SENTENZA N. 95
ANNO 1967
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 77 del R.D. 5 giugno 1939, n. 1016 (oblazione per le contravvenzioni alle norme sulla protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia) e dell'art. 108 del R.D. 3 marzo 1934, n. 383 (oblazione per le contravvenzioni ai regolamenti comunali), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 18 gennaio 1966 dal pretore di Narni nel procedimento penale a carico di Liti Sergio, iscritta al n. 30 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 76 del 26 marzo 1966;
2) ordinanze emesse il 5 febbraio 1966 dal pretore di Orvieto nei procedimenti penali a carico di Todini Carlo Alberto e Pasquale, Bellocchio Franco, Cavazzoni Raul, Coppola Federico, Menna Margherita e Menna Ugo, iscritte ai nn. 46, 47, 48, 49, 50 e 51 del Registro ordinanze 1966 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 30 aprile 1966.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 26 aprile 1967 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale contro Liti Sergio, il pretore di Narni, con ordinanza del 18 gennaio 1966, ha sollevato di ufficio, in riferimento agli artt. 3, 25 e 102 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 77 del testo unico delle leggi per la protezione della selvaggina e l'esercizio della caccia, approvato con R.D. 5 giugno 1939, n. 1016, che prevede la oblazione per i reati di cui alle disposizioni del predetto testo unico.
Nell'ordinanza si premette che il Liti, imputato dei reati di cui agli artt. 43 e 76, primo comma, del citato R.D., per aver esercitato la caccia in zona di riserva, aveva chiesto e ottenuto di essere ammesso all'oblazione prevista dalla norma impugnata; e si osserva che a seguito di ciò avrebbe dovuto emettersi sentenza istruttoria di improcedibilità. Il pretore ha ritenuto tuttavia di dover prospettare dubbi sulla legittimità costituzionale della disposizione, in particolare nei punti in cui questa concede all'autorità amministrativa, e cioè al prefetto, la facoltà di respingere le istanze di oblazione nei casi di speciale gravità e il potere di determinare discrezionalmente la somma da pagare a quel titolo, nei limiti della pena stabilita dalla legge per la violazione di cui si tratta.
Secondo il pretore, la facoltà concessa al prefetto di accettare o respingere la domanda di oblazione con esame del fatto, nonché il potere di determinare discrezionalmente la somma da pagare potrebbe costituire, sostanzialmente, l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte di un organo del potere esecutivo contrariamente alla disposizione dell'art. 102 della Costituzione. L'esame stesso dei fatti, demandato al prefetto sia pure ai soli fini dell'accettazione e meno della domanda di oblazione e della determinazione della somma da pagare, potrebbe rappresentare un distoglimento dell'imputato, sia pure per i detti effetti, al giudice naturale precostituito, in violazione dell'art. 25. Infine, la facoltà concessa al prefetto di accettare o respingere la domanda, ed il potere conferitogli di fissare discrezionalmente la somma da pagare, potrebbe portare a disuguaglianza dei cittadini davanti alla legge, in violazione dell'art. 3.
Nel corso di sei distinti procedimenti penali contro Todini Carlo Alberto e Pasquale, Bellocchio Franco, Cavazzoni Raul, Coppola Federico, Menna Margherita e Menna Ugo, imputati del reato previsto dall'art. 41, ultima parte, della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, il pretore di Orvieto, con separate ordinanze di identico contenuto, tutte del 5 febbraio 1966, ha sollevato di ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 108 del testo unico delle leggi comunale e provinciale, approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, in riferimento all'art. 3 della Costituzione. Si assume che, concedendo al sindaco la facoltà di determinare la somma da pagarsi a titolo di oblazione entro i limiti minimo e massimo fissati dalla legge, é violato l'art. 3 della Costituzione, potendo la norma impugnata dar luogo ad arbitrio da parte del sindaco e a disparità di trattamento fra un cittadino e l'altro per un fatto contravvenzionale di pari gravità.
Le ordinanze sono state regolarmente notificate e comunicate. Esse risultano pubblicate, la prima, nel n. 76 del 26 marzo 1966, e, tutte le altre, nel n. 105 del 30 aprile 1966 della Gazzetta Ufficiale. In rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri si é costituita l'Avvocatura generale dello Stato nei giudizi a carico del Liti e dei Todini, con atti di intervento e deduzioni depositati in cancelleria rispettivamente il 7 aprile e il 31 marzo 1966.
L'Avvocatura contesta che l'attribuzione al prefetto di un potere discrezionale in ordine all'accoglimento della istanza di oblazione comporti l'esercizio di funzioni giurisdizionali, in violazione degli artt. 102 e 25 della Costituzione. Ritiene inoltre che l'attribuzione all'autorità amministrativa (prefetto, sindaco) del potere di fissare la entità della somma da pagare ai fini dell'oblazione non violi, di per sé, il principio di eguaglianza. In proposito, fra gli altri argomenti, si rileva soprattutto che la "eventuale disparità di trattamento di situazioni analoghe non deriva direttamente dalla legge", "ma, se mai, da una eventuale scorretta applicazione" di essa.
Considerato in diritto
Le ordinanze del pretore di Orvieto e l'ordinanza del pretore di Narni, nella parte riguardante il potere dell'autorità amministrativa di fissare - entro i limiti minimo e massimo della pena stabilità dalla legge - la misura della somma da pagare a titolo di oblazione, propongono identica questione; ed é pertanto il caso di decidere con unica sentenza.
1. - La predetta questione non é fondata. La disposizione del terzo comma dell'art. 77 del T. U. della legge sulla caccia, approvato con R.D. 5 giugno 1939, n. 1016, oggetto dell'ordinanza del pretore di Narni, e quella del primo comma dell'art. 108 del T. U. della legge comunale e provinciale, approvato con R.D. del 3 marzo 1934, n. 383, oggetto delle ordinanze del pretore di Orvieto, con l'attribuire rispettivamente al prefetto e al sindaco il potere di cui innanzi, non ledono in alcun modo il principio di eguaglianza. Si assume che "l'esercizio di un tal potere può dar luogo a disparità di trattamento fra un cittadino e l'altro per fatti contravvenzionali di pari gravità, e che si può avere il caso di chi debba versare somma irrisoria mentre altri sia costretto a pagare somma pari al massimo della pena edittale". La Corte deve a questo proposito riportarsi a quanto, su identico oggetto, fu rilevato con la sentenza n. 15 del 1967. Per l'applicazione delle varie norme l'ordinamento non può, di regola, procedere in base a quella "predeterminazione fissa", e "in via generale", che sembra auspicata nelle ordinanze di rimessione. Le norme impugnate, con l'attribuire al prefetto e al sindaco il potere di determinare volta per volta la somma da versare a titolo di oblazione, non fanno che soddisfare alla inderogabile esigenza dell'ordinamento di adeguare la norma generale alle particolarità di ciascun caso concreto. Il che é indispensabile proprio per realizzare nei suoi veri termini il principio di eguaglianza, che, nei casi in questione, si risolve in un principio di giusta proporzione. Tale funzione di adattamento della norma generale al caso concreto trova sua peculiare espressione nel potere del giudice di fissare la pena fra il minimo e il massimo edittale, ma si svolge largamente anche nel campo amministrativo, ogni volta che l'applicazione di una norma renda necessaria, a ciascun organo, una adeguata valutazione del caso concreto. Indubbiamente non si può escludere che il potere discrezionale si esplichi talvolta in modo erroneo o addirittura ingiusto. Questa é però una eventualità del momento applicativo, per la quale valgono i rimedi stabiliti dalla legge, non un motivo di illegittimità della norma che in via generale attribuisce il potere.
2. - Nemmeno é fondata la questione, sollevata con l'ordinanza del pretore di Narni, sulla legittimità del comma quarto dell'art. 77 del T. U. 5 giugno 1939, n. 1016, secondo il quale il prefetto può respingere la domanda di oblazione nei casi di speciale gravità.
Si assume che questa norma potrebbe costituire violazione della Costituzione nelle norme:
a) dell'art. 102, in quanto la facoltà concessa al prefetto, con l'attribuire un esame del fatto, verrebbe a stabilire sostanzialmente un esercizio di funzione giurisdizionale da parte di un organo del potere esecutivo;
b) dell'art. 25, in quanto l'esame dei fatti demandato al prefetto potrebbe rappresentare distoglimento dell'imputato dal suo giudice naturale;
c) dell'art. 3, potendo la facoltà concessa al prefetto portare a disuguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
Nessuna delle asserite violazioni ha fondamento. Non la violazione dell'art. 102, perché non può dirsi esercizio di funzione giurisdizionale il potere di valutazione, che, come nel caso della istanza di oblazione, viene attribuito all'autorità amministrativa, potere che, pur importando una valutazione del singolo caso, rimane di natura amministrativa, e si svolge prima e al di fuori del processo giurisdizionale.
Del pari é qui a torto invocato anche l'art. 25 della Costituzione perché, ove si disponga il non accoglimento della istanza, lungi dall'esserne distolto, l'esame del caso viene portato davanti al giudice naturale, proprio per l'attuazione di una più adeguata tutela.
Nemmeno infine si ha violazione dell'art. 3, per le stesse ragioni per le quali si é ritenuto non fondata la questione relativa al potere di fissare la somma da pagare fra il minimo e il massimo della pena stabilita dalla legge.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 77 del R. D. 5 giugno 1939, n. 1016 (oblazione per le contravvenzioni alle norme sulla protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia), in riferimento agli artt. 3, 25 e 102 della Costituzione, sollevata dal pretore di Narni con ordinanza del 18 gennaio 1966;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 108 del R.D. 3 marzo 1934, n. 383 (oblazione per le contravvenzioni ai regolamenti comunali), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal pretore di Orvieto con sei ordinanze del 5 febbraio 1966.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1967.
Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI
Depositata in cancelleria il 8 luglio 1967.