SENTENZA
N. 345
ANNO
2005
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI
MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE
SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 8, del decreto-legge
15 aprile 2002, n. 63 (Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di
riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti
farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni,
valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture),
convertito, con modificazioni, nella legge 15 giugno 2002, n. 112, promosso con
ordinanza del 3 ottobre 2003 dalla Commissione dei ricorsi contro i
provvedimenti dell'Ufficio italiano brevetti e marchi di Roma sul ricorso
proposto da Schering Corporation contro il Ministero
delle attività produttive – Direzione generale sviluppo produttivo e competività, iscritta al n. 1058 del registro ordinanze
2003 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 50,
prima serie speciale, dell'anno 2003.
Visto l'atto
di costituzione di Schering Corporation, nonché gli
atti di intervento
di
Bristol Myers Squibb s.r.l., Pfizer Italia s.r.l., Pharmacia Italia s.p.a. e Merck Sharp & Dohme Italia s.p.a., di Menarini International Operations Luxembourg ed altri,
di Sigma-Tau s.p.a., di F. Hoffmann
udito nell'udienza
pubblica del 21 giugno 2005 il Giudice relatore Romano Vaccarella;
uditi gli
avvocati Diego Vaiano per Schering
Corporation e per Bristol Myers Squibb s.r.l., Pfizer
Italia s.r.l., Pharmacia Italia s.p.a. e Merck Sharp
& Dohme Italia s.p.a., Giuseppe Sena, Giancarlo
Del Como e Stefano Grassi per Menarini International Operations
Luxembourg ed altri, Antonio Baldassarre per
Sigma-Tau s.p.a., Giuseppe Sena, Mario Alberto Quaglia e Giancarlo Del Corno
per F. Hoffmann
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 3 ottobre 2003
1.1.– Espone il rimettente di essere stato adìto da Schering Corporation con
domanda, proposta nei confronti del Ministero delle attività produttive –
Ufficio italiano brevetti e marchi e volta ad ottenere l'annullamento dei
provvedimenti adottati da detto Ufficio, in data 24 gennaio 2003 e 25 febbraio
2003, di ricalcolo della durata di due certificati complementari di protezione
appartenenti all'attrice, ottenuti, rispettivamente, in data 13 novembre 1992 e
25 settembre 1996; ricalcolo operato al dichiarato fine di adeguare la durata
dei predetti titoli a quella prevista dall'art. 3, comma 8, del decreto-legge
n. 63 del 2002, convertito, con modificazioni, nella legge n. 112 dello stesso
anno.
La domanda – precisa il giudice a quo –
è volta a sentir emettere una pronuncia ablativa del provvedimento impugnato,
previa proposizione di incidente di costituzionalità in ordine alla citata
norma, o, in subordine, per violazione della stessa.
1.2.– Ricorda
Sottolinea
Il decreto-legge n. 63 del
Questa disciplina, ricorda il rimettente, è
stata modificata dalla legge di conversione la quale – mediando tra gli
interessi delle multinazionali produttrici di specialità medicinali, favorite
dal mantenimento del regime anteriormente vigente, e gli interessi delle
imprese produttrici di principi attivi e materie prime farmaceutiche, favorite
dallo sviluppo dei farmaci generici, meno costosi e quindi meno onerosi per il
servizio sanitario nazionale – ha attenuato il sistema incidente sulla durata
dei certificati complementari nazionali, riducendo di sei mesi per ogni anno la
loro durata e spostando il dies a quo della procedura di ridefinizione
al 1° gennaio del 2004.
1.3.– Osserva
1.4.– In punto di rilevanza, osserva
1.5.– Passando all'esame delle eccezioni di
illegittimità costituzionale sollevate dalla ricorrente Schering,
osserva il rimettente che manifestamente infondata è quella secondo la quale la
legge n. 112 del 2002 contrasterebbe con l'art. 20 del regolamento n. 1768/92,
e violerebbe pertanto gli artt. 10 e 11 della Costituzione nonché il principio
del primato del diritto comunitario: la norma comunitaria invocata, infatti,
lungi dal recepire e cristallizzare la disciplina relativa alla durata dei
certificati di protezione disposta dalla legge italiana, si è limitata a
consentire in via transitoria che i certificati di protezione italiani
conservassero una durata enormemente maggiore di quella (comunitaria) prevista
per i certificati degli altri paesi.
1.6.– Manifestamente infondata, a giudizio
della Commissione, è anche la questione
sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 113 della Costituzione, sulla base
del rilievo che la disposizione censurata, in quanto produttiva di effetti
perfettamente sovrapponibili a quelli di un atto amministrativo di
espropriazione dei diritti di brevetto, avrebbe la consistenza di una
cosiddetta legge-provvedimento: di modo che essa, come norma autoapplicativa, da un lato, avrebbe determinato la
degradazione di un diritto soggettivo a interesse legittimo così precludendo
ogni sindacato giurisdizionale sul relativo fenomeno di affievolimento, e,
dall'altro lato, avrebbe impedito ai titolari dei certificati complementari di
partecipare all'adozione della misura assunta nei loro confronti, con le
garanzie del giusto procedimento, in contrasto col canone di razionalità
normativa nonché col principio di buon andamento dell'amministrazione.
A giudizio del rimettente, la norma impugnata
non ha affatto la natura di legge-provvedimento perché essa, modificando la regola della legge
n. 349 del 1991, pone una disciplina generale ed astratta, valida per tutti i
certificati complementari, a nulla rilevando il fatto che nella specie i titoli
concretamente incisi, in virtù dell'entrata in vigore del regolamento
comunitario (e della conseguente cessazione di operatività della legge n. 349
del 1991), siano individuabili e costituiscano un numerus
clausus.
1.7.– Riferisce il rimettente che, ad avviso
della Schering, la ridefinizione della durata dei
certificati nazionali contrasterebbe con la tutela dell'affidamento – elevato
dalla Corte costituzionale in numerose pronunce a elemento fondamentale dello
Stato di diritto e ricondotto alla clausola generale della ragionevolezza di
cui all'art. 3 (sentenza
n. 229 del 1999) – in quanto il ricalcolo del periodo di copertura
assicurato dai CCP lederebbe la libertà di iniziativa economica privata di cui
all'art. 41 della Costituzione: iniziativa economica che, proiettata per sua
stessa natura in una prospettiva dinamica, non tollererebbe che, nel corso
dell'intero arco temporale in cui è destinata a svolgersi, vengano modificati i
presupposti considerati essenziali nel momento in cui fu intrapresa,
soprattutto ove si consideri che la produzione e la commercializzazione dei
farmaci è fortemente condizionata dalla possibilità di beneficiare della tutela
brevettuale, e quindi anche del prolungamento di essa ottenuto mediante il
certificato complementare.
Nel ritenere la questione così proposta non
manifestamente infondata,
E tuttavia in un settore in cui le valutazioni
giuridiche sono così fortemente connesse a profili di opportunità e in cui il
giudizio di legittimità costituzionale è destinato a risolversi in un sindacato
sulla razionalità «molto prossimo al
merito delle scelte legislative», acquista, ad avviso del rimettente,
piena visibilità la distinzione tra infondatezza e manifesta infondatezza di
una questione: l'eccezione, sicuramente non manifestamente infondata, in
mancanza di una ragionevole certezza sulla sua reiezione, va rimessa alla Corte cui spetta dire la parola
ultima e definitiva al riguardo.
1.8.– A identico risultato approda la
valutazione dell'eccezione di violazione degli artt. 41 e
Anche a questo proposito il rimettente rileva
che le argomentazioni della ricorrente appaiono «resistibili» con argomenti contrari che non sono prima facie destituiti di fondamento: e invero, mentre non
par dubbio che la ratio dell'art. 3, comma 8,
del decreto legge n. 63 del 2002 sia da individuare nel contenimento della
spesa farmaceutica, il cui perseguimento deve evidentemente avvenire
contemperando l'interesse alla tutela della salute della collettività con costi
a carico dello Stato, e quello all'incentivazione della ricerca da parte delle
imprese farmaceutiche, la qualificazione come fenomeno espropriativo della
riduzione della durata dei certificati complementari nazionali postula che,
contro l'evoluzione normativa innanzi descritta, venga considerato come un
diritto irreversibilmente quesito l'allungamento disposto dalla legge n. 349
del 1991. E tuttavia, considerato, ancora una volta, che solo la questione
manifestamente infondata non deve essere rimessa alla Corte, ritiene
2.– Si è costituita
2.1.– Nel ricapitolare i fatti salienti che
hanno determinato l'impugnativa del provvedimento dell'Ufficio brevetti innanzi
alla Commissione dei ricorsi, l'esponente evidenzia che, in attuazione
dell'art. 3, comma 8, del decreto-legge n. 63 del 2002, convertito, con
modificazioni, nella legge 15 giugno 2002, n. 112, il predetto Ufficio, con un
primo provvedimento adottato in data 7 ottobre 2002, aveva operato il ricalcolo
della durata della protezione nello sfruttamento commerciale dell'invenzione,
assicurata dai CCP vigenti, indicando in un apposito tabulato le nuove date di
scadenza, che, per le specialità medicinali oggetto del giudizio a quo,
erano, quanto al Clarityn (Loratadina),
il 1° settembre 2007, e, quanto all'Ecolon (Mometasone Furoato), il 31 dicembre 2009; che detta scadenza era
stata poi confermata, previa rideterminazione dei criteri di calcolo, con
provvedimento del 24 gennaio 2003, precisandosi nell'occasione che eventuali
obiezioni avrebbero dovuto essere formulate entro sessanta giorni dal
ricevimento dell'atto ministeriale; che, eccepita con nota del 24 febbraio
Tanto premesso,
2.2.– In ordine al prospettato dubbio di
violazione del principio dell'affidamento (e, nei limiti di questo, di quello
di retroattività) ex artt. 3 e 41 della Costituzione, rileva
Posto allora che la giurisprudenza
costituzionale ravvisa l'esistenza di un affidamento tutelabile basato sulla normazione previgente ogniqualvolta, in negativo, questa
non abbia carattere provvisorio né sia legata a eventi contingenti né, ancora,
ponga «irrisolti dubbi
interpretativi sui suoi contenuti» e sia, in positivo,
contrassegnata da un elevato livello di consolidamento non alterato da concreti
mutamenti della situazione di fatto, non par dubbio, a giudizio della
ricorrente, che tutte queste condizioni siano riscontrabili nella situazione di
fatto e di diritto che ha dato origine al giudizio a quo.
In particolare
In tale contesto, la verifica della
ragionevolezza, o quanto meno della non arbitrarietà della lesione del
principio in esame da parte di una norma che sacrifica posizioni individuali
già acquisite (e perciò assistita da retroattività impropria), deve passare
attraverso il riscontro dell'«adeguatezza
e congruenza dell'esigenza di interesse pubblico» sotteso all'emanazione
della nuova disciplina nonché attraverso il connesso giudizio di
proporzionalità tra il suo perseguimento e il sacrificio delle aspettative
maturate: e la giurisprudenza costituzionale ha costantemente escluso che tali
requisiti possano ritenersi soddisfatti dall'esigenza, pur dotata di indubbio
pregio costituzionale, di salvaguardare l'equilibrio del bilancio, ove ciò
comporti sacrifici eccessivi a carico dei soggetti incisi dal ius superveniens.
Premesso che la norma impugnata invoca
espressamente la necessità di riallineare la disciplina interna a quella
comunitaria (necessità esclusa proprio dall'art. 20 del regolamento CEE n.
1768/1992 nonché dai «Considerando»
che lo accompagnano), è evidente che la vera causa giustificativa della nuova
regolamentazione è, come esplicitato nella relazione tecnica al disegno di
legge di conversione del decreto n. 63 del 2002, la salvaguardia di esigenze
patrimoniali relative all'equilibrio del bilancio. E tuttavia le finalità di
pubblico risparmio sono state perseguite senza contemperare adeguatamente gli
interessi in gioco, tutti di rilevanza costituzionale, quali (secondo le
indicazioni fornite nella stessa sentenza n. 20 del
1978), la tutela della salute prevista dall'art. 32 Cost., alla quale è
strumentale non solo la disciplina del prezzo dei medicinali e la loro presenza
in quantità sufficienti, ma anche la ricerca scientifica coltivata da talune
imprese farmaceutiche: e invero gli interessi di queste (ben diversi da quelli
delle imprese che si limitano semplicemente a imitare i prodotti altrui), non
possono non essere autonomamente valutati, in un'ottica che necessariamente
finisce per chiamare in causa l'art. 3 – perché irragionevolmente vengono
trattate in modo non adeguatamente diverso situazioni, invece, profondamente
differenti – e l'art. 9 della Costituzione.
Né può ignorarsi – continua la deducente – che la norma impugnata si inserisce in un trend
normativo del quale è espressione anche l'art. 7 del decreto-legge 18 settembre
2001 n. 347 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), che impone al
farmacista, laddove sia disponibile un farmaco generico, di offrirlo
all'assistito in luogo della corrispondente specialità medicinale concretamente
prescritta dal medico curante; trend che ha individuato, nello sviluppo
del mercato dei farmaci generici, «la chiave di volta» in grado di
perseguire l'obbiettivo della riduzione della spesa farmaceutica.
In realtà – premesso che i farmaci generici si
distinguono in tre grandi categorie, le imitazioni con marchio (cc.dd. brended generics), quelle commercializzate sotto la c.d.
denominazione comune internazionale (DCI) seguita dal nome del produttore, e le
imitazioni comuni o unbranded, con un margine
di risparmio decrescente dalla prima alla terza – poiché nel mercato italiano
la maggior parte dei generici è del primo tipo, il divisato obbiettivo di
contenimento della spesa perseguito dalla norma impugnata è più un'illusione
che una realtà.
2.3.– Quanto alla prospettata lesione degli
artt. 41 e
E' allora del tutto evidente, a giudizio dello
Schering, che con la disposizione censurata viene
operata una vera e propria espropriazione ex lege
dei diritti relativi allo sfruttamento commerciale dell'invenzione, in difetto
di reali e validi motivi di interesse generale e senza previsione di
qualsivoglia indennizzo. Di modo che l'accoglimento di tale censura – anche a
voler riconoscere che vi è stata, nella fattispecie, estinzione, per ragioni di
superiore, sopravvenuto interesse generale, di una posizione giuridica soggettiva
protetta – consentirebbe di riportare a unità il sistema, spostando la tutela
dell'affidamento, garantita dall'ordinamento costituzionale, sul suo
equivalente pecuniario.
3.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto
dichiararsi inammissibili o, in subordine, infondate, le proposte questioni di
costituzionalità.
3.1.– In via preliminare osserva
l'interveniente che, come ammette lo stesso giudice a quo, la norma
impugnata, al pari di tutte le disposizioni che fissano la durata dei titoli di
proprietà industriale, contiene una prescrizione immediatamente applicabile nei
rapporti tra privati, in relazione alla quale il ricalcolo delle nuove scadenze
dei certificati complementari, operato dall'Ufficio italiano brevetti e marchi,
pacificamente privo di efficacia costitutiva, è volto a realizzare, attraverso
l'aggiornamento delle informazioni che lo stesso ufficio è tenuto a fornire a
tutti coloro che vi abbiano interesse, mere esigenze di pubblicità. Peraltro, posto che l'impugnativa contro tale
atto non rientra tra quelle espressamente previste dal r.d. n. 1127 del
Conseguenza ineludibile di tali rilievi è il
difetto di giurisdizione della Commissione adìta,
difetto che rende manifestamente inammissibile per irrilevanza la proposta
questione.
3.2.– L'inammissibilità sarebbe evidente anche
sotto altri profili: a ben vedere infatti, il giudice a quo motiva in
maniera incongrua e perplessa, perché si limita a riportare nell'ordinanza di
rimessione argomenti favorevoli e contrari alla supposta illegittimità della
norma denunciata, arrivando a sollevare l'incidente sul rilievo che manca la
certezza della manifesta infondatezza del dubbio. A ciò aggiungasi, per quanto
attiene alla questione di legittimità dell'art. 3, comma
3.3.– Quanto al merito, l'Avvocatura dello
Stato contesta anzitutto che la norma incisa dal giudizio di costituzionalità
costituisca una disposizione retroattiva, posto che essa opera solo per l'avvenire
(e cioè a partire dal 1° gennaio 2004), in relazione a periodi di durata
dell'efficacia dei certificati complementari futuri rispetto al momento della
sua entrata in vigore. Rileva poi come sia estremamente opinabile che la
disposizione censurata si presti ad incidere negativamente su scelte
imprenditoriali effettuate al momento della domanda (o della concessione) del
brevetto, posto che in realtà queste vennero di solito operate ben prima
dell'emanazione della stessa legge n. 349 del 1991, la quale estese la durata
di brevetti già concessi. E' poi da escludere, a giudizio dell'Avvocatura che,
nel dettare disposizioni modificative, in senso sfavorevole per i beneficiari,
della disciplina di rapporti di durata, il legislatore abbia travalicato dai limiti
della ragionevolezza, perché la norma impugnata, lungi dal prevedere un
regolamento irrazionale, dispone una riduzione graduale e progressiva della
protezione brevettuale complementare dei prodotti farmaceutici, al duplice fine
di adeguare il regime nazionale a quello comunitario (perché, nel far salve le
legislazioni nazionali vigenti in materia, il regolamento CEE n. 1768 del 1992
non vieta certo il loro adeguamento alla normativa europea) e di favorire la
sollecita commercializzazione dei farmaci generici.
Peraltro i divisati obbiettivi – e
segnatamente le finalità sottese a tale commercializzazione, da ravvisarsi nel
contenimento della spesa farmaceutica e in una più pertinente tutela del
diritto fondamentale alla salute – hanno uno spiccato carattere sociale, e sono
ben compatibili con gli artt. 41 e 42 della Costituzione; e ciò a tacere del
fatto che non si vede come una norma entrata in vigore quando le coperture
brevettuali assicurate dai certificati di protezione erano già in vigore, possa
avere inciso negativamente sulla libertà di iniziativa economica privata delle
imprese che ne sono titolari. Neppure è vero – a giudizio dell'Avvocatura – che
la riduzione graduale dell'efficacia dei CCP nazionali possa essere
ragionevolmente qualificata come vicenda di tipo espropriativo, dal momento che
essa non opera l'ablazione di alcun diritto, ma si limita a conformare il
regime dei certificati rilasciati in Italia a quelli comunitari.
Infine, quanto alla lesione degli artt. 24 e
113 della Costituzione, osserva la deducente che la
questione, ferma l'eccezione di inammissibilità, è palesemente infondata,
dovendosi escludere ogni natura provvedimentale della
norma impugnata.
4.– Nel giudizio sono altresì intervenute: Bristol–Myers Squibb s.r.l.; Eli Lilly and Company; F. Hoffmann
4.1.– Bristol–Myers Squibb s.r.l.,
Merck Sharp & Dohme Italia s.p.a., Pfizer Italia s.r.l. e Pharmacia Italia s.p.a., premesso di avere un
interesse qualificato alla soluzione della questione di costituzionalità, «tale da potersi riflettere sulla propria
posizione giuridica», hanno insistito per il suo accoglimento, svolgendo
argomentazioni del tutto sovrapponibili a quelle di Schering
Corporation.
4.2.– Eli Lilly and Company, Hoffmann
Le intervenienti ricordano poi che i CCP
furono introdotti al fine di neutralizzare l'incidenza, sul periodo di
sfruttamento dell'invenzione in regime di copertura brevettuale, dei tempi
necessari all'espletamento delle procedure volte a ottenere il rilascio, da
parte del competente Ministero della sanità, dell'autorizzazione al commercio
dei prodotti farmaceutici.
L'esigenza di recuperare il tempo perduto tra
il deposito della domanda di brevetto e l'effettiva presenza del prodotto sul
mercato – non ignota ad altri paesi, come Stati Uniti e Giappone, che per primi
vi ovviarono – fu alla base dell'emanazione della legge n. 349 del 19 ottobre
1991 che, introducendo nella legge brevetti una nuova disposizione, l'articolo
4-bis, istituì il
certificato complementare di protezione, titolo di proprietà industriale
strutturato in maniera tale da consentire un integrale recupero del tempo
trascorso tra il deposito della domanda di brevetto e l'autorizzazione
ministeriale.
Alla normativa nazionale fece poi seguito il
regolamento comunitario n. 1768/CEE del 18 giugno 1992, che, nel prevedere una
durata del periodo di esclusiva inferiore a quella garantita dalla normativa
nazionale, fece tuttavia salvi gli effetti dei certificati rilasciati e delle
domande depositate prima della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle
Comunità Europee.
In tale contesto normativo è intervenuta la
norma ora sospettata di incostituzionalità, la quale sacrifica il principio
dell'affidamento che, benché non espressamente menzionato nella Carta
fondamentale del nostro Stato, ha dignità costituzionale, avendo numerose
pronunce di questa Corte colto le connessioni esistenti tra tale principio e la
tutela dell'iniziativa economica privata che, proiettata per sua natura in una
dimensione dinamica, non tollera arbitrari mutamenti in itinere delle
regole del gioco.
In particolare, le aziende farmaceutiche hanno
riposto un decisivo affidamento nella durata della protezione brevettuale,
anche complementare, fissata dalla legge, sulla stessa impostando precisi piani
economici e industriali volti ad equilibrare i costi di ricerca e di sviluppo
per la produzione di nuove specialità medicinali, con gli introiti delle
vendite in esclusiva delle precedenti.
La necessità di limitare la spesa pubblica
sanitaria, per la parte costituita dal costo del rimborso dei farmaci, non
costituisce quell'interesse pubblico il cui perseguimento legittima il
legislatore a comprimere la libertà di iniziativa economica privata, sia perché
tale esigenza non è affatto enunciata nella norma sospettata di illegittimità,
sia perché trattasi di obbiettivo incongruo e inidoneo a giustificare una
disposizione lesiva della predetta libertà.
La finalità di risparmio – sostengono ancora
le intervenienti – non appare neppure riconducibile all'interno della funzione
sociale che il legislatore è tenuto a perseguire nella disciplina della
proprietà privata, ex art. 42 della Costituzione, e ciò sia per le
ragioni innanzi esplicitate, sia perché il diritto alla salute della
collettività – del quale è pur necessario tener conto nell'attuazione del fine
di contenimento della spesa pubblica – è leso e non favorito dalla norma
censurata, la quale, riducendo il periodo di copertura brevettuale, incide
direttamente sulla sostenibilità dei programmi di ricerca.
Anche fondato, a giudizio delle comparenti, è
il profilo di contrasto della disposizione impugnata con l'art. 42 della
Costituzione, perché, se è vero che i diritti di esclusiva conferiti «con la concessione del brevetto»
(art. 4 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127) sono, per consolidato diritto
vivente, «diritti reali assoluti su
beni immateriali», configurabili alla stregua di un vero e proprio
diritto di proprietà, l'art. 3, comma 8, del decreto-legge n. 63 del 2002,
convertito, con modificazioni, nella legge n. 112 del 2002, attua una forma di
espropriazione senza indennizzo, costituendo certamente un diritto
irreversibilmente quesito quello di esclusiva per tutta la durata della
protezione accordata dal brevetto e dal CCP.
In conclusione, l'illegittimità della norma
deriverebbe, a giudizio delle intervenienti, oltre che dalla mancanza di
qualsivoglia indennizzo, dall'inesistenza dell'interesse pubblico al cui
perseguimento il potere di espropriazione deve essere strumentale: senza dire
che la norma, prevedendo una disciplina destinata ai soli titoli già concessi
in base alla legge n. 349 del 1991, si qualifica come provvedimento di tipo
espropriativo, in un contesto ordinamentale che, da
un lato, ha ormai esteso tale nozione anche a fattispecie ablative che non comportano
alcuna vicenda traslativa e, dall'altro, espressamente disciplina negli artt.
60 e segg. del r.d. n. 1127 del
Da tali considerazioni discende – contro
quanto ritenuto in motivazione, ma non nel dispositivo, dell'ordinanza di
rimessione – la non manifesta infondatezza del dubbio di incompatibilità della
norma censurata anche con gli artt. 24 e 113 della Costituzione.
4.3.– Sostanzialmente dello stesso tenore sono
le argomentazioni difensive sviluppate, nei rispettivi atti, da GlaxoSmithKline
s.p.a., Glaxo
Group Limited, Beecham
Group plc e The Wellcome Foundation
Limited, da Taisho Pharmaceutical Co. Ltd e da Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a
(già denominata Ravizza s.p.a. per l'Industria
Chimica e Farmaceutica), le quali solo aggiungono, in ordine alla prospettata
violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, che la giurisprudenza
costituzionale ha da tempo ammesso la configurabilità della nozione di
legge-provvedimento, quale legge volta a dispiegare attività ordinariamente
demandate alla funzione amministrativa (Corte
costituzionale n. 153 del 1997; n. 2 del 1997; n. 347 del 1995;
n. 62 del 1993;
n. 143 del 1989),
ma nondimeno soggetta al sindacato di costituzionalità. Il principio di
legalità, garantito dagli artt. 3, 97, 24 e 113 della Costituzione, imporrebbe
infatti il distacco tra legge e
provvedimento, al fine specifico di consentire il sindacato giurisdizionale
sulla razionalità delle scelte amministrative e di garantire la partecipazione
degli interessati alla loro adozione, di modo che dovrebbe escludersi la
conformità alla Costituzione di quelle leggi che, avendo un contenuto autoapplicativo, importino una compressione di diritti
soggettivi perfetti, con violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 della
Costituzione.
4.4.– Menarini International Operations Luxembourg s.a., Malesci Istituto Farmabiologico
s.p.a., F.I.R.M.A. - Fabbrica Italiana Ritrovati
Medicinali ed Affini s.r.l. deducono di
essere, la prima, licenziataria di Schering
Corporation per la commercializzazione di due specialità medicinali, oggetto
dei certificati complementari di protezione; la seconda, sublicenziataria
di Menarini per la commercializzazione di una specialità medicinale; la terza,
infine, sublicenziataria di Malesci
in relazione ad un medicinale e di Menarini, in relazione ad altro medicinale.
Precisano anche di essere già intervenute nel giudizio a quo per fare
accertare il loro diritto a godere dei predetti titoli con scadenza calcolata in base alla legge n.
349 del 1991.
Quanto al merito della prospettata questione,
evidenziano le comparenti che l'art. 3, comma 8, del d.l. n. 63 del 2002, convertito
nella legge n. 112 del 2002, macroscopicamente collide con la normativa
transitoria di cui all'art. 20 del regolamento CEE n. 1768 del 18 giugno 1992,
venendo così a violare anche gli artt. 117, primo comma, e 11 della
Costituzione.
Segnalano poi, come profili particolarmente
significativi del sospettato contrasto con l'art. 3 della Costituzione,
l'intima contraddizione tra la ratio legis indicata nella disposizione censurata («adeguare progressivamente» la durata
della tutela brevettuale complementare prevista dalle norme nazionali, a quella
stabilita in sede comunitaria) e il carattere autoapplicativo
della fonte comunitaria in questione; l'irrazionalità di una norma transitoria
che, approvata ad oltre dieci anni di distanza dal suo presupposto (il
menzionato regolamento CEE), altera ex post l'equilibrio di fondo da
esso stabilito, ponendosi in patente contraddizione con le esigenze di
effettività della tutela brevettuale; la disparità di trattamento tra i
certificati già rilasciati alla data di entrata in vigore del regolamento CEE,
ma scaduti prima dell'inizio della vigenza della norma impugnata (titoli che
hanno pertanto goduto di una tutela piena) e certificati a quell'epoca non
ancora scaduti (destinati a fruire di una protezione solo parziale).
E concludono chiedendo alla Corte di
dichiarare l'illegittimità della norma impugnata non solo per violazione delle
norme costituzionali indicate nell'ordinanza di rimessione, ma anche per
contrasto con gli artt. 9, 11 e 117 della Costituzione.
4.5.– Sigma-Tau s.p.a., infine, pur non
essendo parte nel giudizio a quo, deduce di avere un interesse attuale e
diretto nel giudizio di costituzionalità, essendo licenziataria esclusiva per
l'Italia di Schering Corporation per la
commercializzazione di una specialità medicinale.
5.– Schering
Corporation ha depositato una memoria nella quale confuta l'assunto
dell'inammissibilità della prospettata questione per irrilevanza determinata
dall'asserita carenza di giurisdizione della Commissione ricorsi a decidere la
controversia davanti ad essa proposta, rilevando che il ricalcolo delle nuove
date di scadenza dei certificati complementari di protezione operato dall'UIBM,
certamente privo di efficacia costitutiva, ha però senz'altro capacità
«innovativa», costituendo adempimento
delle competenze specificamente attribuite all'Ufficio in punto di
pubblicizzazione della durata dei predetti titoli. Di modo che in relazione al
carattere meramente attuativo della rideteminazione
operata dall'Ufficio, il giudice a quo avrebbe correttamente
riconosciuto l'interesse della ricorrente all'impugnazione dell'atto e la
conseguente proponibilità della questione.
Ribadito quindi che la giurisdizione della
Commissione è stabilita per materia, senza che rilevi la qualificazione in
termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo della situazione
soggettiva coinvolta, osserva che non hanno pregio le argomentazioni
dell'Avvocatura circa una supposta alternativa tra competenza del giudice
ordinario e competenza del giudice amministrativo in relazione al carattere
sostanzialmente espropriativo della limitazione della durata dei CCP, perché
evidentemente una cosa è la questione dell'illegittimità costituzionale di
un'espropriazione disposta ex lege e senza
indennizzo, altra è l'impugnazione dell'atto
che concretamente attua l'espropriazione stessa.
Neppure è vero, a giudizio della ricorrente,
che il rimettente abbia fatto malgoverno delle regole che presiedono
all'incidente di costituzionalità, con conseguente inammissibilità della
questione per carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza del
dubbio: la prospettazione operata dal giudice a
quo appare infatti conforme al carattere di delibazione preliminare a lui
demandata, e agli esiti del controllo in cui essa deve sfociare, il
quale, in quanto volto a precludere l'accesso alla Corte di questioni sfornite
di ogni margine di serietà, è di tipo sostanzialmente negativo.
Quanto al merito, richiamate le argomentazioni
svolte nella memoria di costituzione, ricorda
Peraltro la ratio
della disposizione censurata indicata dall'Avvocatura dello Stato – adeguare il
regime nazionale a quello comunitario e favorire la sollecita
commercializzazione dei farmaci generici – è, da un lato, del tutto
inconsistente, posto che è la stessa normativa europea ad escludere l'esigenza
di tale adeguamento, e, dall'altro lato, in contrasto con l'ordine
costituzionale, atteso che funzionale alla tutela della salute pubblica è solo
l'incentivazione della ricerca e, in quanto ad essa strumentale, il
conferimento dei diritti patrimoniali derivanti dalla brevettazione.
6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri,
nella memoria, eccepisce preliminarmente l'inammissibilità degli interventi
spiegati dalle società non costituite nel giudizio a quo, sulla base
della costante e pacifica giurisprudenza della Corte e, ricordate le eccezioni
a tale principio – connesse alla titolarità di una posizione soggettiva
specificamente incisa dal giudizio di costituzionalità (sentenza n. 315 del
1992); all'intervenuta applicazione della legge impugnata con provvedimento
individuale nei confronti dell'interveniente (sentenza n. 20 del
1982); al nesso tra legittimazione a intervenire nel giudizio principale e
definizione dell'incidente di costituzionalità (sentenza n. 429 del
1991); all'inerenza dell'interesse dell'interveniente al rapporto
sostanziale sotteso al procedimento cautelare
nel corso del quale è stata pronunciata l'ordinanza di rimessione (sentenza n. 314 del
1992) –, segnala che nessuna delle circostanze indicate ricorre nella
specie, neppure per quelle società che, in quanto licenziatarie o sublicenziatarie di prodotti oggetto dei CCP della cui
durata si controverte nel giudizio a quo, avrebbero potuto, senza averlo
tuttavia fatto, spiegare in esso intervento. Evidenzia infine che privo di
qualsivoglia giustificazione è l'intervento di Merck Sharp & Dome s.p.a.
Ribadisce quindi le deduzioni già svolte in
punto di difetto di giurisdizione, rilevabile ictu
oculi, della Commissione ricorsi: in particolare
la pretesa natura espropriativa della norma sospettata di illegittimità
costituzionale e l'auspicata affermazione del principio dell'indennizzabilità del pregiudizio prodotto dalla riduzione
dell'efficacia temporale dei CCP convaliderebbero l'assunto della giustiziabilità della pretesa di Schering
innanzi al giudice ordinario.
L'Avvocatura, inoltre, insiste sia sulla
perfetta compatibilità con i principî dell'affidamento e della ragionevolezza
della normativa impugnata che, accorciando i tempi del riallineamento
dell'efficacia dei certificati rilasciati in base alla legge nazionale a quella
dei certificati comunitari (secondo un'opzione non imposta, ma neppure esclusa
dal regolamento CEE n. 1768 del 1992), riduce in maniera moderata e graduale
nel tempo – e senza operarne alcuna ablazione – una protezione percepita come
non più rispondente a criteri di equità, sia sulla stretta inerenza tra tutela
del diritto alla salute e facilitazione all'acquisto di farmaci generici, meno
costosi di quelli coperti da brevetto.
Rileva anche che ogni considerazione in ordine
alla maggiore o minore onerosità di questi ultimi, a seconda che essi siano o
meno branded generics,
esula dagli elementi scrutinabili dalla Corte in sede di verifica del parametro
della ragionevolezza.
Evidenzia infine che in molti casi la
normativa contenuta nella legge n. 349 del
7.– Eli Lilly and Company, F. Hoffmann
Quanto all'ammissibilità del loro intervento,
le deducenti, ricordato che
Ribadiscono quindi che, stante la natura
«reale e proprietaria del diritto di esclusiva» – sancita, oltre che dal già
menzionato accordo TRIPs, dall'art. 17 della Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea, firmata a Nizza il 7 dicembre
2000, con norma trasposta nel Titolo II della Costituzione per l'Europa –, la
garanzia di cui all'art. 42 della Costituzione si applica in pieno alla
esclusiva brevettuale, la quale, peraltro, come elemento e insieme risultato dell'attività
economica organizzata in forma di impresa, rientra altresì nell'ambito della
tutela accordata dall'art. 41 alla libertà di iniziativa economica privata.
Quanto all'interesse per il contenimento della
spesa, esso ben può essere soddisfatto attraverso strumenti diversi dalla
mortificazione della tutela brevettale, e non è comunque tale da giustificare
una compromissione della predetta libertà non essendo funzionale alla
salvaguardia della salute pubblica.
Ribadiscono che il bilanciamento tra gli
interessi connessi alla posizione dei titolari dei certificati complementari di
protezione – tutela della salute, della ricerca scientifica e della libertà di
iniziativa economica privata – e l'interesse sotteso all'emanazione della norma
impugnata – contenimento della spesa pubblica – non fa emergere quelle esigenze
inderogabili che, sole, possono giustificare l'incisione del principio
dell'affidamento nell'ambito dei rapporti di durata.
Quanto poi alle eccezioni di inammissibilità
sollevate dall'Avvocatura, Eli Lilly
and Company, F. Hoffmann
Sostengono quindi che nella fattispecie, lungi
dal ricorrere un'ipotesi di tal fatta, la competenza della Commissione a
decidere sull'impugnativa proposta da Schering deriva
dagli artt. 35, primo comma, e 71, primo comma del r.d. n. 1127 del 1939,
trattandosi di provvedimento adottato dall'Ufficio brevetti che si risolve in
una reiezione parziale dell'originaria domanda di certificato complementare di
protezione.
Destituita di fondamento è altresì, a giudizio
delle comparenti, l'asserita insufficienza di motivazione dell'ordinanza di
rimessione in punto di non manifesta infondatezza del prospettato dubbio di
costituzionalità, non vertendosi, nella specie,
nell'ipotesi di un giudice a quo che si era limitato a riportare le
argomentazioni svolte dalla parte, senza esplicitare la propria opinione in
merito a esse, bensì di un rimettente che chiarisce di non poter escludere con
certezza la fondatezza del dubbio e dunque, valutato positivamente il fumus boni iuris della
questione, la sua scrutinabilità ad opera della Corte
costituzionale.
8.– In buona parte sovrapponibili a quelle
testé riportate sono le argomentazioni difensive svolte da Menarini
International Operations Luxembourg
s.a., Malesci Istituto Farmacobiologico
s.p.a. e F.I.R.M.A. – Fabbrica Italiana Ritrovati
Medicinali e Affini s.r.l., le quali, tuttavia, precisano di essere
licenziatarie o sublicenziatarie di due brevetti
europei e relativi certificati complementari di protezione, di essere
intervenute nel giudizio a quo, sia pure successivamente alla pronuncia
dell'ordinanza di rimessione, e di essere state riconosciute legittimate
all'intervento, con provvedimento n. 2046 del 20 gennaio 2004 della
Commissione, che ha disposto la trasmissione del relativo fascicolo alla Corte
costituzionale. Peraltro,
Quanto al merito, sottolineano che i tempi
assorbiti dalle sperimentazioni pre-cliniche e
cliniche nonché dalle procedure necessarie per ottenere l'autorizzazione
all'immissione in commercio sono fisiologicamente assai lunghi e che crescono
in misura esponenziale gli investimenti richiesti; ribadiscono che il
prolungamento della protezione brevettuale disposto dalla legge n. 349 del 1991
costituisce un diritto irreversibilmente quesito, rispetto al quale, dunque, il
successivo intervento legislativo assumerebbe carattere ablativo, essendo la
protezione complementare attributiva di una specifica e ben definita posizione
di diritto soggettivo reale assoluto, della quale la durata costituisce una
componente essenziale; rilevano che la compressione di tale diritto è possibile
solo nel rispetto delle garanzie costituzionali che tutelano il diritto di
proprietà, come dimostra l'istituto dell'espropriazione dei diritti di brevetto
per ragioni di pubblica utilità e le licenze obbligatorie (artt. 54 e segg. del
r.d. n. 1127 del 1939).
Quanto all'affidamento riposto dalle industrie
farmaceutiche nella durata della protezione brevettuale (anche complementare)
fissata per legge, sottolineano che proprio in forza di tale disciplina sono
stati stipulati numerosi accordi di cooperazione tra aziende italiane e aziende
straniere in relazione a farmaci a base di principi attivi innovativi; che
l'obiettivo di limitare la spesa pubblica sanitaria, per la parte costituita
dal costo del rimborso dei farmaci, non giustifica la realizzata compressione
della libertà d'iniziativa economica privata e della tutela dell'affidamento,
in presenza di una giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto necessaria a
questi fini ben diverse esigenze di carattere generale, come la tutela
dell'ambiente; insistono sul carattere provvedimentale
della disposizione impugnata e dunque sulla fondatezza anche dell'eccezione di
violazione degli artt. 113 e 24 della Costituzione, sollevata nel solo
dispositivo dell'ordinanza di rimessione.
9.– Anche Taisho Pharmaceutical Co. Ltd, Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a., GlaxoSmithKline s.p.a., Glaxo Group Limited, Beecham Group p.l.c. e The
Wellcome Foundation Limited
hanno depositato memorie illustrative, nelle quali contestano l'eccezione di
inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice a quo,
evidenziando che una ricostruzione dei provvedimenti di ricalcolo diversa da
quella di reiezioni successive e parziali delle domande di rilascio a suo tempo
presentate, comporterebbe l'anomala sottrazione al sindacato giurisdizionale di
atti amministrativi che, proprio in quanto adottati autoritativamente,
ex post e secondo sequenze procedimentali atipiche, sono ancor più
gravemente lesivi di quelli tipici di rigetto totale o parziale delle domande
di brevetto.
Nel merito rilevano le intervenienti che la
norma impugnata incide non già su una mera aspettativa, ma su un diritto
soggettivo assoluto che, in quanto temporalmente limitato, ha nella durata un
elemento essenziale: il che comporta il carattere retroattivo della
disposizione volta a rideterminare, con effetti ablativi, la durata stessa.
La collisione tra la norma sospettata di
illegittimità e l'interesse pubblico alla salute, con il connesso interesse
alla tutela della ricerca scientifica (secondo un ordine di idee fatto proprio
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 20 del
1978), determina l'implausibilità di qualsivoglia
richiamo a pretese esigenze inderogabili sottese alla nuova disciplina e
conseguentemente l'irragionevolezza della norma impugnata, in un contesto
economico in cui gli alti costi della ricerca scientifica rendono impensabile
un'attività di sperimentazione svolta a prescindere da aspettative di
sfruttamento dell'invenzione in regime di esclusiva, e in un ordinamento
giuridico che ha visto il legislatore comunitario aderire, in vista della
tutela delle legittime aspettative di stabilità delle posizioni soggettive
preesistenti o comunque del bilanciamento dei vari interessi in conflitto, ad
una opzione di riallineamento graduale e indolore delle diverse
regolamentazioni: senza dire che il costo di rimborso dei farmaci, destinati a
prematura caduta nel regime dei generici, ha sulla spesa sanitaria complessiva
un'incidenza minima.
10.– Nella sua memoria Sigma–Tau, dopo aver
chiarito che in ogni caso la durata complessiva della protezione accordata ai
prodotti farmaceutici non può oltrepassare i venti anni dal rilascio della
prima autorizzazione all'immissione in commercio, venendo così ad essere pari a
quella accordata ad altre categorie merceologiche, rileva che il principio
dell'affidamento, che il giudice a quo
ritiene violato dalla norma impugnata, è stato dalla Corte
costituzionale ancorato a due condizioni di fatto: a) l'esistenza di una
normativa sfavorevole di carattere retroattivo; b) l'incidenza di questa
su rapporti giuridici di durata.
Tali condizioni – sub specie di
disciplina che, regolando rapporti di durata, collega ai diritti così
acquistati effetti giuridici differenti rispetto a quelli previsti dalla
precedente normativa (c.d. retroattività in senso improprio o respective laws) –
ricorrono nella specie perché sottoposta a scrutinio è una norma che,
rivisitando la disciplina di un rapporto di durata, comportante il godimento di
un diritto di esclusiva, ne opera una reformatio
in peius attraverso la drastica riduzione
temporale del periodo di godimento del diritto stesso.
Il giudizio volto alla verifica del rispetto
del principio dell'affidamento, interpretato dalla Corte come una particolare
specie del giudizio di ragionevolezza, assume a parametri di riferimento, da un
lato, la ricorrenza di una «inderogabile esigenza» costituzionalmente tutelata,
dall'altro, il principio di proporzionalità, quale criterio di valutazione,
quest'ultimo, del «grado di offensività» della
disciplina retroattiva.
Appare allora evidente che l'adeguamento della
durata della copertura brevettuale assicurata dalla legge n. 349 del
A ciò aggiungasi che lo stretto legame
esistente tra conferimento dei diritti patrimoniali derivanti dalla brevettazione e incentivazione della ricerca porta la
normativa impugnata in rotta di collisione anche con i principî di cui agli
artt. 9 e 32 della Costituzione.
In definitiva, la mancanza di un'esigenza
inderogabile quale criterio legittimante la compressione di diritti acquisiti,
rende la scelta attuata dalla norma censurata arbitraria e irragionevole e, in
un contesto in cui il legislatore comunitario ha mostrato ben altra sensibilità
per la salvaguardia del principio dell'affidamento e della certezza giuridica,
incoerente rispetto ai criteri che lo hanno ispirato.
Peraltro, nel perseguire il fine di assicurare
una piena concorrenza fra tutte le imprese farmaceutiche che competono sul
mercato europeo – come strumento imprescindibile per ottenere un riallineamento
verso il basso del prezzo dei medicinali – la legge impugnata crea una
clamorosa discriminazione proprio a danno delle industrie italiane, essendovi
paesi, come
Tale rilievo rende manifestamente incongruo
anche l'obbiettivo del «contenimento della spesa pubblica farmaceutica», quale ratio della disposizione censurata individuata dal
rimettente, senza contare che l'equilibrio del bilancio, che può giocare un
ruolo decisivo in materia pensionistica – ove si tratta di pareggiare le
entrate costituite dai contributi versati con le uscite rappresentate dalle
prestazioni erogate (in un'ottica in cui il sacrificio nel godimento del
diritto alla pensione da parte delle generazioni presenti è volto ad assicurare
il godimento di un analogo diritto alle generazioni future) – si presta assai
meno a scriminare una scelta che, come affermato dalla stessa Corte nella
storica sentenza
n. 20 del 1978, incide direttamente sull'incentivazione alla ricerca e, per
questa via, anche sulla tutela della salute pubblica.
Considerato poi che il fine di risparmio ben
può essere perseguito con altri mezzi, l'irragionevolezza dell'art. 3, comma 8,
del d.l. n. 63 del 2002 è, a giudizio dell'interveniente, assolutamente manifesta,
e ciò tanto più che la norma censurata, lungi dall'essere politicamente neutra,
mira in realtà ad incidere sull'equilibrio delle diverse imprese farmaceutiche,
penalizzando quelle produttrici di farmaci c.d. specializzati a tutto vantaggio
dell'industria dei generici: sicché, intervenendo con effetti distorsivi sulla concorrenza, essa collide, sotto questo
ulteriore profilo, con gli artt. 41 e 42 della Costituzione.
La comparente confuta poi le eccezioni di
inammissibilità fatte valere dall'Avvocatura, ricordando, quanto a quella
basata sull'asserito difetto di giurisdizione del giudice a quo, che
questo, per fondare una pronuncia di irrilevanza della questione, deve essere
assolutamente macroscopico e, quanto a quella relativa al perplesso approccio
del rimettente col requisito della non manifesta infondatezza, che è
sufficiente, ai fini della rimessione della questione, l'esistenza di un dubbio
sulla legittimità costituzionale della norma che si tratta di applicare.
Infine, a sostegno dell'ammissibilità del
proprio intervento, Sigma-Tau espone di essere licenziataria esclusiva, per
conto di Schering Corporation, del prodotto Nitro-dur e di essere pertanto legittimata a integrare il
contraddittorio in quanto parte cointeressata, ricordando che l'eventuale
rigetto della questione inciderebbe direttamente sui suoi diritti di esclusiva,
senza che essa esponente abbia avuto la chance di difenderne
l'integrità, con evidente compromissione del diritto di difesa di cui all'art.
24 Cost.
11.– In data 8 febbraio 2005 GlaxoSmithKline
s.p.a., Glaxo Group Limited,
Beecham Group plc e The
Welcome Foundation Limited,
da una parte, Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a.,
dall'altra, nonché Taisho Pharmaceutical
Co.Ltd hanno depositato ulteriori memorie di identico
contenuto.
In esse hanno ribadito di essere portatrici –
in quanto titolari di taluni dei circa quattrocento certificati nazionali
rilasciati o richiesti durante la finestra temporale fatta salva dal
regolamento n. 1768 del 1992 – di una posizione giuridica incisa «in via
individuale ed immediata» dall'esito del giudizio di costituzionalità,
segnatamente ricordando, in ordine alle problematiche connesse all'intervento
della parte non costituita nel giudizio a quo, come la giurisprudenza
della Corte si sia ormai consolidata nel senso di ritenere inammissibile quello
qualificato da un interesse meramente riflesso ed eventuale, rispetto al thema decidendum, e
ammissibile invece l'intervento assistito da una situazione soggettiva direttamente
lesa – o favorita – dalla permanenza in vigore, o dall'espunzione, della norma
oggetto del sindacato.
Le deducenti tornano
poi a confutare l'eccezione di inammissibilità della sollevata questione per
difetto di giurisdizione del giudice a quo, rilevando che,
contrariamente a quanto sostenuto ex adverso,
la competenza della Commissione ricorsi a conoscere del giudizio innanzi a essa
proposto si radica sul combinato disposto degli artt. 35, primo comma e 71,
primo comma, del r.d. n. 1127 del 1939 e che, in ogni caso, alla stregua della
consolidata giurisprudenza del giudice delle leggi, la carenza di giurisdizione
può venire in considerazione nel giudizio incidentale solo allorché sia
assolutamente macroscopica, mentre la positiva valutazione del rimettente in
ordine alla corretta introduzione innanzi a sé del processo, «è elemento sufficiente perché il giudizio di
costituzionalità possa ritenersi ritualmente introdotto».
Richiamate quindi le argomentazioni difensive
già svolte nei precedenti scritti,
insistono le comparenti per l'accoglimento della prospettata questione.
12.– In data 1° giugno 2005 GlaxoSmithKline
s.p.a., Glaxo Group Limited,
Beecham Group plc e The
Welcome Foundation Limited
hanno depositato un'ulteriore memoria, nella quale, ricapitolati i termini
essenziali del giudizio di costituzionalità nel quale sono intervenute,
espongono che la norma impugnata è stata espressamente abrogata dall'art. 246,
comma 1, del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà
industriale, a norma dell'art. 15 della
legge 12 dicembre 2002, n. 273), ma altrettanto esplicitamente ripristinata
dall'art. 61, commi 4 e 5, del medesimo d.lgs., nel quale – sotto la rubrica
«Certificato complementare» – figura una disposizione identica a quella
contenuta nell'abrogato art. 3, comma 8, del decreto-legge n. 63 del 2002;
pertanto, poiché la norma oggetto del giudizio di costituzionalità è stata
trasfusa, senza modifica alcuna, in una disposizione successiva di pari rango,
in base al consolidato orientamento della Corte costituzionale il sindacato di
costituzionalità deve traslarsi sulla norma sopravvenuta, senza che si faccia
luogo alla restituzione degli atti al rimettente.
13.– Con ordinanza della quale si è data
lettura nell'udienza pubblica,
Considerato in diritto
1.–
2.– Preliminarmente deve rilevarsi che
l'intervenuta abrogazione della disposizione censurata – ad opera dell'art.
246, comma 1, lettera mm), del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n.
30 (Codice della proprietà industriale) – non costituisce impedimento all'esame
della questione di legittimità costituzionale sollevata dal rimettente in
quanto tale disposizione è stata integralmente trasfusa – ad opera del medesimo
decreto legislativo n. 30 del 2005 – nell'art. 61, commi 4 e 5.
Pertanto, conformemente alla giurisprudenza di
questa Corte (da ultimo, anche in ipotesi di "sostanziale” riproduzione, sentenze n. 135 del
2003 e n. 25
del 2002), il presente giudizio incidentale di legittimità costituzionale
deve essere deciso con riferimento alla disposizione di cui all'art. 61, commi
4 e 5, del d.lgs. n. 30 del 2005.
3.– Ancora in via preliminare, va rilevato che
deve prescindersi dall'esame della questione
sollevata, nel dispositivo, in riferimento agli artt. 24 e 113 della
Costituzione, avendo il rimettente escluso nella parte motiva dell'ordinanza di
rimessione la sussistenza del requisito della non manifesta infondatezza della
questione stessa.
4.– Sempre in via preliminare, va ribadita
l'inammissibilità, per le ragioni esposte nell'ordinanza della quale si è data
lettura in udienza, degli interventi di Bristol Myers Squibb
s.r.l., Eli Lilly and
Company, F. Hoffman
Del pari va ribadita l'ammissibilità degli
interventi della Menarini International Operations Luxembourg s.a., Sigma Tau s.p.a., Malesi Istituto Farmabiologico s.p.a. e F.I.R.M.A.
s.r.l., in quanto aventi causa – quali licenziatarie le prime due e sublicenziatarie la terza e la quarta – della ricorrente Schering Corporation, e pertanto destinatarie alla pari di
quest'ultima degli effetti che la pronuncia di questa Corte (anche,
eventualmente, interpretativa di rigetto) è destinata a produrre sul rapporto
oggetto del giudizio a quo: rilievo che deve far ritenere non decisiva,
ai fini in esame, la circostanza che l'intervento adesivo dipendente avrebbe
potuto essere spiegato in quel giudizio prima che venisse sollevata la
questione di legittimità costituzionale dal momento che – come rilevato – un
effetto ulteriore e diverso, rispetto a quelli prodotti erga omnes, potrebbe per gli aventi causa discendere proprio
dall'esito del presente giudizio.
5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri,
a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, eccepisce l'inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale sotto vari profili: in primo luogo, adducendo
la manifesta carenza di giurisdizione del giudice rimettente.
L'eccezione è fondata.
5.1.– Le parti private, ricorrente ed
intervenute – sottolineato che, secondo la costante giurisprudenza di questa
Corte, nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale la carenza della
giurisdizione del giudice rimettente è rilevabile esclusivamente quando appaia
manifesta (sentenze
n. 281 del 2004 e n. 98 del 1997;
ordinanza n. 348
del 1995) – osservano che, nel caso in esame, la sussistenza di tale
presupposto processuale in capo al giudice rimettente si fonderebbe sul
disposto degli artt. 35, primo comma, e 70, primo comma, del regio decreto n.
1127 del 29 giugno 1939 (Testo delle disposizioni legislative in materia di
brevetti per invenzioni industriali), i quali attribuirebbero alla Commissione
ricorsi la competenza a decidere sulle impugnazioni avverso qualsiasi
provvedimento adottato dall'Ufficio brevetti senza che rilevi, pertanto, la
distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi alla quale accenna
l'ordinanza di rimessione.
5.2.–
Quanto al provvedimento,
Rileva, poi,
5.3.– Osserva
L'art. 35, comma primo, del regio decreto n.
1127 del 1939, dispone infatti – relativamente ai brevetti per invenzioni
industriali – che può essere impugnato davanti alla Commissione prevista
dall'art. 71 «il provvedimento col quale l'Ufficio italiano brevetti e marchi
respinge la domanda, o comunque non l'accoglie integralmente»; in modo
sostanzialmente analogo dispone l'art. 33 del regio decreto 21 giugno 1942, n.
929, quanto ai marchi (nonché, attraverso il generale richiamo al r.d. n. 1127
del 1939, il regio decreto 25 agosto 1940, n. 1411, quanto ai modelli di
utilità ed ai modelli e disegni ornamentali e l'art. 13 della legge 21 febbraio
1989, n. 70, quanto alle topografie dei prodotti a semiconduttori).
La tesi, prospettata dalle parti private,
secondo la quale tutti i provvedimenti dell'Ufficio brevetti sarebbero
ricorribili davanti alla Commissione, deve essere respinta, in quanto il
ricorso alla Commissione in sede giurisdizionale è possibile, e
L'individuazione del provvedimento di rigetto,
totale o parziale, dell'Ufficio brevetti avverso il quale è proponibile ricorso
giurisdizionale alla Commissione, pertanto, vale anche a segnare i confini
della relativa potestà della Commissione stessa, essendo a questa affidato –
quale giudice speciale – il compito di sindacare, sul piano della legittimità,
esclusivamente l'esercizio dei poteri che la legge conferisce all'Ufficio
brevetti in ordine alle domande di brevetto, di registrazione di marchio ovvero
di modelli e disegni.
In altri termini, i limiti della giurisdizione
spettante alla Commissione, quanto ad oggetto, coincidono – proprio perché si
tratta di un sindacato di legittimità – con i poteri che la legge conferisce
all'organo amministrativo (Ufficio italiano brevetti e marchi) in sede di esame
delle domande di privativa, con l'ulteriore limite che il sindacato
giurisdizionale è ammesso dalla legge solo quando l'Ufficio non abbia, in tutto
o in parte, accolto la domanda; come del resto ha riconosciuto la stessa
Commissione dichiarando inammissibile il ricorso, proposto da un terzo, avverso
il provvedimento di rilascio di un brevetto.
5.3.1.– Ebbene, costituisce jus receptum –
secondo la giurisprudenza della medesima Commissione per i ricorsi e della
Corte di cassazione – che l'Ufficio brevetti, quanto alle invenzioni, ha
esclusivamente il potere (art. 31) di «accertare se l'invenzione è conforme
alle disposizioni dell'art. 12 e non contrasti con quelle dell'art. 13» del
r.d. n. 1127 del 1939, e cioè di verificare che quanto descritto nella domanda
implichi (in base alla sola descrizione) un'attività inventiva e sia
suscettibile di applicazione industriale (art. 12, comma primo), e non urti
contro alcuno dei divieti sanciti dalla legge.
Come l'accoglimento della domanda di brevetto
deve avvenire – secondo quanto afferma la giurisprudenza – senza «ricerche
esterne al contenuto della domanda (perché) l'Ufficio non ha da fare confronti
tra quello ed altri brevetti già concessi, o altre domande in corso», così –
specularmente – il rigetto della domanda è legittimo solo quando i prodotti
«all'analisi diretta risultano immediatamente non invenzioni o invenzioni non
brevettabili perché rientrano nelle categorie di cui agli artt. 12, commi
secondo e terzo, e 13, comma secondo o perché il trovato appaia immediatamente
privo di novità o di livello inventivo o d'idoneità all'applicazione
industriale, in base ad un confronto tra contenuto della domanda e nozioni di
comune esperienza».
Del tutto coerentemente, quindi, il sindacato
giurisdizionale della Commissione è ammesso solo ove l'Ufficio abbia optato per
la seconda alternativa in quanto, essendo la valutazione demandata all'Ufficio
puramente estrinseca ("senza esame”, secondo una locuzione diffusa in
dottrina), «la concessione del brevetto non pregiudica l'esercizio delle azioni
giudiziarie circa la validità di esso e i diritti derivanti dall'invenzione»
(art. 37 del r.d. n. 1127 del 1939). Così come è evidente che la c.d. carenza
di legittimazione del terzo ad impugnare il provvedimento concessivo del
brevetto si risolve, in realtà, in una carenza di giurisdizione della
Commissione che sarebbe, altrimenti, investita di una questione attinente alla
validità del brevetto: questione di spettanza, viceversa, del giudice
ordinario.
5.3.2.– Analoghi rilievi, ed analoghe
conclusioni si attagliano al marchio: l'art. 29 del r.d. n. 929 del 1942
descrive puntualmente il tipo di valutazione (meramente estrinseca) che
l'Ufficio è chiamato a compiere e, quindi, i limiti del sindacato devoluto alla
Commissione dall'art. 33 quale giudice speciale di legittimità.
In tale contesto, è evidente che
l'introduzione, ad opera del decreto legislativo 8 ottobre 1999, n. 447,
dell'opposizione di terzo alla registrazione del marchio nell'ambito del
procedimento amministrativo ha determinato – con l'ampliamento dei poteri
dell'Ufficio in quanto chiamato a valutare, sempre e soltanto ai fini
dell'accoglimento o del rigetto della domanda di registrazione del marchio, la
fondatezza dell'opposizione proposta dal terzo – un corrispondente ampliamento
dei confini della potestà giurisdizionale della Commissione; fermo, anche
stavolta e consequenzialmente, che «la registrazione
non pregiudica l'esercizio delle azioni giudiziarie circa la validità e
l'appartenenza del marchio» (art. 34 del r.d. n. 929 del 1942).
5.3.3.– E' appena il caso di rilevare che
anche il d.lgs. n. 30 del 2005 – delimitando (art. 170) l'oggetto dell'esame in
sede amministrativa delle domande relative ai marchi, alle invenzioni, ai
disegni e modelli, alle varietà vegetali e alle topografie – altrettanto
puntualmente delimita le funzioni giurisdizionali della Commissione (art. 135),
ribadendo – ancora una volta – che «la registrazione e la brevettazione
non pregiudicano l'esercizio delle azioni circa la validità e l'appartenenza dei
diritti di proprietà industriale» (art. 117).
5.4.– Le considerazioni fin qui svolte rendono
evidente come, non potendo quello di ricalcolo della durata della protezione
del certificato complementare essere qualificato come un provvedimento che, ai
sensi dell'art. 35 del r.d. n. 1127 del 1939, «respinge la domanda, o comunque
non l'accoglie integralmente» e contro il quale soltanto è ammesso ricorso
giurisdizionale alla Commissione di cui all'art. 71, deve negarsi la
sussistenza della giurisdizione della Commissione rimettente.
Peraltro, la stessa ordinanza di rimessione
non può esimersi dal rilevare che l'Ufficio brevetti ha provveduto al
ricalcolo, ex officio, «unicamente per aggiornare le informazioni che
l'Ufficio stesso è tenuto a fornire a tutti coloro che ne abbiano interesse sia
mediante la pubblicazione del Bollettino sia mediante l'aggiornamento della
banca dati», e pertanto in assolvimento di un compito – di "curatore” del
Bollettino di cui all'art. 97 del r.d. n. 1127 del 1939 – che nulla ha a che
vedere con quello disciplinato dall'art. 31 ed in relazione al quale, soltanto,
è previsto il sindacato giurisdizionale di legittimità della Commissione.
Tali rilievi escludono ogni plausibilità della
tesi – prospettata dalle società ricorrente ed intervenienti – secondo la quale
il provvedimento dell'Ufficio brevetti avrebbe parzialmente rigettato la
domanda all'epoca avanzata di concessione del certificato complementare: la
confutazione di tale tesi è implicita in quanto la medesima Commissione osserva
parlando di una norma «che è destinata ad incidere direttamente nei rapporti
fra privati, come del resto accade per tutte le norme che fissano la durata dei
titoli di proprietà industriale», e cioè nel rilievo che, in ordine
all'estensione temporale della protezione, l'Ufficio brevetti è privo di
qualsiasi potere discrezionale a differenza di ciò che gli è riconosciuto
quando deve accogliere o respingere la domanda di brevetto. E non a caso
l'ordinanza di rimessione non manca di rilevare che qualsiasi determinazione
adottata dall'Ufficio in ordine alla durata della privativa è meramente
"ricognitiva” di quanto dispone la legge ed è demandabile, con un'azione di
mero accertamento, all'autorità giudiziaria ordinaria posto che attiene alla
"validità e appartenenza” del diritto di privativa: ciò che esclude, anche
sotto questo profilo, la possibilità che con quella del giudice ordinario
concorra la potestà giurisdizionale della Commissione.
6.– Conclusivamente deve negarsi alla
Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio italiano brevetti e
marchi la qualità di giudice nella controversia a qua per carenza di
giurisdizione.
dichiara inammissibili gli interventi
spiegati da Bristol Myers Squibb
s.r.l., Eli Lilly and
Company, F. Hoffman
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 61, commi 4
e 5, del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà
industriale), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 41 e 42 della
Costituzione, dalla Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio
italiano brevetti e marchi.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 15 luglio 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 29
luglio 2005.
Allegato
Ordinanza letta all'udienza del 21
giugno 2005
ORDINANZA
Ritenuto
che nel giudizio di legittimità costituzionale si sono costituiti – oltre il
Presidente del Consiglio dei ministri e la Schering
Corporation, ricorrente nel procedimento davanti alla rimettente Commissione
dei ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi –
anche la Menarini International Operations Luxemburg s.a.,
Considerato
che, nonostante
che
la questione dell'ammissibilità dell'intervento nel giudizio incidentale di
legittimità costituzionale non risente in alcun modo delle modifiche apportate,
nel 2004, alle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale,
dal momento che l'art. 4, comma 3, si limita a disciplinare le modalità
attraverso le quali si può spiegare intervento davanti alla Corte, ferma
"restando la competenza della Corte a decidere sull'ammissibilità”;
che,
quanto appunto all'ammissibilità dell'intervento, la giurisprudenza di questa
Corte è nel senso che al principio generale – secondo il quale possono
partecipare al giudizio di legittimità costituzionale (oltre il Presidente del
Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, il Presidente della
Giunta) solo le parti del giudizio a quo – può derogarsi "soltanto a favore dei
soggetti titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al
rapporto sostanziale dedotto in giudizio” (ordinanza n. 251 del 2002);
che
tale principio implica che l'incidenza sulla situazione sostanziale vantata
dall'interveniente derivi non già, come per tutte le altre situazioni
sostanziali governate dalla legge oggetto del giudizio, dalla pronuncia della
Corte sulla legittimità costituzionale della legge stessa, bensì dall'immediato
effetto che la pronuncia della Corte produce sul rapporto sostanziale oggetto
del giudizio a quo;
che
la circostanza per la quale, attesa la breve vigenza della legge n. 349 del
che,
conseguentemente, devono dichiararsi inammissibili tutti gli interventi
indicati in premessa, ad eccezione di quello della Menarini International,
della Sigma-Tau s.p.a., della Malesi s.p.a. e della F.I.R.M.A.
s.r.l.;
che,
infatti, tali società hanno spiegato intervento nella qualità, le prime due, di
licenziatarie della ricorrente Schering Corporation,
e la terza e la quarta di sublicenziatarie della
prima, sicché la pronuncia di questa Corte è destinata a produrre nei loro
confronti, in quanto titolari di situazioni soggettive dipendenti da quella
della Schering Corporation, i medesimi effetti che
essa produrrà, in ordine al rapporto dedotto nel giudizio a quo, nei confronti
della loro dante causa;
per questi
motivi
dichiara
inammissibili gli interventi di Bristol Myers Squibb
s.r.l., Eli Lilly and
Company, F. Hoffman
dichiara
ammissibili gli interventi della Menarini International Operations
Luxembourg s.a., della Sigma Tau s.p.a., della Malesi
Istituto Farmabiologico s.p.a. e della F.I.R.M.A. s.r.l.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 21 giugno 2005.
F.to: Piero Alberto CAPOTOSTI,
Presidente