Sentenza n. 309 del 1991

 

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SENTENZA N. 309

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo e quinto comma, della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio 1991 dal Tribunale di Foggia nel procedimento civile vertente tra Pietrocola Luigi e De Leo Salvatore, iscritta al n. 142 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 21 maggio 1991 il Giudice relatore Mauro Ferri;

Uditi l'avv. Costanzo De Michele per Pietrocola Luigi e l'avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Tribunale di Foggia, con ordinanza emessa il 22 gennaio 1991, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 2, secondo e quinto comma, della legge 23 aprile 1981 n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale, e in materia di incompatibilità degli addetti al S.S.N.), nella parte in cui prevede che le dimissioni di chi sia in rapporto di servizio con la pubblica amministrazione abbiano effetto, se non prima accettate dall'Amministrazione, dal quinto giorno successivo alla presentazione (sempreché accompagnate dall'effettiva cessazione dalle funzioni), anziché immediatamente.

2. - In particolare il giudice a quo ritiene che il secondo ed il quinto comma del citato art. 2 determinino, senza ragionevole fondamento, una discriminazione tra i soggetti che versano in una delle situazioni di ineleggibilità previste dai nn. 4, 9 e 10 e quelli per i quali, invece, sussistono cause di ineleggibilità ipotizzate dai restanti numeri. Ciò in quanto nella prima ipotesi le dimissioni hanno effetto immediato, al momento della loro presentazione, restando la relativa domanda sottratta alle operatività del disposto del quinto comma, sicché esse possono essere presentate fruttuosamente fino al termine ultimo fissato per la presentazione delle candidature. Altrettanto non è possibile nei casi tipizzati dagli altri numeri poiché la rimozione della causa di ineleggibilità deve essere anticipata almeno al sesto giorno che precede detto termine.

Quanto al secondo profilo, un'oggettiva compromissione del diritto di elettorato passivo sarebbe ipotizzabile per il fatto che la rimozione della causa di ineleggibilità deve necessariamente avvenire con congruo anticipo rispetto alla presentazione delle liste dei candidati: il che esporrebbe l'interessato all'evenienza della rinuncia alla propria carica ancor prima di acquisire la certezza dell'inserimento nella lista da lui prescelta; laddove l'art. 51 della Costituzione assicura l'accesso di tutti i cittadini alle cariche elettive in condizioni di effettiva eguaglianza, senza possibili restrizioni per determinate categorie di soggetti.

3. - È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità, o in subordine per l'infondatezza, della questione.

La difesa del governo osserva in primo luogo che, ove pure la questione venisse dichiarata fondata, rimarrebbe come motivo preclusivo dell'eleggibilità il fatto della mancata cessazione dalle funzioni, continuate, a quanto emergerebbe dall'ordinanza di rimessione, anche dopo la proclamazione dell'elezione da parte dell'ufficio elettorale centrale.

Ad avviso dell'Avvocatura, cioè, la questione sarebbe risultata rilevante solo in quanto, contestualmente alla presentazione delle dimissioni, l'interessato avesse cessato l'esercizio delle funzioni inerenti alla carica costituente motivo ostativo all'eleggibilità.

Nel merito l'Avvocatura rileva che l'accettazione delle dimissioni è richiesta non dalle norme censurate, che anzi consentono di prescinderne ove trascorra il brevissimo termine da esse stabilito, bensì, secondo un principio di generale applicazione nel campo giuspubblicistico, dalle disposizioni concernenti lo specifico rapporto la cui prosecuzione non è dal legislatore ritenuta compatibile col munus elettorale.

Ciò posto, e ferma la discrezionalità del legislatore nel disciplinare in modo differenziato situazioni diverse nel rispetto del citato art. 51 della Costituzione, non si potrebbe, per altro verso, neanche escludere che il giudice remittente muova da un'inesatta lettura delle norme censurate.

Ciò in quanto il secondo comma dell'art. 2 della legge n. 154 del 1981 dispone che "le cause di ineleggibilità previste nei numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 10 e 11 non hanno effetto se l'interessato cessa dalle funzioni per dimissioni, trasferimento, revoca dall'incarico o del comando, collocamento in aspettativa non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature".

A sua volta il quinto comma dello stesso articolo parla di "domanda di dimissioni o aspettativa accompagnata dall'effettiva cessazione delle funzioni".

Con il che potrebbe ritenersi che a rimuovere l'impedimento all'eleggibilità sia sufficiente - entro il termine ultimo fissato per la presentazione delle candidature - l'effettiva cessazione delle funzioni titolata dalla domanda a provvedere in ordine allo status connesso alla carica cui le funzioni ineriscono.

Infine, l'Avvocatura osserva che è del tutto omesso nell'ordinanza di rimessione il richiamo al primo comma, n. 11, della norma impugnata, il cui disposto (stabilendo l'ineleggibilità a consigliere comunale degli amministratori di aziende dipendenti dal Comune) costituisce la premessa normativa e logica dell'impugnazione.

4. - Si è costituito nel giudizio Pietrocola Luigi, ricorrente nel giudizio a quo, svolgendo le seguenti considerazioni:

a) inammissibilità della questione per genericità e carenza assoluta di motivazione dell'ordinanza di rimessione;

b) ancora inammissibilità per irrilevanza perché, ai sensi dell'art. 18 del d.P.R. n. 102 del 1986 gli amministratori di aziende municipalizzate dovrebbero comunque rimanere in carica fino all'insediamento dei successori.

Inoltre, a suo avviso, il Tribunale avrebbe omesso di verificare se il De Leo abbia effettivamente cessato dalle funzioni di amministratore, come prescrivono gli artt. 2 e 6 della legge n. 154 del 1981.

Nel merito la questione dovrebbe comunque ritenersi infondata poiché le norme impugnate rientrano nella discrezionalità del legislatore che avrebbe rispettato i principi posti da questa Corte con la sentenza n. 46 del 1969.

                                                                              

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale di Foggia con ordinanza del 22 gennaio 1991 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo e quinto comma, della legge 23 aprile 1981, n. 154, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione.

Il primo comma del citato art. 2 elenca, raggruppandole sotto dodici numeri, una serie di cause di ineleggibilità a consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale, concernenti soggetti che ricoprono cariche elettive, uffici, impieghi o funzioni diverse amministrative e dirigenziali. Come si evince dall'ordinanza di rimessione, nel giudizio a quo è stata impugnata l'elezione a consigliere comunale di Foggia di un componente della commissione amministratrice di un'azienda municipalizzata, ritenuta dal tribunale remittente azienda dipendente dal comune, come tale rientrante nelle cause di ineleggibilità previste sotto il n. 11 del richiamato primo comma dell'art. 2.

Il secondo comma dell'art. 2 prevede che le cause di ineleggibilità non hanno effetto se l'interessato cessa dalle funzioni per dimissioni non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature; a sua volta il quinto comma dispone che, entro cinque giorni dalla richiesta, la pubblica amministrazione debba adottare i provvedimenti relativi e che, in mancanza, le dimissioni accompagnate dalla effettiva cessazione dalle funzioni abbiano effetto dal quinto giorno successivo alla loro presentazione.

Ad avviso del giudice a quo, le disposizioni suddette sarebbero in contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto creerebbero una ingiustificata disparità di trattamento fra coloro i quali versano in una ipotesi di ineleggibilità che viene meno solo in seguito a provvedimento della pubblica amministrazione, o comunque dopo il decorso di cinque giorni dalle dimissioni o dalla richiesta dell'interessato, e coloro i quali trovandosi in una condizione di ineleggibilità che non ha rapporti con la pubblica amministrazione (nn. 4, 9 e 10) possono farla cessare con effetto immediato all'atto della presentazione delle dimissioni. Vi sarebbe altresì una violazione dell'art. 51 della Costituzione attraverso "un'obbiettiva compromissione del diritto di elettorato passivo" derivante dalla necessità che la rimozione della causa di ineleggibilità avvenga "con congruo anticipo rispetto alla presentazione delle liste dei candidati".

2. - La questione sottoposta all'esame della Corte è circoscritta alla disposizione risultante dal combinato disposto del secondo e del quinto comma dell'art. 2, in forza del quale - come si è visto - le dimissioni dalla carica o ufficio che è causa di ineleggibilità hanno effetto dopo che la pubblica amministrazione abbia adottato i provvedimenti di sua competenza, (ed essa è tenuta a farlo entro cinque giorni dalla richiesta), ovvero, in difetto di essi, dal quinto giorno successivo alla presentazione delle dimissioni stesse. In buona sostanza si prospetta che sia costituzionalmente illegittima la previsione di detto termine di cinque giorni che viene, per dir così, ad anticipare quello del giorno fissato per la presentazione delle candidature.

Tanto risulta chiaramente dall'ordinanza di rimessione: ogni altra questione relativa alla causa di ineleggibilità la cui preesistenza non è controversa nel giudizio a quo è quindi estranea al tema sui cui questa Corte è chiamata a pronunciarsi.

3. - La difesa della parte ricorrente nel giudizio di merito ha eccepito l'inammissibilità della questione per tre motivi. Identica eccezione ha formulato l'Avvocatura generale dello Stato sotto il profilo dell'irrilevanza per motivi che coincidono col terzo di quelli prospettati dalla parte privata.

L'eccezione non può essere accolta.

L'ordinanza di rimessione è formulata in modo preciso ed è sufficientemente motivata: non ha quindi alcun fondamento il primo motivo con cui si prospetta l'inammissibilità per genericità e carenza assoluta di motivazione.

Parimenti inconsistente è il secondo motivo avanzato dalla difesa di parte, secondo cui la questione sarebbe irrilevante perché alle dimissioni degli amministratori di aziende municipalizzate si applicherebbero le disposizioni di cui all'art. 18 del d.P.R. n. 102 del 1986 che prevede la permanenza in carica dei predetti fino all'insediamento dei successori.

Il giudice a quo, al contrario, ha correttamente ritenuto che le norme censurate prevalgono comunque, configurandosi come "legge di carattere eccezionale a tutela del diritto di elettorato passivo costituzionalmente garantito".

Si sostiene, infine, anche dall'Avvocatura dello Stato, che la questione sarebbe in ogni caso irrilevante perché, ove anche venisse dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma impugnata, la pronuncia non spiegherebbe efficacia nel caso di specie a causa del fatto "della mancata cessazione dalle funzioni, continuate" - così rileva l'Avvocatura - "a quanto emerge dall'ordinanza in epigrafe, anche dopo la proclamazione dell'elezione da parte dell'Ufficio elettorale". Siffatta affermazione non trova riscontro nel testo dell'ordinanza stessa. Il giudice a quo si limita a riportare "in fatto" la tesi del ricorrente secondo cui "malgrado la lettera di dimissioni, (l'eletto) non era cessato dalle funzioni entro la data dell'11 aprile 1990 stabilita per la presentazione della candidatura.. .. .. né era cessato entro dieci giorni dal 12 giugno 1990 (data della sua proclamazione a consigliere comunale, da parte dell'ufficio elettorale centrale): giorno in cui la carica dal medesimo rivestita si sarebbe concretata, comunque in una causa di incompatibilità".

Ma tale tesi è contraddetta dalla successiva motivazione sulla rilevanza dove si afferma che l'eventuale pronunzia di illegittimità costituzionale della norma censurata renderebbe valida l'elezione essendo state presentate le dimissioni in tempo utile per rimuovere la causa di ineleggibilità. Tanto basta perché, anche sotto questo profilo, l'eccezione vada respinta.

4.1 - La questione è dunque ammissibile, ma non è fondata.

Non sussiste la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione. È vero che tutti i soggetti che rivestono le cariche o gli uffici, elettivi o non, enunciati nel primo comma dell'art. 2 si trovano in eguale condizione di ineleggibilità; ma la differenziazione che viene a crearsi agli effetti della eliminazione della causa di ineleggibilità fra coloro la cui posizione ha carattere pubblico e coloro che ricoprono invece uffici ecclesiastici, ovvero soggetti a disciplina privatistica, non può essere ritenuta discriminatoria, trattandosi di situazioni non comparabili. Per la cessazione dalle cariche o uffici pubblici è, per regola generale, richiesta la presa d'atto ovvero l'accettazione da parte dell'amministrazione: il quinto comma dell'art. 2 ha dettato una disciplina speciale intesa a garantire in modo rigoroso l'operatività delle dimissioni mediante la determinazione di un termine brevissimo allo scadere del quale, se la pubblica amministrazione non ha adottato l'atto di sua competenza, le dimissioni hanno ugualmente l'effetto di far venir meno la causa di ineleggibilità. Misure analoghe non sono previste per coloro che versano nelle ipotesi di cui ai numeri 4, 9 e 10 (ecclesiastici e ministri di culto, legali rappresentanti e dirigenti di strutture convenzionate e di società per azioni), per i quali vanno quindi applicate le normative vigenti nelle rispettive materie, che peraltro non è detto siano più favorevoli nel senso dell'immediatezza o quanto meno della previsione di termini tassativi. Ma la differenza di regolamentazione discende come naturale conseguenza dalla diversità delle posizioni, e pertanto non dà luogo ad alcuna violazione del precetto contenuto nell'art. 3 della Costituzione.

4.2 - Non sussiste nemmeno violazione dell'art. 51 della Costituzione. Come si è visto, il giudice a quo prospetta "un'obbiettiva compromissione del diritto di elettorato passivo" per il fatto che il candidato debba presentare le dimissioni (dalla carica o dall'ufficio che costituisce causa di ineleggibilità) cinque giorni prima del termine di presentazione della lista per essere sicuro che le dimissioni abbiano effetto in tempo utile, anche in mancanza del provvedimento di accettazione o di presa di atto da parte della pubblica amministrazione. "Ciò potrebbe realmente esporre l'interessato - così recita l'ordinanza di rimessione - all'evenienza della rinuncia alla propria carica ancor prima di acquisire la certezza dell'inserimento nella lista da lui prescelta". Ma tale rischio, è per così dire, in re ipsa: infatti il candidato deve comunque rimuovere la causa dell'ineleggibilità prima della presentazione della lista dei candidati, che - come è noto -, non può essere effettuata dal candidato stesso, ma soltanto da chi è a ciò abilitato dalle vigenti leggi sul procedimento elettorale.

Che il legislatore abbia usato del proprio potere in modo costituzionalmente corretto risulta dal richiamo ai principi enunciati nella sentenza di questa Corte n. 46 del 1969. In detta sentenza, dopo aver enunciato le regole relative alla determinazione delle cause di ineleggibilità, la Corte ha precisato, con riferimento alle ipotesi nelle quali rientra il caso cui il giudizio a quo si riferisce, che "è manifestamente ultroneo richiedere per far cessare l'ineleggibilità che le dimissioni di chi aspiri alla candidatura siano state accettate, senza d'altronde che alcun termine sia prescritto per l'accettazione", in quanto, in tali ipotesi, la eleggibilità finisce "per dipendere da un'estranea volontà, per giunta discrezionale almeno in ordine al quando". Ed in conclusione la predetta sentenza afferma che nella sua discrezionalità il legislatore "può variamente determinare, purché secondo criteri razionali, la data entro la quale deve verificarsi la cessazione della causa di ineleggibilità", che, in nessun caso, "può essere successiva a quella prescritta per l'accettazione della candidatura che rappresenta il primo atto di esercizio del diritto elettorale passivo". Alla luce di tali principi si deve riconoscere che il legislatore, prescrivendo alla pubblica amministrazione il termine di cinque giorni per adottare il provvedimento di accettazione e prevedendo espressamente che in mancanza di tale provvedimento le dimissioni hanno effetto dopo cinque giorni dalla presentazione, non è incorso in alcuna violazione dell'art. 51 della Costituzione.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo e quinto comma, della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), sollevata in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, dal Tribunale di Foggia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

Depositata in cancelleria il 5 luglio 1991.