Sentenza n. 118 del 1976
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 118

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 37 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'11 luglio 1972 dal pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Fioriti Fernando, Guerra Alfonso e l'Amministrazione delle poste e telecomunicazioni, iscritta al n. 362 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 329 del 20 dicembre 1972;

2) ordinanza emessa l'11 maggio 1973 dal pretore di Ceccano nel procedimento penale a carico di Ferrarelli Giuseppe, iscritta al n. 340 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 263 del 10 ottobre 1973;

3) ordinanza emessa il 25 giugno 1973 dal tribunale di Milano nei procedimento civile vertente tra l'Azienda di Stato per i servizi telefonici e il Sindacato provinciale FIP-CGIL ed altri, iscritta al n. 6 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 del 6 marzo 1974;

4) ordinanza emessa il 5 febbraio 1974 dal tribunale di Salerno nel procedimento civile vertente tra Scarpa Federico e il Direttore provinciale delle poste e telecomunicazioni di Salerno, iscritta al n. 223 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 167 del 26 giugno 1974;

5) ordinanza emessa il 5 aprile 1974 dal tribunale di Palermo nel procedimento civile vertente tra il Ministero della pubblica istruzione e il Sindacato provinciale scuola CGIL di Palermo ed altro, iscritta al n. 357 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 del 30 ottobre 1974;

6) ordinanza emessa il 12 novembre 1974 dal pretore di Palermo nel procedimento civile vertente tra Gatani Giuseppe e l'Istituto autonomo per le case popolari di Palermo, iscritta al n. 62 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 88 del 2 aprile 1975;

7) ordinanza emessa il 28 novembre 1974 dal tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra il Ministero della pubblica istruzione e il Sindacato provinciale scuola CGIL di Biella, iscritta ai n. 71 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 88 del 2 aprile 1975.

Visti gli atti di costituzione di Fioriti Fernando, di Guerra Alfonso, del Sindacato provinciale scuola CGIL di Palermo, dell'Azienda di Stato per i servizi telefonici, dei Ministeri delle poste e telecomunicazioni e della pubblica istruzione, nonché gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 gennaio 1976 il Giudice relatore Antonino De Stefano;

uditi l'avv. Luciano Ventura, per Fioriti Fernando e Guerra Alfonso, l'avv. Enzo Cheli, per il Sindacato provinciale scuola CGIL di Palermo, e i sostituti avvocati generali dello Stato Renato Carafa e Giorgio Zagari, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Azienda di Stato per i servizi telefonici, e i Ministeri delle poste e telecomunicazioni e della pubblica istruzione.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso depositato il 22 maggio 1972 Alfonso Guerra, per la segreteria provinciale della Federazione postelegrafonici della CGIL di Milano, e Fernando Fioriti, denunciavano al pretore di Milano la condotta antisindacale dell'Amministrazione PP.TT., assumendo che quest'ultima, allo scopo di limitare l'attività sindacale del dipendente Fioriti, gli aveva contestato gravi addebiti disciplinari comportanti la sospensione dalla qualifica. Chiedevano, in conseguenza, che, a norma dell'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), il pretore ordinasse all'Amministrazione la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.

L'Amministrazione, costituita in giudizio, eccepiva la carenza di giurisdizione del giudice adito, chiedendo la immediata sospensione del procedimento, ai sensi dell'art. 367 c.p.c., in dipendenza del ricorso per regolamento di giurisdizione da essa proposto alle sezioni unite della Corte di cassazione in data 5 giugno 1972, e ritualmente depositato in giudizio. Formulava altresì varie eccezioni preliminari, e sosteneva nel merito l'infondatezza del ricorso.

Il pretore, con ordinanza emessa l'11 luglio 1972, dopo aver respinto le eccezioni preliminari, passava all'esame della questione concernente la utilizzabilità del citato art. 28 dello Statuto dei lavoratori nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, ritenendo che a ciò non fosse preclusiva la richiesta di sospensione ex art. 367 c.p.c. avanzata dalla resistente. Nel merito, dopo aver osservato che l'unico ostacolo all'applicabilità ai dipendenti statali dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori é costituito dall'art. 37 dello stesso Statuto, sollevava questione di legittimità costituzionale di quest'ultima norma in riferimento agli artt. 39, 40, 24, comma primo, 113 e 3, comma primo, della Costituzione.

Afferma il pretore che la trattazione della sollevata questione di costituzionalità non può essere impedita dal ricorso proposto per difetto di giurisdizione del giudice adito, poiché, in tema di conflitto di pregiudizialità tra questione di giurisdizione e questione di legittimità costituzionale, deve esser data precedenza a quest'ultima ogni qual volta l'esistenza della giurisdizione debba essere accertata in base alle norme della cui legittimità si dubita.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

Nel giudizio innanzi a questa Corte si sono costituiti Fioriti Fernando e Guerra Alfonso, rappresentati e difesi dagli avvocati Carlo Smuraglia e Luciano Ventura; l'Amministrazione delle PP.TT., in persona del Ministro pro-tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato; ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla stessa Avvocatura.

Nelle proprie deduzioni e in una successiva memoria l'Avvocatura ha preliminarmente sollevato eccezioni di inammissibilità ed irrilevanza della proposta questione.

L'inammissibilità discenderebbe dal proposto ricorso per regolamento di giurisdizione, e dalla conseguente richiesta di sospensione del procedimento ex art. 367 c.pc.; l'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale risulta quindi emessa da autorità allo stato priva della potestas iudicandi. Comunque, nelle more del presente giudizio, la Corte di cassazione adita ha dichiarato il difetto di giurisdizione del pretore di Milano per improponibilità dell'azione proposta da Fioriti e Guerra (sent. n. 3872 del 27 novembre 1974).

Vi sarebbe, poi, una irrilevanza prima facie della questione sollevata, essendo precluso al giudice del merito ogni indagine sulla sussistenza o meno del potere giurisdizionale in ordine alla domanda proposta, una volta che di tale indagine é stata investita la Corte di cassazione.

Inoltre, a seguito della proposizione del regolamento di giurisdizione, non poteva il pretore rimettere gli atti alla Corte costituzionale, sospendendo in tal modo non solo il giudizio pendente dinanzi a sé, ma anche il giudizio ormai proposto innanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione. Nel merito, in ordine ai dedotti motivi di incostituzionalità, l'Avvocatura ritiene manifestamente infondata la questione, osservando che l'esclusione dell'impiego statale dall'ambito di applicazione della legge n. 300 del 1970 trova una sua precisa ragione nella preesistenza dello Statuto degli impiegati civili dello Stato (d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e successive modifiche ed integrazioni) che detta una completa e idonea disciplina per garantire l'operatività dei sindacati nell'Amministrazione dello Stato e per la specifica protezione dei dipendenti statali in ordine alla conservazione del posto di lavoro, ai trasferimenti ed alle sanzioni disciplinari.

Nelle proprie deduzioni la difesa delle parti Fioriti e Guerra rileva, in ordine all'eccezione di inammissibilità, che il giudice a quo ha risolto, con motivazione convincente, il problema del rapporto tra giudizio di legittimità costituzionale e regolamento di giurisdizione, riconoscendo la prevalenza del primo sul secondo.

Per quanto concerne l'eccezione di irrilevanza, osserva che nel momento in cui il giudice a quo disponeva la sospensione del processo per sottoporre a questa Corte la questione di legittimità costituzionale, non era formulabile alcuna ipotesi circa l'esito del regolamento di giurisdizione, e perciò ben ritenne che la questione fosse rilevante, né possono interessare a tal fine i fatti accaduti dopo la sospensione.

Nel merito, conclude per la fondatezza della proposta questione rilevando che le garanzie apprestate dal legislatore con lo Statuto dei lavoratori a tutela non solo dei singoli lavoratori, ma anche delle organizzazioni sindacali, debbono operare nei confronti di tutti i lavoratori e di tutte le organizzazioni sindacali, senza discriminazione di sorta. Vero che il rapporto di pubblico impiego presenta alcune peculiarità, ma trattasi di differenze oggettive che, da sole, non possono giustificare una disparità di trattamento.

2. - La questione di legittimità costituzionale, in relazione all'art. 3 Cost., dell'art. 37 della legge n. 300 del 1970, "nella parte in cui esclude l'applicabilità delle norme della predetta legge per i soli dipendenti da enti pubblici non economici, qualora la materia sia diversamente regolata da norme speciali", é stata sollevata d'ufficio dal pretore di Ceccano con ordinanza 11 maggio 1973 emessa nel procedimento promosso da Angelo Menichini, segretario generale della UIL di Frosinone, contro Giuseppe Ferrarelli, sindaco di Patrica, denunciato perché ritenuto responsabile della violazione dell'art. 5 della legge stessa per aver sottoposto il dipendente comunale Trani Luigi a visite fiscali da parte di medici privati, anziché di medici dei servizi ispettivi degli istituti di assistenza.

Rileva il pretore che la norma denunciata sarebbe incostituzionale nella parte in cui discrimina fra dipendenti privati e di enti pubblici economici da un lato, e dipendenti di enti pubblici non economici dall'altro, osservando che non sussiste alcuna valida ragione per l'operata discriminazione tra i lavoratori a seconda della loro subordinazione gerarchica da una amministrazione pubblica avente finalità economiche o da una amministrazione, ugualmente pubblica, che tali finalità non abbia. I benefici recati dallo Statuto dei lavoratori avrebbero dovuto essere estesi a tutti i dipendenti pubblici, anche perché le "norme speciali" disciplinanti il pubblico impiego non assicurano analoga sufficiente tutela.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata ma nel giudizio dinanzi a questa Corte nessuno si é costituito.

3. - Questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 della legge n. 300 del 1970 in quanto escluderebbe dalla sfera dell'applicabilità dello Statuto dei lavoratori i rapporti dei dipendenti dello Stato, é stata altresì sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., con ordinanza 25 giugno 1973 emessa dal tribunale di Milano nel procedimento promosso ai sensi dell'art. 28 della legge stessa dal Sindacato provinciale FIP-CGIL di Milano, Mosconi Olga e altri 107 dipendenti nei confronti dell'Amministrazione PP.TT. - Azienda di Stato per i servizi telefonici. Afferma il tribunale che la norma denunciata contrasterebbe con i principi di uguaglianza e di tutela dei diritti, sanciti dagli artt. 3 e 24 Cost., perché, mentre il sindacato nel settore privato dispone di una autonoma tutela dei suoi diritti sindacali mediante il procedimento dell'art. 28 dello Statuto, tutto ciò non avverrebbe o avverrebbe in misura limitata ed inefficace per i sindacati dei dipendenti statali.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte, relativo a tale ordinanza, si é costituita l'Azienda di Stato per i servizi telefonici, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla stessa Avvocatura, la quale, nelle proprie deduzioni, ribadisce gli argomenti di merito svolti nel giudizio promosso con l'ordinanza 11 luglio 1972 del pretore di Milano, affermando che l'esclusione dell'impiego statale dall'ambito di applicazione dello Statuto dei lavoratori può ritenersi pienamente giustificata, e concludendo, quindi, per l'infondatezza della questione.

4. - Dubbio sulla costituzionalità dello stesso art. 37 della legge n. 300 dei 1970, in relazione all'art. 3 Cost., per la irrazionale discriminazione fatta fra impiego statale - al quale lo Statuto dei lavoratori non sarebbe applicabile - e impiego degli enti pubblici non economici - al quale la Statuto é invece applicabile - é stato prospettato d'ufficio dal tribunale di Salerno con ordinanza 5 febbraio 1974 emessa nel procedimento promosso da Scarpa Federico, ai sensi degli artt. 15 e 28 della legge stessa, avverso il provvedimento di trasferimento nei suoi confronti adottato dall'Amministrazione PP.TT. di Salerno.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte, relativo a tale ordinanza, é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, la quale, nelle deduzioni presentate, ripete, a sostegno dell'infondatezza della proposta questione, gli stessi argomenti svolti nei giudizi inerenti alle ordinanze 11 luglio 1972 del pretore di Milano e 25 giugno 1973 del tribunale di Milano.

5. - L'illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, primo comma, Cost., dell'art. 37 della legge n. 300 del 1970 "nella parte in cui, escludendo l'applicabilità delle disposizioni della medesima legge all'impiego statale, non consente ai sindacati dei dipendenti statali di agire, ex art. 28 della stessa legge, per la repressione dell'attività antisindacale", é stata inoltre sollevata dal tribunale di Palermo con ordinanza 5 aprile 1974 emessa nel procedimento promosso ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970 dal Sindacato provinciale scuola CGIL di Palermo nei confronti del locale Provveditore agli studi per ottenere l'annullamento della circolare 9 settembre 1973, contenente il divieto per il personale insegnante di tenere riunioni sindacali durante l'orario scolastico, ritenuta limitativa della libera attività sindacale.

Osserva il giudice a quo che per affetto della norma impugnata accade che nell'ambito dell'impiego statale, pur essendosi attribuito ai dipendenti il diritto di riunione ed agli organi sindacali il potere di indirle e di parteciparvi, non é tuttavia assicurato il potere di tutelare adeguatamente in sede giurisdizionale il corrispondente interesse collettivo proprio del sindacato. Da ciò la violazione del principio di uguaglianza per la disparità di trattamento riservato alle diverse organizzazioni sindacali, nonché il contrasto con l'art. 24, comma primo, Cost., che garantisce a tutti il potere di agire a tutela dei propri diritti e interessi.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte, si sono costituiti il prof. Aurelio Colletta, nella qualità di segretario provinciale del Sindacato scuola della CGIL di Palermo, rappresentato e difeso dagli avvocati Enzo Cheli ed Elia Clarizia; il Ministero della P.I., in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato; ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla stessa Avvocatura.

Nelle proprie deduzioni l'Avvocatura ricorda che la questione proposta é analoga a quella sollevata dal pretore di Milano con ordinanza 11 luglio 1972 e dal tribunale di Salerno con ordinanza 5 febbraio 1974, e ribadisce gli argomenti già svolti per quei giudizi, concludendo per l'infondatezza della questione.

In particolare afferma che, in presenza dei principi enunciati dagli artt. 97 e 98 Cost., e in considerazione del fatto che lo Statuto degli impiegati civili dello Stato garantisce l'operatività dei sindacati nel campo del rapporto dell'impiego statale, l'esclusione di quest'ultimo dall'ambito di operatività dello Statuto dei lavoratori appare non solo giustificata, ma imposta dai particolari caratteri di questo impiego.

Nelle proprie deduzioni la difesa del prof. Colletta contesta la validità dei rilievi sulla tipicità del rapporto d'impiego statale e sull'asserita idoneità della disciplina di tale rapporto, addotti dall'Avvocatura per sostenere l'inapplicabilità dello Statuto dei lavoratori.

É in corso, a suo avviso, un processo che porta alla convergenza della disciplina del pubblico impiego con quella del rapporto di lavoro privato, specie nell'ambito della tutela delle libertà sindacali, sì che la "sindacalizzazione" del pubblico impiego rappresenta ormai un dato irreversibile. Quanto alla idoneità e sufficienza della disciplina posta a tutela dell'attività sindacale nel pubblico impiego, essa, pur sostanzialmente simile a quella posta nello Statuto dei lavoratori, non prevede una adeguata garanzia di ordine processuale.

Venendo all'esame dell'art. 37 dello Statuto dei lavoratori, la difesa osserva che la norma ne subordina la inapplicabilità alla esistenza di una speciale disciplina, che regoli la "materia", o meglio "i singoli istituti" considerati dallo stesso Statuto; e che pertanto l'art. 28 deve trovare applicazione anche nel rapporto d'impiego statale, giacché nella disciplina vigente di tale impiego non si rinviene alcuna norma che reprima la condotta antisindacale.

6. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 della legge n. 300 del 1970 - "nella parte in cui esclude l'applicabilità della legge medesima ai rapporti d'impiego dei dipendenti degli enti pubblici non economici quando esiste una normativa speciale" - é stata sollevata, in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., con ordinanza 12 novembre 1974 emessa dal pretore di Palermo, nel procedimento di lavoro promosso contro l'Istituto autonomo case popolari di Palermo dal dipendente Gatani Giuseppe, il quale aveva adito il giudice per chiedere - ai sensi dell'art. 13 della stessa legge - l'assegnazione definitiva alle mansioni di dirigente del centro meccanografico dell'Istituto, la reintegra immediata in tali mansioni e la condanna dell'Istituto al pagamento di differenze retributive.

Il pretore ha rilevato che nei confronti dell'Istituto autonomo case popolari, ente pubblico non economico, dovrebbe trovare applicazione l'art. 13 innanzi citato, che prevede l'assegnazione definitiva al posto superiore dopo tre mesi d'incarico, sia perché presso l'Istituto la stessa materia non risulta diversamente regolata da alcuna norma speciale, sia perché l'art. 83 del CCNL 19 giugno 1971 espressamente prevede l'applicabilità ai dipendenti dei suddetti istituti delle disposizioni contenute nello Statuto dei lavoratori. La norma dell'art. 13, però, sarebbe in netto contrasto con la normativa del pubblico impiego in tema di progressione di carriera, per cui l'affidamento di funzioni più elevate non può dar luogo alla correlativa modificazione dello status del dipendente. Questa conclusione porta, secondo il giudice a quo, a ritenere fondato il dubbio d'incostituzionalità dell'art. 37, nella parte in cui opera "una ingiustificata diversificazione tra i lavoratori a seconda che essi dipendano da un'amministrazione pubblica avente finalità economiche o da un'altra amministrazione egualmente pubblica che tali finalità non abbia".

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

Nel giudizio innanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, la quale, nelle proprie deduzioni, solleva anzitutto eccezione di inammissibilità per manifesta irrilevanza della proposta questione.

Premesso che nessuna delibazione ha compiuto il giudice a quo in tema di rilevanza, l'Avvocatura osserva che nella specie la irrilevanza risulterebbe ictu oculi, giacché nessuna influenza per la decisione del merito della causa può avere la norma impugnata, la quale sancisce l'inapplicabilità dello Statuto agli enti pubblici non economici aventi una regolamentazione speciale, mentre per l'Istituto resistente l'applicabilità dello Statuto é pacifica, proprio perché manca tale regolamentazione. Nel merito, l'Avvocatura afferma che la esclusione dall'ambito di operatività dello Statuto di quegli enti pubblici non economici, che abbiano una specifica regolamentazione del proprio rapporto d'impiego, é più che giustificata, e si può addirittura considerare imposta dai particolari caratteri di tale tipo di impiego pubblico. Onde la questione appare manifestamente infondata.

7. - L'incostituzionalità, per contrasto con l'art. 3 Cost. dell'art. 37 della legge n. 300 del 1970, "nella parte in cui esclude l'applicabilità delle norme della stessa legge ai rapporti di pubblico impiego solo perché regolati da norme speciali, nonché al rapporto d'impiego statale", é stata denunciata dal tribunale di Torino, con ordinanza 28 novembre 1974, emessa nel giudizio di opposizione promosso dall'Amministrazione della P.I. contro il decreto 12 aprile 1974 con cui il pretore di Biella, su ricorso del Sindacato provinciale di Biella del Sindacato nazionale scuola CGIL, aveva ordinato al Provveditore agli Studi di Vercelli di desistere dal proprio comportamento limitativo del diritto di riunione del personale docente della scuola media statale di Adorno Micca, al quale il diritto di riunione nei locali della scuola era stato consentito con esclusione delle ore di lezione.

Si osserva nell'ordinanza che non sussistono plausibili ragioni alla base della limitazione che - per effetto del denunciato art. 37 - pone i pubblici dipendenti (statali o di enti pubblici non economici) in posizione meno favorevole.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte si é costituito il Ministero della P.I., in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla stessa Avvocatura.

Nelle proprie deduzioni l'Avvocatura solleva anzitutto eccezione di irrilevanza della questione proposta nei riguardi dell'art. 37, nella parte che esclude l'applicabilità dello Statuto dei lavoratori a tutti quei dipendenti di enti pubblici non economici, il cui rapporto sia disciplinato da una normativa speciale. Questo profilo d'incostituzionalità non interessa, ad avviso dell'Avvocatura, il tribunale di Torino, che é chiamato soltanto a decidere dell'applicabilità o meno dello Statuto sul rapporto d'impiego statale. Per quanto invece riguarda questa ultima questione, l'Avvocatura osserva che l'attività sindacale nell'ambito di detto rapporto é regolata da un autonomo sistema di norme le quali, pur non prevedendo un procedimento simile a quello dell'art. 28, non lasciano sfornite di tutela processuale le posizioni soggettive dei sindacati. Deve conseguentemente escludersi, secondo l'Avvocatura, ogni profilo d'irrazionalità nella disciplina che assicura ai sindacati dei dipendenti statali poteri processuali diversi da quelli riconosciuti ad altri sindacati.

Considerato in diritto

1. - Il pretore di Milano, con l'ordinanza dell'11 luglio 1972, solleva questione di legittimità costituzionale - in relazione agli artt. 3, comma primo, 24, comma primo, 39, 40 e 113 della Costituzione - dell'art. 37 della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante "norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro, e norme sul collocamento" (detta anche Statuto dei lavoratori), nella parte in cui, con l'espressione "salvo che la materia sia diversamente regolata da norme speciali", rende possibile non applicare l'art. 28 della stessa legge ai sindacati dei dipendenti statali.

Anche il tribunale di Milano, con l'ordinanza del 25 giugno 1973, solleva, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del citato art. 37, nella parte in cui, adoperando l'espressione "le disposizioni della presente legge si applicano altresì ai rapporti d'impiego dei dipendenti degli altri enti pubblici", in contrapposto agli "enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica", ai quali si riferisce la prima parte dello stesso articolo, esclude - ove la locuzione "altri enti pubblici" sia interpretata come non comprensiva dello Stato - dall'ambito di applicazione dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori, i rapporti d'impiego dei dipendenti statali.

Analoga questione é proposta dal tribunale di Salerno, con l'ordinanza del 5 febbraio 1974, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione dello stesso art. 37, nella parte in cui esclude l'applicabilità della legge n. 300 del 1970 ai rapporti d'impiego dei dipendenti dall'Amministrazione dello Stato, indipendentemente dall'esistenza di una normativa speciale; e dal tribunale di Palermo, con l'ordinanza del 5 aprile 1974, per contrasto con gli artt. 3, comma primo, e 24, comma primo, della Costituzione, dell'art. 37 nella parte in cui, escludendo l'applicabilità della legge n. 300 del 1970, non consente ai sindacati dei dipendenti statali di agire ex art 28 della stessa legge per la repressione dell'attività antisindacale.

All'art. 37, nella parte in cui esclude l'applicabilità della legge n. 300 del 1970 per i soli dipendenti da enti pubblici non economici, qualora la materia sia diversamente regolata da norme speciali, fanno anche riferimento le ordinanze 11 maggio 1973 del pretore di Ceccano e 12 novembre 1974 del pretore di Palermo, asserendone il contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Infine, é dell'art. 37 che il tribunale di Torino, con l'ordinanza del 28 novembre 1974, propone, in relazione all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale, nella parte in cui esclude l'applicabilità delle norme della legge n. 300 del 1970 ai rapporti di pubblico impiego solo perché regolati da norme speciali, nonché al rapporto d'impiego statale.

Conclusivamente, l'art. 37, nei suoi vari profili, é posto a raffronto da tutte le ordinanze con l'art. 3 della Costituzione; anche con l'art. 24 dalle ordinanze del pretore e del tribunale di Milano e del tribunale di Palermo; anche con gli artt. 39, 40 e 113 dalla sola ordinanza del pretore di Milano.

Poiché le questioni proposte sono in parte identiche ed in parte strettamente connesse, le relative cause, congiuntamente trattate, vengono riunite per essere decise con unica sentenza.

2. - Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità opposta dall'Avvocatura dello Stato alla questione sollevata dal pretore di Milano, per essere stata la relativa ordinanza emessa dopo che la parte resistente aveva già proposto ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione per regolamento di giurisdizione.

La Corte ha già affermato (sentenza n. 221 del 1972 e n. 135 del 1975) che é inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice di merito dopo la proposizione di ricorso per regolamento di giurisdizione, in quanto tale ricorso spoglia il giudice stesso di ogni competenza a conoscere o a disporre della o sulla questione di giurisdizione. In tal caso, giova soggiungere, non é in discussione la pregiudizialità dell'una questione rispetto all'altra: problema che si porrebbe, invece, per il giudice nella pienezza dei suoi poteri. Intervenuta che sia, per effetto del combinato disposto degli artt. 41 e 367 c.p.c., la sospensione del processo in corso, non possono, da quel momento, essere compiuti atti del procedimento (art. 298 c.p.c.), e dunque é preclusa al giudice ogni pronuncia anche sulle pregiudiziali e sul loro ordine. Ben vero che egli, dopo la proposizione del ricorso ed anche dopo l'emissione dell'ordinanza di sospensione del processo, é tuttavia legittimato - per il disposto dell'art. 48, comma secondo, c.p.c., dettato per il regolamento di competenza e ritenuto applicabile anche al regolamento di giurisdizione - ad autorizzare il compimento degli atti che reputi urgenti, ivi compresi quelli d'istruzione preventiva (art. 699 c.p.c.); ma sempre che tali atti - ha osservato la Corte (sentenza n. 73 del 1973) - non siano comunque connessi alla pronuncia sulla giurisdizione, stante l'automatismo con cui, ipso iure, la questione concernente quest'ultima é stata sottratta alla sua cognizione, e devoluta a quella delle sezioni unite della Corte di cassazione. Nel caso degli atti urgenti, dunque, il giudice di merito appare legittimato anche a sollevare questioni di costituzionalità, ma sempre che esse, riferendosi esclusivamente alle norme da applicare per il compimento degli stessi, in tale limitato ambito siano rilevanti (sentenza n. 177 del 1973).

Nella specie, il regolamento preventivo, che investe la giurisdizione proprio in ordine al procedimento previsto dall'art. 28 dello Statuto dei lavoratori, preclude il compimento di atti inerenti al procedimento stesso finché operi la sua sospensione, e comporta quindi la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, sollevata successivamente alla proposizione del regolamento, in relazione appunto alla stessa normativa concernente la giurisdizione. Con ciò prescindendo dalla circostanza che, nelle more del giudizio, le investite sezioni unite della Corte di cassazione hanno dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione del pretore di Milano a conoscere della proposta azione.

3. - L'art. 37 dello Statuto dei lavoratori viene denunciato sotto un duplice profilo, e cioé in quanto escluderebbe l'applicabilità dello Statuto medesimo: a) parzialmente ai rapporti d'impiego dei dipendenti dagli enti pubblici che non svolgano esclusivamente o prevalentemente attività economica; b) totalmente al rapporto d'impiego dei dipendenti dello Stato.

Sotto il primo profilo, si assume, nelle ordinanze dei pretori di Ceccano e di Palermo, che detto articolo contrasti con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui, dopo aver sancito l'applicazione delle disposizioni della legge n. 300 del 1970 ai rapporti di lavoro e d'impiego dei dipendenti da enti pubblici economici, tale applicazione dispone altresì per i rapporti d'impiego dei dipendenti da enti pubblici non economici, escludendola, però, per questi ultimi, nel caso che "la materia sia diversamente regolata da norme speciali". Da ciò conseguirebbe "una ingiustificata diversificazione tra i lavoratori a seconda che essi dipendano da un'amministrazione pubblica avente finalità economiche o da un'altra amministrazione egualmente pubblica, che tali finalità non abbia". Per effetto della cennata salvezza, infatti, nella controversia innanzi al pretore di Ceccano la esistenza di una norma del regolamento comunale, che prevede la effettuazione di visite fiscali a mezzo di sanitari di fiducia dell'amministrazione, impedirebbe l'applicazione dell'art. 5 dello Statuto, che vieta, invece, gli accertamenti sanitari da parte del datore di lavoro, consentendo soltanto il controllo delle assenze per infermità a mezzo dei servizi ispettivi degli istituti previdenziali. E nella controversia innanzi al pretore di Palermo, i principi generali del pubblico impiego che subordinano il conferimento delle qualifiche e delle funzioni a formali atti di nomina o di promozione, niuna rilevanza giuridica accordando all'esercizio di fatto di mansioni superiori, impedirebbero l'applicazione dell'art. 2103 del codice civile, nel testo sostituito dall'art. 13 della legge n. 300 del 1970, che riconosce, invece, in questa ipotesi al prestatore di lavoro il diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi e comunque non superiore a tre mesi, l'assegnazione definitiva alle anzidette mansioni. Vero che, nella fattispecie sottoposta alla cognizione del pretore di Palermo, l'art. 83 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 19 giugno 1971 prevede espressamente l'applicabilità dello Statuto dei lavoratori ai dipendenti dagli istituti autonomi delle case popolari; e su ciò ha fatto leva l'Avvocatura dello Stato per eccepire pregiudizialmente la irrilevanza della questione. Ma il giudice a quo ha ritenuto che a siffatta disposizione non possa riconoscersi "una forza tale da influenzare il principio del carattere formale della disciplina del pubblico impiego per quanto riguarda lo stato giuridico dei dipendenti degli enti pubblici", e che, in conseguenza, il giudizio non possa venir definito indipendentemente dalla risoluzione della sollevata questione; il che, ad avviso della Corte, é sufficiente a suffragarne la rilevanza, respingendo l'eccezione all'uopo opposta dall'Avvocatura dello Stato.

La questione d'incostituzionalità dell'art. 37, nella parte relativa agli enti pubblici non economici, é stata anche proposta dal tribunale di Torino, nella ordinanza con la quale ha sollevato l'altra questione, che concerne il rapporto d'impiego dei dipendenti dello Stato. La prima va dichiarata inammissibile, risultando evidente la mancanza del requisito della rilevanza: infatti, la controversia sottoposta a quel giudice s'incentra esclusivamente sull'applicabilità o meno dello Statuto in ordine al comportamento di un provveditore agli studi, asserito limitativo del diritto di riunione del personale docente, e in essa é dunque rilevante solo la seconda questione, della quale si tratterà in seguito.

4. - Esaurito con ciò l'esame delle eccezioni pregiudiziali e venendo al merito della questione proposta dai pretori di Ceccano e di Palermo, la Corte ritiene che la stessa non sia fondata.

Il laborioso iter parlamentare, da cui é scaturito lo Statuto, pone in evidenza come primario intento del legislatore sia stato l'apprestare efficace tutela della posizione dei lavoratori subordinati nell'organizzazione dell'impresa. Il rapporto d'impiego pubblico, inizialmente rimasto estraneo alla emananda disciplina, solo in un secondo tempo é stato preso in considerazione, distinguendosi tra i dipendenti da enti pubblici economici, ai cui rapporti di lavoro e d'impiego veniva estesa la normativa statutaria, e i dipendenti degli uffici e delle aziende dello Stato, delle Regioni, delle Provincie, dei Comuni e degli altri enti pubblici, per i quali si prevedeva la successiva emanazione di norme delegate, intese ad uniformare, compatibilmente con la natura del rapporto, il loro trattamento giuridico alle disposizioni dello Statuto. Peraltro, nella stessa sede parlamentare anche il ricorso alla delega fu poi disatteso e venne definitivamente sostituito con la vigente formula, che contempla l'applicazione delle disposizioni statutarie ai rapporti d'impiego degli "altri" enti pubblici (diversi, cioé, da quelli economici, per i quali l'applicazione é rimasta estesa sic et simpliciter), "salvo che la materia sia diversamente regolata da norme speciali".

Alla cennata funzione primaria e immediata, cui lo Statuto dei lavoratori é chiamato ad assolvere, si é così affiancata una funzione suppletiva ed integratrice rispetto ad una disciplina, qualificata "speciale" in ragione della "specialità" della materia, e cioé del rapporto d'impiego che si instaura con l'ente pubblico non economico. In altri termini, per quest'ultimo rapporto le disposizioni della legge n. 300 del 1970 trovano applicazione soltanto nella ipotesi di "lacune" che si riscontrino nella speciale disciplina, riguardo a situazioni soggettive identiche o simili a quelle previste e regolate dallo Statuto; mentre prevalgono, ove esistano o sopravvengano, le norme speciali, intendendosi per tali quelle dettate con leggi o con atti che abbiano forza di legge o con altri atti normativi che trovino pur sempre il loro fondamento nella legge.

Il legislatore ha così operato una scelta di politica legislativa: anziché procedere al coordinamento tra le due discipline direttamente in sede parlamentare, o in prosieguo in sede delegata, ha preferito affidare tale coordinamento all'interprete, mediante una norma di raccordo, alla quale va perciò riconosciuta adeguata capacità operativa.

Non può, pertanto, ravvisarsi contrasto alcuno con l'art. 3 Cost. in siffatta norma, preordinata, come si é detto, a far sì che una disciplina, dettata per regolare situazioni giuridiche del lavoro subordinato nell'ambito della organizzazione imprenditoriale, operi in via sussidiaria anche nel diverso ambito dell'apparato burocratico di enti pubblici con carattere non imprenditoriale, integrando e non sopraffacendo la speciale normativa per questi ultimi dettata.

La Corte ha già dato atto (da ultimo nelle sentenze 209 del 1975, 47 e 49 del 1976) della tendenziale convergenza tra lo stato giuridico del lavoratore privato e quello del lavoratore pubblico, che va realizzandosi mediante una osmosi tra le due discipline, sempre compatibilmente con la natura e con le peculiarità dei rispettivi rapporti di lavoro; ma trattasi di una evoluzione, il cui graduale svolgimento é affidato al legislatore, naturale interprete delle istanze politiche, sindacali e sociali della comunità nazionale.

Le innegabili differenze che tuttora intercorrono tra impiego privato ed impiego pubblico, per la diversa genesi, per la diversa struttura, per la diversa funzione, dimostrano la razionalità della denunciata norma, che di esse tien conto allorché fa salve le norme speciali, appunto per evitare che posizioni diverse siano trattate nella stessa maniera.

Non si nega, infine, che, in sede di concreta applicazione di singoli istituti, situazioni identiche o simili, nei due ambiti considerati, possono apparire regolate in modo ingiustificatamente difforme, rispettivamente dalla norma statutaria e da quella speciale; nel qual caso potrà eventualmente sollevarsi questione di legittimità costituzionale delle norme medesime. Ma una siffatta eventualità non scalfisce la razionalità che é alla base del raccordo posto in opera con l'art. 37, il quale continuerebbe in linea generale ad assolvere la sua funzione anche se taluna delle norme statutarie o speciali venisse meno perché dichiarata incostituzionale.

5. - Della costituzionalità dell'art. 37 della legge n. 300 del 1970 si dubita sotto un secondo profilo: in quanto la impossibilità di applicare lo Statuto anche ai rapporti d'impiego dei dipendenti statali consegue da tale norma in via assoluta, e non subordinatamente all'accertamento della esistenza di una speciale disciplina, così come previsto per gli enti pubblici non economici (ordinanza del tribunale di Salerno); ed in quanto la mancata estensione allo Stato della legge in argomento impedisce alle associazioni sindacali dei dipendenti statali quel ricorso all'art. 28 dello Statuto medesimo, per la repressione dell'attività antisindacale, cui sono legittimate le corrispondenti associazioni degli altri lavoratori (ordinanze dei tribunali di Milano, Palermo e Torino). Ad avviso dei giudici di merito sarebbero con ciò violati gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

La questione non é fondata.

Va preliminarmente condivisa la interpretazione della norma accolta dai giudici di merito e confortata dalla giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione: nel senso di ritenere che il più volte citato art. 37 non consenta l'applicazione delle disposizioni statutarie ai rapporti d'impiego dei dipendenti statali, nel preminente riflesso che la espressione "altri enti pubblici" non comprende implicitamente anche lo Stato. Ne consegue che la funzione suppletiva ed integratrice assolta nei confronti della speciale disciplina che regola gli enti pubblici non economici, non può venir del pari esercitata nei confronti della normativa propria del rapporto d'impiego statale. In altri termini, il legislatore ha considerato che, mentre vi e un ampia gamma di enti pubblici minori, la cui disciplina, frammentaria o incompleta, può essere opportunamente integrata dalla disciplina statutaria, tale esigenza non si pone per lo Stato, il cui rapporto d'impiego é minuziosamente regolato da una disciplina completa, che appresta anzi i principi basilari all'ordinamento giuridico del pubblico impiego in generale. Anche sotto questo profilo, dunque, nella globale valutazione del legislatore, vi é una sostanziale diversità di posizioni, che giustifica razionalmente nel primo caso l'uso del meccanismo di raccordo e il mancato ricorso ad esso nel secondo.

Né la carenza del raccordo preclude, é appena il caso di precisarlo, la eventuale denuncia di incostituzionalità allorché si dubiti, alla stessa stregua di quanto detto per gli enti pubblici non economici, che situazioni identiche o simili siano irrazionalmente regolate in modo diverso da una norma statutaria, e da una norma dettata per il rapporto d'impiego statale: diseguaglianza di trattamento che può configurarsi anche nella ipotesi di una specifica "lacuna", cui non é dato riparo, a differenza che per gli enti pubblici non economici, mediante il ricorso alla norma statutaria. In siffatta problematica potrebbe, se del caso, venir compresa anche la inapplicabilità dell'art. 28 dello Statuto, cui si richiamano le ordinanze prese in esame, alle associazioni sindacali dei dipendenti statali, ove si escludesse che queste ultime possano tutelare il loro interesse al rispetto della libertà sindacale innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimità, e si assumesse che ciò possa concretare una irrazionale ed ingiustificabile diseguaglianza di trattamento rispetto alle altre associazioni sindacali con minorazione del loro diritto di difesa. Il che potrebbe offrire adito alla prospettazione di questioni di costituzionalità, non dell'art. 37, che va immune da siffatta censura, ma delle norme che tali istituti direttamente disciplinano nei rispettivi ambiti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 della legge 20 maggio 1970, n. 300 recante norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro, e norme sul collocamento" (detta anche Statuto dei lavoratori) sollevata dal pretore di Milano con ordinanza 11 luglio 1972, in riferimento agli artt. 3, comma primo, 24, comma primo, 39, 40 e 113 della Costituzione;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del citato art. 37 della legge n. 300 del 1970, limitatamente alla parte in cui escluderebbe l'applicabilità dello Statuto dei lavoratori ai rapporti d'impiego dei dipendenti dagli enti pubblici che non svolgano esclusivamente o prevalentemente attività economica, sollevata dal tribunale di Torino, con ordinanza 28 novembre 1974, in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 37 della legge n. 300 del 1970 sollevate dai tribunali di Milano, Palermo, Salerno e Torino e dai pretori di Ceccano e Palermo, con le ordinanze in epigrafe indicate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 20 maggio 1976.