SENTENZA N. 113
ANNO 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Silvana SCIARRA
Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dei commi 1-bis e 7-bis dell’art. 93 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotti dall’art. 29-bis, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, promosso dal Tribunale ordinario di Napoli, decima sezione civile, in composizione monocratica, nel procedimento vertente tra G. C. e M. M. e la Prefettura – Ufficio territoriale del Governo di Napoli, con ordinanza del 14 febbraio 2022, iscritta al n. 72 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2022, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 5 aprile 2023.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2023 il Giudice relatore Stefano Petitti;
deliberato nella camera di consiglio del 6 aprile 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 14 febbraio 2022, iscritta al n. 72 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Napoli, decima sezione civile, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dei commi 1-bis e 7-bis dell’art. 93 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotti dall’art. 29-bis, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione.
1.1.– Il rimettente premette di essere stato adito da G. C. e M. M., opponenti all’ordinanza con cui il Prefetto di Napoli ha ingiunto il pagamento di euro 1.424,00 a titolo di sanzione amministrativa per la violazione dell’art. 93, commi 1-bis e 7-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992, in quanto G. C., in data 14 aprile 2019, circolava alla guida di un motociclo immatricolato all’estero senza essere in possesso di alcun documento relativo al noleggio del veicolo, alla sua concessione in leasing, locazione senza conducente o comodato d’uso rilasciato da impresa con sede in altro Stato membro dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo.
2.– Il Tribunale, rigettati tutti i motivi di ricorso avanzati dagli opponenti, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del predetto art. 93, commi 1-bis e 7-bis.
Non sarebbe d’ostacolo alla rimessione della questione l’avvenuta abrogazione delle disposizioni censurate ad opera dell’art. 2, comma 1, lettera a), della legge 23 dicembre 2021, n. 238 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2019-2020), non avendo la stessa effetto retroattivo. Di conseguenza, le disposizioni censurate continuerebbero a trovare applicazione nel giudizio a quo in ossequio al principio tempus regit actum, da applicare in tema di legittimità dei provvedimenti amministrativi.
Né alcun effetto potrebbe essere dispiegato nel medesimo giudizio dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 16 dicembre 2021, in causa C-274/20, GN e WX contro Prefettura di Massa Carrara, in cui sarebbe stato ravvisato un contrasto tra le previsioni in esame e l’art. 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Tale sentenza secondo il rimettente, sarebbe infatti «riferita ad altra situazione fattuale, ossia a quella in cui il veicolo immatricolato estero è destinato ad essere essenzialmente utilizzato in altro Stato membro, essendo la sua presenza in Italia meramente occasionale».
Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, l’ordinanza riferisce che le disposizioni censurate sono state introdotte in sede di conversione dall’art. 29-bis del d.l. n. 113 del 2018, e inserite nel Capo II del Titolo II del provvedimento, contenente «Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto alla criminalità mafiosa».
Esse, tuttavia, sarebbero «del tutto estranee al fenomeno mafioso o alla materia della sicurezza pubblica», come dimostrato dalla circostanza del loro inserimento nel codice della strada, che non mostrerebbe «alcuna attinenza con le altre materie disciplinate dal decreto legge».
L’effettiva finalità delle disposizioni in esame sarebbe, ad avviso del rimettente, quella di contrastare il fenomeno della cosiddetta esterovestizione dei veicoli, ossia la condotta di chi, residente in Italia, utilizzi veicoli immatricolati all’estero e intestati, spesso fittiziamente, a terzi, al fine di evitare il pagamento dell’imposta di bollo in Italia e degli oneri fiscali connessi all’assicurazione per la responsabilità civile, nonché «di rendere più difficile la riscossione delle sanzioni amministrative per gli illeciti connessi alla circolazione del veicolo e, più in generale, di sfuggire ai controlli del fisco, occultando indici della propria capacità contributiva, evidentemente difforme da quella dichiarata».
A fronte, pertanto, della necessità che venga rispettato il «nesso di interrelazione funzionale» fra decreto-legge e legge di conversione, predicata nella giurisprudenza di questa Corte (è richiamata la sentenza n. 22 del 2012), risulterebbe evidente l’estraneità delle disposizioni inserite in sede di conversione rispetto all’oggetto e alle finalità del decreto-legge, con conseguente violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost.
3.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile e, comunque, non fondata.
In via preliminare, l’interveniente osserva che questa Corte, con l’ordinanza n. 137 del 2022, in una fattispecie analoga alla presente, ha restituito gli atti al giudice rimettente, al fine di rivalutare i termini della controversia alla luce di quanto statuito dalla Corte di giustizia, nella richiamata sentenza 16 dicembre 2021.
In ogni caso, ad avviso dell’Avvocatura la questione non sarebbe fondata, perché la finalità perseguita dalle disposizioni censurate sarebbe quella di «impedire che, mediante l’utilizzo nel territorio nazionale di veicoli immatricolati all’estero, soggetti residenti in Italia o che lavorano nel nostro Paese, possano commettere illeciti o comunque di evitare che l’identificazione degli effettivi conducenti di tali veicoli venga resa particolarmente difficoltosa per le Forze di polizia deputate al controllo».
Tale finalità, pertanto, non risulterebbe affatto estranea a quelle di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica perseguite dal d.l. n. 113 del 2018.
Questa Corte avrebbe già affermato che la sicurezza stradale costituisce un «segmento» della materia «ordine e sicurezza pubblica», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. (è richiamata la sentenza n. 428 del 2004).
Inoltre, l’oggetto del d.l. n. 113 del 2018, nel testo precedente alla conversione in legge, avrebbe investito materie ulteriori rispetto a quelle ricomprese nel titolo del provvedimento, come nel caso dell’art. 15, recante «Disposizioni in materia di giustizia», o dell’art. 23, rubricato «Disposizioni in materia di blocco stradale».
In presenza di un decreto-legge ab origine eterogeneo, pertanto, l’urgente necessità del provvedere andrebbe riferita, nel caso dell’art. 29-bis e delle misure da esso introdotte, alla finalità di approntare un rimedio urgente a quelle medesime situazioni straordinarie poste a fondamento del decreto-legge (anche l’Avvocatura richiama, sul punto, la sentenza n. 22 del 2012 di questa Corte).
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale ordinario di Napoli, decima sezione civile, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dei commi 1-bis e 7-bis dell’art. 93 del d.lgs. n. 285 del 1992, introdotti dall’art. 29-bis, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2) del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost.
1.1.– Il rimettente è chiamato a pronunciarsi sull’opposizione avverso l’ordinanza con cui il Prefetto di Napoli ha ingiunto a G. C., residente da più di sessanta giorni in Italia, trovato alla guida di un ciclomotore immatricolato all’estero, il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria di euro 1.424,00, in applicazione delle disposizioni censurate.
Il comma 1-bis dell’art. 93 cod. strada, inserito dall’art. 29-bis, comma 1, lettera a), numero 1), del d.l. n. 113 del 2018 in sede di conversione, stabilisce che «[s]alvo quanto previsto dal comma 1-ter, è vietato, a chi ha stabilito la residenza in Italia da oltre sessanta giorni, circolare con un veicolo immatricolato all’estero». Il divieto in parola è punito, secondo quanto prescrive il comma 7-bis dell’art. 93 cod. strada, anch’esso inserito dal citato art. 29-bis, comma 1, lettera a), numero 2) e censurato nel presente giudizio, con una sanzione pecuniaria da euro 711 a euro 2.842, unitamente al sequestro del veicolo e alla confisca del medesimo nel caso in cui, entro sei mesi, il proprietario non provveda a immatricolare il veicolo in Italia o a condurlo all’estero tramite il foglio di via. L’unica eccezione a tale obbligo di immatricolazione è prevista nel comma 1-ter del medesimo art. 93 cod. strada, con riguardo al veicolo «concesso in leasing o in locazione senza conducente da parte di un’impresa costituita in un altro Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria o altra sede effettiva, nonché nell’ipotesi di veicolo concesso in comodato a un soggetto residente in Italia e legato da un rapporto di lavoro o di collaborazione con un’impresa costituita in un altro Stato membro dell’Unione europea o aderente allo Spazio economico europeo che non ha stabilito in Italia una sede secondaria od altra sede effettiva»; affinché tali presupposti rendano lecita la circolazione dei veicoli con targa estera – prosegue l’art. 93, comma 1-ter, cod. strada – «a bordo del veicolo deve essere custodito un documento, sottoscritto dall’intestatario e recante data certa, dal quale risultino il titolo e la durata della disponibilità del veicolo. In mancanza di tale documento, la disponibilità del veicolo si considera in capo al conducente».
Il medesimo art. 29-bis del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, ha poi dettato ulteriori disposizioni strettamente collegate, per materia e per finalità, a quelle ora richiamate.
Con il comma 1, lettera a), numero 1), è stato introdotto anche il comma 1-quater nell’art. 93 cod. strada, che disciplina le modalità di rilascio del foglio di via «al fine di condurre il veicolo oltre i transiti di confine», e con il successivo numero 2) è stato introdotto, sempre all’interno dell’art. 93 cod. strada, anche il comma 7-ter, che disciplina le sanzioni per la mancata osservanza delle disposizioni di cui al comma 1-ter del medesimo articolo.
Con il comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), sono stati, rispettivamente, aggiunti ulteriori periodi al comma 1 dell’art. 132 cod. strada ed è stato sostituito il comma 5 dello stesso articolo, in relazione, rispettivamente, al trattamento da riservare al veicolo non immatricolato all’estero comunque circolante in Italia da più di un anno e alle sanzioni per l’inosservanza delle relative prescrizioni.
Per effetto della successiva lettera c) del citato comma 1, infine, è stato modificato l’art. 196 cod. strada, adeguando il regime di responsabilità solidale per le violazioni punibili con sanzione amministrativa pecuniaria al regime introdotto negli artt. 93, commi 1-bis e 1-ter, e 132 cod. strada.
Da ultimo, è necessario dare conto che, con l’art. 16-ter del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, è stato inserito nell’art. 93 cod. strada il comma 1-quinquies, che ha previsto una serie di fattispecie alle quali non si applicano le prescrizioni di cui ai precedenti commi 1-bis, 1-ter e 1-quater.
1.2.– Il rimettente censura il richiamato art. 93, commi 1-bis e 7-bis, cod. strada, lamentando unicamente che la sua introduzione, avvenuta per effetto dell’approvazione – in sede di conversione – dell’art. 29-bis del d.l. n. 113 del 2018, contrasta con il requisito della necessaria omogeneità tra il decreto-legge e la successiva legge di conversione, in violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost.
2.– La questione è ammissibile.
Pur in assenza di specifiche eccezioni formulate dall’Avvocatura generale dello Stato, è necessario rilevare che su una questione analoga a quella oggi in esame questa Corte si è pronunciata con l’ordinanza n. 137 del 2022. Con tale pronuncia è stata decisa la restituzione degli atti al giudice a quo in ragione del sopraggiungere, nelle more del giudizio di legittimità costituzionale e per effetto della sollevazione del rinvio pregiudiziale disposta dal medesimo giudice rimettente, della citata sentenza della Corte di giustizia UE 16 dicembre 2021.
Con la sentenza indicata, la Corte di giustizia ha statuito che «[l]’articolo 63, paragrafo 1, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che vieta a chiunque abbia stabilito la propria residenza in tale Stato membro da più di 60 giorni di circolarvi con un autoveicolo immatricolato in un altro Stato membro, a prescindere dalla persona alla quale il veicolo è intestato, senza tener conto della durata di utilizzo di detto veicolo nel primo Stato membro e senza che l’interessato possa far valere un diritto a un’esenzione, qualora il medesimo veicolo non sia destinato ad essere essenzialmente utilizzato nel primo Stato membro a titolo permanente né sia, di fatto, utilizzato in tal modo».
L’applicazione del diritto dell’Unione europea, nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia, risulta quindi condizionata dalla fattispecie di una sanzione irrogata nei confronti del conducente che dimostri un collegamento non occasionale con lo Stato in cui è immatricolato il veicolo, essendo, in tal caso, il giudice nazionale chiamato a verificare la natura del comodato «e la natura dell’utilizzazione effettiva dei veicoli presi in prestito» nello Stato diverso da quello di immatricolazione (oltre alla citata sentenza, paragrafo 35, si veda anche la successiva ordinanza 19 ottobre 2022, in causa C-777/21, VB contro Comune di Portici).
Consapevole del dictum pronunciato dalla Corte di giustizia, il giudice a quo osserva come tale condizione non ricorra nel giudizio sottoposto al suo esame, considerato che il veicolo di proprietà dell’opponente G. C. risulta stabilmente in Italia, né questi ha dato conto che esso si trovi a circolare solo temporaneamente nel territorio italiano. Per il fatto, pertanto, di trovarsi a giudicare di una fattispecie priva dei caratteri di transnazionalità, cui è condizionata l’operatività del parametro di diritto dell’UE, il giudice rimettente ha dimostrato in modo non implausibile di dover applicare le disposizioni censurate.
Ciò è sufficiente al fine di ritenere ammissibile la questione, tenuto conto che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, essa è chiamata a effettuare unicamente un «controllo esterno» sulle motivazioni contenute nell’ordinanza di rimessione quanto alla rilevanza delle questioni sollevate (ex plurimis, sentenze n. 25 del 2023, n. 264, n. 254, n. 203 del 2022, n. 189 e n. 183 del 2021).
2.1.– Né è di ostacolo alla trattazione nel merito dell’odierna questione la circostanza che i commi 1-bis e 7-bis dell’art. 93 cod. strada (come anche i commi 1-ter, 1-quater, 1-quinquies e 7-ter della medesima previsione, non censurati nel presente giudizio) siano stati abrogati dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 238 del 2021, e sostituiti da una nuova disciplina, introdotta dalla lettera b) della medesima previsione e confluita nell’art. 93-bis cod. strada (oggi rubricato «Formalità necessarie per la circolazione degli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi immatricolati in uno Stato estero e condotti da residenti in Italia»). È opportuno evidenziare, peraltro, che, con l’art. 2, comma 1, lettere d) ed e), della medesima legge n. 238 del 2021, sono stati modificati anche gli artt. 132 e 196 cod. strada, nelle parti di essi già modificate dall’art. 29-bis del d.l. n. 113 del 2018, come convertito.
Il rimettente, invero, muove dalla non implausibile premessa che ove una sanzione amministrativa – e segnatamente la sanzione prevista dall’art. 93, commi 1-bis e 7-bis, cod. strada – sia stata adottata sulla base di una norma poi abrogata, la legittimità della stessa deve essere esaminata, in virtù del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione.
3.– Nel merito, il rimettente ritiene che le disposizioni censurate, introdotte, in sede di conversione, nel Capo II del Titolo II del d.l. n. 113 del 2018, contenente «Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto alla criminalità mafiosa», siano «del tutto estranee al fenomeno mafioso o alla materia della sicurezza pubblica».
L’obiettivo perseguito dall’inasprimento del trattamento sanzionatorio riservato a chi, residente in Italia da più di sessanta giorni, circoli in Italia con veicolo immatricolato all’estero sarebbe, in realtà, quello di contrastare il fenomeno della cosiddetta esterovestizione dei veicoli, cioè la condotta di chi, residente in Italia, utilizzi veicoli immatricolati all’estero e intestati (spesso fittiziamente) a terzi, «al fine di evitare il pagamento dell’imposta di bollo e degli oneri fiscali connessi all’assicurazione per la responsabilità civile, di rendere più difficile la riscossione delle sanzioni amministrative per gli illeciti commessi e, più in generale, di sfuggire ai controlli del fisco, occultando indici della propria capacità contributiva, evidentemente difforme da quella dichiarata».
L’estraneità di tale obiettivo a quelli perseguiti dal d.l. n. 113 del 2018, nel suo insieme e con riguardo allo specifico Capo in cui è stato inserito l’art. 29-bis di esso, con cui sono state introdotte le disposizioni censurate, interromperebbe il «nesso di interrelazione funzionale» tra decreto-legge e legge di conversione, così determinando una violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost.
4.– La questione è fondata.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la legge di conversione rappresenta un atto normativo a competenza funzionalizzata e specializzata, perché rivolto unicamente a stabilizzare gli effetti del decreto-legge, con la conseguenza che esso è limitatamente emendabile, potendosi aprire solo a «disposizioni coerenti con quelle originarie dal punto di vista materiale o finalistico» (sentenza n. 6 del 2023 e, analogamente, sentenze n. 245 del 2022, n. 210 del 2021 e n. 226 del 2019).
L’omogeneità costituisce un requisito del decreto-legge sin dalla sua origine, dato che l’inserimento di norme eterogenee rispetto all’oggetto o alla finalità del decreto «spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed “i provvedimenti provvisori con forza di legge”», di cui alla norma costituzionale citata (sentenze n. 149 del 2020 e n. 22 del 2012).
D’altra parte, l’urgenza e la necessità possono contrassegnare anche una pluralità di norme accomunate dall’intento di «fronteggiare situazioni straordinarie, complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse» (sentenze n. 213 del 2021, n. 137 del 2018, n. 170 del 2017 e n. 32 del 2014), purché, tuttavia, tali norme siano rivolte ad approntare rimedi urgenti per le situazioni straordinarie venutesi a creare.
Per i decreti-legge a contenuto ab origine plurimo ed eterogeneo, quindi, «occorre considerare specificamente il profilo teleologico, cioè l’osservanza della ratio dominante che li ispira» (sentenza n. 30 del 2021, e, analogamente, sentenze n. 8 del 2022, n. 213 del 2021 e n. 170 del 2017). Ciò vale, in particolare, per le disposizioni introdotte nel corpo del decreto-legge in sede di conversione, le quali devono potersi collegare al contenuto già disciplinato dal medesimo decreto, così da consentire una verifica sulla continuità delle rispettive rationes ispiratrici. Per i provvedimenti governativi a contenuto ab origine plurimo, pertanto, la continuità tra legge di conversione e decreto-legge non può che essere misurata muovendo dalla verifica della coerenza tra le disposizioni inserite in sede di conversione e quelle originariamente adottate in via di straordinaria necessità e urgenza (da ultimo, sentenza n. 6 del 2023), avendo riguardo al collegamento con «uno dei contenuti già disciplinati dal decreto-legge, ovvero alla sua ratio dominante» (sentenza n. 245 del 2022).
Tale continuità viene meno quando le disposizioni aggiunte siano totalmente estranee o addirittura “intruse” rispetto a quei contenuti e a quegli obiettivi, giacché «[s]olo la palese “estraneità delle norme impugnate rispetto all’oggetto e alle finalità del decreto-legge” (sentenza n. 22 del 2012) o la “evidente o manifesta mancanza di ogni nesso di interrelazione tra le disposizioni incorporate nella legge di conversione e quelle dell’originario decreto-legge” (sentenza n. 154 del 2015) possono inficiare di per sé la legittimità costituzionale della norma introdotta con la legge di conversione» (sentenza n. 181 del 2019, nonché, nello stesso senso, sentenze n. 247 e n. 226 del 2019).
4.1.– Il d.l. n. 113 del 2018 è intitolato «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata»; esso constava, al momento della sua entrata in vigore, di quaranta articoli. Per effetto degli emendamenti approvati in sede di conversione, il suo contenuto si estende in settantaquattro articoli.
Le finalità originariamente perseguite non consentono di ravvisare un’unica ratio a fondamento delle misure nello stesso contenute, essendo esse riconducibili – secondo quanto emerge per tabulas dal preambolo del decreto – ad ambiti materiali diversificati, quali il rilascio di «speciali permessi di soggiorno temporanei», la revisione della disciplina della protezione internazionale, il rafforzamento dei «dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica» e, infine, il miglioramento dell’efficienza e della funzionalità dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Il provvedimento deve quindi ritenersi ispirato al perseguimento di una duplice finalità: da un lato, quella di intervenire sulla disciplina della protezione internazionale e, dall’altro lato, quella di rafforzare i dispositivi di sicurezza pubblica, con particolare riguardo alla criminalità di matrice terroristica e mafiosa.
Come anticipato, l’art. 29-bis è inserito nel Titolo II, Capo II, rubricato «Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto alla criminalità mafiosa». Tale collocazione risulta funzionalmente collegata all’obiettivo perseguito dal Governo, e ricavabile dal preambolo del decreto-legge, consistente nell’adozione di misure «per rafforzare i dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla minaccia del terrorismo e della criminalità organizzata di tipo mafioso, al miglioramento del circuito informativo tra le Forze di polizia e l’Autorità giudiziaria e alla prevenzione e al contrasto delle infiltrazioni criminali negli enti locali, nonché mirate ad assicurare la funzionalità del Ministero dell’interno».
Tale obiettivo, stando alla relazione illustrativa al disegno di legge di conversione, si traduceva originariamente in una serie di «interventi nell’ambito della prevenzione di reati connotati da profili di rilevante allarme sociale»; un’esigenza, quest’ultima, riferita dalla medesima relazione «alla estensione dei controlli attraverso dispositivi elettronici per particolari fattispecie di reato (maltrattamenti e stalking), alle prescrizioni in materia di contratti di noleggio per la prevenzione di atti di terrorismo, alla estensione dell’ambito di applicazione del cosiddetto DASPO urbano, nonché per quello relativo alle manifestazioni sportive, per coloro che siano indiziati per reati di terrorismo» (A.S. n. 840, comunicato alla Presidenza del Senato il 4 ottobre 2018).
4.2.– Tenuto conto dell’impossibilità di individuare una sola ratio nel testo originario del d.l. n. 113 del 2018 e, di conseguenza, della necessità di riferire l’omogeneità delle disposizioni censurate agli ambiti e alle finalità delle altre previsioni contenute nel capo e nel titolo in cui esse sono state inserite, si deve rilevare come esse si mostrino del tutto estranee all’impianto del decreto originario.
Il divieto di circolazione con veicoli immatricolati all’estero stabilito dalle disposizioni censurate, per il fatto di gravare su chi risulti residente da più di sessanta giorni in Italia, mostra di voler incidere sulla condotta potenzialmente elusiva dei conducenti di veicoli che, pur trovandosi non occasionalmente in Italia, intendono sottrarsi agli adempimenti imposti a chi, stabilmente residente, abbia immatricolato il proprio veicolo in Italia.
Avendo ricondotto il divieto di circolazione al requisito della residenza, di per sé non indicativo di alcuna connessione con finalità di sicurezza pubblica, le disposizioni censurate si rivelano quindi effettivamente indirizzate a contrastare la prassi della cosiddetta esterovestizione dei veicoli, consistente, come detto, nella sottrazione agli adempimenti di natura fiscale, tributaria e amministrativa gravanti sui proprietari di veicoli al fine di ottenere vantaggi indebiti quali l’evasione di tributi e pedaggi, la non assoggettabilità a sanzioni e la fruizione di premi assicurativi più vantaggiosi.
Che sia questa, e non altra, la ratio della previsione censurata si desume anche dal regime contenuto nel richiamato art. 93, comma 1-ter, cod. strada, che subordina la liceità della circolazione di veicoli con targa estera, per i residenti da più di sessanta giorni in Italia, all’esibizione di documenti attestanti la sussistenza di un contratto di leasing, locazione o comodato con una società situata in altro Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo. Si tratta, come è evidente, di requisiti e condizioni che rinvengono la loro unica ragione giustificativa in finalità che nulla hanno a che fare con la sicurezza pubblica e, tanto meno, con la repressione della criminalità, e di quella mafiosa in particolare, rivelandosi funzionali unicamente ad attestare la veridicità dell’intestazione del veicolo a soggetti aventi sede al di fuori dei confini nazionali, così da evitare il conseguimento degli indebiti vantaggi che si ottengono ricorrendo alla prassi di intestazioni di natura fittizia.
4.2.1.– Né appare sufficiente evocare, come fa l’Avvocatura generale, la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la circolazione stradale rientra nella materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato «ordine pubblico e sicurezza» (sentenza n. 428 del 2004), per concludere che qualsiasi intervento legislativo diretto a regolare istituti in qualche modo connessi alla circolazione stradale ben potrebbe trovare collocazione in un decreto-legge che persegua finalità quali quelle prima descritte, proprie del d.l. n. 113 del 2018.
La stessa difesa statale, allorquando prova ad individuare la finalità di sicurezza pubblica cui sarebbero preordinate le disposizioni introdotte nell’art. 93 cod. strada dal l’art. 29-bis del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, sostiene che esse avrebbero il fine di «impedire che, mediante l’utilizzo nel territorio nazionale di veicoli immatricolati all’estero, soggetti residenti in Italia o che lavorano nel nostro Paese, possano commettere illeciti o comunque di evitare che l’identificazione degli effettivi conducenti di tali veicoli venga resa particolarmente difficoltosa per le Forze di polizia deputate al controllo».
In realtà, il divieto posto dalle disposizioni censurate non mostra di avere, di per sé, alcuna diretta incidenza né sulla prevenzione di illeciti, né sulla identificazione di chi è alla guida di un veicolo, potendo rilevare, ai sensi dell’art. 196 cod. strada, solo ai fini della identificazione del soggetto solidalmente responsabile con il conducente, senza, quindi, che ciò attenga alle predicate esigenze di tutela della sicurezza pubblica. Del resto, la stessa Corte di giustizia dell’Unione europea, nella richiamata sentenza GN e WX contro Prefettura di Massa Carrara, sia pur nell’ambito dello scrutinio ad essa devoluto, ha chiarito – in replica all’argomento addotto dal Governo italiano – che il divieto di circolazione con targhe estere previsto dalle disposizioni censurate non rivela alcuna chiara incidenza sull’efficacia dei controlli stradali (paragrafo 37).
Peraltro, a riprova dell’estraneità anche di questa finalità tra quelle effettivamente perseguite dalle disposizioni censurate, è appena il caso di notare che, con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 37 (Attuazione della direttiva 2011/82/UE intesa ad agevolare lo scambio transfrontaliero di informazioni sulle infrazioni in materia di sicurezza stradale), è stato disciplinato «lo scambio, tra l’Italia e gli altri Stati membri dell’Unione europea, delle informazioni sulle infrazioni in materia di sicurezza stradale e l’applicazione di sanzioni qualora tali infrazioni siano commesse con un veicolo immatricolato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata commessa l’infrazione» (art. 1).
Alla luce della palese estraneità delle disposizioni censurate agli ambiti e alle finalità del d.l. n. 113 del 2018, si deve ritenere che le prime presentino il carattere di norme “intruse”, con riguardo tanto all’oggetto della disciplina, quanto alla ratio complessiva del provvedimento di urgenza, quanto, infine, all’esigenza di «coordinamento rispetto alle materie “occupate” dall’atto di decretazione» (sentenza n. 247 del 2019).
5.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 93, commi 1-bis e 7-bis, cod. strada, introdotti dall’art. 29-bis del d.l. n. 113 del 2018, come convertito.
In considerazione della riscontrata violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. e della stretta connessione tra le disposizioni oggetto di censura nel presente giudizio e le altre inserite nell’art. 93 cod. strada dal medesimo art. 29-bis, deve essere dichiarata, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dei commi 1-ter, 1-quater e 7-ter dell’art. 93 cod. strada.
La caducazione del complesso delle previsioni aggiunte nel corpo del medesimo art. 93 è idonea, inoltre, a rendere non operative, per il periodo della loro vigenza, le modifiche apportate dall’art. 29-bis del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, agli artt. 132, commi 1, periodo finale, e 5, e 196, comma 1, cod. strada, nonché la previsione introdotta dal d.l. n. 76 del 2020, come convertito, nell’art. 93, comma 1-quinquies, cod. strada. Disposizioni, queste ultime, la cui efficacia presuppone la vigenza del divieto e delle relative sanzioni contenuti nelle disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dei commi 1-bis e 7-bis dell’art. 93 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotti dall’art. 29-bis, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132;
2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dei commi 1-ter, 1-quater e 7-ter dell’art. 93 cod. strada, introdotti dall’art. 29-bis, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2), del d.l. n. 113 del 2018, come convertito.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 aprile 2023.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Stefano PETITTI, Redattore
Valeria EMMA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2023.