SENTENZA N. 55
ANNO 1969
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Aldo SANDULLI, Presidente
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 141 della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (legge doganale), promossi con due ordinanze emesse il 27 giugno 1967 dal tribunale di Varese nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Mariani Francesco e di Marelli Giovanni, iscritte ai nn. 245 e 246 del Registro ordinanze 1967 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 307 del 9 dicembre 1967.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 12 febbraio 1969 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di procedimenti penali a carico, rispettivamente, di Francesco Mariani e di Giovanni Marelli, il tribunale di Varese, con due analoghe ordinanze emesse il 27 giugno 1967, denunciava a questa Corte l'art. 141 della legge 25 settembre 1940, n. 1424.
La norma attribuisce all'amministrazione doganale il potere di consentire la conciliazione amministrativa in tutti i casi di delitto punibile con la sola multa. Essa, secondo l'ordinanza, compromette il principio dell'eguale assoggettamento di tutti i cittadini alla repressione penale: infatti la conciliazione nei vari casi (e perciò, in sua mancanza, la repressione) dipende dall'assoluto potere discrezionale dell'autorità amministrativa, che, inoltre, può provvedere d'ufficio. Ne sarebbe violato l'art. 3 della Costituzione.
2. - Nella prima causa (parte privata il Mariani) é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri con deduzioni depositate il 5 ottobre 1967. Vi si nega che l'amministrazione doganale abbia un potere illimitato: infatti la legge stabilisce i limiti minimo e massimo della somma da pagare in sede di conciliazione amministrativa e indica i funzionari che sono competenti in materia a seconda dei casi; ciò proverebbe che il legislatore si é attenuto ai principi e che quindi, anche in ordine alla deliberazione sull'an, ad essi ha fatto implicito rinvio: trattandosi di "settore amministrativo sanzionatorio", l'autorità deve fare legittimo uso del suo potere discrezionale e tener conto della gravità dell'infrazione così come dei precedenti dell'individuo.
Ne deriverebbe che la norma impugnata non viola l'art. 3 della Costituzione, anzi attribuisce all'autorità amministrativa un potere che, esercitato correttamente, non solo non produce ma addirittura evita ogni disparità poiché permette di trattare diversamente situazioni diverse. Lo avrebbero già riconosciuto, in casi analoghi, le sentenze 1967 nn. 25 e 95 della Corte costituzionale.
Considerato in diritto
1. - É stato denunciato l'art. 141 della legge 25 settembre 1940, n. 1424, perché, ammettendo la definizione amministrativa nei delitti di contrabbando (punibili con la sola multa), la fa dipendere, insieme con l'estinzione del reato, dalla "illimitata discrezionalità" degli uffici doganali. Ciò contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione: infatti le dogane, consentendo o negando ad arbitrio la "definizione amministrativa del contesto", sarebbero libere di regolare diversamente situazioni analoghe.
La questione é solo parzialmente fondata.
Se la conciliazione amministrativa e quindi la perseguibilità del reato dipendessero dall'arbitrio degli uffici doganali, la costituzionalità dell'intero art. 141 apparirebbe molto dubbia: e il dubbio verrebbe rafforzato dal confronto con la legge 1951, n. 27 (artt. 10, 11) per la quale in casi analoghi (contrabbando di generi di monopolio) la richiesta di conciliazione non può essere respinta.
Ma la norma denunciata, quale che ne fosse il contenuto originario, attualmente va intesa secondo la posizione che ha assunto nel contesto dell'ordinamento costituzionale; da cui la Corte ha ricavato l'insegnamento che i provvedimenti della pubblica amministrazione devono essere sempre motivati perché ne sia possibile il controllo giurisdizionale di legittimità (art. 113 Cost. e v. sentenza 1956 n. 2). Poiché l'accoglimento o il rifiuto della conciliazione é attività amministrativa, non c'é dubbio che l'atto col quale essa sia per avventura respinta, comunque si manifesti, debba essere motivato e notificato al richiedente: onere, questo, che, non essendo espressamente escluso dalla norma denunciata, vi si può leggere con l'ausilio dell'art. 113 della Costituzione. L'eventuale ricorso dell'interessato consentirà all'organo di giustizia amministrativa una valutazione sui motivi dell'atto di rifiuto che potrà anche condurre alla caducazione per disparità di trattamento. Non v'é dunque, nella legge, un contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Solo perché la questione le é stata prospettata sotto altri profili la giurisprudenza ordinaria ha riconosciuto alla amministrazione doganale una facoltà illimitata.
2. - Tuttavia, dato che, pendente il ricorso dell'interessato, l'autorità amministrativa può trasmettere al giudice penale il processo verbale di accertamento, la tutela offerta dalla norma risulta insufficiente: l'accoglimento del ricorso e la successiva "definizione del contesto" non estinguerebbero il reato, essendo posteriori alla trasmissione del verbale (art. 141, comma secondo); così la disparità di trattamento, pure essendo stata eventualmente colta ed eliminata in via amministrativa, permarrebbe in sede penalistica, conseguenza dell'originario arbitrio dell'ufficio.
Poiché proprio il secondo comma dell'art. 141, escludendo l'estinzione del reato dopo la consegna del verbale al giudice ordinario, consente questa eventuale disparità di trattamento, esso viola l'art. 3 della Costituzione. Perciò non può che dichiararsene l'illegittimità costituzionale là dove stabilisce che il reato non si estingue dopo la trasmissione del verbale all'autorità giudiziaria.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 141, secondo comma, seconda parte ("purché venga effettuato prima della trasmissione del processo verbale di accertamento all'autorità giudiziaria"), della legge 25 settembre 1940, n. 1424 (legge doganale).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 1969.
Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE
Depositata in cancelleria il 28 marzo 1969.