SENTENZA N. 43
ANNO 1977
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 409 e 429, ultimo comma, del codice di procedura civile, nel testo modificato dalla legge 11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di lavoro), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 2 aprile 1974 dal pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Antonino Velia e l'ospedale Agostino Bassi, iscritta al n. 317 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 263 del 9 ottobre 1974;
2) ordinanza emessa il 28 giugno 1974 dal pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Bosco Rinaldo e l'Automobile Club di Torino, iscritta al n. 366 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 del 30 ottobre 1974;
3) ordinanza emessa il 5 luglio 1974 dal giudice del lavoro del tribunale di Modica nel procedimento civile vertente tra Pelligra Giuseppe e il Consorzio di bonifica delle paludi di Ispica, iscritta al n. 440 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 317 del 4 dicembre 1974;
4) ordinanza emessa il 12 luglio 1974 dal giudice del lavoro del tribunale di Modica nel procedimento civile vertente tra Rocca Gaetano e il Consorzio dell'agro di Donnalucata, iscritta al n. 441 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 317 del 4 dicembre 1974;
5) ordinanza emessa il 12 luglio 1974 dal giudice del lavoro del tribunale di Modica nel procedimento civile vertente tra Arrabito Rosa e Arrabito Andrea ed altri, iscritta al n. 442 del registro ordinanze del 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 317 del 4 dicembre 1974;
6) ordinanza emessa il 30 ottobre 1974 dal pretore di Pontremoli nel procedimento civile vertente tra Melli Mario e il comune di Pontremoli, iscritta al n. 32 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48 del 19 febbraio 1975;
7) ordinanza emessa il 29 aprile 1975 dal pretore di Civitavecchia nel procedimento civile vertente tra Marzovilla Vittorio e il Consorzio autonomo per il porto di Civitavecchia, iscritta al n. 230 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 195 del 23 luglio 1975;
8) ordinanza emessa il 9 maggio 1975 dal pretore di Grottaglie nel procedimento civile vertente tra Briganti Carmela e l'ospedale civile San Marco, iscritta al n. 269 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 20 agosto 1975;
9) ordinanza emessa l'8 gennaio 1975 dal pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Tresoldi Pietro e l'Ente autonomo del teatro alla Scala di Milano, iscritta al n. 572 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1976.
Visti gli atti di costituzione di Melli Mario, dell'Automobile club di Torino, del comune di Pontremoli, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 24 novembre 1976 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;
uditi l'avv. Pasquale Nappi, per Melli, l'avv. Sergio Di Nola, per l'Automobile club di Torino, l'avv. Giovanni Lavagnini, per il comune di Pontremoli e il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Zagari, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con nove ordinanze dei pretori in funzione di giudici del lavoro di Milano, di Torino, di Pontremoli, di Civitavecchia e di Grottaglie e del giudice del lavoro del tribunale di Modica sono sollevate questioni di legittimità costituzionale degli artt. 409, nn. 4 e 5 e 429, comma terzo, del codice di procedura civile nel testo risultante dall'art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 533.
2. - In particolare, il pretore di Civitavecchia, nel procedimento vertente tra Vittorio Marzovilla ed il Consorzio autonomo per il porto di Civitavecchia, a proposito dell'art. 409, n. 4, secondo cui sono controversie individuali di lavoro, tra le altre, quelle relative a "rapporti di lavoro di dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica", assume che la norma, limitatamente alle parole "o prevalentemente", sia in contrasto con gli artt. 25, comma primo, e 3, comma secondo, della Costituzione. Tale norma sarebbe costituzionalmente illegittima nella parte in cui dispone che rientrano tra le controversie individuali di lavoro quelle relative a rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono prevalentemente attività economica.
Secondo il giudice a quo il criterio legislativo, in base al quale la discriminazione della giurisdizione ordinaria ed amministrativa deve essere attuata, della prevalenza dell'attività economica su quella non economica dell'ente, sarebbe un criterio molto incerto e generico, oltre che razionalmente non valutabile, con la conseguenza che la giurisdizione non risulta legislativamente delimitata con accezione tecnico-giuridica precostituita e la determinazione di essa avviene ex post con soluzioni eventualmente non univoche. Al cittadino e al giudice non sarebbe offerta alcuna garanzia di predeterminata tranquillità decisoria. E quindi sarebbe violato l'art. 3, secondo comma, della Costituzione perché la decisione al riguardo impedirebbe in fatto il sereno sviluppo dell'individuo nell'ambito del contesto sociale e ne limiterebbe in concreto la libertà e l'uguaglianza imponendogli un'iniqua attesa prima di conoscere il giudice competente della sua controversia. Il principio del giudice naturale poi sarebbe leso dall'incertezza del criterio (o dei criteri) da seguire e del giudice da invocare e dalla determinazione della competenza o giurisdizione non già con riferimento a fattispecie astratte ma a posteriori, in relazione ad una regiudicanda insorta con possibilità per il giudice di creare discrezionalmente ipotesi di spostamento della competenza e di accertare i presupposti legali relativi sulla base di rilevazioni non suscettibili di sindacato ad iniziativa ed a tutela della parte.
Davanti a questa Corte non si é avuta costituzione di alcuna delle parti. É intervenuto, invece, il Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza della questione.
3. - I pretori di Milano e di Pontremoli, i pretori di Torino e quello di Grottaglie assumono che l'art. 409, n. 5, del codice di procedura civile relativamente alle espressioni "sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice", sia in contrasto rispettivamente con gli artt. 3 e 102, con gli artt. 3 e 25 e con gli artt. 3, 4, comma primo, 35, comma primo, e 102 della Costituzione.
Al riguardo, va preliminarmente segnalato, siccome risulta dagli atti di causa, che il pretore di Milano ha sollevato la questione anzidetta nel procedimento vertente tra Pietro Tresoldi e l'Ente autonomo del teatro alla Scala di Milano, dopo che l'ente convenuto aveva proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione e depositato copia dello stesso nella cancelleria dello stesso pretore.
La norma de qua sembra impugnata in toto con l'ordinanza del pretore di Milano emessa nella causa tra Antonino Velia e l'ospedale Agostino Bassi.
Con tutte le ordinanze, della norma in questione viene denunciata l'illegittimità costituzionale limitatamente all'inciso sopraddetto, ma della stessa non univocamente é indicato il profilo sotto cui sussisterebbe nei vari casi il contrasto con le disposizioni costituzionali a riferimento. Ed infatti, secondo le citate due ordinanze del pretore di Milano l'art. 409, n. 5, sarebbe costituzionalmente illegittimo "nella parte in cui riserva al giudice amministrativo le controversie degli enti pubblici non economici e dello Stato"; secondo il pretore di Pontremoli l'illegittimità costituzionale della norma risiederebbe nella parte in cui la stessa "ha chiaramente inteso conservare alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione del rapporto di pubblico impiego"; per il pretore di Grottaglie l'illegittimità costituzionale sarebbe della parte della norma che fa salva la competenza del giudice speciale in riferimento ai rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico; ed infine, sembra che il pretore di Torino voglia individuare la dedotta illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui questa non attribuisce alla competenza del pretore le controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti degli enti che svolgono attività economica non prevalente.
a) Con le due ordinanze del pretore di Milano la denuncia di illegittimità costituzionale dell'art. 409, n. 5, in parte qua é prospettata in relazione agli artt. 3 e 102 della Costituzione.
Dopo l'entrata in vigore della legge n. 533 del 1973 si sarebbe venuta a creare una palese disparità di trattamento nella tutela processuale tra alcuni lavoratori (dipendenti da privati o da enti pubblici economici, e anche da enti pubblici non economici ove il rapporto sia destinato a soddisfare esigenze dell'ente di carattere eccezionale o temporaneo) ed altri lavoratori (dipendenti della amministrazione statale e degli enti non economici, quando il rapporto abbia carattere di stabilità), nonostante che le posizioni attive e passive delle parti non siano, tanto più dopo la recente disciplina legislativa posta per il settore privato a garanzia della stabilità del posto di lavoro, nell'uno e nell'altro caso sostanzialmente dissimili.
Siffatte valutazioni non perdono di validità per effetto della recente istituzione dei tribunali amministrativi regionali. Nel procedimento davanti a tali tribunali, infatti, non é dato rilevare alcuna disposizione analoga e di pari efficacia di quelle che nel processo ordinario tendono non solo a favorire la speditezza della decisione ma anche a riequilibrare nel momento processuale la condizione di inferiorità del lavoratore sul piano sostanziale.
Con riferimento, poi, alla dedotta violazione dell'art. 102 della Costituzione il pretore di Milano osserva che la regola dell'unicità di giurisdizione é posta a favore del giudice ordinario: essa nel disegno del legislatore costituente doveva assumere il rilievo di una direttiva preminente rispetto a quella alternativa dell'art. 103 della Costituzione, ed a tale direttiva il legislatore ordinario avrebbe dovuto attenersi nella emanazione della nuova disciplina per le controversie individuali di lavoro.
Nel giudizio introdotto con le due ordinanze del pretore di Milano non vi é stata costituzione di parte. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri il quale ha concluso nel senso della non fondatezza della sollevata questione.
b) Secondo il pretore di Torino che ha sollevato la questione nel procedimento vertente tra Rinaldo Bosco e l'Automobile Club di Torino, l'art. 409, n. 5, in parte qua, sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 25 della Costituzione in quanto la carenza di giurisdizione del pretore del lavoro in ordine agli enti che svolgono attività economica non prevalente risulta stabilita in funzione di un parametro privo di qualsiasi seria ragionevolezza; e in quanto la norma denunciata impedirebbe la individuazione certa ed anteriore al contenzioso del giudice naturale precostituito per legge.
In particolare, rileva che l'art. 409, n. 4, ha individuato una nuova categoria di enti pubblici, quelli cioé che svolgono prevalente attività economica, categoria che si colloca a fianco degli enti pubblici economici tout court (es. ENEL) e degli enti pubblici non economici, e che i rapporti di lavoro facenti capo agli enti di cui alle prime due categorie sono di pertinenza del pretore del lavoro; rileva, altresì, che la natura esclusivamente o prevalentemente economica dell'ente deve essere indagata in concreto sulla base di criteri di effettività e che siffatta indagine pone in luce un bipolarismo tra enti la cui attività economica é prevalente o non prevalente con il conseguente possibile oscillare tra l'una e l'altra categoria da parte di uno stesso ente solamente in funzione delle scelte operate dagli organi direttivi; rileva, infine, che, portando il discorso sul piano del rapporto di lavoro, deriva che il passaggio eventuale di un ente dalla categoria degli enti pubblici prevalentemente economici a quella degli enti pubblici prevalentemente non economici determina la giurisdizione del pretore del lavoro o quella dell'organo di giustizia amministrativa senza che il dipendente possa interferire o svolgere alcun sindacato e senza che il rapporto di lavoro subisca in concreto alcuna modifica. Osserva, a conclusione, che la arbitrarietà del parametro normativo emerge chiaramente dalla considerazione che una sostanziale diversità tra rapporto di lavoro pubblico e rapporto di lavoro privato non sussiste più, come risulta anche dalla giurisprudenza costituzionale.
Davanti a questa Corte si é costituito l'Automobile club di Torino ed ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
L'Automobile club di Torino, con l'atto di costituzione e con la memoria, chiede che questa Corte dichiari non fondata la sollevata questione.
Nello stesso senso conclude, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri.
c) Secondo il pretore di Pontremoli che ha emesso l'ordinanza nel processo vertente tra Mario Melli e il comune di quella città, l'art. 409, n. 5, del codice di procedura civile nella parte già indicata sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 102 della Costituzione. La norma denunciata, infatti chiaramente conserva alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione dei rapporti di pubblico impiego. E ciò mentre sempre più evidenziata e sensibile appare l'esigenza di unificare processualmente la disciplina dei rapporti relativi al settore pubblico con quella dei rapporti relativi al settore privato, attribuendo anche la cognizione dei primi alla autorità giudiziaria ordinaria.
In applicazione dell'art. 3 della Costituzione non può sussistere discriminazione sul piano dei rapporti di lavoro tra dipendenti degli enti pubblici e dipendenti di soggetti privati, anche per il fatto che, specie dopo l'entrata in vigore delle nuove norme sul rito del lavoro, la giurisdizione ordinaria si presenta più agevolmente accessibile, meno costosa e dotata di procedura più celere. Senza dire che il giudice ordinario nella materia de qua é dotato di più ampi poteri rispetto al giudice amministrativo, come é dato riscontrare dall'analisi delle norme concernenti la regolamentazione dei tribunali amministrativi regionali.
La profonda evoluzione verificatasi nel mondo del lavoro rende necessaria l'unificazione, sul piano processuale, del sistema di tutela per impedire che di fatto si verifichi una profonda diseguaglianza tra le due grandi categorie di lavoratori rispettivamente pubblici e privati.
Secondo il pretore di Pontremoli lo stesso art. 102 della Costituzione prevede e legittima questa fondamentale esigenza affermando il principio della unità della giurisdizione, principio che deve ritenersi preminente rispetto a quello alternativo contenuto nell'art. 103.
Infine il pretore di Pontremoli osserva essere la questione rilevante atteso che il rapporto controverso concerneva una situazione di pubblico impiego, escludente la cognizione da parte dell'autorità giudiziaria ordinaria.
Davanti a questa Corte si sono costituiti il comune di Pontremoli e Mario Melli ed ha spiegato intervento il Preisidente del Consiglio dei ministri.
Il comune di Pontremoli chiede che questa Corte dichiari non fondata la sollevata questione. Mario Melli, nell'atto di costituzione e nella memoria, chiede invece che sia dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 409, n. 5, in parte qua.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, dal canto suo, conclude per la non fondatezza della questione.
d) Secondo il pretore di Grottaglie l'art. 409, n. 5, del codice di procedura civile, già citato sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 4, comma primo, 35, comma primo, e 102 della Costituzione.
Dopo avere premesso che la norma denunciata sostanzialmente codifica l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, il pretore osserva con riferimento alla valutazione della norma medesima alla luce dell'art. 3 che non può essere contestata una evidente disparità di trattamento sul piano della tutela processuale tra dipendenti da privati e da enti pubblici economici da un lato, e dipendenti dell'amministrazione dello Stato e di enti pubblici non economici dall'altro. Solo ai primi, infatti, sono assicurate le più incisive garanzie previste dalla legge n. 533 del 1973.
Si tratta di una diversità di trattamento ingiustificata, come peraltro é dato rilevare dalle notevoli perplessità in ordine alla stessa manifestate nel corso dell'iter parlamentare che ha portato alla approvazione della norma. Tale diversità, peraltro, assume rilievo ove venga posta in rapporto all'art. 4, comma primo, della Costituzione. Questa norma, infatti, impegna il legislatore a promuovere le condizioni indispensabili acché sia reso effettivo il diritto al lavoro di ciascun cittadino. Conseguentemente é privo di significato escludere per una categoria di lavoratori il ricorso a forme di tutela giurisdizionale particolarmente tempestive ed efficaci.
Infine, si rileva, la violazione dell'art. 102 della Costituzione, osservandosi che la norma impugnata contraddice al principio della unità della giurisdizione che non sembra essere superato affermandosi la pari rilevanza dell'art. 103 della Costituzione.
Quest'ultima norma, infatti, ha solo lo scopo di assicurare la sopravvivenza degli organi di giustizia amministrativa limitatamente alle materie di loro specifica competenza. Sotto tale profilo la censura di illegittimità costituzionale viene in considerazione unicamente in relazione alla competenza degli organi giurisdizionali amministrativi a conoscere delle controversie relative alla validità dei licenziamenti, salva ed impregiudicata rimanendone la competenza in ogni altro caso. Inoltre la estensione della giurisdizione del giudice ordinario anche alle controversie relative al rapporto di pubblico impiego non trova ostacolo nel principio che esclude il potere del giudice ordinario medesimo di annullare atti amministrativi riconosciuti illegittimi: una deroga a tale principio, infatti, si trova già nell'ordinamento positivo a seguito della applicazione dell'art. 37 della legge n. 300 del 1970 ai rapporti con gli enti pubblici non economici.
Davanti a questa Corte non si é costituita nessuna delle parti; ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri il quale, alle argomentazioni svolte negli altri atti di intervento per sostenere la tesi della infondatezza della questione, aggiungeva alcune considerazioni in ordine agli artt. 4, comma primo, e 35, comma primo, della Costituzione, ritenendo che la denuncia fosse infondata anche con riferimento a queste norme.
4. - Con tre ordinanze, aventi identica motivazione, del giudice del lavoro del tribunale di Modica (emesse il 5 e il 12 luglio 1974 in tre procedimenti rispettivamente vertenti tra Giuseppe Pelligra e il Consorzio di bonifica delle paludi di Ispica, tra Gaetano Rocca ed il Consorzio irriguo dell'agro di Donnalucata e tra Rosa Arrabito e Andrea Arrabito ed altri) é sollevata d'ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 429, ultimo comma, del codice di procedura civile.
Il giudice a quo osserva che la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 429 si applica, per espressa previsione di legge (art. 409, primo comma) soltanto ai rapporti elencati in quest'ultimo articolo; che la norma denunciata si applica anche nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici e ad altri rapporti di lavoro pubblico a condizione però che tali rapporti non siano devoluti dalla legge ad altro giudice; che le controversie relative al rapporto di pubblico impiego, già attribuite alla giurisdizione del Consiglio di Stato e della G.P.A. sono ora devolute alla giurisdizione esclusiva dei T.A.R.; e che, di conseguenza, i crediti di lavoro dei dipendenti degli enti pubblici, azionabili davanti ai T.A.R. non sono rivalutabili in dipendenza del sopravvenuto svilio monetario.
Secondo il tribunale di Modica la norma denunciata sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza in quanto "essa crea una profonda ed ingiustificata sperequazione a vantaggio di alcune categorie di lavoratori subordinati nei confronti di altre", praticando un trattamento differenziato a situazioni identiche fra loro.
Nei tre procedimenti non si é costituita alcuna delle parti. Ha spiegato intervento, con unico atto, il Presidente del Consiglio dei ministri che, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che sia dichiarata non fondata la questione come sopra proposta.
5. - All'udienza del 24 novembre 1976 gli avvocati Pasquale Nappi, Sergio Di Nola e Giovanni Lavagnini, rispettivamente, per Melli Mario, per l'Automobile Club di Torino e per il Comune di Pontremoli, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Zagari per il Presidente del Consiglio dei ministri, hanno insistito nelle rispettive ragioni e richieste.
Considerato in diritto
1. - Con le nove ordinanze indicate in epigrafe dei pretori, in funzione di giudici del lavoro, di Civitavecchia, di Milano, di Torino, di Pontremoli, di Grottaglie e del giudice del lavoro del tribunale di Modica sono sollevate questioni di legittimità costituzionale degli artt. 409, nn. 4 e 5, e 429, comma terzo, del codice di procedura civile, nel testo risultante dall'art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 533.
Dato che tali questioni hanno lo stesso oggetto o risultano analoghe o strettamente connesse tra di loro, i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Con l'ordinanza emessa l'8 gennaio 1975 dal pretore di Milano si ritiene che non sia manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 409, n. 5, nella parte in cui la norma in contrasto con gli artt. 3 e 102 della Costituzione riserva al giudice amministrativo le controversie dei dipendenti degli enti pubblici non economici e dello Stato.
La stessa norma é sospettata di incostituzionalità anche da parte di altri giudici (dallo stesso pretore di Milano con l'ordinanza del 2 aprile 1974 e dai pretori di Torino, di Pontremoli e di Grottaglie), e quindi le ragioni addotte da tutti i giudici a quibus potrebbero essere valutate in unico contesto.
Ma la questione sollevata con la prima delle due indicate ordinanze del pretore di Milano risulta inammissibile. Emerge infatti, dagli atti di causa che l'ente convenuto, con la memoria difensiva, aveva eccepito il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria e prima ancora che il giudice si pronunciasse al riguardo con la ripetuta ordinanza, aveva proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione ed aveva provveduto al deposito di copia dell'atto nella cancelleria del detto giudice. E questo, pertanto, non avrebbe potuto (secondo quanto più volte - e da ultimo con la sentenza n. 118 del 1976 - rilevato da questa Corte) sul punto della giurisdizione sollevare la questione di cui si tratta.
3. - Secondo il pretore di Civitavecchia sarebbe in contrasto con gli artt. 3, comma secondo, e 2S, comma primo, della Costituzione. l'art. 409, n. 4. citato, nella parte in cui la norma attribuisce all'autorità giudiziaria ordinaria la cognizione delle controversie relative a rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono prevalentemente attività economica. La questione non é fondata.
In relazione alle considerazioni svolte dal detto pretore, e tenendosi altresì conto di quelle che, sia pure a differente scopo (declaratoria dell'illegittimità costituzionale dell'art. 409, n. 5, citato), sono contenute nell'ordinanza emessa dal pretore di Torino, é possibile, infatti, osservare quanto segue.
Si assume che il legislatore ordinario, facendo riferimento, allo scopo della individuazione degli enti pubblici economici (i cui rapporti con i dipendenti sono, in sede processuale, considerate controversie individuali di lavoro), al criterio della prevalenza dell'attività economica su quella non economica, non avrebbe posto in funzione della determinazione della giurisdizione presupposti oggettivi e stabili, ma avrebbe solo espresso un concetto (quello della prevalenza) o enunciato un criterio generico ed elastico; ed il giudice, di conseguenza, non sarebbe precostituito per legge, ma verrebbe ad essere determinato in ordine ad una regiudicanda insorta e sulla base di personali valutazioni del decidente.
In contrario, va però rilevato che la norma, sul punto che qui interessa, fissa un presupposto oggettivo e nel contempo fornisce un criterio di individuazione della fattispecie per la determinazione della giurisdizione. Tra gli enti pubblici diversi dallo Stato viene operata una distinzione a seconda dell'attività dagli stessi svolta, ed in modo unitario ed unico vengono considerati gli enti che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica, i quali sono contrapposti a quelli che codesta attività non svolgono in nessuno dei due modi. Ora non c'é dubbio che il riferimento alla natura dell'attività, considerata sul piano delle competenze istituzionali, sia oggettivo. Può darsi - come rileva il pretore di Torino - che l'ente modifichi qualitativamente o quantitativamente la sua attività, ma ciò non incide sopra codesta oggettività. Questa va tenuta distinta ed é diversa dalla costanza o continuità o perpetuità, che qui non sono richieste. Il riferimento poi é collegato ad un dato momento o periodo di tempo e cioè a quello in cui la giurisdizione deve essere determinata (art. 5 del codice di procedura civile). É le variazioni, comunque avvenute, circa la natura e la misura dell'attività non acquistano, in quanto tali, alcun rilievo.
D'altra parte, é del pari certo che non sia generico ed elastico il criterio della prevalenza dell'attività economica nei confronti di quella non economica dell'ente, che, peraltro trovasi legislativamente invocato anche in varie sedi (e di recente nell'art. 37 della legge del 20 maggio 1970, n. 300, e nell'art. 2, comma quinto, della legge 20 marzo 1975, n. 70).
Come giustamente osserva l'Avvocatura generale dello Stato "prevalenza significa confronto di situazioni diverse e commisurazione della loro reciproca entità e rilevanza" e "prevalenza dell'attività economica dell'ente pubblico significa valutazione di ogni aspetto organizzativo e funzionale dell'ente e riconoscimento della sua funzione essenziale nello indirizzo dell'attività privata e nell'esercizio della sovranità" (e meglio, di potestà pubblica).
La norma de qua, in tal modo, presuppone e comporta, nella sua concreta applicazione, un giudizio ancorato ad elementi oggettivi ed idoneo a segnare in astratto ed in concreto i due campi della giurisdizione ordinaria e di quella amministrativa e la relativa linea di confine.
Che nell'applicazione del criterio offerto si abbia per il giudice adito un margine, ancorché ridotto, di propria valutazione, non conta, giacché il conseguente provvedimento é adottato nel pieno rispetto, in ogni grado di giudizio, dei diritti delle parti e quale risultato ed espressione del libero formarsi del convincimento del giudice. Ed altresì non conta che questi, durante il necessario iter possa incontrare difficoltà di interpretazione e nella decisione, perché simili eventualità sono connaturate all'attività del giudicare e non sono in alcun modo esclusive o comunque più gravi nell'ipotesi in esame.
Il giudice chiamato a conoscere della controversia, pertanto, risulta, in tal caso, precostituito per legge.
L'art. 25, comma primo, della Costituzione non appare, in conclusione, violato dall'art. 409, n. 4, citato, del codice di procedura civile.
E non lo é neppure l'art. 3, comma secondo, del pari invocato dal giudice a quo come ulteriore disposizione costituzionale di raffronto: il criterio fissato dal legislatore é necessario e sufficiente al fine per cui é posto ed il giudice ha modo di applicarlo in concreto senza influire, in relazione al caso già insorto, sulla competenza o giurisdizione. Non vi é quindi la "incerta soluzione" della questione di cui si parla in ordinanza. E tanto meno ricorrono per il cittadino le asserite condizioni (assenza di predeterminata tranquillità decisoria o iniqua attesa prima di conoscere il giudice competente della sua controversia) che ne limitino in concreto la libertà e l'uguaglianza, di fatto impedendogli il sereno sviluppo nell'ambito del contesto sociale.
In conclusione, non può dirsi che il citato art. 409, n. 4, limitatamente alle parole "o prevalentemente" vada contro gli artt. 3, comma secondo, e 25, comma primo, della Costituzione.
Nel contempo, però, non va escluso che possano ricorrere valide ragioni perché il legislatore, sopra un piano più generale, ricerchi modi e termini che assicurino una più pronta e sicura configurazione degli enti pubblici economici.
4. - Con la ricordata ordinanza del pretore di Torino, con l'ordinanza del pretore di Milano del 2 aprile 1974 e con quelle dei pretori di Pontremoli e di Grottaglie, complessivamente considerate, si denuncia l'art. 409, n. 5, ultimo inciso, del codice di procedura civile per contrasto con gli artt. 3, comma primo, 4, comma primo, 25, comma primo, 35, comma primo, e 102 della Costituzione.
Di detta norma sarebbe costituzionalmente illegittima la parte in cui essa riserva al giudice amministrativo le controversie dei dipendenti degli enti pubblici non economici e dello Stato (ordinanza del pretore di Milano) o conserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione dei rapporti di pubblico impiego (ordinanza del pretore di Pontremoli) o fa salva la competenza del giudice speciale in riferimento ai rapporti di lavoro dei dipendenti degli enti pubblici o altri rapporti di lavoro pubblico (ordinanza del pretore di Grottaglie) o lascia alla giurisdizione amministrativa i rapporti di lavoro con gli enti pubblici non economici (ordinanza del pretore di Torino).
Pur nella varietà delle espressioni usate, unica é la tesi che emerge dalle dette ordinanze. che con l'art. 409, n. 5, del codice di procedura civile, e con l'ultimo inciso "sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice", il legislatore abbia voluto attribuire alla cognizione del giudice ordinario le controversie relative a "rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici" e ad "altri rapporti di lavoro pubblico" non devoluti gli uni e gli altri dalla legge ad altro giudice (ordinanze dei pretori di Milano, di Pontremoli e di Grottaglie) ovvero a "rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici" che svolgono prevalentemente attività economica (ordinanza del pretore di Torino) ed abbia del pari disposto in ordine alle controversie relative ai rapporti non considerati positivamente, attribuendole alla cognizione del giudice amministrativo.
La denuncia concernerebbe la seconda parte della norma.
La questione, così come proposta, non appare fondata, non risultando la norma in contrasto con le disposizioni costituzionali di raffronto.
5. - a) Si avrebbe, anzitutto, con la norma de qua una palese disparità di trattamento sul piano della tutela processuale nei confronti di soggetti aventi posizioni sostanziali eguali o non dissimili.
La discriminazione riguarderebbe, secondo il pretore di Milano, i dipendenti dell'amministrazione statale e di enti pubblici non economici quando il rapporto abbia carattere di stabilità, nei confronti dei dipendenti da privati, da enti pubblici non economici ove il rapporto sia destinato a soddisfare esigenze dell'ente di carattere eccezionale o temporaneo; secondo il pretore di Pontremoli, i dipendenti degli enti pubblici non economici e dell'amministrazione dello Stato, nei confronti dei dipendenti di soggetti privati, e sarebbero altresì di competenza del pretore come giudice del lavoro le controversie relative a rapporti di lavoro autonomo quando committenti siano gli enti pubblici, o a rapporti di pubblico impiego senza atto formale di nomina; e secondo il pretore di Grottaglie, infine, la discriminazione riguarderebbe i dipendenti dell'amministrazione dello Stato e di enti pubblici non economici, nei confronti dei dipendenti di privati e di enti pubblici economici. Ed il differente trattamento consisterebbe in ciò che ai dipendenti discriminati, che possono far valere i loro diritti davanti al giudice amministrativo, sarebbero negati determinati vantaggi, riconosciuti, invece, ai dipendenti che possono adire il giudice civile del lavoro, e precisamente la maggiore facilità di accesso, la maggiore celerità del procedimento, il minore costo, i maggiori poteri istruttori, la possibilità di conseguire in corso di causa un'ordinanza di pagamento, e l'esecutorietà ope legis della sentenza di primo grado.
E di contro le posizioni sostanziali dei due gruppi, come sopra formati, di dipendenti presenterebbero caratteristiche identiche o simili in ordine alla faciendi necessitas, all'onerosità ed alla subordinazione. L'asserita violazione del principio di eguaglianza, ad avviso della Corte, non sussiste.
Più volte (e di recente con le sentenze nn. 209 del 1975 e 47, 49 e 118 del 1976) questa Corte ha avuto occasione di valutare comparativamente le situazioni dei dipendenti privati e dei pubblici dipendenti e pur ammettendo l'esistenza, da tempo e sempre più, della tendenza a realizzare per esse una unica e omogenea disciplina giuridica, ha avvertito che ricorrono presupposti e condizioni, nella ineliminabile varietà delle prestazioni, perché permangano settoriali o puntuali differenze giuridiche.
Ed in particolare (con la sentenza n. 47 del 1976), chiamata a pronunciarsi in merito all'esclusione dall'ambito della giurisdizione ordinaria delle controversie inerenti alla validità dei licenziamenti dei dipendenti degli enti pubblici non economici, ha ritenuto che gli artt. 2, comma primo, lettera a), 3, comma primo, e 7, comma secondo, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, sull'istituzione dei tribunali amministrativi regionali, e l'art. 6, ultimo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, sui licenziamenti individuali, non fossero in contrasto con le disposizioni costituzionali di raffronto, e cioè con gli artt. 3, 4, 24 e 35 della Costituzione.
Ora, il problema per ultimo ricordato é posto e va esaminato su un piano più ampio giacché si tratta di giudicare se sia violato o meno l'art. 3, comma primo, della Costituzione (e il contrasto, però, come si é detto e si vedrà appresso, é denunciato anche nei confronti di altre disposizioni costituzionali) dall'art. 409, n. 5, del codice di procedura civile nella parte in cui la norma non attribuisce agli organi della giurisdizione ordinaria la cognizione delle controversie di cui siano parti i pubblici dipendenti che secondo il ricordato assunto dei giudici a quibus sarebbero oggetto di discriminazione.
Ma la soluzione di codesto problema non può essere dissimile da quella già adottata e sopra ricordata. I vantaggi che il codice di rito civile (come modificato in materia dalla legge n. 533 del 1973) negherebbe ai dipendenti discriminati, infatti, o non sussistono o non sono tali da integrare nei loro confronti una arbitraria ed ingiustificata disparità di trattamento.
A proposito della pretesa maggiore facilità di accesso al giudice ordinario e della pretesa maggiore onerosità del ricorso al giudice amministrativo, basta ricordare, per contrastare la validità delle relative ragioni di denuncia, l'istituzione ed il concreto funzionamento dei tribunali amministrativi regionali in ogni capoluogo di Regione, strutturati in unica sezione, o eccezionalmente in tre sezioni, e alcuni di essi anche con una sezione distaccata.
E poi, circa l'assunto che il procedimento davanti al giudice ordinario offrirebbe strumenti processuali contrassegnati da una particolare speditezza, tempestività ed efficacia e che invece di analoghi strumenti non potrebbe giovarsi il pubblico dipendente costretto ad adire il giudice amministrativo, é sufficiente rifarsi alle risposte che al riguardo questa Corte ha già fornito, sia pure in relazione al più ristretto tema di decisione ad essa sottoposto, con la ricordata sentenza n. 47 del 1976; ed aggiungere che nell'ambito del procedimento di cui agli artt. 409 e seguenti del codice di procedura civile, non possono non apparire coerenti le norme dettate in particolare con gli artt. 423 e 431.
In conclusione, le situazioni dei due gruppi di dipendenti messe a raffronto non sono identiche o del tutto assimilabili, da un canto, e dall'altro la diversità dei relativi trattamenti sul terreno processuale non appare irrazionale.
b) Secondo il pretore di Torino si avrebbe una ingiustificata o irrazionale disparità di trattamento tra i dipendenti degli enti pubblici a seconda che questi svolgano o meno prevalentemente attività economica, ed essa si incentrerebbe sulla asserita inidoneità in astratto ed in concreto del criterio della prevalenza dell'attività economica, perché possa aversi l'esistenza di un giudice precostituito per legge.
L'asserita violazione degli artt. 3 e 25, comma primo, della Costituzione non sussiste.
In sede di esame della questione di legittimità costituzionale dell'art. 409, n. 4, la Corte ha, nei termini sopra specificati, escluso che codesta norma violi l'art. 25, comma primo (e l'art. 3, comma secondo).
Ora, stante la relativa pronuncia e dato che, là dove si debba, ai fini della determinazione della giurisdizione, rifarsi al criterio della prevalenza o meno dell'attività economica svolta dall'ente pubblico da cui dipende il soggetto che agisce in giudizio, si ha che tale criterio offerto dal legislatore appare basato su elementi oggettivi ed individuabili anche a regiudicanda non insorta, deve escludersi la violazione dell'art. 25 e così pure quella, connessa, al principio di eguaglianza.
c) Accertata la non fondatezza della tesi della violazione dell'art. 3, comma primo, risultano parimenti non fondate le denunce di illegittimità costituzionale della ripetuta norma per contrasto con gli artt. 4, comma primo, e 35, comma primo, della Costituzione avanzate dal pretore di Grottaglie. Le due denunce, infatti, sono intimamente collegate - come lo stesso giudice a quo ammette - a quella di violazione dell'art. 3 della Costituzione. La mancata applicazione nei confronti dei dipendenti dell'amministrazione dello Stato e di enti pubblici non economici, delle norme relative al processo del lavoro non é di ostacolo acché sia reso effettivo il diritto al lavoro di ciascun cittadino. Nel procedimento giurisdizionale amministrativo, infatti, ricorrono le condizioni a codesto fine essenziali.
d) Ed infine, non merita di essere condiviso l'assunto dei pretori di Milano, di Pontremoli e di Grottaglie secondo cui la esclusione dalla competenza del giudice ordinario della cognizione delle controversie di lavoro relative ai dipendenti che secondo le tre ordinanze sarebbero oggetto di discriminazione, sia in contrasto con l'art. 102 della Costituzione. Questa disposizione non impone espressamente che la funzione giurisdizionale, in toto, sia esercitata da magistrati ordinari; e d'altra parte, deve essere interpretata in collegamento con il successivo art. 103, per cui il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa (ed in particolare i tribunali amministrativi regionali, istituiti a sensi dell'art. 125, comma secondo, della Costituzione) hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi.
6. - Con le tre ordinanze del giudice del lavoro presso il tribunale di Modica é denunciato, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile.
Il giudice a quo rileva che tale norma si applica per espressa previsione di legge (art. 409 del codice di procedura civile), soltanto ai rapporti elencati nello stesso art. 409 e che "i crediti di lavoro dei dipendenti degli enti pubblici, azionabili davanti ai tribunali amministrativi, non sono rivalutabili in dipendenza del sopravvenuto svilio monetario"; ed assume che quella norma, in contrasto con il principio di eguaglianza, "crea una profonda ed ingiustificata sperequazione a vantaggio di alcune categorie di lavoratori subordinati nei confronti di altre".
Circa le premesse poste dal tribunale di Modica a fondamento del suo assunto, questa Corte non può non constatarne l'esistenza. In effetti, solo per le controversie indicate nell'articolo 409 si osserva la norma di cui all'ultimo comma dell'art. 429, là dove essa dispone che il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di danaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannandolo al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto.
Ne consegue che, sul punto, esiste una disciplina differente dei crediti del lavoro, a seconda che questi siano relativi ai rapporti indicati nell'art. 409 ovvero siano relativi a "rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico", per i quali dalla legge le controversie siano devolute alla cognizione di altro giudice.
Ma, ad avviso della Corte, con ciò non si ha che a situazioni eguali venga usato un trattamento differenziato ed in modo arbitrario ed ingiustificato.
La norma di cui all'ultimo comma dell'art. 429 é stata già denunciata a questa Corte per il differente trattamento previsto per i crediti del lavoratore in essa contemplati rispetto a quello delle altre obbligazioni pecuniarie, ed in particolare dei crediti del datore di lavoro nascenti dallo stesso rapporto di lavoro. E la relativa questione, con sentenza n. 13 del 1977, é stata dichiarata non fondata con riguardo ai profili prospettati. Di detta norma é stato individuato il fondamento giustificativo in tre ragioni, strettamente connesse. E precisamente: l'esigenza di mantenere inalterato il potere di acquisto di beni reali delle somme costituenti oggetto dei predetti crediti del lavoratore, posta in relazione alle finalità di sostentamento proprie della retribuzione giusta l'art. 36 della Costituzione; l'esigenza, collegata sempre a dette finalità, di porre una remora al ritardo nell'adempimento alla scadenza delle obbligazioni relative alle prestazioni retributive; ed infine l'esigenza di riequilibrio delle posizioni economiche delle parti con il recupero in favore del lavoratore dell'arricchimento conseguito dal datore di lavoro che ha utilizzato nella propria struttura organizzativa la forza di lavoro senza corrispondere al lavoratore quanto a lui dovuto alle prescritte scadenze.
Ora, se non può disconoscersi che anche nei confronti dei dipendenti di enti pubblici (non economici) ricorra la prima delle dette ragioni, collegata - come si ripete - alla finalità di sostentamento propria della retribuzione, non può dirsi che rilevino negli stessi termini, modi e misura in cui ricorrono nei confronti dei datori di lavoro privati o degli enti pubblici economici, le altre concorrenti ragioni giustificatrici della norma in questione.
Ciò basta per constatare che le situazioni poste a raffronto sono diverse e che quindi non sussiste l'assunta illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui prevede la disciplina sopraddetta solo per i dipendenti di cui all'art. 409 del codice di procedura civile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 409, n. 5, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 102 della Costituzione, dal pretore di Milano con l'ordinanza dell'8 gennaio 1975;
dichiara non fondate:
a) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 409, n. 4, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, comma secondo, e 25, comma primo, della Costituzione, dal pretore di Civitavecchia con l'ordinanza indicata in epigrafe;
b) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 409, n. 5, del codice di procedura civile, sollevata in riferimento agli artt. 3, comma primo, 4, comma primo, 25, comma primo, 35, comma primo, e 102 della Costituzione dai pretori di Milano, di Torino, di Pontremoli e di Grottaglie rispettivamente con l'ordinanza del 2 aprile 1974 del pretore di Milano e con le altre ordinanze indicate in epigrafe;
c) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 429, comma terzo, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal giudice del lavoro presso il tribunale di Modica con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 gennaio 1977.
Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 20 gennaio 1977.