il 5 agosto 2010 ed iscritto al n. 90 del registro ricorsi 2010.

Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Bolzano;

udito nell’udienza pubblica del 5 aprile 2011 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

uditi l’avvocato dello Stato Vittorio Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Roland Riz per la Provincia autonoma di Bolzano.

Ritenuto in fatto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, con ricorso spedito per la notifica il 26 luglio 2010 e depositato il successivo 5 agosto, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, 8, comma 4, 11, commi 1 e 2, 22, comma 6, e 33, comma 3, della legge della Provincia di Bolzano 12 maggio 2010, n. 6 (Legge di tutela della natura e altre disposizioni), per violazione degli artt. 117, primo comma, secondo comma, lettera s), terzo e quinto comma, della Costituzione, nonché dell’art. 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).

Preliminarmente, dopo aver rilevato che la legge provinciale impugnata contiene disposizioni a tutela degli animali selvatici, delle piante a diffusione spontanea, dei loro habitat, nonché dei fossili e dei minerali, la difesa dello Stato evidenzia che gli ambiti di potestà legislativa primaria della Provincia autonoma di Bolzano riguardano la caccia e i parchi per la protezione della flora e della fauna, previsti dall’art. 8, primo comma, numeri 15) e 16), del d.P.R. n. 670 del 1972. Diversamente, «la potestà di disciplinare l’ambiente nella sua interezza è stata affidata in via esclusiva allo Stato» dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nel quale sono affiancate le nozioni di ambiente e di ecosistema, come ampiamente confermato dalla giurisprudenza costituzionale (è richiamata la sentenza n. 378 del 2007). Spetterebbe pertanto allo Stato disciplinare l’ambiente, inteso quale entità organica, dettando norme di tutela che hanno ad oggetto «il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto».

Il ricorrente prosegue sottolineando che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario ed assoluto (sono richiamate le sentenze n. 210 del 1987 e n. 151 del 1986 della Corte costituzionale), e deve garantire un elevato livello di tutela, secondo le prescrizioni del diritto comunitario. Da ciò discenderebbe che tale disciplina unitaria non possa essere derogata da altre normative di settore, e che la stessa prevalga sulle discipline dettate dalle Regioni e dalle Province autonome, «in materie di propria competenza, ed in riferimento ad altri interessi», costituendo un limite all’esercizio della potestà legislativa dei predetti enti territoriali (è richiamata la sentenza n. 380 del 2007 della Corte costituzionale).

In particolare, l’esercizio dell’attività venatoria sarebbe ricompreso nella nozione di ambiente e di ecosistema, dal momento che tale attività incide sulla tutela della fauna e, conseguentemente, sull’equilibrio dell’ecosistema. Ne deriva che la Provincia autonoma di Bolzano, anche quando esercita la propria competenza in materia di caccia, sarebbe tenuta a rispettare gli standard minimi ed uniformi di tutela fissati dal legislatore nazionale, nonché la normativa comunitaria di riferimento (direttive 79/409/CEE del 2 aprile 1979 e 92/43/CEE del 21 maggio 1992, cd. direttiva Habitat), secondo il disposto dell’art. 8, primo comma, dello statuto speciale, e dell’art. 117, primo comma, Cost.

Prima di descrivere le singole censure, la difesa statale evidenzia come, più in generale, alcune disposizioni della legge provinciale n. 6 del 2010, oggetto di impugnazione, non rispettino i vincoli posti dall’art. 8, primo comma, dello statuto speciale, risultando invasive della competenza statale esclusiva in materia di ambiente, poiché non recano i necessari richiami alla normativa statale di settore, e precisamente alla legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) e al d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche). Tale mancato richiamo renderebbe «non univocamente interpretabili le disposizioni riguardanti le azioni, le specie e i luoghi oggetto delle previste attività di tutela e conservazione» della flora e della fauna selvatiche.

1.1. – Nel merito delle singole censure, il ricorrente ritiene che l’art. 4 della legge prov. Bolzano n. 6 del 2010, rubricato «Specie animali integralmente tutelate», contrasti con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nonché con gli artt. 8, primo comma, del d.P.R. n. 670 del 1972 e 117, primo comma, Cost. Infatti, nella norma in questione, sarebbero utilizzate «nozioni non coincidenti» con quelle di «specie protette e particolarmente protette» presenti nella normativa statale e comunitaria (direttiva 92/43/CEE, direttiva 79/409/CEE e relative norme statali di recepimento).

1.2. – L’art. 8, comma 4, della legge prov. Bolzano n. 6 del 2010 si porrebbe in contrasto, invece, con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e con il richiamato parametro statutario.

La disposizione impugnata prevede che «I proprietari, gli affittuari, gli usufruttuari e le persone con loro conviventi possono raccogliere senza limitazioni, sui fondi di cui dispongono, i funghi e le specie vegetali parzialmente protette», senza tenere conto del limite quantitativo giornaliero di tre chilogrammi di funghi a persona, stabilito dall’art. 4, comma 1, della legge 23 agosto 1993, n. 352 (Norme quadro in materia di raccolta e commercializzazione dei funghi epigei freschi e conservati), da ritenersi standard minimo, inderogabile, a protezione dell’ecosistema.

1.3. – È oggetto di censura anche l’art. 11, commi 1 e 2, della legge prov. Bolzano n. 6 del 2010, che interviene in materia di «deroghe» ai divieti fissati dalle disposizioni di cui agli artt. 4, comma 5, e 7, comma 4, della medesima legge provinciale, a tutela rispettivamente delle specie animali e vegetali «integralmente protette». In particolare, la disposizione contenuta nel comma 1 attribuisce il potere di concessione delle suddette deroghe al dirigente della Ripartizione provinciale Natura e paesaggio e quella contenuta nel comma 2 prevede che il predetto dirigente trasmetta «ogni due anni alle autorità nazionali competenti una relazione riguardante le deroghe concesse ai sensi del comma 1».

Secondo la difesa dello Stato la previsione contenuta nel comma 1 si porrebbe in contrasto con gli artt. 117, secondo comma, lettera s), Cost., 8 del d.P.R. n. 670 del 1972 e 117, primo comma, Cost., in quanto difforme da quella contenuta nell’art. 11, comma 1, del d.P.R. n. 357 del 1997, secondo cui le deroghe ai divieti che tutelano le specie, animali e vegetali, riferibili all’allegato IV alla direttiva 92/43/CEE, ovvero all’allegato D al citato regolamento, devono essere in ogni caso autorizzate dal Ministero dell’ambiente.

L’Avvocatura generale evidenzia come la gestione delle deroghe al prelievo debba avvenire a livello statale in ragione della diffusione frammentata, sul territorio nazionale, della popolazione di alcune tra le specie elencate negli allegati sopra richiamati, sicché soltanto la valutazione della situazione complessiva al momento della autorizzazione delle deroghe garantisce la conservazione di tali specie.

Quanto alla previsione contenuta nel comma 2, il ricorrente ne rileva il contrasto con gli stessi parametri sopra richiamati, nella parte in cui non prevede che la relazione periodica riguardante le deroghe concesse in ambito provinciale sia corredata dei dati richiesti dall’art. 16 della direttiva 92/43/CEE in riferimento alla relazione biennale, avente ad oggetto le deroghe concesse, che gli Stati membri sono tenuti ad inviare alla Commissione europea.

1.4. – è impugnato altresì l’art. 22, comma 6, della legge prov. Bolzano n. 6 del 2010, riguardante la disciplina della valutazione d’incidenza dei piani e progetti che possano avere ricadute sul sito Natura 2000, istituito dall’art. 4 della direttiva 92/43/CEE. La previsione denunciata prevede specificamente che, in caso di approvazione di piani o progetti che abbiano incidenza sul sito indicato o sulla sua conservazione, i provvedimenti di approvazione dispongano «le misure compensative necessarie per garantire la coerenza globale della rete ecologica europea Natura 2000, di cui è data comunicazione alla Commissione europea».

L’Avvocatura generale evidenzia come, ai sensi degli artt. 5, comma 9, 10 e 13 del d.P.R. n. 357 del 1997, richiamati quali norme interposte, le comunicazioni alla predetta Commissione debbano avvenire per il tramite del Ministero dell’ambiente. In tal senso si sarebbe espressa anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 378 del 2007, sulla base del principio sancito dall’art. 117, terzo e quinto comma, Cost., che attribuisce allo Stato la competenza a disciplinare i rapporti delle Regioni e delle Province autonome con l’Unione europea, e a definire le procedure di partecipazione dei predetti enti territoriali, negli ambiti di propria competenza, alla formazione degli atti comunitari. Con riferimento specifico alle materie dell’ambiente e del patrimonio culturale, l’art. 5 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) dispone che spetta allo Stato, e per esso al Ministro dell’ambiente, il potere di rappresentare il Paese davanti agli organismi europei, e quindi il potere di interloquire con la Commissione europea. La disposizione provinciale contrasterebbe comunque con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e con il parametro statutario evocato, vertendosi nell’ambito materiale della tutela dell’ambiente, di competenza esclusiva statale.

1.5. – Il ricorrente impugna, infine, l’art. 33, comma 3, della legge prov. Bolzano n. 6 del 2010, per violazione degli artt. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., e 8 del d.P.R. n. 670 del 1972.

La disposizione provinciale interviene sul testo della legge della Provincia autonoma di Bolzano 17 luglio 1987, n. 14 (Norme per la protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia), introducendo all’art. 9 il comma 1-bis, che delinea il procedimento per l’abbattimento, all’interno delle oasi di protezione, «di determinate specie di cui all’art. 4, commi 1 e 2, per motivi biologici e igienico-sanitari e per prevenire danni alle colture agricole-forestali ed al patrimonio ittico». In particolare, è stabilito che l’Assessore provinciale competente in materia di caccia possa autorizzare l’abbattimento «sentiti i pareri dell’Osservatorio Faunistico e della Ripartizione provinciale Natura e paesaggio».

Tale ultima previsione, in assunto del ricorrente, si porrebbe in contrasto con la normativa statale, contenuta negli artt. 7 e 19 della legge n. 157 del 1992, che richiede, per l’abbattimento delle specie elencate negli allegati II, III e IV della direttiva 92/43/CEE, il parere dell’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica.

L’Avvocatura generale osserva come, anche di recente, la giurisprudenza costituzionale abbia ribadito le prerogative statali sulla individuazione delle specie animali oggetto di caccia, anche quando lo statuto regionale o provinciale annoveri la caccia tra le materie di competenza legislativa primaria.

È richiamata in particolare la sentenza n. 233 del 2010, nella quale la Corte avrebbe evidenziato la peculiare incidenza della normativa regionale in un ambito attribuito alla competenza esclusiva del legislatore statale, quello della tutela dell’ambiente, come confermato anche dall’art. 7 della direttiva 79/409/CEE, secondo cui «in funzione del loro livello di popolazione, della distribuzione geografica e del tasso di riproduzione in tutta la Comunità le specie elencate nell’allegato II possono essere oggetto di caccia nel quadro della legislazione nazionale».

In attuazione della normativa comunitaria, l’art. 18 della legge n. 157 del 1992 elenca le specie cacciabili, i periodi in cui è consentita la caccia ed i procedimenti attraverso cui possono essere modificate le suddette previsioni, fissando in tal modo standard minimi e uniformi di tutela della fauna sull’intero territorio nazionale. Si legge, infatti, nella sentenza n. 233 del 2010, che si tratta «di norma fondamentale di riforma economico-sociale, in quanto indica il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica il cui rispetto deve essere assicurato sull’intero territorio nazionale e, quindi, anche nell’ambito delle Regioni a statuto speciale (sentenze n. 227 del 2003 e n. 536 del 2002)».

1.6. – La difesa dello Stato richiama ulteriori pronunce a conferma dell’orientamento ormai consolidato della Corte costituzionale, secondo cui la previsione contenuta nell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. «esprime una esigenza unitaria per ciò che concerne la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ponendo un limite agli interventi a livello regionale che possono pregiudicare gli equilibri ambientali» (sentenza numero 226 del 2003). Il resistente sottolinea inoltre come la tutela dell’ambiente, più che una materia in senso stretto, rappresenti un compito nell’esercizio del quale lo Stato introduce standard di protezione uniformi validi in tutte le Regioni e non derogabili da queste (sono citate le sentenze n. 222 del 2003 e n. 407 del 2002).

Dalle pronunce richiamate, nonché dai lavori preparatori relativi alla riforma dell’art. 117 Cost., emergerebbe con chiarezza l’intento del legislatore di revisione costituzionale di riservare allo Stato il potere di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale. La Corte costituzionale avrebbe poi ribadito che la materia «tutela dell’ambiente» presenta un contenuto allo stesso tempo oggettivo, in quanto riferito appunto al bene ambiente, e finalistico, perché tende alla migliore conservazione del bene stesso (sono richiamate le sentenze n. 225, n. 220, n. 30, n. 12, n. 10 del 2009, n. 104 del 2008, n. 378 e 367 del 2007).

In ragione di ciò, prosegue la difesa statale, la Corte ha affermato che la tutela e la conservazione dell’ambiente sono affidate allo Stato, mediante la fissazione di livelli «adeguati e non riducibili di tutela» (sentenza n. 61 del 2009), con la conseguenza che le Regioni possono esercitare le loro competenze per regolare la «fruizione dell’ambiente» nel rispetto dei livelli di tutela fissati dalla disciplina statale (sentenze n. 214 e n. 62 del 2008). Sarebbe questo il senso dell’affermazione secondo cui la competenza statale, quando è espressione della tutela dell’ambiente, costituisce un limite all’esercizio delle competenze regionali, le quali non possono derogare i livelli minimi di protezione dettati dallo Stato (sono richiamate le sentenze n. 164 del 2009, n. 437 e n. 180 del 2008).

La difesa dello Stato conclude con una osservazione di carattere generale, secondo cui la normativa provinciale oggetto di impugnazione sarebbe illegittima sotto un duplice profilo: per un verso, l’utilizzo di nozioni non coincidenti con quelle proprie della normativa statale e comunitaria, unitamente alla previsione di deroghe ai limiti imposti dalla normativa statale, producono l’effetto di vanificare la tutela uniforme minima dell’ambiente; per altro verso, l’attribuzione ad autorità provinciali di competenze che la normativa statale riserva a propri organi «rende impossibile garantire quella uniformità di tutela che sarebbe altrimenti raggiungibile».

2. – La Provincia di Bolzano, in persona del vice Presidente sostituto pro tempore, si è costituita in giudizio chiedendo che sia dichiarata l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza delle questioni promosse.

2.1. – Preliminarmente, la resistente eccepisce l’inammissibilità della questione avente ad oggetto l’art. 4 della legge prov. Bolzano n. 6 del 2010, per la genericità della censura, limitata al rilievo della non coincidenza tra la nozione di «specie integralmente protette», utilizzata nella disposizione impugnata, con quelle di «specie protette e particolarmente protette», contenute nella normativa statale e comunitaria.

In particolare, ad avviso della difesa provinciale, il ricorrente non avrebbe chiarito in quale modo l’asserita lesione dei parametri costituzionali evocati, in rapporto alla normativa statale e comunitaria, ridondi in una lesione delle competenze legislative statali in tema di "ambiente”.

2.2. – Nel merito, il ricorso nella sua interezza sarebbe basato sull’erroneo presupposto della riconducibilità della disciplina dettata dalla legge provinciale impugnata alla materia dell’ambiente, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

In realtà, osserva la difesa della resistente, l’art. 8, primo comma, numeri 15) e 16), dello statuto speciale attribuisce alle Province autonome la competenza a legiferare nelle materie «caccia e pesca» e «alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna», là dove il valore prescrittivo del catalogo di materie contenuto nello statuto è rimasto fermo, pur dopo la modifica del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, salve le modifiche in melius secondo il disposto dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). Pertanto, la competenza legislativa esclusiva dello Stato, come prevista nel secondo comma dell’art. 117 Cost., assumerebbe nei confronti della Provincia autonoma di Bolzano carattere necessariamente residuale.

Ciò posto sul piano generale, la difesa provinciale nega che la competenza esclusiva dello Stato in materia di ambiente possa avere, nei suoi confronti, «quell’effetto "trasversale” di limitazione delle attribuzioni legislative periferiche caratterizzante il riparto di competenze delineato dal Titolo V Cost., nella parte non applicabile alla resistente in quanto meno favorevole, alla luce dell’art. 10, l. cost. n. 3/2001». Tale ultima disposizione non consentirebbe allo Stato di opporre alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome le «più estese competenze legislative in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», e gli enti territoriali richiamati conserverebbero, nelle stesse materie, le competenze ad essi pacificamente riconosciute prima della revisione costituzionale del 2001, unitamente a tutte le altre attribuzioni statutarie.

La Provincia autonoma richiama la giurisprudenza costituzionale per evidenziare come, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, non sia affatto affermata la compressione delle potestà legislative provinciali a favore della competenza statale in materia di ambiente prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Nella sentenza n. 378 del 2007, già ampiamente citata dal ricorrente, la Corte costituzionale ha precisato che «occorre tenere conto degli statuti speciali di autonomia», i quali «nell’attribuire competenze legislative a detti enti, distinguono le materie oggetto di una potestà legislativa primaria, dalle materie oggetto di una potestà legislativa concorrente», e che, qualora si verta in materia di competenza provinciale primaria, «la Provincia autonoma è tenuta ad osservare soltanto i principi generali dell’ordinamento e le norme fondamentali di riforma economica e sociale».

Priva di pregio sarebbe la tesi della difesa statale, secondo cui talune disposizioni della legge provinciale avrebbero disatteso gli standard minimi ed uniformi di tutela dell’ambiente, fissati dalla legislazione nazionale. Né ancora potrebbe ritenersi che la Provincia autonoma sia vincolata, nelle materie di legislazione primaria, alle disposizioni statali di attuazione delle direttive comunitarie, spettando alla stessa Provincia, ai sensi del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), l’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie di propria competenza, con possibile intervento statale solo in caso di inerzia (sono richiamate le sentenze n. 378 del 2007 e n. 425 del 1999 della Corte costituzionale).

Con la legge provinciale oggetto di impugnazione, invero, la Provincia autonoma di Bolzano ha dato attuazione alle «prescrizioni di matrice comunitaria di cui alle direttive richiamate, esercitando una propria attribuzione costituzionale», ovvero un potere-dovere, ai sensi dell’art. 117, quinto comma, Cost. Tale disciplina è dunque destinata a prevalere su quella statale «secondo un modello di rapporti tra Stato e Regioni o Province autonome nella fase discendente dell’integrazione comunitaria, ormai pacifico» nella richiamata giurisprudenza costituzionale.

Prima di procedere all’esame del merito delle singole censure prospettate nel ricorso statale, la difesa della resistente evidenzia come, in ogni caso, le disposizioni della legge provinciale, anche là dove dettano una disciplina parzialmente diversa da quella statale, rispondano al «principio di ragionevolezza in rapporto alle concrete esigenze di tutela ed agli obiettivi attesi dalla stessa legislazione statale di attuazione […] e dalla disciplina comunitaria».

2.3. – Con riferimento all’impugnato art. 4 della legge prov. n. 6 del 2010, la resistente, dopo aver ribadito l’eccezione di inammissibilità della relativa questione, osserva come la dizione «specie integralmente protette», contenuta nella disposizione provinciale, garantisca una tutela ancora più pregnante alle specie animali indicate dall’allegato A alla medesima legge provinciale, nonché dalla direttiva 92/43/CEE e dalla direttiva 30 novembre 2009, n. 2009/147/CE, del Consiglio (che ha abrogato la direttiva 79/409/CEE richiamata nel ricorso statale).

2.4. – Analoghe considerazioni sono svolte in riferimento all’impugnato art. 8, comma 4, della legge prov. n. 6 del 2010. La disciplina ivi dettata risulterebbe più stringente di quella statale, in quanto consente la raccolta dei funghi ai soli proprietari, affittuari, usufruttuari (e persone conviventi) dei fondi interessati, mentre la legge n. 352 del 1993, che pone un limite quantitativo pro capite senza circoscrivere il novero dei soggetti legittimati alla raccolta, appresterebbe una tutela debole.

2.5. – Quanto alla disposizione contenuta nell’impugnato art. 11 della legge prov. n. 6 del 2010, che assegna al dirigente della Ripartizione provinciale Natura e paesaggio la competenza a concedere deroghe ai divieti previsti dagli artt. 4, comma 5, e 7, comma 4 della stessa legge, la resistente richiama l’art. 1 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste), il quale dispone che «le attribuzioni dell’amministrazione dello Stato in materia di […] caccia e pesca, alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna, […] esercitate sia direttamente dagli organi centrali e periferici dello Stato sia per il tramite di enti ed istituti pubblici a carattere nazionale o sovra provinciale e quelle già spettanti alla regione Trentino Alto-Adige nelle stesse materie, sono esercitate, per il rispettivo territorio, dalle province di Trento e di Bolzano con l’osservanza delle norme del presente decreto».

È richiamato inoltre l’art. 16 dello statuto speciale, il quale dispone che «nelle materie e nei limiti entro cui la regione o la provincia può emanare norme legislative, le relative potestà amministrative, che in base all’ordinamento preesistente erano attribuite allo Stato, sono esercitate rispettivamente dalla regione e dalla provincia».

In definitiva, secondo la resistente, ogni competenza amministrativa inerente le materie della caccia e della protezione della flora e della fauna appartiene alla Provincia autonoma, senza che la censurata sostituzione degli organismi statali con altrettanti organi provinciali incida in alcun modo sull’effettività della tutela delle specie, animali e vegetali, protette dalla direttiva 92/43/CEE. I limiti di esercizio del potere di deroga, come individuati dalla disposizione impugnata, sono gli stessi indicati dal d.P.R. n. 357 del 1997, ed inoltre, al fine di garantire il monitoraggio della gestione delle deroghe, la stessa disposizione impone agli organi provinciali di comunicare all’autorità nazionale, con cadenza biennale, una relazione concernente le deroghe. In questo modo lo Stato è posto in grado di dare esecuzione agli obblighi di comunicazione biennale discendenti dall’art. 16 della direttiva 92/43/CEE.

Inconferente sarebbe poi il richiamo, contenuto nel ricorso statale, al disposto dell’art. 8, comma 4, del d.P.R. n. 357 del 1997, giacché quest’ultima previsione riguarda il sistema di monitoraggio sul regime di tutela ordinaria delle specie di cui alla direttiva 92/43/CEE, e non anche l’obbligo di comunicazione delle "deroghe”, al quale invece fa riferimento l’art. 16 della citata direttiva.

2.6. – La difesa provinciale ritiene priva di fondamento anche la questione promossa in riferimento all’art. 22, comma 6, della legge prov. n. 6 del 2010, che prevede la comunicazione diretta, dagli organi provinciali alla Commissione europea, delle misure compensative necessarie a garantire la coerenza globale della rete ecologica Natura 2000, diversamente da quanto previsto dalla normativa statale contenuta nel d.P.R. n. 357 del 1997.

È ribadita la "cedevolezza” delle prescrizioni contenute nel citato regolamento – che avrebbe perso efficacia per effetto dell’entrata in vigore della legge provinciale –, con ulteriore richiamo della sentenza n. 425 del 1999 della Corte costituzionale. In ogni caso, la norma provinciale impugnata non contrasterebbe con il disposto dell’art. 5 della legge n. 131 del 2003, che disciplina le modalità di partecipazione delle Province autonome, nelle materie di propria competenza, alla formazione degli atti comunitari: quest’ultima disposizione non escluderebbe in alcun modo che la Provincia autonoma di Bolzano possa provvedere direttamente a comunicare dati rilevanti alla Commissione europea.

2.7. – Con riferimento infine alla censura che investe l’art. 33, comma 3, della legge prov. n. 6 del 2010, che ha introdotto il comma 1-bis all’art. 9 della legge prov. Bolzano n. 14 del 1987, la difesa provinciale osserva come tale previsione e l’art. 18 della legge n. 157 del 1992, in combinato disposto con l’art. 7 della medesima legge, operino su piani differenti.

La disposizione provinciale impugnata, infatti, avrebbe lo scopo di consentire l’abbattimento, per motivi biologici e igienico-sanitari, ovvero per prevenire danni alle colture agricole-forestali e al patrimonio ittico, delle specie animali indicate all’art. 4, commi 1 e 2, della legge provinciale n. 14 del 1987, là dove le disposizioni statali richiamate disciplinano il calendario venatorio. Né potrebbe ritenersi, a parere della stessa difesa, che la legge n. 157 del 1992 costituisca, in rapporto all’art. 33 della legge provinciale n. 6 del 2010, norma fondamentale di riforma economico-sociale, finalizzata ad individuare il nucleo minimo di tutela della fauna selvatica.

La censura formulata dallo Stato avrebbe avuto ragion d’essere qualora fosse stato attribuito all’assessore provinciale competente in materia di caccia il compito di ridefinire il calendario venatorio, giacché in tal caso l’individuazione delle specie cacciabili e dei periodi di attività venatoria avrebbero intaccato il richiamato nucleo minimo di tutela, nei termini stigmatizzati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 233 del 2010, richiamata dal ricorrente. Ma così non sarebbe, dal momento che la ratio dell’art. 33, comma 3, della legge prov. n. 6 del 2010 risiede nella necessità di consentire l’abbattimento di capi di specie protette quando ricorrano le peculiari e contingenti situazioni sopra enucleate. In sintesi, mentre la legge n. 157 del 1992 disciplina l’attività venatoria nel suo svolgersi ordinario, il campo di applicazione della disposizione impugnata è affatto particolare.

La difesa provinciale evidenzia inoltre come nessuna delle specie di mammiferi cacciabili ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge provinciale n. 14 del 1987 sia compresa negli allegati II e IV alla direttiva 92/43/CEE, mentre l’allegato III alla stessa direttiva, pure richiamato dal ricorrente, ha ad oggetto i criteri di selezione dei siti di potenziale importanza comunitaria e designati quali zone speciali di conservazione, e perciò presenta un ambito applicativo non sovrapponibile a quello della disposizione provinciale censurata.

Sotto diverso profilo l’allegato II alla citata direttiva 92/43/CEE prevede una particolare tutela dell’habitat di specie animali in pericolo, vulnerabili, rare o endemiche, allo scopo di scongiurarne la rarefazione o l’estinzione. Diversamente, l’art. 4, comma 2, della legge provinciale n. 14 del 1987 si limita a prevedere la possibilità di un intervento mirato di controllo, per evitare che l’aumento eccessivo di alcune specie possa pregiudicare l’equilibrio ecologico o l’agricoltura, la silvicoltura, la piscicoltura, la consistenza della fauna selvatica o la sicurezza pubblica, ovvero per motivi di sanità.

Infine, osserva la difesa della Provincia di Bolzano, l’allegato IV alla direttiva 92/43/CEE estende il novero delle specie di cui all’allegato II e introduce, a peculiare tutela delle stesse, accanto al divieto di uccisione e cattura, anche il divieto di disturbo, nonché di deterioramento o distruzione delle aree di ripopolamento e riposo. Ciò dimostrerebbe che le specie animali destinatarie di tale rafforzata tutela sono quelle rare ed in pericolo, prive come tali di impatto sulla produzione agricola, forestale o ittica, e perciò non assoggettabili al regime dell’abbattimento selettivo previsto dalla disposizione provinciale impugnata.

3. – In data 14 marzo 2011 la Provincia autonoma di Bolzano ha depositato memoria integrativa con la quale insiste nelle conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione in giudizio, argomentando ulteriormente in riferimento alla inammissibilità ed alla non fondatezza delle questioni promosse con il ricorso statale.

3.1. – La difesa provinciale ribadisce l’eccezione di inammissibilità, per genericità ed indeterminatezza, delle censure relative all’art. 4 della legge provinciale n. 6 del 2010, ed evidenzia come, secondo la giurisprudenza costituzionale consolidata, nei ricorsi in via principale il ricorrente debba illustrare adeguatamente le ragioni per le quali le disposizioni impugnate violano i parametri evocati, e spiegare in quale misura le violazioni ridondino sulle proprie attribuzioni costituzionali. L’onere motivazionale si porrebbe, in questa tipologia di giudizi, «in termini anche più pregnanti che in quello in via incidentale», con la conseguenza che la mancata specificazione delle argomentazioni è causa di inammissibilità della questione.

3.2. – Nel merito, in ogni caso, tutte le censure prospettate dallo Stato sarebbero infondate posto che, nelle materie di competenza legislativa primaria della «caccia e pesca» e della «alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna», la Provincia autonoma non sarebbe sottoposta ai limiti fissati dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e quindi al rispetto delle norme statali che fissano "standard minimi ed uniformi di tutela” in materia di ambiente. Invero, le disposizioni introdotte dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 sono applicabili, alla Provincia autonoma resistente, solo in quanto prevedano forme più ampie di autonomia di quelle già riconosciute, con la conseguenza che lo Stato non potrebbe invocare le competenze derivanti dal citato art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e la normativa statale di riferimento (legge n. 157 del 1992 e d.P.R. n. 357 del 1997) come "limiti” delle competenze legislative della Provincia autonoma di Bolzano.

Secondo la difesa provinciale, inoltre, lo Stato non potrebbe pretendere il rispetto della normativa richiamata in quanto attuativa della disciplina comunitaria, dal momento che, ai sensi del d.P.R. n. 526 del 1987, spetta alla Provincia autonoma di Bolzano, nelle materie di propria competenza, dare attuazione alle direttive comunitarie (sono richiamate le sentenze n. 425 del 1999 e n. 378 del 2007).

Infine, anche a voler seguire la tesi del ricorrente sull’applicabilità degli standard minimi ed uniformi di tutela fissati dalla legislazione statale, le doglianze prospettate risulterebbero infondate, in quanto le disposizioni provinciali impugnate, anche là dove dettano una disciplina difforme da quella statale, risulterebbero comunque rispettose degli obiettivi di tutela minima previsti dalle direttive e dalla normativa statale di attuazione.

In questo senso, la disposizione contenuta nell’art. 4, che prevede la tutela "integrale” delle specie animali di cui alla direttiva 92/43/CEE ed alla direttiva 2009/147/CE (che ha sostituito la direttiva 79/409/CEE) – là dove, invece, la direttiva 92/43/CEE e il d.P.R. n. 357 del 1997 utilizzano la locuzione "protezione rigorosa” –, sembra essere in linea con la direttiva Habitat.

Allo stesso modo, la disposizione contenuta nell’impugnato art. 8, comma 4, della legge provinciale, che distingue, a fini della limitazione nella raccolta dei funghi, i proprietari, affittuari, usufruttuari dei fondi (e le persone con essi conviventi), dal resto della popolazione, sarebbe rispettoso dei precetti contenuti negli artt. 42 e 44 Cost.

Ancora, sarebbero destituite di fondamento le censure riguardanti la sostituzione degli organi statali con quelli provinciali nella concessione delle deroghe alla disciplina riservata alle specie animali e vegetali di cui alla direttiva 92/43/CEE, posto che nelle materie della «caccia e pesca» e della «protezione della flora e fauna», ai sensi dell’art. 1 del d.P.R. n. 279 del 1974, la Provincia autonoma di Bolzano esercita, nel proprio territorio, le attribuzioni dell’amministrazione dello Stato. Né la sostituzione censurata inciderebbe sull’effettività della tutela, essendo i limiti di esercizio del potere di deroga identici a quelli indicati nel d.P.R. n. 357 del 1997. Analoghe considerazioni varrebbero per l’impugnato art. 22 della legge provinciale, che prevede la comunicazione diretta, dalla Provincia autonoma alla Commissione europea, delle misure compensative connesse alla coerenza globale della rete ecologica europea Natura 2000. Trattandosi di disciplinare l’ambito materiale della caccia e pesca e della protezione della flora e della fauna, legittimamente spetta alla Provincia di procedere alla indicata comunicazione e le diverse prescrizioni, contenute nel d.P.R. n. 357 del 1997, hanno perso efficacia con l’entrata in vigore della normativa provinciale.

Quanto, infine, all’impugnato art. 33, comma 3, della legge provinciale n. 6 del 2010, la difesa provinciale ribadisce che tale previsione ha lo scopo di consentire l’abbattimento, in deroga ai divieti indicati nell’art. 4, comma 5, della stessa legge, e con l’intervento dell’assessore provinciale competente in materia di caccia, delle specie assoggettate in via ordinaria al regime di tutela integrale disposto dal medesimo art. 4, nel caso in cui ciò sia richiesto da peculiari e contingenti esigenze. La disposizione censurata non inciderebbe perciò, in alcun modo, sul regime previsto dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992, che contiene la disciplina del calendario venatorio.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, 8, comma 4, 11, commi 1 e 2, 22, comma 6, e 33, comma 3, della legge della Provincia di Bolzano 12 maggio 2010, n. 6 (Legge di tutela della natura e altre disposizioni), per violazione degli artt. 117, primo comma, secondo comma, lettera s), terzo e quinto comma, della Costituzione, nonché dell’art. 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).

2. – Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità della questione riguardante l’art. 4 della legge prov. Bolzano n. 6 del 2010, prospettata dalla difesa della resistente, per genericità della relativa censura.

Sarebbe priva di motivazione, secondo la difesa provinciale, l’asserita incidenza sulle attribuzioni costituzionalmente garantite dello Stato della diversità terminologica contenuta nella disposizione impugnata – per indicare il grado di protezione di alcune specie animali e vegetali – rispetto alle espressioni contenute nelle norme statali e comunitarie.

2.1. – L’eccezione non è fondata.

L’intero ricorso statale è basato sulla prospettata violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e 8, primo comma, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol. L’asserita totale estraneità dell’oggetto delle norme impugnate alle materie di competenza della Provincia autonoma di Bolzano implica, se riscontrata da questa Corte, l’irrilevanza della misura del discostamento della normativa provinciale da quella statale, giacché né lo Stato né le Regioni, e in questo caso le Province autonome, possono legiferare del tutto al di fuori delle loro competenze legislative costituzionalmente attribuite.

Quanto detto sopra non esclude naturalmente che questa Corte, nello scrutinio del merito delle questioni sollevate, possa riconoscere, indipendentemente dall’impostazione del ricorso, la concomitanza di potestà legislative provinciali e statali, e valutare, in tale ipotesi, se le censure siano fondate o, al contrario, sia stata legittimamente prevista, da parte della Provincia autonoma, la tutela di interessi funzionalmente collegati con la materia dell’ambiente, ma rientranti in materie di propria competenza, sempre nel rispetto degli standard uniformi stabiliti dalle leggi statali (ex plurimis, sentenza n. 62 del 2008).

3. – Nel merito, le questioni sono fondate.

3.1. – Il ricorrente censura l’intero art. 4 della legge prov. n. 6 del 2010, perché in esso è utilizzata la nozione di «specie integralmente protette», non coincidente con le nozioni utilizzate dalla normativa statale e comunitaria di riferimento. Tale scelta linguistica – operata da una norma riconducibile alla materia di competenza esclusiva statale «tutela dell’ambiente», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s) Cost. – renderebbe peraltro «non univocamente interpretabili» le disposizioni a tutela delle specie animali.

Per valutare la fondatezza della questione, è necessario precisare quale sia l’ambito materiale cui inerisce la disciplina impugnata.

La Provincia autonoma di Bolzano è titolare di potestà legislativa primaria in materia di «caccia e pesca», e «parchi per la protezione della flora e della fauna» (art. 8, comma 8, numeri 15 e 16, dello statuto speciale).

La norma censurata non regola l’attività venatoria, né riguarda l’istituzione o la disciplina di parchi naturali, ma mira a tutelare la fauna in sé e per sé, con divieti, a carattere generale, che prescindono sia da specifiche attività sia da particolari contesti spaziali. Si tratta quindi di vere e proprie norme di protezione ambientale, che rientrano nella materia «tutela dell’ambiente», di competenza esclusiva statale, non compresa tra le materie specificamente enumerate dallo statuto speciale come di competenza primaria delle Province autonome. Poiché si versa in materia del tutto estranea alla competenza provinciale, non v’è luogo ad esaminare il problema se la norma impugnata abbia previsto, o non, una tutela uguale o più intensa di quella fissata dalla legge statale. Infatti, non è consentito alle Regioni ed alle Province autonome di legiferare, puramente e semplicemente, in campi riservati dalla Costituzione alla competenza esclusiva dello Stato, ma soltanto di elevare i livelli di tutela degli interessi costituzionalmente protetti, purché nell’esercizio di proprie competenze legislative, quando queste ultime siano connesse a quelle di cui all’art. 117, secondo comma, Cost. (ex plurimis, sentenza n. 378 del 2007). Tale ipotesi non ricorre nella fattispecie, giacché la norma impugnata non regola l’abbattimento delle specie animali nell’esercizio dell’attività venatoria, ma pone divieti – riguardanti, in generale, la cattura e l’uccisione di animali o la distruzione di uova e luoghi di nidificazione e di riproduzione – rivolti a tutti indistintamente, quali che siano le attività svolte. Né può dirsi che i divieti in parola siano limitati ai territori compresi nell’ambito di parchi naturali, giacché tale restrizione non risulta in alcun modo dalla stessa norma impugnata.

In definitiva, l’art. 4 della legge prov. Bolzano n. 6 del 2010, nel disciplinare in generale la tutela di specie animali, indipendentemente dall’esercizio della caccia e dalla disciplina dei parchi naturali, invade la sfera di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che trova applicazione anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, in quanto tale materia non è compresa tra le previsioni statutarie riguardanti le competenze legislative, primarie o concorrenti, regionali o provinciali.

Non si pone pertanto il problema se la norma costituzionale citata preveda, per le Regioni e le Province autonome, «forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite» (art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 – Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), proprio perché, come chiarito, la materia «tutela dell’ambiente» non appartiene a quelle già attribuite alle Province autonome prima della revisione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione.

3.2. – È altresì censurato l’art. 8, comma 4, della legge prov. n. 6 del 2010, che consente la raccolta illimitata di funghi epigei ai proprietari, agli affittuari, agli usufruttuari e alle persone con loro conviventi sui fondi di cui dispongono, in deroga all’art. 4, comma 1, della legge 23 agosto 1993 n. 352 (Norme quadro in materia di raccolta e commercializzazione di funghi epigei freschi e conservati), che fissa il limite massimo giornaliero di tre chilogrammi complessivi per persona.

La legge statale sopra citata, che ricade in materia di tutela dell’ambiente, attribuisce alle Regioni la potestà di disciplinare con proprie leggi la raccolta e la commercializzazione dei funghi epigei spontanei, nel rispetto dei princìpi fondamentali dalla medesima legge stabiliti. È pure previsto che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano provvedano in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti (art. 1, comma 1).

Il limite generale di tre chilogrammi giornalieri per persona, di cui alla norma statale citata, si pone con evidenza quale standard uniforme di tutela, a garanzia dell’ambiente e dell’ecosistema, e perciò costituisce limite invalicabile da qualunque normativa regionale o provinciale, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte.

Non si può condividere il rilievo della difesa provinciale, che si basa su una pretesa maggiore tutela dei funghi da parte della norma impugnata, giacché circoscriverebbe il novero dei soggetti legittimati alla raccolta, anziché consentire la stessa a chiunque, pur con il limite quantitativo. La stessa norma infatti si limita a prevedere l’assenza di limiti per le categorie prima menzionate, ma non si collega ad un generale divieto di raccogliere funghi, che non si evince da alcuna norma provinciale. Tale divieto riguarda infatti soltanto le «piante parzialmente protette» (art. 8, comma 3, legge prov. n. 6 del 2010), tenute distinte dai funghi nella norma impugnata (art. 8, comma 4). Dal combinato disposto dei due commi sopra citati si ricava che nel territorio della Provincia di Bolzano è vietata l’estirpazione delle piante parzialmente protette, tranne che alle persone appartenenti alle categorie di cui al successivo comma 4, le quali possono raccoglierle senza limitazioni; è invece consentita la raccolta illimitata di funghi alle stesse persone, fermo restando per tutti gli altri soggetti il limite di cui alla legge statale, che non risulta derogato, seppur con disciplina più stringente, da alcuna norma provinciale.

Non si può neppure accogliere l’ulteriore argomento difensivo della resistente, basato sull’evocazione degli artt. 42 e 44 Cost., giacché nella fattispecie non vengono in rilievo la tutela della proprietà ed i limiti alla stessa, ma la tutela dell’ambiente come bene comune, per la cui salvaguardia esistono regole generali inderogabili da tutti, proprietari dei fondi e non. La conservazione di determinate specie vegetali, su cui si basa l’equilibrio dell’ecosistema, non può essere subordinata alla soddisfazione di interessi particolari.

Per i motivi esposti, risulta violato il livello uniforme di tutela fissato dalla legge statale a protezione dell’ambiente e dell’ecosistema.

3.3. – Il ricorrente censura inoltre l’art. 11, commi 1 e 2, della medesima legge provinciale, che attribuisce al dirigente della Ripartizione provinciale Natura e paesaggio il potere di concedere deroghe ai divieti previsti a tutela delle specie animali integralmente protette.

La stessa disposizione censurata precisa, al comma 1, che il suo ambito di applicazione è quello delle «specie animali non soggette alle leggi provinciali sulla caccia e sulla pesca». Risalta in tal modo con chiarezza che la disciplina in questione esula, per sua stessa affermazione, dalla materia della caccia e della pesca, attribuita dallo statuto speciale alle Province autonome, e ricade quindi nell’ambito generale della «tutela dell’ambiente», di competenza esclusiva statale. Pertanto, la competenza generale del Ministero dell’ambiente a concedere le deroghe di cui sopra – stabilita dall’art. 11 del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche) – si estende a tutto il territorio nazionale, senza che per la Provincia di Bolzano possa essere invocato un titolo di competenza speciale.

Questa Corte ha peraltro precisato che la disciplina delle deroghe ai divieti imposti per la salvaguardia delle specie protette rientra tra gli standard uniformi e intangibili di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di esclusiva competenza statale (sentenza n. 387 del 2008). L’uniformità degli standard implica logicamente l’uniformità della loro applicazione, allo scopo di impedire che prassi amministrative diverse possano pregiudicare l’obiettivo della conservazione della fauna in modo equilibrato in tutto il territorio della Repubblica.

3.4. – Il ricorrente impugna anche l’art. 22, comma 6, della legge provinciale citata, che prevede un rapporto diretto tra la Provincia autonoma di Bolzano e la Commissione europea, riguardo alla comunicazione delle misure compensative necessarie per garantire la coerenza globale della rete ecologica europea Natura 2000, istituita dall’art. 4 della direttiva Habitat. L’art. 13 del d.P.R. n. 357 del 1997 individua nel Ministero dell’ambiente il soggetto tenuto a trasmettere le informazioni alla Commissione europea riguardo all’attuazione di tutti gli obiettivi fissati nella suddetta direttiva.

Occorre ricordare in proposito che questa Corte ha affermato che, nella materia de qua, il «potere di interloquire con la Commissione europea […] spetta allo Stato, ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge n. 349 del 1986 (che attribuisce al Ministro dell’ambiente il compito di rappresentare l’Italia presso gli organismi della Comunità europea in materia di ambiente e di patrimonio culturale), in base al principio sancito dai commi terzo e quinto dell’art. 117 della Costituzione, i quali attribuiscono allo Stato la competenza a disciplinare i rapporti delle Regioni e delle Province autonome con l’Unione europea e a definire le procedure di partecipazione delle stesse, nelle materie di loro competenza, alla formazione degli atti comunitari. L’invocato art. 1, comma 5, della legge n. 349 del 1986 è pienamente ribadito dall’art. 5 della legge 5 giugno 2003 n. 131 […], il quale conferma il principio di unitarietà della rappresentazione della posizione italiana nei confronti dell’Unione europea» (sentenza n. 378 del 2007). La pronuncia ora citata concludeva nel senso che la Provincia autonoma di Trento non potesse «ascrivere direttamente alla propria competenza il potere di mantenere "rapporti” con l’Unione europea, prescindendo dalle leggi dello Stato». La medesima affermazione deve essere oggi ribadita a proposito della Provincia di Bolzano.

Non possono essere, al riguardo, condivise le argomentazioni della resistente, che, richiamando le sentenze n. 425 del 1999 e n. 378 del 2007, pretendono di affermare la competenza provinciale sulla base della "cedevolezza” dei regolamenti statali di attuazione delle direttive comunitarie nelle materie di competenza primaria delle Province autonome. Occorre precisare sul punto che la sentenza n. 378 del 2007 ha fatto riferimento ai princìpi generali dell’ordinamento, come già la sentenza n. 425 del 1999, per concludere che, ferma restando la cedevolezza di cui sopra, la previsione del potere diretto di interlocuzione attribuito alla Provincia viola tali princìpi e le norme fondamentali di riforma economico-sociale.

3.5. – È censurato infine l’art. 33, comma 3, della medesima legge provinciale, che introduce il comma 1-bis all’art. 9 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 17 luglio 1987, n. 14 (Norme per la protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia). La disposizione citata ha per oggetto la disciplina del procedimento per l’abbattimento, all’interno delle oasi di protezione, di «determinate specie di cui all’art. 4, commi 1 e 2, per motivi biologici igienico sanitari e per prevenire danni alle colture agricole e forestali ed al patrimonio ittico».

Il ricorrente lamenta che, nel procedimento delineato dalla norma impugnata, l’abbattimento sia autorizzato previo parere dell’Osservatorio faunistico provinciale, anziché dell’Istituto nazionale della fauna selvatica, in difformità dalle previsioni contenute negli artt. 7 e 19 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), dettate a tutela della fauna selvatica, comprensiva delle specie elencate negli Allegati da II a IV della direttiva Habitat.

Sul presupposto che le specie animali cui si fa riferimento nella norma impugnata siano anche quelle indicate nella direttiva Habitat – dato riconosciuto dalla stessa difesa provinciale – si deve affermare che la Provincia non può procedere all’abbattimento di capi appartenenti a queste specie senza il previo parere dell’organo consultivo centrale, istituito dall’art. 7 della legge n. 157 del 1992. La norma contenuta nell’art. 19 di tale legge, secondo cui le Regioni provvedono al controllo della fauna selvatica, anche nelle zone in cui è vietata la caccia, e tale controllo è esercitato su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica, detta uno standard di tutela uniforme necessaria ad assicurare l’effettività della protezione della fauna medesima su tutto il territorio nazionale, che lo Stato italiano è tenuto a garantire in ambito comunitario.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 4, 8, comma 4, 11, commi 1 e 2, 22, comma 6, 33, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 12 maggio 2010, n. 6 (Legge di tutela della natura e altre disposizioni).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2011.

F.to:

Paolo MADDALENA, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2011.