Sentenza n. 131 del 2025

SENTENZA N. 131

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Giovanni AMOROSO;

Giudici: Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 219 della legge della Regione Puglia 31 dicembre 2024, n. 42, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2025 e bilancio pluriennale 2025-2027 della Regione Puglia (legge di stabilità regionale 2025)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 28 febbraio 2025, depositato in cancelleria il 1° marzo 2025, iscritto al n. 12 del registro ricorsi 2025 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2025.

Udito nell’udienza pubblica del 9 luglio 2025 il Giudice relatore Marco D’Alberti;

udito l’avvocato dello Stato Federico Basilica per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 9 luglio 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 1° marzo 2025, iscritto al n. 12 reg. ric. del 2025, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 219 della legge della Regione Puglia 31 dicembre 2024, n. 42, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2025 e bilancio pluriennale 2025-2027 della Regione Puglia (legge di stabilità regionale 2025)».

Tale disposizione ha sostituito il comma 2 dell’art. 6 della legge della Regione Puglia 9 febbraio 2005, n. 2 (Norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale) con il seguente: «[l]e cause d’ineleggibilità previste nel comma 1 non hanno effetto se gli interessati cessano dalla carica per dimissioni non oltre centottanta giorni precedenti il compimento del quinquennio, che decorre dalla data delle elezioni. Nei casi di scioglimento anticipato del Consiglio regionale, se avviene prima dell’ultimo semestre del quinquennio, le dimissioni devono avere luogo entro e non oltre sette giorni dalla data di scioglimento».

Il comma 1 dell’art. 6 della legge reg. Puglia n. 2 del 2005, richiamato dalla disposizione impugnata, stabilisce che «[o]ltre ai casi previsti dal primo comma dell’articolo 2 della legge 23 aprile 1981, n. 154, non sono eleggibili a Presidente della Regione e a Consigliere regionale i Presidenti delle Province della Regione e i Sindaci dei Comuni della Regione».

Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, in primo luogo, la violazione dell’art. 122, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 2, comma 1, lettera b), della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione), che prevede l’inefficacia delle cause di ineleggibilità «qualora gli interessati cessino dalle attività o dalle funzioni che determinano l’ineleggibilità, non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature o altro termine anteriore altrimenti stabilito».

Sarebbe violata, in particolare, la competenza legislativa concorrente dello Stato nella materia attinente ai «casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali», di cui l’evocata norma interposta, introdotta in attuazione dell’art. 122, primo comma, Cost., esprimerebbe un principio fondamentale.

Secondo il ricorrente, la disposizione regionale impugnata prevede l’inefficacia delle cause di ineleggibilità stabilendo un termine per le dimissioni molto anticipato rispetto a quello di presentazione delle candidature (quest’ultimo pari a trenta giorni prima della votazione), termine che «ben potrebbe determinare ricadute eccessivamente penalizzanti sul completamento del mandato degli organi di governo comunale».

In secondo luogo, l’art. 219 della legge reg. Puglia n. 42 del 2024 violerebbe gli artt. 3 e 51 Cost., costituendo una limitazione irragionevole e sproporzionata del diritto fondamentale di elettorato passivo e dando luogo «ad una situazione di disparità, non presente nel testo normativo previgente, che non è sorretta da esigenze specifiche riferibili al contesto regionale pugliese».

La scelta tra la carica di sindaco e la candidatura alle elezioni regionali, da compiersi, stando alla disposizione impugnata, ben centottanta giorni prima della scadenza fisiologica del Consiglio regionale, imporrebbe infatti «al sindaco che abbia interesse a candidarsi alle elezioni di rinunciare al proprio ufficio, senza neppure avere la certezza della effettiva inclusione del proprio nominativo nella lista provinciale che verrà successivamente presentata».

Una disciplina simile, oltre a introdurre un’intollerabile limitazione dell’esercizio del diritto di elettorato passivo, produrrebbe anche «non secondarie ripercussioni sulla cessazione anticipata della consiliatura comunale per effetto della rinuncia al mandato da parte del sindaco».

La disposizione regionale impugnata, dunque, non avrebbe operato «un equo e ragionevole bilanciamento tra i diversi interessi di primario rilievo costituzionale che il legislatore regionale è chiamato a soppesare»: da un lato, le esigenze specifiche sottese alle cause di ineleggibilità, poste a salvaguardia della probità e, soprattutto, dell’imparzialità di quanti esercitino funzioni pubbliche; d’altro lato, l’interesse degli organi di governo degli enti locali a giungere alla naturale scadenza del mandato, così da assicurare la continuità amministrativa degli uffici, nonché il connesso interesse delle comunità locali a conservare un governo stabile e conforme agli esiti dell’ultima consultazione elettorale per tutta la durata della consiliatura.

2.– Con atto depositato il 4 aprile 2025, la Regione Puglia si è costituita in giudizio limitatamente all’impugnazione degli artt. 117, 132, 217 e 240 della legge reg. Puglia n. 42 del 2024, non svolgendo difese sulle questioni concernenti l’art. 219 della medesima legge regionale.

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 12 del 2025), il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato varie disposizioni della legge reg. Puglia n. 42 del 2024.

Riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il medesimo ricorso, vengono ora esaminate quelle relative all’art. 219.

2.– L’art. 219 della legge reg. Puglia n. 42 del 2024, innovando la disciplina delle cause di ineleggibilità alle cariche di presidente della Giunta regionale e di consigliere regionale, ha sostituito il comma 2 dell’art. 6 della legge reg. Puglia n. 2 del 2005 con il seguente: «[l]e cause d’ineleggibilità previste nel comma 1 non hanno effetto se gli interessati cessano dalla carica per dimissioni non oltre centottanta giorni precedenti il compimento del quinquennio, che decorre dalla data delle elezioni. Nei casi di scioglimento anticipato del Consiglio regionale, se avviene prima dell’ultimo semestre del quinquennio, le dimissioni devono avere luogo entro e non oltre sette giorni dalla data di scioglimento».

La disposizione così sostituita stabiliva che «[l]e cause di ineleggibilità di cui al comma 1 non hanno effetto se gli interessati cessano dalla carica per dimissioni non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature».

Il comma 1 dell’art. 6 della legge reg. Puglia n. 2 del 2005, richiamato dalla disposizione impugnata e non oggetto di modifica, dispone che «[o]ltre ai casi previsti dal primo comma dell’articolo 2 della legge 23 aprile 1981, n. 154, non sono eleggibili a Presidente della Regione e a Consigliere regionale i Presidenti delle Province della Regione e i Sindaci dei Comuni della Regione».

3.– Secondo il ricorrente sarebbe violato, in primo luogo, l’art. 122, primo comma, Cost., per lesione della competenza legislativa concorrente dello Stato nella materia attinente ai «casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali», in quanto la disposizione impugnata contrasterebbe con il principio fondamentale di tale materia espresso dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge n. 165 del 2004, che prevede l’inefficacia delle cause di ineleggibilità «qualora gli interessati cessino dalle attività o dalle funzioni che determinano l’ineleggibilità, non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature o altro termine anteriore altrimenti stabilito».

In secondo luogo, sarebbero violati gli artt. 3 e 51 Cost., in quanto l’imposizione dell’onere di rinunciare all’ufficio ben centottanta giorni prima della scadenza fisiologica del Consiglio regionale, senza neppure avere la certezza della effettiva inclusione del proprio nominativo nella lista che verrà successivamente presentata, costituirebbe una limitazione irragionevole e sproporzionata del diritto fondamentale di elettorato passivo e darebbe luogo «ad una situazione di disparità, non presente nel testo normativo previgente» e «non […] sorretta da esigenze specifiche riferibili al contesto regionale pugliese».

Una simile disciplina produrrebbe la «cessazione anticipata della consiliatura comunale per effetto della rinuncia al mandato da parte del sindaco», realizzando un bilanciamento iniquo e irragionevole tra i contrapposti interessi in gioco: da un lato, le esigenze specifiche sottese alle cause di ineleggibilità; d’altro lato, l’interesse degli organi di governo degli enti locali a giungere alla naturale scadenza del mandato, così da assicurare la continuità amministrativa degli uffici, nonché il connesso interesse delle comunità locali a conservare un governo stabile e conforme agli esiti dell’ultima consultazione elettorale.

4.– Per meglio comprendere la portata della modifica legislativa in esame, occorre considerare che, ai sensi degli artt. 2, comma 2, e 8, comma 7, della legge reg. Puglia n. 2 del 2005, la presentazione delle candidature a presidente della Giunta regionale e a consigliere regionale deve avvenire dalle ore otto del trentesimo giorno alle ore dodici del ventinovesimo giorno antecedenti quelli della votazione e che, in virtù dell’art. 5 della stessa legge regionale, «[l]e elezioni del nuovo Consiglio devono essere effettuate nel periodo compreso tra la quarta domenica precedente e i sessanta giorni successivi il compimento del quinquennio o nella domenica compresa nei sei giorni successivi» (comma 2), decorrendo il quinquennio «dalla data delle elezioni» (comma 3).

Il previgente comma 2 dell’art. 6 della legge reg. Puglia n. 2 del 2005, nel riferirsi al giorno fissato per la presentazione delle candidature, imponeva dunque agli interessati, onde rimuovere le cause di ineleggibilità, di cessare dalle cariche per dimissioni non oltre il trentesimo giorno antecedente quello delle elezioni regionali; giorno, quest’ultimo, che deve essere fissato tra la quarta domenica precedente e i sessanta giorni successivi la scadenza fisiologica del Consiglio regionale, con possibilità di differimento alla domenica compresa nei sei giorni ulteriori.

Attualmente, invece, in forza della disposizione impugnata, le dimissioni dalla carica di sindaco devono intervenire non oltre centottanta giorni precedenti la scadenza fisiologica del Consiglio regionale.

Rispetto alla disciplina anteriore, si è realizzato, pertanto, un notevole arretramento del termine fissato per la rimozione delle cause di ineleggibilità.

A questo proposito, va considerato che le ultime elezioni del Consiglio regionale e del presidente della Giunta regionale si sono svolte in Puglia nei giorni 20 e 21 settembre 2020, in applicazione dell’art. 1, comma 1, lettera d), del decreto-legge 20 aprile 2020, n. 26 (Disposizioni urgenti in materia di consultazioni elettorali per l’anno 2020), convertito, con modificazioni, nella legge 19 giugno 2020, n. 59. Il prossimo compimento del quinquennio, da cui la disposizione impugnata fa decorrere a ritroso il termine di centottanta giorni, si verificherà dunque il 21 settembre 2025. Ne consegue che i presidenti delle province e i sindaci dei comuni della Regione avrebbero dovuto dimettersi non più tardi del 25 marzo 2025, termine ormai da tempo scaduto, senza che, a tutt’oggi, sia noto il giorno delle prossime elezioni e, con esso, il giorno fissato per la presentazione delle candidature, entro il quale i medesimi interessati dovrebbero dimettersi ove fosse vigente la disciplina anteriore.

Inoltre, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, commi 60 e 65, della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), il presidente della provincia è eleggibile esclusivamente tra i sindaci della provincia e decade dalla carica in caso di cessazione da quella di sindaco. Ne deriva che le dimissioni del sindaco di un comune pugliese che sia anche presidente di provincia determinano automaticamente la decadenza – e dunque l’immediata cessazione – da tale seconda carica. In ogni caso, le dimissioni del sindaco e del presidente della provincia determinano lo scioglimento del relativo consiglio, con contestuale nomina di un commissario, ex art. 53, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).

5.– Prima di esaminare il merito delle questioni, va sinteticamente ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento nel quale si colloca la disposizione impugnata con il ricorso statale.

La legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni) ha modificato, all’art. 2, l’art. 122 Cost., prevedendo, tra l’altro, che «i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi» (primo comma).

A seguito della riforma, pertanto, «l’art. 122 Cost. affida la disciplina dei casi di ineleggibilità e incompatibilità dei consiglieri regionali alla competenza legislativa concorrente delle regioni ordinarie che la esercitano nel rispetto dei principi fondamentali della materia dettati dalla legislazione statale» (tra le tante, sentenza n. 134 del 2018).

In attuazione della novella costituzionale, lo Stato ha adottato la legge n. 165 del 2004, «con cui si è posta in essere la disciplina statale di cornice, relativa, tra l’altro, alle cause di ineleggibilità ed incompatibilità», lasciando «ampio spazio, salvo talune ipotesi più analitiche, ad una articolazione, da parte del legislatore regionale, delle concrete fattispecie rilevanti: esse, man mano che le Regioni ordinarie legifereranno, sono destinate a trovare applicazione in luogo di quanto previsto dalla legge n. 154 del 1981, che continua nel frattempo a spiegare efficacia, in virtù del principio di continuità dell’ordinamento giuridico (ordinanze n. 223 del 2003 e n. 383 del 2002)» (sentenza n. 143 del 2010, richiamata dalla sentenza n. 134 del 2018).

L’art. 2, comma 1, della legge n. 165 del 2004 ha dettato i principi fondamentali ai quali le regioni devono attenersi nel disciplinare con legge i casi di ineleggibilità, specificamente individuati, di cui all’art. 122, primo comma, Cost., disponendo, alla lettera b), la «inefficacia delle cause di ineleggibilità qualora gli interessati cessino dalle attività o dalle funzioni che determinano l’ineleggibilità, non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature o altro termine anteriore altrimenti stabilito, ferma restando la tutela del diritto al mantenimento del posto di lavoro, pubblico o privato, del candidato». È fatta salva, dunque, la facoltà discrezionale delle regioni di stabilire un termine anteriore.

Una scelta siffatta – coerente con le ragioni sottese alla previsione delle cause di ineleggibilità volte a scongiurare condizionamenti della libertà di voto o violazioni della parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati – si è conformata all’orientamento di questa Corte, alla cui stregua «il legislatore, nella sua discrezionalità, può variamente determinare, purché secondo criteri razionali, la data entro la quale deve verificarsi la cessazione della causa di ineleggibilità […]; ma in nessun caso tale data può essere successiva a quella prescritta per l’accettazione della candidatura, che rappresenta il primo atto di esercizio del diritto elettorale passivo» (sentenza n. 46 del 1969, richiamata dalle sentenze n. 56 del 2017 e n. 309 del 1991).

Quanto poi al diritto di elettorato passivo ex art. 51 Cost., questa Corte ha costantemente affermato che esso «va ricondotto “alla sfera dei diritti inviolabili sanciti dall’art. 2 della Costituzione” […] quale “aspetto essenziale della partecipazione dei cittadini alla vita democratica” […] e “svolge il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino” […]» (tra le tante, sentenza n. 107 del 2024). Pertanto, «la eleggibilità costituisce la regola, mentre la ineleggibilità rappresenta una eccezione; sicché le norme che disciplinano quest’ultima sono di stretta interpretazione» (sentenza n. 120 del 2013; nello stesso senso, tra le tante, sentenze n. 25 del 2008, n. 306 e n. 220 del 2003), analogamente a quanto avviene per le cause di incompatibilità, introducendo «le une e le altre limitazioni al diritto di elettorato passivo» (sentenza n. 283 del 2010).

Tali limitazioni, inoltre, sono ammissibili solo in vista di esigenze costituzionalmente rilevanti e devono rispettare i principi di ragionevolezza e proporzionalità (tra le tante, sentenza n. 27 del 2009), mantenendosi entro i confini di quanto sia ragionevolmente indispensabile per garantire la soddisfazione delle esigenze di pubblico interesse cui le cause di ineleggibilità sono preordinate (sentenza n. 46 del 1969).

È pur vero, infatti, «che l’art. 51 Cost., riferendosi ai requisiti per l’accesso alle cariche elettive, consente che siano previsti i casi di ineleggibilità, ma proprio per tale ragione la norma costituzionale sottintende il bilanciamento di interessi, cui le legislazioni statale e regionale, per quanto di rispettiva competenza, sono direttamente chiamate dalla Costituzione; bilanciamento che deve operare tra il diritto individuale di elettorato passivo e la tutela delle cariche pubbliche, cui possono accedere solo coloro che sono in possesso delle condizioni che tali cariche, per loro natura, appunto richiedono» (sentenza n. 25 del 2008; in senso analogo, di recente, sentenza n. 64 del 2025, secondo la quale le limitazioni dell’elettorato passivo sono «destinate a essere tracciate secondo un delicato punto di equilibrio con il diritto di elettorato attivo e gli interessi riconducibili alla genuinità della competizione elettorale e alla generale democraticità delle istituzioni»).

Gli stessi principi operano, altresì, con riguardo alla disciplina dell’inefficacia delle cause di ineleggibilità, che deve egualmente conformarsi a ragionevolezza e proporzionalità, potendo altrimenti risolversi in una ingiustificata limitazione del diritto di elettorato passivo, a danno di particolari categorie di cittadini.

6.– Nel merito, è opportuno esaminare innanzi tutto la questione con cui è prospettata la violazione degli artt. 3 e 51 Cost., in quanto la disposizione regionale impugnata determinerebbe, ad avviso del ricorrente, una limitazione irragionevole e sproporzionata del diritto di elettorato passivo.

La questione è fondata.

Il ricorrente deduce, in primo luogo, che la scelta «tra la carica di sindaco e la candidatura alle elezioni regionali», da compiersi «ben 180 giorni prima della scadenza fisiologica» del Consiglio regionale, imporrebbe «al sindaco che abbia interesse a candidarsi alle elezioni di rinunciare al proprio ufficio, senza neppure avere la certezza della effettiva inclusione del proprio nominativo nella lista provinciale che verrà successivamente presentata».

Questa Corte ha tuttavia già escluso la rilevanza del rischio qui paventato, osservando che «esso “è per così dire, in re ipsa”, giacché “il candidato deve comunque rimuovere la causa dell’ineleggibilità prima della presentazione della lista dei candidati, che – come è noto –, non può essere effettuata dal candidato stesso, ma soltanto da chi è a ciò abilitato dalle vigenti leggi sul procedimento elettorale” (sentenza n. 309 del 1991)» (sentenza n. 56 del 2017). È vero che l’arretramento del termine a centottanta giorni prima della scadenza del consiglio regionale aumenta la possibilità che la rinuncia alla carica avvenga “al buio”, ma ciò non è di per sé lesivo del diritto di elettorato passivo degli interessati. Tale rischio è infatti immanente al sistema, che non consente all’interessato di avere, prima della cessazione dalla carica, «la certezza della effettiva inclusione del proprio nominativo nella lista provinciale che verrà successivamente presentata», come auspicherebbe invece il ricorrente.

In secondo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che una disciplina come quella impugnata produrrebbe anche «non secondarie ripercussioni sulla cessazione anticipata della consiliatura comunale per effetto della rinuncia al mandato da parte del sindaco», con «ricadute eccessivamente penalizzanti sul completamento del mandato degli organi di governo comunale». Il legislatore regionale, dunque, non avrebbe operato «un equo e ragionevole bilanciamento» tra i diversi interessi in gioco, tutti di rilievo costituzionale.

Tali argomenti sono condivisibili, nei sensi di seguito precisati.

Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, «in presenza di una questione concernente il bilanciamento tra due diritti, il giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative si avvale del test di proporzionalità, che richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi (ex plurimis, sentenze n. 260 del 2021, n. 20 del 2019 e n. 137 del 2018)» (sentenza n. 88 del 2023, richiamata dalla sentenza n. 184 del 2023).

Nella specie si contrappongono, da un lato, l’interesse a che la rimozione della causa di ineleggibilità sia disciplinata in modo da assicurare, in tempi idonei allo scopo, l’effettiva cessazione dalla carica che può turbare o condizionare la competizione elettorale; d’altro lato, l’interesse delle comunità locali a che sia assicurata la continuità e stabilità amministrativa, considerando che, come si è visto, le dimissioni dei sindaci determinano lo scioglimento dei relativi consigli e la nomina di un commissario.

Ciò premesso, la misura non supera il test di proporzionalità.

La sproporzione deriva dalla notevole anticipazione, rispetto al giorno fissato per la presentazione delle candidature, del «termine anteriore altrimenti stabilito» dal legislatore regionale per rimuovere le cause di ineleggibilità, per utilizzare le stesse parole dell’art. 2, comma 1, lettera b), della legge n. 165 del 2004, in una con la generale previsione del suo ambito applicativo.

Quanto al primo profilo, è vero che previsioni analoghe, a tenore delle quali le cause di ineleggibilità non hanno effetto se le funzioni esercitate cessano almeno centottanta giorni prima del compimento del quinquennio dalle ultime elezioni, sono rinvenibili nell’ordinamento. È il caso della legislazione statale sull’ineleggibilità a deputato e a senatore dei presidenti delle giunte provinciali e dei sindaci dei comuni con popolazione superiore ai ventimila abitanti (art. 7, commi primo, lettere b e c, e terzo, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, recante «Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati», richiamato dall’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, recante «Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica»). Si tratta, tuttavia, di ipotesi non assimilabile a quella qui in esame. Le cause di ineleggibilità – e le rispettive limitazioni – relative alle elezioni parlamentari sono di certo altra cosa rispetto a quelle concernenti le elezioni regionali.

È da sottolineare che altre normative regionali prevedono un termine per dimettersi dalla carica molto più contenuto. È il caso, a mero titolo esemplificativo, del termine di sessanta giorni prima della scadenza fisiologica del consiglio regionale, previsto dall’art. 1, comma 213-bis, della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16, recante «Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo (collegato alla legge di stabilità regionale 2014)».

La sproporzione della disposizione impugnata deriva, anche e soprattutto, dalla sua applicabilità ai sindaci di tutti i comuni pugliesi, senza alcuna distinzione.

Altre leggi regionali stabiliscono l’ineleggibilità solo per i sindaci dei comuni con popolazione superiore a soglie minime (si veda, ad esempio, l’art. 8, commi 1, lettera b, e 2, della legge della Regione siciliana 20 marzo 1951, n. 29, recante «Elezione dei Deputati all’Assemblea regionale siciliana»); ovvero prevedono per i sindaci dei comuni di modeste dimensioni solo l’incompatibilità, eliminabile con l’opzione per l’una o l’altra carica successivamente alle elezioni (si vedano, a mero titolo esemplificativo, gli artt. 2, commi 1, lettera n, e 3, comma 3, lettera h, della legge della Regione Abruzzo 30 dicembre 2004, n. 51, recante «Disposizioni in materia di ineleggibilità, incompatibilità e decadenza dalla carica di consigliere regionale»).

Sembra ragionevole presumere, invero, che il rischio di turbamento o di condizionamento delle elezioni regionali aumenti con le dimensioni demografiche degli enti locali “governati” dagli aspiranti candidati e con i relativi interessi economici e sociali facenti capo agli stessi enti (in senso analogo, sentenza n. 196 del 2024, con riguardo al diversificato bilanciamento di interessi operato dal legislatore statale, a seconda della dimensione demografica dei comuni, nel disciplinare il divieto di mandati consecutivi per i sindaci, ex art. 51, comma 2, t.u. enti locali).

Il legislatore pugliese, stabilendo che sono ineleggibili i sindaci di tutti i comuni della Regione, ex art. 6, comma 1, della legge reg. Puglia n. 2 del 2005, ha operato una scelta discrezionale severamente limitativa del diritto di elettorato passivo degli interessati.

A questa scelta si affiancava, ai sensi del precedente comma 2 dello stesso art. 6, la previsione che, al fine di rimuovere le cause di ineleggibilità, le dimissioni intervenissero non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature, ossia nel rispetto del termine meno anticipato possibile, immediatamente anteriore all’inizio della competizione elettorale. L’obiettivo perseguito – assicurare l’effettiva rimozione della causa di ineleggibilità, a tutela della par condicio dei candidati e della genuinità complessiva del voto – era realizzato con la misura meno restrittiva del contrapposto interesse alla continuità e stabilità dell’azione di governo locale.

La misura introdotta dalla disposizione impugnata, al contrario, si colloca tra quelle più restrittive del medesimo interesse, senza che tale maggior sacrificio sia temperato, come in analoghe previsioni rinvenibili nell’ordinamento, o dalla limitazione dell’ineleggibilità ai comuni con popolazione superiore a determinate soglie o, comunque, dalla fissazione di termini per le dimissioni sensibilmente ridotti rispetto a quello di centottanta giorni prima della scadenza del consiglio regionale.

Il bilanciamento operato dal legislatore regionale, pertanto, è trasmodato in una disciplina irragionevole e sproporzionata, con violazione degli artt. 3 e 51 Cost.

7.– In accoglimento della questione, al fine di evitare incertezze applicative in materia elettorale, va adottata una pronuncia che, recuperando una normativa già presente nell’ordinamento, sostituisca il termine di centottanta giorni prima della scadenza fisiologica del consiglio regionale con quello del giorno fissato per la presentazione delle candidature, espressamente previsto, quale limite temporale invalicabile per la cessazione delle funzioni, dall’art. 2, comma 1, lettera b), della legge n. 165 del 2004. In tal modo, il termine per le dimissioni viene a essere scisso dalla scadenza naturale del Consiglio regionale ed è riferito a un momento, quello della presentazione delle candidature, che corrisponde a trenta giorni prima delle elezioni e prescinde dunque dalla durata, fisiologica o meno, del Consiglio regionale. Di conseguenza, più non sussiste la ragione di distinguere, ai fini della determinazione del termine, la fattispecie dello scioglimento anticipato dello stesso consiglio, disciplinata dal secondo periodo del novellato comma 2 dell’art. 6 della legge reg. Puglia n. 2 del 2005, a tenore del quale «[n]ei casi di scioglimento anticipato del Consiglio regionale, se avviene prima dell’ultimo semestre del quinquennio, le dimissioni devono avere luogo entro e non oltre sette giorni dalla data di scioglimento». Va dunque simmetricamente sostituito anche quest’ultimo termine con quello fissato per la presentazione delle candidature.

Rimane fermo il potere discrezionale del legislatore regionale di stabilire altro termine anteriore, purché nel rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.

Deve dunque dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 219 della legge reg. Puglia n. 42 del 2024, che ha sostituito l’art. 6, comma 2, della legge reg. Puglia n. 2 del 2005, nella parte in cui prevede che le cause d’ineleggibilità previste nel comma 1 non hanno effetto se gli interessati cessano dalla carica per dimissioni «non oltre centottanta giorni precedenti il compimento del quinquennio, che decorre dalla data delle elezioni», anziché «non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature». E deve altresì dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 219 della legge reg. Puglia n. 42 del 2024, che ha sostituito l’art. 6, comma 2, della legge reg. Puglia n. 2 del 2005, nella parte in cui prevede, per i casi di scioglimento anticipato del Consiglio regionale, se esso avviene prima dell’ultimo semestre del quinquennio, che le dimissioni devono avere luogo «entro e non oltre sette giorni dalla data di scioglimento», anziché «non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature».

Restano assorbiti gli ulteriori motivi di impugnazione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 219 della legge della Regione Puglia 31 dicembre 2024, n. 42, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2025 e bilancio pluriennale 2025-2027 della Regione Puglia (legge di stabilità regionale 2025)», che ha sostituito l’art. 6, comma 2, della legge della Regione Puglia 9 febbraio 2005, n. 2 (Norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale), nella parte in cui prevede che le cause d’ineleggibilità previste nel comma 1 non hanno effetto se gli interessati cessano dalla carica per dimissioni «non oltre centottanta giorni precedenti il compimento del quinquennio, che decorre dalla data delle elezioni», anziché «non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature»;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 219 della legge reg. Puglia n. 42 del 2024, che ha sostituito l’art. 6, comma 2, della legge reg. Puglia n. 2 del 2005, nella parte in cui prevede, per i casi di scioglimento anticipato del consiglio regionale, se esso avviene prima dell’ultimo semestre del quinquennio, che le dimissioni devono avere luogo «entro e non oltre sette giorni dalla data di scioglimento», anziché «non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Marco D'ALBERTI, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2025