SENTENZA N. 115
ANNO 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Silvana SCIARRA;
Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, della legge della Regione Liguria 15 luglio 2022, n. 7, recante «Modifiche alla legge regionale 29 dicembre 2021, n. 22 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale 2022 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2022-2024)) e altre disposizioni di adeguamento», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19 settembre 2022, depositato in cancelleria il 22 settembre 2022, iscritto al n. 61 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Visto l’atto di costituzione della Regione Liguria;
udita nell’udienza pubblica del 18 aprile 2023 la Giudice relatrice Daria de Pretis;
uditi l’avvocato dello Stato Giancarlo Caselli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Aurelio Domenico Masuelli per la Regione Liguria;
deliberato nella camera di consiglio del 18 aprile 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 19 settembre 2022 e depositato il 22 settembre 2022 (reg. ric. n. 61 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, della legge della Regione Liguria 15 luglio 2022, n. 7, recante «Modifiche alla legge regionale 29 dicembre 2021, n. 22 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale 2022 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2022-2024)) e altre disposizioni di adeguamento», in riferimento agli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 135, 142, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
La disposizione regionale impugnata, che si compone del solo comma 1, prevede la sostituzione del comma 2 dell’art. 14 della legge della Regione Liguria 22 febbraio 1995, n. 12 (Riordino delle aree protette) con il seguente testo: «I confini dei parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell’Antola, dell’Aveto e del Beigua, definiti a seguito della consultazione e del coinvolgimento degli enti locali interessati e all’esito delle conferenze svolte ai sensi dell’articolo 22 della l. 394/1991 e successive modificazioni e integrazioni, e dell’articolo 14 bis della presente legge, sono riportati nelle cartografie contenute nell’Allegato A. I confini delle altre aree protette sono quelli dei relativi provvedimenti istitutivi o quelli definiti nel Piano del Parco».
L’intervento legislativo – che consiste dunque nella modifica della perimetrazione e dei confini dei parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell’Antola, dell’Aveto e del Beigua – sarebbe costituzionalmente illegittimo per due ordini di motivi.
1.1.– Innanzitutto, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la norma impugnata violi l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 142, 143 e 145 cod. beni culturali.
Rispetto a queste norme interposte, il ricorrente distingue un profilo concernente la violazione dell’art. 142 e uno relativo al contrasto con gli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali.
1.1.1.– Quanto al primo, la difesa statale rileva che, all’esito del procedimento di cui all’art. 22 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), la Regione Liguria ha operato una riperimetrazione dei parchi regionali sopra menzionati, con conseguente modificazione dei confini dei parchi stessi, in termini sia di ampliamento sia di riduzione delle aree di questi ultimi.
Dunque, per effetto di tale modificazione, una parte dei territori dei comuni prima ricompresi nei confini dei parchi in questione è stata sottratta – dopo esservi stata «da oltre trent’anni» sottoposta – sia alla tutela naturalistica quale area protetta, sia alla correlata tutela paesaggistica; quest’ultima imposta ex lege sulle medesime aree ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera f), cod. beni culturali.
In particolare, il ricorrente sottolinea che tali modificazioni sono state apportate all’esito di un procedimento a cui non hanno partecipato gli uffici ministeriali competenti in materia di tutela, ossia quelli del Ministero della cultura.
La difesa statale richiama altresì il contenuto dell’art. 143, comma 1, lettera c), cod. beni culturali, secondo cui «[l]’elaborazione del piano paesaggistico comprende almeno: […] c) ricognizione delle aree di cui al comma 1 dell’articolo 142, loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione di prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione», e aggiunge che l’elaborazione del piano paesaggistico deve avvenire congiuntamente tra Ministero e regioni (art. 135 cod. beni culturali).
Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva al riguardo che, nonostante questa previsione, «[l]’iter di elaborazione e approvazione della legge regionale in questione non ha […] previsto alcun coinvolgimento degli uffici del Ministero della cultura, e pertanto ha costituito una scelta unilaterale della regione su una materia che, tuttavia, rientra nell’ambito dell’attività di co-pianificazione paesaggistica obbligatoria, ai sensi del codice».
La difesa statale riconosce che le regioni possono legittimamente modificare, con propria legge, i confini dei parchi regionali (è richiamata in proposito la sentenza n. 276 del 2020 di questa Corte); tuttavia – precisa il ricorrente – la legge regionale può solo ampliare i confini del parco e conseguentemente il relativo vincolo paesaggistico, essendo legittimata solo ad introdurre norme volte ad incrementare il livello della tutela paesaggistica del relativo territorio. A contrario, le regioni non sarebbero legittimate a ridurre tale livello di tutela in via autonoma senza il necessario coinvolgimento delle competenti amministrazioni statali.
Questa Corte avrebbe infatti riconosciuto alle regioni «un ruolo integrativo e concorrente, meramente aggiuntivo e non sostitutivo, della potestà statale in materia di tutela dei beni culturali» (è citata la sentenza n. 194 del 2013); in senso analogo dovrebbe quindi ragionarsi anche in materia di tutela del paesaggio.
Nel caso di specie la Regione Liguria avrebbe invece ecceduto i limiti della propria competenza, come delineati da questa Corte (è richiamata la sentenza n. 134 del 2020).
Il ricorrente sottolinea a questo proposito come sia stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di disposizioni di leggi regionali sostanzialmente volte alla rimozione dei vincoli paesaggistici previsti ope legis, «mediante “sottrazione” del territorio regionale alla categoria prevista dal legislatore statale». In proposito, è citata la sentenza n. 210 del 2014, con la quale è stata dichiarata costituzionalmente illegittima una norma regionale che escludeva l’intervento statale a tutela del paesaggio nella fase di formazione del piano di accertamento straordinario degli usi civici previsto dalla disposizione impugnata.
Adattando questo stesso principio all’odierno giudizio, la difesa statale ritiene che gli organi statali competenti avrebbero dovuto essere coinvolti già nell’iter regionale che ha portato alla riduzione dei confini dei parchi regionali di cui si discute.
A sostegno della necessità di anticipare il coinvolgimento statale sono richiamate la menzionata sentenza n. 210 del 2014, in materia di usi civici, e la sentenza n. 141 del 2021, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale di una norma regionale che aveva «surrettiziamente aggirato il vincolo posto dalla norma interposta costituita dall’art. 142, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 42 del 2004».
In definitiva, la norma regionale impugnata, riducendo i confini dei parchi regionali in esame, i cui territori sono automaticamente tutelati dal codice dei beni culturali e del paesaggio, avrebbe violato la norma statale che sottopone a tutela paesaggistica ope legis il territorio dei parchi, anche regionali. Infatti, operando autonomamente e senza il coinvolgimento dello Stato, avrebbe sottratto parte del territorio regionale, contraddistinto per i suoi caratteri di pregio naturalistico-ambientale, alla tutela paesaggistica discendente dalle norme statali.
Di qui l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge reg. Liguria n. 7 del 2022, per violazione dell’art. 142, comma 1, lettera f), cod. beni culturali, costituente parametro interposto rispetto all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
1.1.2.– La norma regionale in esame si porrebbe inoltre in contrasto con il principio di copianificazione obbligatoria che il codice riferirebbe anche alle aree tutelate per legge, oltre che agli altri beni paesaggistici (artt. 135, 143 e 145). Sarebbe quindi violata, anche sotto questo profilo e in relazione alle anzidette norme interposte, la competenza statale legislativa in materia di tutela del paesaggio di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Il legislatore regionale sarebbe infatti intervenuto unilateralmente per modificare il bene paesaggistico costituito dai parchi oggetto della disciplina regionale, senza attendere l’esito della procedura di copianificazione paesaggistica in corso con lo Stato. Spetterebbe invero solo al piano paesaggistico, elaborato congiuntamente con lo Stato quanto meno con riferimento ai beni paesaggistici (art. 135, comma 1, cod. beni culturali), la ricognizione di questi ultimi e l’elaborazione delle relative prescrizioni d’uso, nonché l’individuazione della tipologia delle trasformazioni compatibili, di quelle vietate e delle condizioni delle eventuali trasformazioni.
L’Avvocatura generale sottolinea in proposito come il legislatore statale abbia assegnato al piano paesaggistico una posizione di assoluta preminenza nel contesto della pianificazione territoriale. In particolare, gli artt. 143, comma 9, e 145, comma 3, cod. beni culturali sanciscono l’inderogabilità delle previsioni del predetto strumento da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico e la loro cogenza rispetto agli strumenti urbanistici, nonché l’immediata prevalenza dei piani paesaggistici su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica (sono citate le sentenze di questa Corte n. 182 del 2006, n. 180 del 2008, n. 272 del 2009 e n. 86 del 2019).
La legge regionale sarebbe quindi costituzionalmente illegittima anche sotto questo profilo, in quanto si porrebbe in pieno contrasto con il principio della necessaria prevalenza della pianificazione paesaggistica rispetto a ogni altro piano, programma o progetto nazionale o regionale.
1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene infine che l’art. 18 della legge reg. Liguria n. 7 del 2022 si ponga in contrasto con l’art. 9, secondo comma, Cost., in quanto comporterebbe un abbassamento dei livelli di tutela del paesaggio.
In particolare, dopo aver richiamato la sentenza n. 151 del 1985, il ricorrente rileva che l’aver espunto dai citati parchi regionali alcune parti di territorio, prima comprese all’interno del loro perimetro e quindi, in precedenza, soggette al vincolo paesaggistico ope legis, sia lesivo dell’art. 9 Cost.
Anche a questo proposito la difesa statale sottolinea che la riperimetrazione dei confini dei parchi è avvenuta in assenza di qualsivoglia consultazione degli uffici ministeriali competenti; ciò risulterebbe particolarmente rilevante in quanto la Regione Liguria è attualmente priva del piano paesaggistico.
Il legislatore regionale – operando una modifica del perimetro dell’area protetta, e dunque dell’estensione del vincolo paesaggistico, al di fuori degli indirizzi della pianificazione paesaggistica e senza il coinvolgimento del Ministero della cultura – avrebbe agito inoltre in violazione del canone fondamentale della leale collaborazione tra Stato e regioni (è citata la sentenza n. 31 del 2006), il quale, con specifico riferimento all’elaborazione dei piani paesaggistici, dovrebbe concretizzarsi in «un confronto costante, paritario e leale tra le parti, che deve caratterizzare ogni fase del procedimento e non seguire la sua conclusione» (è richiamata la sentenza n. 240 del 2020).
2.– La Regione Liguria si è costituita in giudizio chiedendo che le questioni promosse siano dichiarate non fondate.
2.1.– Preliminarmente, la difesa regionale ricostruisce le vicende che hanno preceduto l’approvazione dell’art. 18 della legge reg. Liguria n. 7 del 2022, osservando che tale intervento legislativo ha fatto seguito alla sentenza di questa Corte n. 134 del 2020, che ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 3, recante «Modifiche alla legge regionale 22 febbraio 1995, n. 12 (Riordino delle aree protette) e alla legge regionale 10 luglio 2009, n. 28 (Disposizioni in materia di tutela e valorizzazione della biodiversità)», nella parte in cui sostituiva il comma 2 dell’art. 14 della legge reg. Liguria n. 12 del 1995. Le ragioni della dichiarazione di illegittimità costituzionale erano individuate nella mancata partecipazione degli enti locali interessati alla gestione dell’area protetta al procedimento di modifica dei parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell’Antola, dell’Aveto e del Beigua, prescritta dall’art. 22, comma 1, lettera c), della legge n. 394 del 1991.
Successivamente alla citata pronuncia, l’art. 5, comma 6, della legge della Regione Liguria 3 maggio 2021, n. 7 (Disposizioni di adeguamento dell’ordinamento regionale) ha modificato l’art. 14-bis della legge reg. Liguria n. 12 del 1995 nella prospettiva di adeguare questa disposizione a quanto deciso con la sentenza n. 134 del 2020.
La Regione precisa dunque come la modifica dei confini dei parchi regionali operata con la norma oggetto dell’odierno giudizio sia avvenuta in conformità con quanto previsto dal testo riformulato dell’art. 14-bis della legge reg. Liguria n. 12 del 1995, e in particolare nel rispetto dei criteri indicati dal citato art. 14-bis, che richiede la redazione di un documento contenente le ragioni della modifica proposta, gli obiettivi che si perseguono, l’analisi territoriale delle aree interessate e la nuova perimetrazione. Sarebbero state quindi effettuate tutte le opportune valutazioni istruttorie di merito, i cui risultati sono sintetizzati nella relazione illustrativa che la difesa regionale allega all’atto di costituzione in giudizio.
La stessa difesa regionale – dopo aver precisato che le modifiche dei confini si sono tradotte, in parte, nell’aggiunta di aree prima non comprese nel perimetro dei parchi e, in parte, nell’espunzione di altre porzioni di territorio che ne facevano invece parte – sottolinea come «la pressoché totalità» delle aree ora escluse dal perimetro dei parchi continui comunque a essere sottoposta sia ai vincoli posti a tutela degli aspetti naturalistici, in quanto ricomprese nei siti Natura 2000, sia alle prescrizioni a tutela del paesaggio contenuto nel vigente piano territoriale di coordinamento paesistico e nel codice dei beni culturali e del paesaggio.
2.2.– Quanto al merito delle censure promosse, la resistente richiama l’art. 2, comma 8, della legge n. 394 del 1991, secondo cui la classificazione e l’istituzione dei parchi e delle riserve naturali di interesse regionale e locale sono effettuate dalle regioni, e l’art. 22, comma 3, della medesima legge, che affida alla competenza delle regioni l’istituzione dei parchi naturali regionali e delle riserve naturali regionali.
La Regione Liguria osserva come tali principi siano solo accennati nel ricorso e siano considerati cedevoli rispetto alle previsioni di cui agli artt. 142, comma 1, lettera f), e 135, comma 1, ultimo periodo, cod. beni culturali. Secondo la prospettazione del ricorrente, le regioni sarebbero titolari di una competenza circoscritta alla sola istituzione dei parchi naturali regionali; sicché, una volta compiuta tale scelta e delimitato il perimetro dell’area protetta, non sarebbe loro consentito di modificarne i confini riducendone la superficie o, comunque, ciò non sarebbe possibile senza il coinvolgimento del competente organo statale.
Al contrario, la difesa regionale ritiene che la competenza regionale in materia debba potersi esplicare pienamente, anche riducendo i confini del parco. Né la tesi del Presidente del Consiglio dei ministri troverebbe sostegno nelle indicate norme interposte, contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio.
Dall’esame congiunto dell’art. 142, comma 1, lettera f), e dell’art. 143, comma 1, cod. beni culturali si dovrebbe dedurre infatti che «la tutela paesaggistica di dette aree e la loro inclusione nel piano paesaggistico si pone quale conseguenza dell’esplicazione, a monte, della competenza regionale di determinazione delle aree da qualificare quale parco naturale regionale».
Tale lettura del quadro normativo sarebbe, da un lato, pienamente conforme al dato letterale, in base al quale al piano paesaggistico è affidata la sola ricognizione delle aree soggette a tutela ex lege, e dall’altro lato idonea ad assicurare il rispetto della competenza della Regione in materia di parchi naturali regionali.
Non sarebbe, invece, condivisibile la ricostruzione prospettata dal ricorrente, secondo cui la competenza regionale summenzionata potrebbe esplicarsi, una volta esercitata, solo mediante ampliamento delle aree protette e non in senso opposto, occorrendo, in tal caso, il previo assenso degli organi ministeriali.
Un limite siffatto non solo non sarebbe previsto nella legge quadro statale (art. 22 della legge n. 394 del 1991), che prescriverebbe esclusivamente la partecipazione delle comunità territoriali interessate, ma non potrebbe neanche essere indirettamente ricavato dall’obbligo di copianificazione paesaggistica previsto nel codice dei beni culturali e del paesaggio, il cui rispetto resterebbe impregiudicato. Pertanto, le censure promosse in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alle norme recate dal codice dei beni culturali e del paesaggio, sarebbero prive di fondamento.
2.3.– Per la stessa ragione sarebbe non fondata la censura concernente la pretesa violazione del principio di copianificazione tra Stato e regioni, riferito al piano paesaggistico.
La Regione Liguria rileva innanzitutto come sia ancora in corso di svolgimento il procedimento di elaborazione del suddetto piano, con la conseguenza che la prescritta copianificazione potrà pienamente esplicarsi in quella sede con la disciplina di tutela paesaggistica delle aree assoggettate al piano de quo.
In proposito, la resistente richiama il contenuto dell’art. 143, comma 1, lettera c), cod. beni culturali, che affida al piano paesaggistico, oltre al compito di effettuare la ricognizione delle aree di cui al comma 1 dell’art. 142, anche quello di provvedere alla «determinazione di prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione».
Pertanto, l’elaborazione congiunta tra Stato e Regione del piano paesaggistico, ancora in corso in Liguria, presupporrebbe la determinazione – operata nell’esercizio della competenza regionale sancita dagli artt. 2 e 22 della legge n. 394 del 1991 – di istituzione e di individuazione dei parchi e dei relativi confini. Inoltre, dalle richiamate norme interposte del codice dei beni culturali e del paesaggio non sarebbe possibile ricavare alcuna limitazione dell’ambito di intervento della Regione, tanto meno se – come nel caso di specie – non si sia in presenza di alcuna modificazione del piano paesaggistico.
In altre parole, le norme esaminate (cioè quelle del codice dei beni culturali e quelle della legge n. 394 del 1991) non sarebbero sovrapponibili.
2.4.– Non si potrebbe sostenere, infine, che la sottrazione di limitate aree dal perimetro dei parchi naturali regionali abbia determinato un abbassamento dei livelli di tutela del paesaggio, come invece prospettato dal ricorrente.
L’istituzione dei parchi naturali regionali, la determinazione dei loro confini e, di conseguenza, la loro modificazione costituirebbero esercizio di competenze affidate dalla legge alla Regione e sarebbero il frutto di specifiche valutazioni di merito concernenti lo stato dei luoghi, assunte tenendo conto degli apporti partecipativi degli enti interessati.
La mera espunzione di alcune aree dai confini dei parchi regionali non potrebbe dunque integrare un abbassamento dei livelli di tutela del paesaggio, tanto meno nel caso di specie, nel quale le aree escluse sarebbero comunque presidiate da una disciplina di tutela ambientale e paesaggistica sostanzialmente equivalente.
2.5.– Non fondata sarebbe anche la doglianza concernente la pretesa violazione del principio di leale collaborazione.
La difesa regionale ribadisce, in proposito, che l’elaborazione del piano paesaggistico è ancora in corso, sicché la definizione dei confini non si porrebbe in conflitto con il principio di leale collaborazione, la cui lamentata violazione presupporrebbe invece un intervento unilaterale su un atto già perfezionato.
L’attività di copianificazione potrà pienamente esplicarsi, secondo la resistente, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 142, comma 1, lettera c), cod. beni culturali, sulla base dei confini dei parchi regionali, quali risultanti dalle modifiche ritenute opportune dalla Regione, sulla base delle ragioni, degli obiettivi e dell’analisi territoriale affidati alla sua valutazione dalla disciplina legislativa di riferimento (è richiamato l’art. 14-bis della legge reg. Liguria n. 12 del 1995).
3.– In prossimità dell’udienza pubblica la Regione Liguria ha depositato una memoria nella quale insiste nelle conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione.
In particolare, la resistente ribadisce che l’esercizio delle proprie competenze in materia di individuazione dei confini dei parchi naturali regionali si svolge su un piano diverso da quello assegnato al piano paesaggistico, costituendo la detta individuazione piuttosto il presupposto sulla base del quale il piano stesso opera la prescritta ricognizione delle aree in questione.
La Regione Liguria sottolinea inoltre come questa Corte, con la sentenza n. 135 del 2022, abbia affermato che il legislatore regionale può rivedere le proprie scelte di tutela paesaggistica, sia quando tale revisione si risolva in una diminuzione di protezione, sia quando si opti per scelte di più elevata tutela.
La difesa regionale conclude rilevando la necessità di distinguere due fasi di intervento, temporalmente distinte: innanzitutto, quella corrispondente all’esercizio della competenza legislativa regionale in ordine alla definizione dei territori soggetti a tutela quali parchi regionali; in secondo luogo, quella costituita dalla redazione congiunta Stato-Regione del piano paesaggistico e quindi dalla ricognizione delle aree da ultimo citate e dalla determinazione delle prescrizioni d’uso dirette ad assicurare la tutela del bene.
Secondo la resistente, inoltre, occorrerebbe distinguere l’ipotesi in cui il piano paesaggistico sia ancora in fase di redazione da quella in cui eventuali modifiche dei confini incidano su un piano già congiuntamente elaborato. In quest’ultimo caso, infatti, la citata sequenza temporale di esercizio delle descritte competenze si sarebbe già esaurita. Di conseguenza, solo in quest’ultima ipotesi, ogni intervento in riduzione, incidendo su un assetto, anche dal punto di vista della delimitazione dei confini, già frutto di condivisione, potrebbe porre la questione della necessità di un previo confronto tra Stato e Regione.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, della legge reg. Liguria n. 7 del 2022, in riferimento agli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 135, 142, 143 e 145 del d.lgs. n. 42 del 2004.
La disposizione regionale è impugnata perché, disponendo una nuova perimetrazione dei parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell’Antola, dell’Aveto e del Beigua, con conseguente esclusione di alcune zone dalle aree protette, avrebbe determinato una riduzione della tutela paesaggistica e – in ragione della mancanza di un piano paesaggistico nella Regione Liguria elaborato congiuntamente con lo Stato – la violazione del principio di copianificazione paesaggistica.
2.– Preliminarmente, occorre ricostruire la genesi della disposizione impugnata inquadrandola nel contesto dell’evoluzione della normativa regionale ligure.
La legge reg. Liguria n. 7 del 2022 reca disposizioni incidenti su varie materie, tra le quali due (l’impugnato art. 18 e l’art. 19, che non è oggetto delle censure statali) volte, rispettivamente, a modificare il comma 2 dell’art. 14 della legge reg. Liguria n. 12 del 1995 e a introdurre l’art. 47-bis nella medesima legge regionale.
In particolare – come si vedrà meglio più avanti –, la disposizione impugnata, sostituendo il comma 2 dell’art. 14 della legge reg. Liguria n. 12 del 1995 e l’Allegato A (richiamato nel medesimo comma 2), ha modificato i confini dei parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell’Antola, dell’Aveto e del Beigua.
2.1.– Il testo originario dell’art. 14 della legge reg. Liguria n. 12 del 1995 è stato integralmente sostituito dall’art. 8 della legge reg. Liguria n. 3 del 2019.
Il testo così sostituito è stato oggetto di un ricorso da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, definito da questa Corte con la sentenza n. 134 del 2020, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, tra l’altro, del citato art. 8, che ha sostituito «l’art. 14, comma 1, della legge della Regione Liguria n. 12 del 1995, nella parte in cui sopprime le aree naturali protette non espressamente menzionate», e dello stesso art. 8, che ha sostituito «l’art. 14, comma 2, della legge della Regione Liguria n. 12 del 1995, nella parte in cui modifica i confini dei parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell’Antola, dell’Aveto e del Beigua».
Questa Corte ha fondato la duplice declaratoria di illegittimità costituzionale sullo stesso argomento, vale a dire sul mancato coinvolgimento degli enti locali attraverso la formazione del documento indicato dall’art. 22 della legge n. 394 del 1991, che «costituisce un vizio della fase procedimentale, che si trasferisce alla legge provvedimento con cui essa è stata conclusa e di cui conosce questa Corte (sentenze n. 2 del 2018; n. 241 del 2008; n. 311 del 1999)».
A seguito di questa pronuncia, il legislatore ligure è intervenuto con l’art. 30, comma 6, della legge della Regione Liguria 29 dicembre 2020, n. 32 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno finanziario 2021), introducendo l’art. 14-bis nel corpo della legge reg. Liguria n. 12 del 1995, il quale, rubricato «Modifiche ai confini dell’area protetta», nel testo originario prevedeva: «1. La determinazione dei confini delle aree protette è disposta mediante modifica alla presente legge, ovvero alle leggi istitutive delle aree protette, attraverso la consultazione e il coinvolgimento degli enti locali interessati. A tal fine, la Regione trasmette agli enti locali il cui territorio ricade nell’area protetta o in quella da questo interessata dalle previsioni di modifica, la proposta di modifica. Gli enti locali si esprimono entro quindici giorni dalla proposta. Ove non vi sia espressione ovvero comunicazione del parere, lo stesso si intende acquisito in senso favorevole».
In seguito, il legislatore ligure ha ritenuto di dover ulteriormente adeguare la propria normativa alla giurisprudenza di questa Corte. Pertanto, con l’art. 5, comma 6, della legge della Regione Liguria 3 maggio 2021, n. 7 (Disposizioni di adeguamento dell’ordinamento regionale), ha sostituito il citato art. 14-bis della legge reg. Liguria n. 12 del 1995, che – dopo questa modifica – stabilisce: «1. La determinazione dei confini delle aree protette è disposta mediante modifica alla presente legge, ovvero alle leggi istitutive delle aree protette, attraverso la consultazione e il coinvolgimento degli enti locali interessati. A tal fine, la Regione convoca, ai sensi dell’articolo 22 della l. 394/1991 e successive modificazioni e integrazioni, una conferenza degli enti locali il cui territorio ricade nell’area protetta o in quella da questo interessata dalle previsioni di modifica per redigere un documento contenente le ragioni della modifica proposta, gli obiettivi che si perseguono, l’analisi territoriale delle aree interessate e la nuova perimetrazione».
Infine, con la norma oggetto dell’odierno giudizio (art. 18 della legge reg. Liguria n. 7 del 2022) è stato sostituito il solo comma 2 dell’art. 14 della legge reg. Liguria n. 12 del 1995 e l’Allegato A alla stessa legge. In particolare, le modifiche sono consistite: a) nella impugnata modifica dei confini dei parchi naturali regionali delle Alpi Liguri, dell’Antola, dell’Aveto e del Beigua; b) nell’inserimento (che non è oggetto di censura) del richiamo alla consultazione e al coinvolgimento degli enti locali interessati e all’esito delle conferenze svolte ai sensi dell’art. 22 della legge n. 394 del 1991 e dell’art. 14-bis della legge reg. Liguria n. 12 del 1995.
L’inserimento della disposizione regionale impugnata è stato il frutto dell’approvazione di un emendamento proposto dalla Giunta regionale, dalla cui relazione illustrativa (depositata dalla difesa regionale nel presente giudizio) si apprende che «[o]biettivo generale della modifica ai confini dei Parchi in argomento è di rendere la perimetrazione maggiormente rispondente alle istanze delle comunità locali e fare in modo che tali confini siano meglio definiti sul territorio, ricalcandone elementi certi, quali ad esempio sentieri e mulattiere, al fine di rendere più agevole la gestione da parte dei singoli Enti Parco». Nella medesima relazione si legge altresì che «una perimetrazione maggiormente rispondente alle istanze delle comunità locali può essere meglio finalizzata alla promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di attività ricreative e di fruizione compatibili». Inoltre, con la modifica dei perimetri dei parchi naturali regionali in oggetto «[s]i è […] inteso definire sempre meglio quel sistema omogeneo individuato dagli assetti naturali dei luoghi, dai valori paesaggistici ed artistici e dalle tradizioni culturali delle popolazioni locali armonizzato con la Rete ecologica regionale così come definita dall’art. 3 della legge regionale n. 28/2009».
Dalla relazione illustrativa dell’emendamento si deduce altresì che le impugnate modifiche delle superfici dei quattro parchi naturali regionali hanno comportato: un aumento della superficie del Parco delle Alpi Liguri di 58,55 ettari; una riduzione della superficie del Parco dell’Antola di 15,47 ettari; una riduzione della superficie del Parco dell’Aveto di 21,76 ettari; un aumento della superficie del Parco del Beigua di 79,28 ettari.
2.2.– Sempre in via preliminare, è necessario rilevare che manca ancora nella Regione Liguria un piano paesaggistico regionale elaborato congiuntamente con gli organi ministeriali, come prescritto dall’art. 135, comma 1, cod. beni culturali.
In proposito, la Regione Liguria, l’allora Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e l’allora Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno sottoscritto nell’agosto 2017 un Protocollo d’intesa per l’elaborazione congiunta del piano paesaggistico esteso a tutto il territorio regionale.
Il 19 ottobre 2017 si è insediato il Comitato tecnico al fine di coordinare la redazione del piano, secondo quanto stabilito dal disciplinare attuativo dell’intesa.
La Giunta regionale, con deliberazione 18 aprile 2019, n. 334 ha approvato il documento preliminare del piano paesaggistico, costituito da rapporto preliminare e schema di piano.
2.3.– Si deve inoltre prendere atto che per ciascuno dei quattro parchi naturali regionali è stato approvato il relativo piano.
3.– Nel merito le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri non sono fondate.
3.1.– Esse sono sostanzialmente riconducibili a due gruppi, attinenti, rispettivamente, alla presunta riduzione della tutela paesaggistica (lamentata dal ricorrente in riferimento sia all’art. 117, secondo comma, lettera s, Cost., sia all’art. 9, secondo comma, Cost.) e alla denunciata violazione del principio di copianificazione paesaggistica (lamentata in riferimento sia alle disposizioni del codice dei beni culturali, sia, più in generale, al principio di leale collaborazione, al quale quello di copianificazione si collega).
A loro volta, questi due gruppi di censure sono fra loro stessi accomunabili nella misura in cui, secondo la condivisibile prospettazione del Presidente del Consiglio dei ministri, la tutela paesaggistica non può che essere assicurata per il tramite della elaborazione congiunta del relativo piano regionale, ancora in fase di redazione nella Regione Liguria.
3.2.– Prima di illustrare le ragioni di non fondatezza delle questioni, occorre altresì ricordare che questa Corte si è ripetutamente occupata, negli ultimi anni, di questioni connesse alla riperimetrazione dei parchi naturali regionali da parte dei legislatori regionali (sentenze n. 235, n. 221, n. 135 e n. 115 del 2022; n. 276 e n. 134 del 2020).
Prescindendo in questa sede dalle decisioni concernenti la tipologia di atto con il quale le regioni possono modificare il perimetro dei parchi naturali regionali (sentenze n. 221 e n. 115 del 2022, e n. 276 del 2020) e il procedimento che in questi casi deve essere seguito (sentenze n. 235, n. 221 e n. 115 del 2022, e n. 134 del 2020), è necessario sottolineare come questa Corte abbia respinto la tesi dell’esistenza di «un presunto principio generale di “irrevocabilità” dei vincoli di tutela paesaggistica, ricondotto […] alla norma di grande riforma economico-sociale contenuta all’art. 140, comma 2, cod. beni culturali» ( sentenza n. 135 del 2022).
In particolare, nella pronuncia è precisato che «[u]n siffatto principio […] non esiste nell’ordinamento, né può essere desunto, come limite alle scelte di dichiarazione ex lege di interesse paesaggistico di determinati beni, dalla disposizione invocata (art. 140, comma 2, cod. beni culturali), la quale, nella logica di un sistema di tutela integrato fra singoli provvedimenti di vincolo e piano paesaggistico, prescrive la necessaria trasfusione nel secondo della disciplina contenuta nei primi», sicché, solo per questa ipotesi, «e in ragione di tale integrazione fra momenti diversi di una medesima vicenda di tutela, per cui il piano che sopraggiunge non può che prendere atto dei previgenti provvedimenti di vincolo, si giustifica l’irrevocabilità della disciplina contenuta in questi ultimi».
Sempre nella sentenza n. 135 del 2022 questa Corte ha, tra l’altro, chiarito – sia pure a fini diversi – che «una tale regola di irrevocabilità potrebbe addirittura produrre, in una sorta di eterogenesi dei fini, l’effetto di scoraggiare scelte regionali di potenziamento della tutela – secondo la logica “incrementale delle tutele” menzionata nel ricorso come espressione del carattere primario del bene ambientale ai sensi dell’art. 9 Cost. – e di indurre il legislatore regionale a non compierle nel timore di non poter più ritornare sui suoi passi, nemmeno ove una rinnovata ponderazione degli interessi lo esigesse».
Questa Corte ha inoltre definito come erroneo il presupposto dell’«esistenza di un divieto, per il legislatore regionale, di rivedere le proprie scelte di tutela paesaggistica, sia quando tale revisione si risolva in una diminuzione di protezione rispetto allo standard minimo fissato dalla Stato, sia quando, essendo rispettato tale standard, la legge regionale ritorni su scelte di più elevata tutela operate in via autonoma dallo stesso legislatore regionale» ( sentenza n. 135 del 2022).
3.3.– Le conclusioni, sopra richiamate, si inseriscono in un quadro normativo statale che distingue nettamente l’attività di classificazione e di istituzione dei parchi e delle riserve naturali di interesse regionale e locale dall’attività di elaborazione dei piani paesaggistici regionali.
In particolare, quanto alla prima, si tratta di un’attività che la legge quadro sulle aree protette affida nello specifico e in via esclusiva alle regioni. Precisamente, l’art. 2, comma 8, della legge n. 394 del 1991 stabilisce che la classificazione e l’istituzione dei parchi e delle riserve naturali di interesse regionale e locale sono effettuate dalle regioni, e l’art. 22, comma 3, della medesima legge dispone che le stesse istituiscono parchi naturali regionali e riserve naturali regionali.
Quanto invece alla attività di pianificazione paesaggistica, l’art. 135, comma 1, cod. beni culturali prevede che i piani paesaggistici regionali siano elaborati «congiuntamente tra Ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143». A sua volta, il citato art. 143, comma 1, lettera c), del codice prevede che «[l]’elaborazione del piano paesaggistico comprende almeno: […] c) ricognizione delle aree di cui al comma 1 dell’articolo 142, loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione di prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione».
Se è vero dunque che, nell’elaborazione del piano paesaggistico, le aree di cui al comma 1 dell’art. 142 (cioè quelle protette ope legis, tra cui i parchi naturali regionali) sono oggetto di «ricognizione», nel senso che costituiscono un dato di fatto da cui la pianificazione paesaggistica non può prescindere, ciò non muta l’assetto delle competenze sopra delineato, che vede riservata alla regione la definizione dei confini delle aree del parco.
Allo stesso modo naturalmente, in maniera del tutto simmetrica, in sede di redazione del piano paesaggistico, spetta congiuntamente a Regione e Ministero, una volta registrati gli elementi oggetto di obbligatoria ricognizione – fra cui anche le aree protette –, fissare autonomamente i confini delle aree soggette a tutela paesaggistica anche estendendo, in ipotesi, quelli delle suddette aree (a parco) in funzione della loro protezione paesaggistica, senza che quindi il principio di copianificazione obbligatoria subisca alcun altro condizionamento che non sia quello, appunto, della inderogabile inclusione delle aree a parco.
3.4.– Alla luce di tali considerazioni, questa Corte ritiene che l’odierno ricorrente abbia operato una forzata commistione tra la decisione – di esclusiva competenza della Regione – di istituire e riperimetrare un parco naturale regionale e la valutazione dell’interesse paesaggistico affidata invece congiuntamente agli organi regionali e statali e da operare in sede di pianificazione paesaggistica del territorio regionale.
Ne consegue la non fondatezza delle questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, le quali tutte muovono dall’assunto per cui la rimozione di alcune aree da quelle in precedenza rientranti nei parchi naturali regionali pregiudicherebbe la futura pianificazione paesaggistica e determinerebbe, di riflesso, la violazione del principio di copianificazione paesaggistica.
Quanto esposto circa la reciproca autonomia fra la denunciata riperimetrazione dei quattro parchi naturali regionali in oggetto e la pianificazione paesaggistica regionale comporta infatti il venir meno del presupposto da cui muove la difesa statale e determina la non fondatezza delle censure. La perimetrazione dell’area del parco operata dalla Regione nell’esercizio della sua competenza in materia condiziona la pianificazione paesaggistica regionale, rimessa all’elaborazione congiunta della stessa Regione e dello Stato, nel senso che il piano non può non includere l’area del parco fra quelle oggetto di pianificazione paesaggistica. Ciò tuttavia non comporta di per sé alcun vincolo, per la Regione stessa, quanto alla possibilità di riesercitare i suoi poteri di individuazione dell’area del parco. Simmetricamente, d’altro canto, la perimetrazione operata dalla Regione costituisce solo un vincolo minimo per il piano paesaggistico, il quale può includere fra le aree paesaggisticamente tutelate quelle che per i loro caratteri sono ritenute meritevoli di tutela. Con il che è superato anche l’argomento adombrato nelle difese del ricorrente, secondo cui la riduzione del perimetro dei parchi liguri disposta con la normativa impugnata pregiudicherebbe la futura pianificazione paesaggistica congiunta statale e regionale. Nulla impedisce infatti che, in sede di elaborazione congiunta del piano paesaggistico regionale, i soggetti copianificatori concordino di inserire fra quelle paesaggisticamente vincolate, al pari di ogni altra area a tal fine meritevole, anche le aree che siano state in precedenza espunte da un parco.
3.5.– Su queste conclusioni non può evidentemente incidere in alcun modo la circostanza che nella Regione Liguria non sia stato ancora approvato un piano paesaggistico condiviso, elaborato secondo quanto prescritto dal codice dei beni culturali (art. 135). Come si è detto, infatti, tale assenza non può comunque vanificare le competenze regionali in materia di classificazione e di istituzione dei parchi naturali regionali.
3.6.– Infine, non pertinente si rivela il riferimento, operato dal ricorrente, a quanto deciso da questa Corte con la sentenza n. 210 del 2014.
Nel giudizio definito con la pronunzia citata, infatti, era in discussione la legittimità costituzionale di una legge della Regione autonoma Sardegna che disponeva un piano di accertamento straordinario degli usi civici, avente la funzione di «confermare o negare la qualificazione delle aree, con effetti definitivi sulla relativa tutela».
In quell’occasione, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della suddetta norma regionale nella parte in cui non prevedeva la tempestiva comunicazione del piano in parola ai competenti organi statali, affinché questi ultimi potessero intervenire già nella fase di formazione dello stesso, evitando quindi che effetti giuridici modificativi del regime degli usi civici si producessero prima e al di fuori del piano paesaggistico regionale.
Anche a voler prescindere dalla assoluta peculiarità del regime degli usi civici, è sufficiente rilevare che, nel giudizio definito con la richiamata sentenza, veniva all’esame una norma che si inseriva in modo del tutto eccentrico (non a caso recante un «piano straordinario») nel procedimento che dall’individuazione delle aree protette porta alla loro ricognizione ai fini della redazione del piano paesaggistico regionale.
Nel presente giudizio, invece, l’intervento del legislatore regionale ligure costituisce un atto di esercizio delle competenze pacificamente spettanti alle regioni ai sensi degli artt. 2 e 22 della legge n. 394 del 1991 e si colloca coerentemente nel descritto ordinario quadro normativo di relazioni fra aree naturali protette e pianificazione paesaggistica.
La radicale diversità delle due fattispecie di riferimento porta ad escluderne l’assimilabilità e di conseguenza la possibilità di riferire al giudizio qui in esame le conclusioni cui la Corte è pervenuta, nel citato caso degli usi civici, attraverso un percorso argomentativo che della fattispecie metteva segnatamente in evidenza la specialità riferita al suo peculiare oggetto.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, della legge della Regione Liguria 15 luglio 2022, n. 7, recante «Modifiche alla legge regionale 29 dicembre 2021, n. 22 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale 2022 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2022-2024)) e altre disposizioni di adeguamento», promosse, in riferimento agli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 135, 142, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2023.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Daria de PRETIS, Redattrice
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 giugno 2023.