SENTENZA N. 70
ANNO 1984
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 334 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa l'8 novembre 1977 dal Tribunale di Como nel procedimento penale a carico di Valsecchi Augusto ed altri, iscritta al n. 87 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 101 dell'anno 1978;
2) ordinanza emessa il 31 maggio 1979 dal Tribunale di Rovigo nel procedimento penale a carico di Ardina Antonio ed altri, iscritta al n. 790 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8 dell'anno 1980;
3) ordinanza emessa il 13 novembre 1979 dal Tribunale di Bolzano nel procedimento penale a carico di Bellutti German ed altro, iscritta al n. 986 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57 dell'anno 1980;
4) ordinanza emessa il 26 aprile 1982 dal Tribunale di Bergamo nel procedimento penale a carico di Vecchi Leone, iscritta al n. 516 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 351 dell'anno 1982;
udito nell'udienza pubblica del 24 gennaio 1984 il Giudice relatore Giovanni Conso;
udito l'Avvocato generale dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza dell'8 novembre 1977, emessa nel procedimento penale a carico di Valsecchi Augusto ed altri, il Tribunale di Como, rilevato che l'art. 7 della legge 10 dicembre 1975, n. 724, richiamando gli artt. 10 e 11 della legge 3 gennaio 1951, n. 27, "conferisce il diritto soggettivo azionabile in ogni stato e grado del procedimento, all'invito da parte dell'autorità amministrativa alla definizione in via amministrativa del contesto in quanto avente ad oggetto sale e tabacco" e che, invece, tale diritto soggettivo é negato nell'ipotesi di contrabbando avente per oggetto cose diverse dal sale e dal tabacco, dato che l'art. 334 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, lascia alla discrezionalità dell'amministrazione doganale l'ammissione alla procedura della conciliazione amministrativa (nella specie, negata agli imputati), ha sollevato questione di legittimità del predetto art. 334 del D.P.R. n. 43 del 1973, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, che sarebbe violato dalla " ingiustificata disparità di trattamento a fronte di un'identica lesione giuridica".
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 101 del 12 aprile 1978.
É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Secondo l'atto di intervento la diversità di disciplina censurata dal giudice a quo troverebbe ampia giustificazione nelle differenze esistenti fra le imposte di monopolio, che hanno contenuto prevalentemente fiscale, e le imposte doganali, che hanno carattere prevalentemente protettivo (dazio) e perequativo (IVA e sovrimposta di confine), differenze prese in considerazione dal legislatore che ha voluto rimettere alla valutazione dell'amministrazione l'ammissione alla definizione amministrativa delle seconde, ritenute più pericolose di quelle relative ai generi di monopolio.
Il fatto che la definizione amministrativa sia affidata alla discrezionalità dell'amministrazione, a seguito delle modifiche introdotte all'art. 341 della legge doganale dall'art. 7 della legge 10 dicembre 1975, n. 724, anche nel caso di contrabbando di tabacchi di provenienza estera accertato entro gli spazi doganali, non avrebbe alcun rilievo, giacché un tale regime può essere ricollegato al passaggio alla dogana della competenza sulla repressione di tali infrazioni ed all'esigenza di uniformità di disciplina, senza che possa essere assegnato alcun significato al differente ambito territoriale dell'accertamento.
Richiamata la giurisprudenza di questa Corte circa l'osservanza del principio di eguaglianza nella determinazione delle sanzioni penali (il discorso sarebbe analogo in relazione alla discrezionalità dell'ammissione alla definizione amministrativa), l'Avvocatura conclude osservando che la denunciata disparità di trattamento non sussiste, stante la diversa intensità degli interessi protetti dalle imposte di monopolio rispetto a quelli tutelati dalle imposte doganali.
2. - Analoga questione ha sollevato anche il Tribunale di Rovigo con ordinanza del 31 maggio 1979, emessa nel corso del procedimento penale a carico di Ardina Antonio ed altri, adducendo, come ulteriore parametro, l'art. 25, secondo comma, Cost. (in relazione all'art. 1 c.p.), vulnerato dalla tipologia dei poteri di intervento della pubblica amministrazione, non circoscritti al mero accertamento della conformità fra la situazione sottoposta al suo esame e la previsione legislativa ed alla conseguente quantificazione dei diritti e delle somme dovute, sebbene estesi fino a consentire la libera determinazione della estinzione del reato.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 8 del 9 gennaio 1980.
É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, in subordine, non fondata.
Secondo l'Avvocatura, la rilevanza della questione sarebbe nella specie insussistente, non avendo gli interessati presentato domanda di "oblazione" prima dell'apertura del dibattimento, termine finale, ai sensi dell'art. 162 c.p. - che, dato il suo carattere di norma generale, sarebbe applicabile, in assenza di diverse prescrizioni, anche alla ipotesi di specie - per proporre la predetta domanda.
Passando al merito, l'Avvocatura nega il contrasto dell'art. 334 del D.P.R. n. 43 del 1973 con i parametri costituzionali invocati: con l'art. 3, posto che già questa Corte, decidendo sulla legittimità costituzionale dell'art. 141 del vecchio testo della legge doganale (il cui solo primo comma é stato riprodotto dalla norma impugnata), ebbe ad affermare che la necessità della motivazione dei provvedimenti amministrativi e la conseguente possibilità del ricorso agli organi di giustizia amministrativa contro l'atto di rifiuto dell'oblazione escludono ogni violazione del principio di eguaglianza; con l'art. 25, secondo comma, in quanto tale norma riserva alla legge, come unica fonte, la previsione delle fattispecie penali, stabilisce la irretroattività della legge e dà fondamento legale alla potestà punitiva del giudice (sentenza n. 131 del 1970), senza che resti esclusa la possibilità che la legge stessa preveda, come momento logicamente successivo, cause di estinzione del reato il cui accertamento é demandato al potere discrezionale (non arbitrario e non insindacabile) della pubblica amministrazione, disciplinato da apposite norme (artt. 334 e 336 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale): il fatto che il reato in alcuni casi si estingua ed in altri no "é conseguenza tipica della necessità della individuazione della pena e del suo adeguamento alle singole fattispecie proprio nel rispetto dei principi costituzionali".
3. - Anche il Tribunale di Bolzano, con ordinanza del 13 novembre 1979, emessa nel procedimento penale a carico di Bellutti German ed altro, ha impugnato l'art. 334 del D.P.R. n. 43 del 1973, che, attribuendo alla mera discrezionalità dell'amministrazione il consenso al pagamento di una somma non inferiore al doppio e non superiore al decuplo del tributo, farebbe derivare da tale discrezionalità "l'effetto giurisdizionale di sentenza del tribunale, competente per materia e territorio, con la quale deve dichiararsi estinto il reato". E ciò con conseguente violazione degli artt. 3 e 25 Cost., perché mentre, da un lato, sarebbe lasciata all'amministrazione doganale la discrezionalità di concedere o no il pagamento dei diritti e del tributo, allo scopo di consentire l'estinzione del reato, dall'altro, non sarebbero stabiliti criteri specifici, oggettivi e soggettivi, né in ordine alle ipotesi di accoglimento o di reiezione della domanda di definizione amministrativa, né in ordine alla determinazione della somma da versarsi congiuntamente al tributo dovuto.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 57 del 27 febbraio 1980.
É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato.
La quale, riproducendo le precedenti deduzioni, ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
4. - Infine, il Tribunale di Bergamo, con ordinanza del 26 aprile 1982, emessa nel procedimento penale a carico di Vecchi Leone, cui l'amministrazione doganale aveva negato l'ammissione all'"oblazione ", ha denunciato, in riferimento all'art. 3 Cost., l'illegittimità dell'art. 334 del D.P.R. n. 43 del 1973, nella parte in cui dà facoltà alla pubblica amministrazione di ammettere o no alla definizione amministrativa il contravventore, facultizzando l'amministrazione stessa a "compiere un atto da cui può dipendere l'estinzione o meno dell'azione penale, in relazione alle concrete possibilità economiche del contravventore".
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 351 del 22 dicembre 1982.
Nel giudizio é intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto, parzialmente riproducendo le già descritte deduzioni, che la questione sia dichiarata non fondata.
Considerato in diritto
1. - Le quattro ordinanze in epigrafe sottopongono alla Corte questioni di legittimità costituzionale strettamente connesse: i relativi giudizi vengono, pertanto, riuniti al fine di essere decisi con un 'unica sentenza.
2. - Comune oggetto di censura é l'art. 334 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, approvato con il D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, articolo che disciplina la conciliazione amministrativa con riguardo "ai delitti di contrabbando punibili con la sola pena della multa" previsti dallo stesso testo unico. Più precisamente, tale articolo viene denunciato da tre giudici a quibus (Tribunali di Como, di Rovigo e di Bolzano) senza che il dispositivo delle rispettive ordinanze ne delimiti comunque l'ambito e dal quarto (Tribunale di Bergamo) "nella parte in cui dà facoltà alla P.A. di ammettere o meno alla oblazione il contravventore".
Quanto ai parametri costituzionali invocati, tutte le ordinanze si richiamano all'art. 3 Cost.: l'ordinanza del Tribunate di Como ne prospetta la violazione in rapporto al diverso trattamento che, sotto il profilo della conciliazione amministrativa, altre disposizioni riservano ai supposti autori di particolari ipotesi di contrabbando, pure esse punibili con la sola pena della multa, mentre le rimanenti ordinanze si dolgono del diverso trattamento che la discrezionalità dell'amministrazione doganale, nel consentire o no la definizione amministrativa, può concretamente determinare all'interno della categoria degli stessi delitti previsti dal testo unico del 1973. Sempre nella medesima ottica, due di queste ordinanze (Tribunali di Rovigo e di Bolzano) fanno pure richiamo all'art. 25 Cost., con particolare riguardo al principio di legalità di cui al suo secondo comma, quale risulta recepito sul piano del diritto penale comune dall'art. 1 c.p., come si precisa nell'ordinanza del Tribunale di Rovigo.
3. - Ciò premesso, occorre per prima cosa darsi carico di un'eccezione di inammissibilità avanzata dall'Avvocatura dello Stato nei confronti del giudizio di legittimità in ultimo menzionato. L'eccezione si basa sulla considerazione che, non avendo gli imputati del procedimento pendente davanti al Tribunale di Rovigo presentato "domanda di oblazione" prima dell'apertura del dibattimento, " l'oblazione non sarebbe stata comunque più possibile", data l'applicabilità del termine finale fissato, in coincidenza con l'apertura del dibattimento, dall'art. 162 c.p., "legge generale" da ritenere operante "in mancanza di un diverso termine", come, appunto, é il caso dell'art. 334 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, che nulla prevede in proposito.
Così come formulata e motivata, detta eccezione non può essere accolta. A smentire la tesi secondo cui la domanda di "oblazione" (rectius, conciliazione amministrativa) risulterebbe definitivamente preclusa in coincidenza con l'apertura del dibattimento, basta il rilievo che l'art. 162 c.p. non può essere considerato alla stregua di una legge generale rispetto "a quelle speciali che prevedono le conciliazioni amministrative" e, tanto meno, rispetto all'art. 334 qui in esame. Lo impediscono non solo la differenza "soggettiva", che intercorre tra l'oblazione ex art. 162 c.p. (cui si abbina ora l'oblazione ex art. 162 bis c.p., introdotto dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, anch'essa) facente capo all'autorità giudiziaria e la conciliazione amministrativa ex art. 334 del D.P.R. n. 43 del 1973, facente capo all'autorità amministrativa, ma anche e soprattutto la differenza "oggettiva", che emerge dall'applicabilità dell'art. 162 c.p. (e così pure dell'art. 162 bis c.p.) a fattispecie contravvenzionali, in contrapposto all'applicabilità del predetto art. 334 a fattispecie delittuose.
4. - La questione sollevata dal Tribunale di Rovigo é, comunque, da dichiarare inammissibile, allo stesso modo di quelle, strettamente connesse, sollevate dai Tribunali di Como, di Bolzano e di Bergamo, per un'altra, ben più radicale, ragione, collegata al petitum di ciascuna delle rispettive ordinanze. Infatti, qualunque interpretazione, tra le possibili, si voglia dare di esse quanto all'obiettivo perseguito, il loro petitum si appalesa sempre tale da non permettere a questa Corte, per un motivo o per l'altro, di passare all'esame del merito.
Gli obiettivi ricavabili dall'analisi delle quattro ordinanze sono, infatti, sostanzialmente due: o si ritiene (come il dispositivo delle ordinanze dei Tribunali di Como, di Rovigo e di Bolzano sembrerebbe privilegiare) che i giudici a quibus abbiano avuto di mira l'annullamento dell'intero art. 334 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, oppure si ritiene (come il dispositivo dell'ordinanza del Tribunale di Bergamo mostra espressamente e la motivazione delle altre ordinanze lascia, più o meno apertamente, trasparire) che i giudici a quibus abbiano avuto di mira una declaratoria di illegittimità parziale, tale da non travolgere l'istituto della conciliazione amministrativa, ma da determinare soltanto l'eliminazione di ogni discrezionalità per l'amministrazione doganale. Particolarmente sintomatica in tal senso la motivazione dell'ordinanza del Tribunale di Como, ove si invoca, anche per i supposti autori di delitti di contrabbando punibili con la sola pena della multa ai sensi del D.P.R. n. 43 dei 1973, quel "diritto soggettivo" all'invito" alla definizione in via amministrativa" che "l'art. 7 legge 10 dicembre 1975, n. 724, richiamando gli artt. 10 ed 11 legge 3 gennaio 1951, n. 27", conferisce ai supposti autori di quei delitti di contrabbando punibili con la sola pena della multa "che abbiano per oggetto tabacchi di provenienza estera", ma siano accertati "fuori degli spazi doganali", analogamente a quanto gli artt. 10 e 11 della legge n. 27 del 1951 statuiscono espressamente per i reati aventi ad oggetto gli altri generi (sali, tabacchi di provenienza non estera) in ordine ai quali vige il regime di monopolio.
5. - Nell'eventualità che ad essere perseguito fosse il primo dei due possibili obiettivi, vale a dire l'annullamento dell'intero art. 334 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, la questione dedotta risulterebbe inammissibile per assoluto difetto di rilevanza nel giudizio a quo (cfr. sentenze n. 261 e n. 311 del 1983. Infatti, una volta che venisse eliminata dall'ordinamento, nell'ipotesi di ritenuta fondatezza della questione, la norma che racchiude l'intera disciplina della conciliazione amministrativa nei confronti delle violazioni in materia doganale punibili con la sola pena della multa, gli incolpati di tali delitti non potrebbero in nessun caso ed in nessun momento, né prima né durante il processo penale, fruire della conciliazione amministrativa. Ciò comporterebbe che il giudice penale investito del processo non potrebbe in alcun modo essere chiamato a trarre la conseguenza tipica della conciliazione amministrativa, cioè a dichiarare l'estinzione del reato, dovendo sempre addivenire ad una pronuncia sull'esistenza o no dei fatti oggetto dell'imputazione. Proprio come vi si deve addivenire, oggi, quando - ed é il caso di tutti i giudizi a quibus - l'amministrazione doganale non abbia dato corso alla conciliazione amministrativa.
6. - Anche nell'eventualità, invero più probabile, che ad essere perseguito fosse il secondo dei due possibili obiettivi, vale a dire la sopravvivenza della conciliazione amministrativa per i delitti cui fa riferimento l'art. 334 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, ma con la previa eliminazione di ogni discrezionalità per l'amministrazione doganale, la questione dedotta risulterebbe del pari inammissibile, sia pure per un motivo diverso dall'assoluto difetto di rilevanza nel giudizio a quo.
Questa volta, l'impossibilità per la Corte di passare al merito della questione deriverebbe dal fatto che le si chiederebbe di apprestare una disciplina della conciliazione amministrativa del tutto diversa rispetto al sistema attualmente in vigore nel settore delle disposizioni doganali. Non sarebbe, infatti, di certo sufficiente sostituire la discrezionalità dell'amministrazione nell'invitare l'incolpato o nell'aderire alla di lui istanza con l'obbligatorietà dell'invito o la vincolatività dell'istanza per dar vita ad una nuova disciplina conciliativa in grado di operare automaticamente; il mutamento sarebbe tale da richiedere, altresì, una precisa determinazione dei tempi e delle modalità per gli adempimenti necessari dall'una e dall'altra parte, non potendo l'estinzione del reato e le conseguenti sorti del processo rimanere svincolate da razionali condizionamenti. Ma simili interventi comportano l'esercizio di scelte che vanno ben al di là dei poteri di questa Corte, chiamando in causa la discrezionalità del legislatore, il solo legittimato alla produzione di discipline articolate in sistema (cfr., per analoghe conclusioni, le sentenze n. 137 del 1981, nn. 205, 214, 274 del 1983 e n. 25 del 1984).
Né varrebbe obbiettare, sulla scia di quanto suggerisce la motivazione dell'ordinanza del Tribunale di Como, che i tempi e le modalità del meccanismo conciliativo sarebbero ricavabili, senza bisogno di appositi interventi legislativi, dagli artt. 10 e 11 della legge 3 gennaio 1951, n. 27 (per giunta, già richiamati, sia pure per un settore particolare difatti di contrabbando, dall'art. 341 dello stesso D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43): cioè, dai due articoli che regolano nei dettagli la conciliazione amministrativa di tipo "non discrezionale" che da oltre un trentennio presiede all'estinzione dei reati (delitti o contravvenzioni) punibili con sola sanzione pecuniaria aventi ad oggetto generi di monopolio, eccezione fatta soltanto, da ultimo, per i fatti di contrabbando aventi ad oggetto tabacchi di provenienza estera accertati all'interno degli spazi doganali (art. 7 della legge 10 dicembre 1975, n. 724).
L'operazione perseguita attraverso un tale schema di ragionamento - che avrebbe come punto d'arrivo una declaratoria di illegittimità dell'art. 334 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, non solo nella parte in cui si riferisce ad un'amministrazione doganale che "può", e non che "deve", consentire alla conciliazione, ma anche nella parte in cui non si estendono le previsioni degli artt. 10 e 11 della legge 3 gennaio 1951, n. 27 - condurrebbe ad una manipolazione normativa diretta a trasformare in regola quella che per i delitti é un'eccezione, ovverosia ad adottare quest'ultima come modello generale.
E che di eccezione si tratti, quanto ai delitti punibili con la sola pena della multa, lo dimostrano chiaramente tutti gli altri precedenti normativi in materia di conciliazione amministrativa, sempre in chiave di discrezionalità dell'amministrazione (cfr., via via, art. 117 del R.D. 26 gennaio 1896, n. 20; art. 1 del R.D. 2 settembre 1923, n. 1960, nella parte sostitutiva del predetto art. 117; art. 141 della legge 25 settembre 1940, n. 1424; e, ancora con riferimento specifico ai generi di monopolio, art. 110 della legge 17 luglio 1942, n. 907).
L'iter suggerito dall'ordinanza del Tribunale di Como appare, dunque, precluso a priori, non potendo l'eventuale disparità di trattamento essere addebitabile alla norma generale, ma soltanto alla norma che se ne discosta. In nome dell'eguaglianza, questa Corte può unicamente "ricondurre le deroghe ingiustificate e le arbitrarie eccezioni alle regole già stabilite dalla legge ovvero ai principi generali univocamente desumibili dall'ordinamento " (Così la sentenza n. 314 del 1983, e, precedentemente negli stessi sensi, altre sentenze, come la n. 139 del 1979, la n. 35 del 1981, la n. 213 del 1983), e ciò tanto più allorché si sia, come qui, in materia penale (v. già la sentenza n. 43 del 1977).
7. - Tra i precedenti dell'attuale art. 334 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, é stato, ovviamente, menzionato anche quello, più immediato e diretto, costituito dall'art. 141 della legge 25 settembre 1940, n. 1424, al quale proposito va ricordato l'intervento di questa Corte (sent. n. 55 del 1969
). tradottosi in un dispositivo strettamente circoscritto alla declaratoria di illegittimità della parte di tale articolo - più precisamente, la seconda parte del suo secondo comma - che poneva un termine finale troppo anticipato al possibile determinarsi dell'efficacia estintiva del pagamento effettuato all'amministrazione doganale.Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 marzo 1984.