SENTENZA N. 15
ANNO 2023
Commenti alla decisione di
1. Carlo Iannello, La ratio dell’obbligo vaccinale nella recente giurisprudenza costituzionale, per g.c. di Dirittifondamentali.it
2. Carlo Iannello, La sentenza n. 14/2023 della Corte Costituzionale: l’obbligo vaccinale è legittimo solo se serve a prevenire il contagio, per g.c. dell'Osservatorio costituzionale
3. Lucia Busatta, Giustizia costituzionale e obblighi vaccinali: alla Corte l’occasione, in cinque tempi, per consolidare il proprio orientamento, per g.c. dell'Osservatorio costituzionale
4. Ginevra Cerrina Feroni, Obblighi vaccinali, conseguenze del mancato assolvimento e Costituzione. Una lettura critica delle sentenze della Corte costituzionale n. 14 e 15 del 2023, per g.c. di Dirittifondamentali.it
5. Mario Cerbone, La pressione del legislatore sui diritti dei lavoratori: la vaccinazione anti SARS-CoV-2 al vaglio della Corte costituzionale, per g.c. di Dirittifondamentali.it
6. Gianfrancesco Vecchio, Riflessioni sulla sospensione della retribuzione a favore dei lavoratori obiettori dopo le sentenze della Corte costituzionale n. 14 e 15 del 2023, per g.c. di Dirittifondamentali.it
7. Antonio Iannuzzi, Vaccinazioni obbligatorie, dati scientifici e consenso informato: a margine delle sentenze n. 14 e 15 del 2023 della Corte costituzionale, per g.c. di Nomos
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Silvana SCIARRA
Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 4, commi 1, 4, 5 e 7; 4-bis, comma 1; e 4-ter, commi 2 e 3, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, come rispettivamente introdotti e modificati, gli artt. 4-bis e 4-ter, dall’art. 2, comma 1, del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, come modificato dall’art. 2, comma 1, lettera c), del decreto-legge 7 gennaio 2022, n. 1 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza COVID-19, in particolare nei luoghi di lavoro, nelle scuole e negli istituti della formazione superiore), convertito, con modificazioni, nella legge 4 marzo 2022, n. 18, come successivamente modificato dal decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza, e altre disposizioni in materia sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52, promossi dal Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, con sette ordinanze del 22 marzo 2022, 9 maggio 2022, 31 maggio 2022, 22-23 luglio 2022, 22 e 16 agosto 2022, dal Tribunale ordinario di Catania, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 14 marzo 2022, dal Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 28 aprile 2022, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con ordinanza del 16 giugno 2022, iscritte, rispettivamente, ai numeri 47, 71, 77, 101, 102, 107, 108, 70, 76 e 86 del registro ordinanze 2022 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, numeri 19, 25, 27, 34, 39 e 40, prima serie speciale, dell’anno 2022.
Visti gli atti di costituzione di E. B. e altri, di M. Z., di G. B., di O.P.S.A., di E. C. e altri, di M. M. e di C. B. e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché quelli di D. T. e altri, di A. R., di D. D.P. e altri, di M. A. e altri, di V. B. e altri, di L. B., di I. D. e C. M., di P. C. e altri e dell’Azienda unità locale socio sanitaria (ULSS) n. 8 Berica;
udito nell’udienza pubblica e nella camera di consiglio del 30 novembre 2022 il Giudice relatore Stefano Petitti;
uditi gli avvocati Gabriele Fantin e Orsola Costanza per D. D.P. e altri, M. A. e altri e V. B. e altri, Nicolò Fiorentin per L. B., Paola Chiandotto per P. C. e altri, Antonio Ferdinando De Simone per A. R., Antonio Verdone per I. D. e C. M., Mauro Sandri per E. B. e altri, Beatrice Spitoni, Luca Iuliano e Susanna Cavallina per M. Z., e C. B., Luca Viggiano per G. B., Samanta Forasassi per M. M., Giovanni Onofri e Ugo Mattei per E. C. e altri, Carlo Cester e Chiara Tomiola per O.P.S.A. e gli avvocati dello Stato Enrico De Giovanni, Beatrice Gaia Fiduccia e Federico Basilica per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 1° dicembre 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 22 marzo 2022, iscritta al n. 47 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, dell’art. 4-ter, comma 3, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, nella parte in cui, nel prevedere che «[p]er il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati», esclude, nel periodo di prescritta sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa per inadempimento dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, in relazione al personale di cui alla lettera a) della citata disposizione, l’erogazione dell’assegno alimentare previsto dall’art. 500 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado).
1.1.– Il Tribunale di Brescia espone che le parti ricorrenti nel giudizio a quo, tutte dipendenti del Ministero dell’istruzione quali docenti, destinatari di provvedimenti di sospensione dal lavoro, adottati fra il mese di dicembre 2021 ed il mese di gennaio 2022, per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, dichiaratisi, peraltro, disponibili a sottoporsi a test mediante tampone ogni 48 ore, hanno chiesto in via di urgenza di essere reintegrati nel posto di lavoro e nella retribuzione o, quantomeno, di poter ottenere l’assegno alimentare, deducendo l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito.
Il Tribunale di Brescia, ritenuta la specialità di tale disposizione rispetto alla previsione dell’art. 500 del d.lgs. n. 297 del 1994, e dunque l’impossibilità di pervenire in via interpretativa al riconoscimento in favore dei ricorrenti dell’assegno alimentare, ed evidenziata la natura assistenziale di un simile emolumento, ha ravvisato la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del citato art. 4-ter, comma 3, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.
La norma censurata, secondo il rimettente, risulterebbe lesiva della dignità della persona, in quanto, per un periodo temporalmente rilevante, priva i docenti scolastici, che non abbiano voluto vaccinarsi, di ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni primari della vita. Inoltre, in presenza di una condotta non integrante illecito né disciplinare né penale, e in rapporto ad una fattispecie introdotta in una fase emergenziale e in un contesto del tutto eccezionale, il medesimo art. 4-ter, comma 3, nega ai docenti non vaccinati la corresponsione di una indennità, quale è l’assegno alimentare, generalmente riconosciuta dall’ordinamento per sopperire alle esigenze del lavoratore sospeso anche laddove quest’ultimo sia coinvolto in procedimenti penali e disciplinari per fatti di oggettiva gravità, ciò generando un’irragionevole disparità di trattamento.
1.2.– I lavoratori ricorrenti nel giudizio a quo hanno depositato memoria di costituzione, condividendo le argomentazioni del giudice a quo e chiedendo, quindi, l’accoglimento delle questioni.
1.3.– Ha depositato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, comunque non fondate.
Le questioni sarebbero inammissibili per inadeguata o carente motivazione sulla non manifesta infondatezza, essendosi il rimettente limitato a una sostanziale riproduzione delle deduzioni delle parti interessate. L’ordinanza di rimessione sarebbe inoltre carente di motivazione circa l’assenza di interpretazioni costituzionalmente orientate delle norme censurate. Infine, sempre in punto di inammissibilità, il Presidente del Consiglio dei ministri obietta che il giudice a quo invoca un intervento di questa Corte in una materia riservata alla discrezionalità del legislatore, in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata.
Le questioni, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, sarebbero comunque non fondate. La norma censurata trae origine dall’esigenza, avvertita dal legislatore, di adottare in ambito scolastico misure gradualmente sempre più cogenti e restrittive per contenere la pandemia da COVID-19, al fine di tutelare il diritto alla salute e quello all’istruzione. Solo, invero, l’avvio della campagna vaccinale ha consentito la piena ripresa dell’attività didattica in presenza. L’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, era stato preceduto dalle misure che regolavano l’impiego delle certificazioni verdi Covid-19 in ambito scolastico e ha provveduto ad estendere l’obbligo vaccinale (già previsto per alcune categorie di lavoratori, come ad esempio il personale sanitario) anche ad una serie di ulteriori categorie (tra cui il personale scolastico). Stante la preminenza accordata al diritto alla salute, la legge avrebbe disposto l’estensione dell’obbligo vaccinale al personale scolastico optando per una soluzione intermedia, rappresentata dall’isolamento dalla comunità lavorativa di riferimento, con sospensione dalla prestazione lavorativa e (conseguentemente) della retribuzione. La difesa statale contesta l’equiparabilità della sospensione dal servizio per pendenza di un procedimento disciplinare, prevista dell’art. 500 del d.lgs. n. 297 del 1994, e la sospensione di cui all’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, essendo quest’ultima giustificata dalla carenza di un «requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative dei soggetti obbligati», qual è il vaccino per le categorie previste dalla legge, di tal che la contestuale sospensione dalla retribuzione e da ogni altro compenso o emolumento costituirebbe una conseguenza naturale, in termini sinallagmatici, della mancata erogazione della prestazione. La situazione in cui versa il lavoratore che, per sua scelta volontaria, non sia vaccinato, sarebbe comunque sempre reversibile, giacché, procedendo alla vaccinazione, egli può in ogni momento essere reintegrato in servizio, con conseguente ripristino immediato della corresponsione dello stipendio.
Proprio dalla natura intrinsecamente autonoma della determinazione di non vaccinarsi, e quindi, di non svolgere la prestazione lavorativa, discenderebbe la ragionevolezza della scelta normativa di escludere il diritto alla corresponsione di qualsiasi forma di “retribuzione”, anche sub specie di assegno alimentare, per coloro che «volontariamente» si sottraggono all’obbligo vaccinale, prevedendosi, viceversa, che la sospensione della retribuzione (e di qualsiasi altro emolumento) non si applichi a coloro che, per «accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate», sono esentati da tale obbligo. La scelta del dipendente di non vaccinarsi non è, ad avviso dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri, foriera di conseguenze pregiudizievoli irreparabili, giacché non viene avviato alcun procedimento disciplinare e non è prevista la risoluzione del rapporto di lavoro, correlandosi ad essa un effetto che appare ragionevole e proporzionato, orientato dalla ricerca di un contemperamento fra il preminente interesse pubblico al contenimento della diffusione del contagio pandemico e la tutela delle singole posizioni, ferma la delimitazione temporale dell’obbligo vaccinale.
L’effetto della sospensione dal servizio e dalla retribuzione non si connota, pertanto, come una «sanzione», quanto come una misura di sanità pubblica ispirata alla tutela di fondamentali diritti costituzionali, quali la tutela della salute collettiva, il diritto all’istruzione, nonché il diritto all’insegnamento e alla sicurezza sul luogo di lavoro degli studenti e di tutto il personale scolastico. D’altro canto, evidenzia il Presidente del Consiglio dei ministri, l’interesse pubblico al contenimento della pandemia risulta senza dubbio prevalente rispetto all’interesse individuale allo svolgimento della prestazione lavorativa. La norma in esame sarebbe, dunque, pienamente rispettosa dei principi di idoneità, necessarietà e proporzionalità, visto che la pubblica amministrazione, che non possa contare sulla prestazione lavorativa del dipendente inadempiente all’obbligo di vaccinazione, deve comunque provvedere alla sua sostituzione. La difesa statale contesta altresì l’equiparabilità della norma censurata sia a quella dettata dall’art. 82 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), la quale è inquadrata, piuttosto, nel Capo dedicato alle «infrazioni e sanzioni disciplinari», sia a quella prevista dall’art. 500 del d.lgs. n. 297 del 1994, anch’essa inquadrata nella Sezione dedicata alle «[s]anzioni disciplinari», trattandosi nei casi indicati a comparazione di procedimenti il cui svolgimento prescinde dalla volontà del lavoratore.
1.4.– L’Associazione nazionale insegnanti e formatori (ANIEF), organizzazione sindacale del personale docente, ha depositato opinione scritta ex art. 4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis, chiedendo di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-ter del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, ovvero, in via di estensione o previa autoremissione, dell’art. 4-ter.2, introdotto dal decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza, e altre disposizioni in materia sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52, nella parte in cui impone di applicare ai docenti non vaccinati il regime stabilito per i docenti dichiarati inidonei alle proprie funzioni per motivi di salute, per contrasto con gli artt. 2, 3, 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, domandando altresì di procedere a rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e rimarcando che la discriminazione operata dal legislatore italiano rileva anche sotto il piano dei diritti garantiti dalla direttiva 2000/78/CE, del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, e dalla CDFUE, nonché dei principi euro-unitari di necessarietà, adeguatezza e proporzionalità.
1.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa in data 9 novembre 2022, ribadendo le considerazioni svolte nell’atto di intervento in punto di inammissibilità o, in subordine, di non fondatezza delle questioni.
2.– Con ordinanza del 14 marzo 2022, iscritta al n. 70 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Catania, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, secondo comma, Cost., dell’art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui, nel prevedere che «[p]er il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati», esclude, in relazione agli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori di interesse sanitario, l’erogazione dell’assegno alimentare previsto dalla legge ovvero dalla contrattazione collettiva di categoria nel periodo di sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa per inadempimento dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2.
2.1.– Il Tribunale di Catania espone che le parti ricorrenti nel giudizio a quo, tutte dipendenti a tempo indeterminato di un’azienda ospedaliera pubblica con profilo professionale di collaboratore sanitario-infermiere, destinatari di provvedimenti di sospensione dal lavoro, adottati fra il mese di ottobre ed il mese di novembre 2021, per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, hanno chiesto in via di urgenza il riconoscimento dell’assegno alimentare, ai sensi dell’art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957 e dell’art. 68 del CCNL del comparto Sanità pubblica, deducendo l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito.
2.2.– Il Tribunale di Catania, ritenuta la specialità della norma in oggetto, che deroga a ogni altra di ordine generale prevista dalla legge ovvero dalla contrattazione collettiva, e dunque l’impossibilità di pervenire in via interpretativa al riconoscimento in favore dei ricorrenti dell’assegno alimentare, ed evidenziata la natura assistenziale di tale emolumento, ha ravvisato la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del citato art. 4, comma 5, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, secondo comma, Cost.
La norma censurata, secondo il rimettente, risulterebbe lesiva della dignità della persona, in quanto, per un periodo temporalmente rilevante, priva gli operatori sanitari, che non abbiano voluto vaccinarsi, di ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni primari della vita. Inoltre, a fronte di una condotta non integrante illecito né disciplinare né penale, e in rapporto ad una fattispecie introdotta in una fase emergenziale e in un contesto del tutto eccezionale, il medesimo art. 4, comma 5, nega agli operatori sanitari non vaccinati la corresponsione di una indennità, quale è l’assegno alimentare, generalmente riconosciuta dall’ordinamento per sopperire alle esigenze del lavoratore sospeso anche laddove quest’ultimo sia coinvolto in procedimenti penali e disciplinari per fatti di oggettiva gravità, ciò generando un’irragionevole disparità di trattamento.
Il rimettente osserva che, pur considerate le finalità di «tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza», in attuazione del piano di cui all’art. 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), rappresentate nel comma 1 dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, appaiono sproporzionate e sbilanciate le conseguenze che la disciplina in esame determina nella sfera del lavoratore, per di più irrigidite dalle modifiche apportate all’originaria formulazione (che contemplava la possibilità di verificare l’assegnazione del dipendente a mansioni diverse, ipotesi poi ammessa solo nei casi di esonero o differimento dell’obbligo vaccinale), nell’ottica della necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti. Tale disciplina, precludendo all’operatore sanitario non vaccinato la possibilità di espletare la prestazione lavorativa (anziché applicare altre soluzioni, quali, ad esempio, la sottoposizione del lavoratore ad un rigido sistema di controllo tramite test di rilevazione del virus, o l’assegnazione a mansioni diverse, ove possibile), finisce, ad avviso del giudice a quo, per realizzare una sorta di «forzata induzione» all’adempimento dell’obbligo vaccinale, finendo per contrastare altresì con l’art. 32, secondo comma, Cost., che, anche per i trattamenti sanitari obbligatori, impone alla legge di non violare «i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
La norma censurata, negando ogni sostegno economico all’operatore sanitario sospeso dal rapporto di lavoro per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, pone il lavoratore, secondo il Tribunale di Catania, di fronte alla prospettiva di non poter assicurare a sé e alla propria famiglia neppure i mezzi di sostentamento minimi e indispensabili, così come di non poter far fronte ai propri impegni economici, con gravi conseguenze del vivere quotidiano. L’ordinanza di rimessione richiama altresì, a titolo comparativo, le norme che comunque riconoscono un assegno alimentare al dipendente pubblico destinatario di un provvedimento di sospensione disciplinare o cautelare.
2.3.– Ha depositato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. Si evidenzia che l’obbligo di somministrazione del vaccino anti COVID-19 è diretto a preservare lo stato di salute non solo del lavoratore obbligato all’adempimento, ma anche di tutti gli altri membri della collettività e, in particolare, dei soggetti fragili. Nel caso degli operatori sanitari, in particolare, l’obbligo vaccinale è funzionale a garantire la protezione dell’operatore stesso, del restante personale sanitario, e dei pazienti dal rischio di contagio, nonché ad assicurare l’operatività dei servizi sanitari e, quindi, l’offerta di assistenza e la continuità nell’erogazione delle cure ai cittadini.
Richiamando l’elaborazione della giurisprudenza amministrativa in argomento, la difesa statale sottolinea che, nell’imposizione dell’obbligo vaccinale, il legislatore ha iniziato da quei soggetti che sono maggiormente esposti al contagio, cioè quelli che sono in costante contatto con l’utenza pubblica ed in generale con terze persone, anche infette. Quanto, poi, alle misure per rendere effettivo l’obbligo, il legislatore ha optato per una soluzione intermedia rappresentata dall’isolamento dalla comunità lavorativa di riferimento, con sospensione dalla prestazione lavorativa e conseguentemente dalla retribuzione, vista la mancata prestazione del servizio per difetto di «requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative».
Il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea, inoltre, l’efficacia e la rilevanza dei vaccini somministrati ai professionisti sanitari ai fini della tutela della salute pubblica. Invero, l’obbligo di somministrazione del vaccino anti COVID-19 è diretto a preservare lo stato di salute non soltanto del lavoratore, ma anche di tutti gli altri membri della collettività e, in particolare, di coloro che, a causa di particolari condizioni patologiche, correrebbero seri rischi nel caso in cui venissero contagiati. Nel caso dei professionisti sanitari, in particolare, l’obbligo vaccinale è funzionale a proteggere i pazienti dal rischio di contagio in ambiente assistenziale, e serve quindi a difendere anche l’operatività dei servizi sanitari, garantendo, al contempo, la qualità delle prestazioni erogate.
Si osserva, ulteriormente, che non sarebbe ravvisabile alcuna analogia tra la sospensione prevista nel caso di procedimento disciplinare o penale a carico del dipendente, e quella derivante dal mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale, atteso che, nel primo caso, la sospensione interviene prima dell’accertamento sulla ricorrenza dell’illecito, mentre nel secondo caso la sospensione interviene dopo aver appurato la mancanza, ingiustificata, dell’adempimento prescritto. Peraltro, il procedimento disciplinare e quello penale, una volta avviati, procedono in modo autonomo e indifferente rispetto alla volontà del dipendente di poterne bloccare lo svolgimento; al contrario, nel caso della sospensione disposta per la violazione dell’obbligo vaccinale, al dipendente è data la possibilità di riprendere l’esercizio dell’attività lavorativa a seguito della sottoposizione alla vaccinazione.
Viene rimarcato pure che sarebbe contradditorio riconoscere il diritto all’assegno alimentare, che trova la sua fonte nel dovere di solidarietà, ad un soggetto che si sottrae all’obbligo vaccinale ed in tal modo viola lo stesso dovere di solidarietà.
2.4.– La Associazione Enrico Toti ha depositato opinione scritta ex art. 4-ter delle Norme integrative, vigente ratione temporis, chiedendo di dichiarare l’illegittimità costituzionale «dell’obbligo vaccinale di cui all’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021», e comunque di accogliere le questioni di legittimità costituzionale.
2.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa in data 9 novembre 2022, ribadendo le considerazioni svolte nell’atto di intervento in punto di non fondatezza delle questioni.
3.– Con ordinanza depositata il 9 maggio 2022, iscritta al n. 71 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 4 Cost., dell’art. 4, comma 7, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, richiamato dall’art. 4-ter, comma 2, dello stesso d.l. n. 44 del 2021, nella parte in cui limita ai soggetti per i quali la vaccinazione può essere omessa o differita, l’adibizione a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
Con la stessa ordinanza, il Tribunale ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., dell’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui, nel prevedere che «[p]er il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati», esclude, nel periodo di prescritta sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa per inadempimento dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, in relazione al personale di cui alla lettera c) del comma 1 della citata disposizione, l’erogazione dell’assegno alimentare previsto dall’art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957 e dell’art. 68 del CCNL del comparto Sanità pubblica.
3.1.– Il Tribunale di Brescia espone che la ricorrente nel giudizio a quo è una dipendente di azienda ospedaliera pubblica in qualità di ausiliaria specializzata, destinataria di provvedimento di sospensione dal lavoro, adottato nel mese di gennaio 2022, per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, la quale ha chiesto in via di urgenza di essere reintegrata nel posto di lavoro e nella retribuzione o, quantomeno, di poter ottenere l’assegno alimentare.
Dato conto del differimento al 31 dicembre 2022 della sospensione dal lavoro per effetto dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, in forza del sopravvenuto art. 8, comma 1, del d.l. n. 24 del 2022, come convertito, il rimettente ha quindi evidenziato che il tenore letterale dell’art. 4, comma 7, e dell’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, non consente di riconoscere alla lavoratrice il diritto ad essere reintegrata o di percepire l’assegno alimentare, né in via di interpretazione costituzionalmente orientata, né per disapplicazione delle norme per contrasto con la CDFUE, giacché la materia degli obblighi vaccinali non costituisce oggetto di disciplina dell’Unione europea.
Il Tribunale di Brescia ha altresì posto in risalto la specialità dell’art. 4-ter, comma 3, rispetto all’art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957 ed all’art. 68 del CCNL del comparto Sanità pubblica.
3.2.– In punto di non manifesta infondatezza delle censure attinenti all’art. 4, comma 7, il giudice a quo afferma che, stante l’identità del rischio di diffusione del virus, è incomprensibile il motivo per cui l’obbligo di cosiddetto repêchage debba sussistere soltanto a favore dei soggetti esentati dall’obbligo vaccinale o per i quali la vaccinazione è stata differita, e non anche a favore di coloro che scelgano volontariamente di non vaccinarsi. Questa discriminazione, nonostante la temporaneità della misura interdittiva, sarebbe lesiva del principio di eguaglianza e comprimerebbe il diritto al lavoro di coloro che abbiano deciso di non vaccinarsi, essendo praticabili soluzioni alternative, quali, ad esempio, il controllo tramite test di rilevazione del virus o l’assegnazione a mansioni diverse (ipotesi, quest’ultima, che era prevista per il personale sanitario nell’originaria formulazione della norma). Pur spettando al legislatore di stabilire gli effetti dell’accertamento della violazione di un obbligo, la modifica peggiorativa, che non consente l’adibizione a mansioni anche diverse del lavoratore sanitario che non intende vaccinarsi, non sarebbe giustificata in rapporto agli scopi primari della disciplina, costituiti dalla tutela sia della salute pubblica in una situazione emergenziale epidemiologica, sia della sicurezza negli ambienti di lavoro.
Quanto all’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, l’ordinanza di rimessione sottolinea la natura assistenziale dell’assegno alimentare, il quale è perciò generalmente riconosciuto dall’ordinamento in caso di sospensione dal rapporto di lavoro per motivi disciplinari o cautelari. La norma censurata risulterebbe allora lesiva della dignità della persona, in quanto priva i lavoratori del comparto sanità che non abbiano ritenuto di vaccinarsi della possibilità di esercitare la propria attività lavorativa, nonché della corresponsione di una indennità, quale è l’assegno alimentare, attribuita per sopperire alle esigenze basilari della vita. Inoltre, a fronte di una condotta non integrante illecito né disciplinare né penale, e in rapporto a una fattispecie introdotta in una fase emergenziale e in un contesto del tutto eccezionale, il medesimo art. 4-ter, comma 3, negherebbe al personale del comparto sanitario non vaccinato la corresponsione di una indennità, quale è l’assegno alimentare, generalmente riconosciuta dall’ordinamento per sopperire alle esigenze del lavoratore sospeso anche laddove quest’ultimo sia coinvolto in procedimenti penali e disciplinari per fatti di oggettiva gravità, ciò generando un’irragionevole disparità di trattamento.
3.3.– La lavoratrice ricorrente nel giudizio a quo ha depositato memoria di costituzione ed ha chiesto di dichiarare fondate le sollevate questioni di legittimità costituzionale.
3.4.– Ha depositato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate.
Entrambe le questioni sarebbero inammissibili per inadeguata o carente motivazione sulla non manifesta infondatezza. Si evidenzia che l’obbligo di somministrazione del vaccino anti COVID-19, introdotto per il personale medico e sanitario, risponde ad una chiara finalità di tutela non solo di questo personale sui luoghi di lavoro, ma anche degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, specie nei confronti delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili. L’eccepito difetto motivazionale dell’ordinanza di rimessione deriverebbe dalla mancata considerazione della peculiare posizione dei sanitari e del personale delle strutture di cui all’art. 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre del 1992, n. 421), che costituisce la specifica ratio dell’obbligo vaccinale loro imposto, la quale a sua volta giustifica il punto di equilibrio che il legislatore ha individuato nel bilanciamento tra la libertà di autodeterminazione del singolo e le esigenze di interesse pubblico e tra queste, in primis, quelle concernenti la tenuta dei presidi ospedalieri e la garanzia, per chi necessita di cura ed assistenza, di poterle ricevere in condizioni di massima sicurezza e di minor rischio di contagio possibile.
Ad avviso della difesa statale, un ulteriore profilo di inammissibilità delle questioni discenderebbe dalla constatazione che il rimettente invoca un intervento di questa Corte in una materia riservata alla discrezionalità del legislatore, in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata. Il Tribunale di Brescia chiederebbe a questa Corte di prevedere, a fronte dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, la possibilità di non sospendere il personale sanitario e quello agli effetti equiparato, provvedendo, piuttosto, ad adibirlo a mansioni diverse; si chiederebbe, ancora, a questa Corte di prevedere altrimenti, a fronte della sospensione dal servizio per inottemperanza all’obbligo vaccinale, la corresponsione di un emolumento (assegno alimentare) non previsto da alcuna disposizione in materia.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, le prospettate questioni di legittimità costituzionale sarebbero comunque destituite di fondamento, atteso che l’obbligo posto nei confronti degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario appare giustificato dalla constatazione che la vaccinazione di tali categorie di lavoratori, unitamente alle altre misure di protezione collettiva e individuale per la prevenzione della trasmissione degli agenti infettivi nelle strutture sanitarie e negli studi professionali, ha valenza multipla: consente di salvaguardare l’operatore rispetto al rischio infettivo professionale, contribuisce a proteggere i pazienti dal contagio in ambiente assistenziale e serve a difendere l’operatività dei servizi sanitari. Ciò in quanto gli operatori sanitari, da un lato, sono tra le categorie ad alto rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2, dall’altro, possono a loro volta trasmettere l’infezione più facilmente a pazienti ad alto rischio di sviluppare forme gravi di malattia.
Lo scrutinio circa la legittimità costituzionale delle disposizioni denunciate dovrebbe, dunque, svolgersi alla luce del principio fondamentale in materia di tutela della salute, quale «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», declinato nella prospettiva della solidarietà sociale e alla luce dei principi di precauzione e proporzionalità nel rapporto tra rischi e benefici. Il rimettente, secondo la difesa dello Stato, non avrebbe avuto cura di indagare sul necessario bilanciamento tra valori costituzionali, in quanto la disposizione censurata ha introdotto un obbligo vaccinale settoriale e non generalizzato, di durata temporanea, che non determina l’applicazione di sanzioni espulsive, avente il solo effetto di sospensione del rapporto di lavoro (o del tirocinio) nei limiti della durata dell’inadempimento dell’obbligo, del tutto coerente, perciò, con la tutela della salute dei pazienti e con l’affidamento che gli stessi ripongono nella somministrazione delle cure in condizioni di massima sicurezza.
Il quadro complessivo dei vantaggi offerti dalla copertura vaccinale e dei rischi marginali confermerebbe, a dire del Presidente del Consiglio dei ministri, la ragionevolezza della composizione di interessi attuata dal legislatore mediante l’obbligo vaccinale e mediante la disciplina delle conseguenze derivanti dal suo inadempimento. Circa la mancata estensione dell’obbligo di repêchage in favore di coloro che scelgono di non vaccinarsi, obbligo viceversa contemplato dal legislatore per i soggetti esentati dalla vaccinazione o per i quali la vaccinazione sia stata differita, varrebbe la considerazione che il diritto all’integrità dello stato di salute dei pazienti, i quali devono fruire della erogazione delle prestazioni sanitarie, non può essere messo sullo stesso piano del diritto al mantenimento della propria situazione lavorativa e professionale di chi volontariamente si sottragga all’obbligo vaccinale, giustificandosi solo nel primo caso, e motivatamente, l’introduzione di un trattamento differenziato da parte del legislatore.
Aggiunge la difesa statale che la modifica più restrittiva dell’originario art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, introdotta dal decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, nel senso di non prevedere più la possibilità di attribuire diverse mansioni al dipendente che non avesse voluto vaccinarsi, ha trovato giustificazione nei dati prodotti dall’Istituto superiore di sanità (ISS) nel novembre 2021 circa il contagio da SARS-CoV-2 e l’incidenza dello stesso in danno di soggetti non vaccinati, dati che costituiscono presupposti idonei della mutata scelta legislativa, ispirati da esigenze di tutela della salute pubblica e di sicurezza negli ambienti di lavoro ove le prestazioni sanitarie vengono erogate.
Nel merito della seconda questione, il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea la non equiparabilità fra la sospensione dal servizio per pendenza di un procedimento disciplinare e quella di cui all’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, per mancanza di un requisito di capacità lavorativa, qual è il vaccino per le categorie previste dalla legge. La sospensione dalla retribuzione disposta dalla norma censurata costituirebbe, invero, la conseguenza naturale, in termini sinallagmatici, della mancata erogazione della prestazione, in pendenza della sospensione dell’attività lavorativa (e della percezione della retribuzione e degli emolumenti che dalla stessa discendono) derivante da una «scelta volontaria» del dipendente (quella di non vaccinarsi) e dallo stesso in ogni momento modificabile. La sospensione del dipendente non vaccinato non rivelerebbe, quindi, alcuna natura afflittiva o sanzionatoria, né pregiudicherebbe in alcun modo il rapporto di lavoro. Si contesta, inoltre, l’analogia tra la sospensione prevista nel caso di procedimento disciplinare o penale a carico del dipendente, e quella derivante dal mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale. Invero, il procedimento disciplinare (e quello penale, ove la condotta configuri un illecito di tale natura), una volta avviato, procede in modo autonomo e indifferente rispetto alla volontà dell’incolpato di poterne bloccare lo svolgimento, e per questo è stabilita l’erogazione di alcune provvidenze (corresponsione di parte degli assegni a carattere fisso e continuativo e dell’assegno alimentare). Di contro, nel caso della sospensione disposta per inottemperanza all’obbligo vaccinale è prevista una reversibilità immediata della situazione originaria, nel senso che al dipendente è data la possibilità di riprendere l’esercizio dell’attività lavorativa sol che questi si sottoponga alla vaccinazione.
3.5.– La Associazione Enrico Toti ha depositato opinione scritta ex art. 4-ter delle Norme integrative, vigente ratione temporis, chiedendo di dichiarare l’illegittimità costituzionale «dell’obbligo vaccinale di cui all’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021», e comunque di accogliere le questioni di legittimità costituzionale.
3.6.– La parte ha depositato memoria illustrativa in data 8 novembre 2022, ribadendo le considerazioni svolte nella memoria di costituzione.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa in data 9 novembre 2022, ribadendo le considerazioni svolte nell’atto di intervento in punto di inammissibilità o di non fondatezza delle questioni.
4.– Con ordinanza del 28 aprile 2022, iscritta al n. 76 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 4, 32 e 35 Cost., dell’art. 4-bis, comma 1, nonché dell’art. 4, commi 1, 4 e 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, modificati dapprima dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito, e poi dal d.l. n. 24 del 2022, come convertito, nella parte in cui prevedono per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie l’obbligo vaccinale, anziché l’obbligo, per la rilevazione di SARS-CoV-2, di sottoporsi indifferentemente al test molecolare o al test antigenico, da eseguire in laboratorio; oppure al test antigenico rapido di ultima generazione, anche presso centri privati, ogni 72 ore nel primo caso ed ogni 48 nel secondo. Con la stessa ordinanza, il Tribunale di Padova ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, sempre in riferimento agli artt. 3, 4, 32 e 35 Cost., dell’art. 4, comma 7, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui non prevede che anche per i lavoratori che decidono di non vaccinarsi, al pari dei soggetti per i quali la vaccinazione può essere omessa o differita, sussista l’obbligo del datore di lavoro di adibizione a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
4.1.– Il Tribunale di Padova espone che il ricorrente nel giudizio a quo è un dipendente, con mansioni di portiere-centralinista, di una struttura sociosanitaria che accoglie persone con disabilità, destinatario di provvedimento di sospensione dal lavoro, adottato per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, il quale ha chiesto in via di urgenza di essere reintegrato nel posto di lavoro, anche con mansioni differenti, con condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni arretrate.
Il rimettente, ritenuto in premessa che il richiamo fatto dall’art. 4-bis del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, al solo comma 1 dell’art. 4, in tema di estensione dell’obbligo vaccinale ai lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, debba intendersi esteso anche ai commi 4, 5 e 7 del medesimo art. 4, osserva che in relazione a tali categorie la vaccinazione è imposta non a tutela della salute propria, ma di quella degli ospiti che ricevono cura ed assistenza in tali strutture. Tuttavia, secondo il Tribunale di Padova, l’obbligo vaccinale imposto ai lavoratori non sarebbe idoneo a raggiungere lo scopo di preservare la salute degli ospiti, essendo notorio il fatto che la persona che si è sottoposta al ciclo vaccinale può comunque contrarre il virus e quindi contagiare gli altri. A tal fine, il Tribunale di Padova riporta anche alcuni dati forniti dal Ministero della salute in ordine al rapporto tra l’andamento della campagna vaccinale ed il numero di contagi. Il giudice a quo prospetta, pertanto, il dubbio sulla ragionevolezza dell’imposizione dell’obbligo vaccinale, misura ritenuta non idonea «al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza». Piuttosto, ad avviso del Tribunale, una ragionevole certezza che il lavoratore non sia infetto sarebbe garantita, sia pure per un limitato periodo di tempo, dalla sottoposizione periodica del lavoratore al «tampone» (indifferentemente, test molecolare, test antigenico da eseguire in laboratorio, test antigenico rapido di ultima generazione).
L’ordinanza di rimessione sostiene, quindi, che la norma censurata imponga al lavoratore un obbligo di vaccinazione inutile e gravemente pregiudizievole del suo diritto all’autodeterminazione terapeutica ex art. 32 Cost., nonché del suo diritto al lavoro ex artt. 4 e 35 Cost., prevedendo la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale.
Per il Tribunale di Padova, l’obbligo vaccinale si porrebbe anche in contrasto con il diritto dell’Unione europea, applicabile agli effetti dell’art. 53 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea), ai fini della parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell’ordinamento italiano ai cittadini dell’Unione europea, nonché agli effetti del regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2021, su un quadro per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione al COVID-19 (certificato COVID digitale dell’UE) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVID-19.
In particolare, la disciplina italiana che sospende dal lavoro e dalla retribuzione il lavoratore che non intenda vaccinarsi, sembra al Tribunale di Padova lesiva anche del principio di proporzionalità sancito dall’art. 52, paragrafo 3, CDFUE, rivelandosi non necessaria e comunque inidonea allo scopo di evitare il contagio, ed imponendo al lavoratore un sacrificio completamente insostenibile, privandolo integralmente dell’unico mezzo che consente a lui e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. In proposito, il Tribunale di Padova richiama una propria ordinanza del 7 dicembre 2021 con cui sono state sottoposte questioni in via pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea. L’ordinanza di rimessione argomenta altresì che l’imposizione al lavoratore dell’obbligo vaccinale, non essendo in grado di preservare la salute degli altri, non sembra conforme all’art. 32 Cost., valutato in relazione al contemperamento fra il diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) e l’interesse della collettività.
4.2.– Il Tribunale di Padova illustra, poi, le ragioni di non manifesta infondatezza delle censure attinenti all’art. 4, comma 7, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, sotto il profilo della disparità di trattamento. Tale norma prevede che il datore di lavoro sia tenuto a adibire a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, esclusivamente i lavoratori esentati dall’obbligo vaccinale o per i quali la vaccinazione è stata differita. Viceversa, l’art. 4-ter.2, per il personale docente e educativo della scuola, prevede che l’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale impone al dirigente scolastico di utilizzare il docente inadempiente in attività di supporto alla istituzione scolastica. Poiché la disciplina dell’obbligo vaccinale sia dei sanitari che del personale docente ed educativo della scuola è posta al fine di tutelare la salute pubblica dal pericolo di diffusione del virus, indipendentemente dal fatto che la omessa vaccinazione sia dovuta, o meno, ad una scelta volontaria del lavoratore, non si comprenderebbe, ad avviso del rimettente, per quale motivo l’obbligo di repêchage debba sussistere solo a favore dei secondi e sia invece negato in modo assoluto nel settore sanitario, anche indipendentemente dalla considerazione delle esigenze aziendali.
4.3.– Il lavoratore ricorrente nel giudizio a quo ha depositato memoria di costituzione ed ha chiesto di dichiarare fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Padova.
La difesa della parte ricorrente espone che «è dato ormai incontrovertibile che anche i soggetti vaccinati possano contrarre e trasmettere contagio; di conseguenza, dal punto di vista epidemiologico, vaccinati e non vaccinati, vanno necessariamente trattati, quanto meno, come soggetti tra loro sostanzialmente equivalenti»; che l’art. 4-bis del d.l. n. 44 del 2021, come modificato dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito, è incompatibile con l’art. 52 CDFUE; che il vaccino è misura inefficiente ed inefficace a perseguire il fine normativo.
4.4.– Anche la struttura sociosanitaria convenuta nel giudizio principale ha depositato memoria di costituzione nel presente giudizio per sostenere l’inammissibilità, o comunque la non fondatezza, delle questioni legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Padova.
4.5.– Ha depositato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate.
Le questioni sollevate sarebbero inammissibili per inadeguata o carente motivazione sulla non manifesta infondatezza.
Con particolare riferimento alla prima questione, la difesa dello Stato sostiene che il rimettente, con un sindacato giurisdizionale intrinseco che gli è precluso, revocherebbe in dubbio l’attendibilità, congruenza ed esaustività di dati scientifici raccolti, filtrati e interpretati nel tempo dalle autorità scientifico-sanitarie sulla efficacia dei vaccini, che ritiene di superare invocando il «fatto notorio» della contagiosità anche dei soggetti vaccinati ed il dato di «comune esperienza» di una ragionevole certezza della non infezione del soggetto che sia risultato negativo a tampone. Il Tribunale di Padova perviene così ad affermare l’inidoneità della misura dell’obbligo vaccinale per il personale che presti servizio nelle strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie ad evitare il diffondersi del contagio tra i soggetti fragili ospitati, e denuncia l’illegittimità costituzionale delle disposizioni laddove non prevedono in sua vece l’obbligo del lavoratore di sottoporsi al test molecolare o antigenico. L’Avvocatura generale osserva che il rimettente intenderebbe rinnovare in una sede giudiziale il confronto tra diverse tesi scientifiche, mosso da un «inspiegabile e immotivato sospetto di inattendibilità delle fonti ufficiali», in materia che non può essere esaminata e governata al di fuori del contesto suo proprio e da soggetti privi di specifica competenza.
Ad avviso della difesa statale, un ulteriore profilo di inammissibilità delle sollevate questioni discenderebbe dalla constatazione che il rimettente invoca un intervento in una materia riservata alla discrezionalità del legislatore, in assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata.
Il Presidente del Consiglio dei ministri deduce che le prospettate questioni di legittimità costituzionale sarebbero comunque non fondate nel merito, atteso che l’obbligo posto nei confronti degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario appare giustificato dalla constatazione che la vaccinazione di tali categorie di lavoratori, unitamente alle altre misure di protezione collettiva e individuale per la prevenzione della trasmissione degli agenti infettivi nelle strutture sanitarie e negli studi professionali, ha valenza multipla: consente di salvaguardare l’operatore rispetto al rischio infettivo professionale, contribuisce a proteggere i pazienti dal contagio in ambiente assistenziale e serve a difendere l’operatività dei servizi sanitari.
La difesa dello Stato evidenzia come, allo stato attuale delle evidenze scientifiche disponibili, la vaccinazione anti COVID-19 rappresenti uno strumento fondamentale irrinunciabile per il contrasto alla pandemia sia per la popolazione in generale sia per categorie specifiche come quella degli operatori sanitari e di quelli a tal fine equiparati. Invero, – come rilevato dall’ISS –, anche se l’efficacia vaccinale non è pari al 100 per cento (come del resto per tutti gli altri vaccini), l’elevata circolazione del virus SARS-CoV-2 rende comunque rilevante la quota di casi prevenibile mediante la somministrazione dei vaccini.
In questo contesto, l’immunizzazione attiva degli operatori sanitari rappresenta uno degli interventi più sicuri ed efficaci per il controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in ambito sanitario e in ambito comunitario. In particolare, la vaccinazione comporta benefici di fondamentale importanza per la salute pubblica, poiché, riducendo la circolazione virale, protegge e tutela i pazienti, soprattutto quelli fragili e ad alto rischio di sviluppare forme gravi di malattia. Ulteriori benefici dell’immunizzazione attiva dell’operatore sanitario sarebbero legati alla protezione dell’operatore stesso e del restante personale sanitario, nonché all’impatto sulla riduzione dell’assenteismo lavorativo per malattia/isolamento/quarantena che determinerebbe di riflesso l’interruzione dell’attività dell’operatore con un danno al sistema sanitario nazionale in termini di garanzia dell’offerta di assistenza e continuità di erogazione delle cure ai cittadini.
Circa la mancata operatività dell’obbligo di repêchage in favore di coloro che scelgono di non vaccinarsi, le argomentazioni difensive svolte dal Presidente del Consiglio dei Ministri coincidono con quelle già esposte a proposito del giudizio di cui all’ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. 2022.
4.6.– Hanno depositato distinti atti di intervento ad adiuvandum, chiedendo di accogliere le sollevate questioni di legittimità costituzionale, ed altrimenti di valutare le rispettive memorie come opinioni scritte in qualità di amici curiae, D. T. ed altri, A. R., D. D. P. ed altri, L. B., M. A. ed altri, V. B. ed altri, I. D. ed altro, P. C. ed altri, deducendo, a vario titolo, di essere lavoratori che hanno subito la sospensione per mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale, o comunque soggetti interessati all’adempimento di tale obbligo.
4.7.– Ha depositato atto di intervento altresì la Azienda ULSS 8 Berica, chiedendo invece di dichiarare inammissibili e comunque non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Padova.
4.8.– Hanno depositato opinioni scritte ex art. 4-ter delle Norme integrative, vigente ratione temporis, la Associazione Enrico Toti, la Associazione CoScienze Critiche, la Associazione EUNOMIS, la Associazione ANIEF, la Associazione di studi e informazioni sulla salute (ASSIS APS) e la Associazione Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino (CONDAV ODV) (le ultime due senza rispettare il termine di venti giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza di rimessione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana), tutte chiedendo di accogliere le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Padova.
4.9.– La parte, convenuta nel giudizio a quo, e l’Azienda ULSS 8 Berica hanno depositato memorie illustrative in data 9 novembre 2022.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa in data 9 novembre 2022, ribadendo le considerazioni svolte nell’atto di intervento in punto di inammissibilità o di non fondatezza delle questioni.
5.– Con ordinanza del 31 maggio 2022, iscritta al n. 77 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 4 Cost., dell’art. 4, comma 7, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, nella parte in cui limita ai soggetti per i quali la vaccinazione può essere omessa o differita l’adibizione a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2 e non prevede che la medesima ipotesi si applichi anche nei confronti del personale sanitario rimasto privo di vaccinazione per una libera scelta individuale.
5.1.– Il Tribunale di Brescia, pronunciando in sede di reclamo avverso il provvedimento che aveva negato la misura cautelare, espone che le ricorrenti nel giudizio a quo sono dipendenti di azienda ospedaliera pubblica in qualità di infermiere ed operatrici sociosanitarie, destinatarie di provvedimento di sospensione dal lavoro, le quali hanno chiesto in via di urgenza di essere reintegrate nel posto di lavoro, anche in mansioni diverse, previo test molecolare o antigenico, e nella retribuzione.
Il Collegio rimettente evidenzia che il tenore letterale dell’art. 4, comma 7, nella formulazione vigente, non consente di riconoscere alle lavoratrici il diritto ad essere reintegrate e di percepire le retribuzioni, né in via di interpretazione costituzionalmente orientata, né mediante disapplicazione delle norme per contrasto con la CDFUE, giacché la materia degli obblighi vaccinali non costituisce oggetto di disciplina dell’Unione.
In punto di non manifesta infondatezza delle censure attinenti all’art. 4, comma 7, il Tribunale afferma che, stante l’identità del rischio di diffusione del virus, è incomprensibile il motivo per cui l’obbligo di repêchage debba sussistere soltanto a favore dei soggetti esentati dall’obbligo vaccinale o per i quali la vaccinazione è stata differita, e non anche a favore di coloro che scelgano volontariamente di non vaccinarsi. Questa discriminazione, nonostante la temporaneità della misura interdittiva, sarebbe lesiva del principio di eguaglianza e comprimerebbe il diritto al lavoro di coloro che abbiano deciso di non vaccinarsi, essendo praticabili soluzioni alternative, quali, ad esempio, il controllo tramite test di rilevazione del virus o l’assegnazione a mansioni diverse (ipotesi, quest’ultima, che era prevista per il personale sanitario nell’originaria formulazione della norma). Pur spettando al legislatore di stabilire gli effetti dell’accertamento della violazione di un obbligo, la modifica peggiorativa, che non consente l’adibizione a mansioni anche diverse del lavoratore sanitario che non intende vaccinarsi, non sarebbe giustificata in rapporto agli scopi primari della disciplina, costituiti dalla tutela della salute pubblica in una situazione emergenziale epidemiologica, nonché della sicurezza negli ambienti di lavoro.
5.2.– Le lavoratrici ricorrenti nel giudizio a quo hanno depositato memoria di costituzione, chiedendo di dichiarare fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Brescia.
5.3.– Ha depositato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate, per le medesime argomentazioni esposte nelle difese relative ai giudizi di cui sopra.
5.4.– Hanno depositato opinioni scritte ex art. 4-ter delle Norme integrative, vigente ratione temporis, la Associazione Enrico Toti e la Associazione ANIEF, chiedendo di accogliere le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Brescia.
5.5.– Le parti, ricorrenti nel giudizio a quo, hanno depositato memoria illustrativa in data 9 novembre 2022.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa in data 9 novembre 2022, ribadendo le considerazioni svolte nell’atto di intervento in punto di inammissibilità o di non fondatezza delle questioni.
6.– Con ordinanza del 16 giugno 2022, iscritta al n. 86 del registro ordinanze 2022, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., dell’art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, e come sostituito dall’art. l, comma l, lettera b), del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, nella parte in cui, nel prevedere che «[p]er il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati», nel periodo di prescritta sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa per inadempimento dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, in relazione agli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori di interesse sanitario, esclude l’erogazione dell’assegno alimentare previsto dalla legge ovvero dalla contrattazione collettiva di categoria in caso di sospensione cautelare o disciplinare.
6.1.– Il TAR Lombardia espone che la ricorrente nel giudizio a quo, operatrice sociosanitaria, dipendente a tempo indeterminato di un’azienda sanitaria, ha domandato l’annullamento dei provvedimenti di sospensione dal lavoro e di accertamento del mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, perché adottati in violazione di legge. Con atto per motivi aggiunti, la ricorrente ha poi invocato la concessione di idonee misure cautelari per evitare il grave pregiudizio e il danno irreparabile alla soddisfazione delle sue essenziali esigenze di vita, derivante dalla sospensione dal servizio con integrale privazione del trattamento retributivo, anche in forma di riconoscimento di un assegno di natura assistenziale.
Il TAR ha ravvisato la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del citato art. 4, comma 5, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. La norma censurata, secondo il rimettente, priverebbe per un periodo temporalmente rilevante gli operatori sanitari, che non abbiano voluto vaccinarsi, di ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni primari della vita.
Il giudice a quo ha in via pregiudiziale ritenuto sussistente la propria giurisdizione, superando la contraria eccezione proposta dai resistenti, in quanto, pur rientrando il rapporto di lavoro della ricorrente nell’ambito dell’impiego pubblico privatizzato, il petitum sostanziale della controversia contesta l’effetto legale automatico conseguente all’esercizio del potere vincolato di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, ovvero l’immediata sospensione dal servizio senza la previsione di una retribuzione, ancorché ridotta, e senza l’attribuzione di adeguate misure di sostegno. Pertanto, ad avviso del TAR Lombardia, pur a fronte di un’attività amministrativa priva di margini di valutazione discrezionale, quale quella delineata dalla disciplina in oggetto a tutela dell’interesse pubblico, si configura una situazione soggettiva di interesse legittimo del privato, tale da radicare la giurisdizione del giudice amministrativo.
Il giudice rimettente ha quindi affermato che la privazione di ogni forma di sostentamento economico durante il periodo di sospensione dal servizio avrebbe determinato un ingiustificato peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori dipendenti, sia per via della proroga ex lege dell’obbligo di sottoporsi a vaccinazione, sia per via dell’abrogazione dell’obbligo condizionato del datore di lavoro di adibire il dipendente che non abbia adempiuto all’obbligo vaccinale a mansioni diverse, anche inferiori e comunque prive di rischi di contagio, con attribuzione del relativo trattamento economico.
Il TAR ha considerato la specialità della norma in esame, e dunque l’impossibilità di pervenire in via interpretativa al riconoscimento in favore della ricorrente dell’assegno alimentare, e ha espresso al riguardo dubbi di compatibilità con il principio di ragionevolezza, per la gravità delle conseguenze subite dalla dipendente che, non potendo documentare un serio rischio per la propria salute, tale da escludere, definitivamente o temporaneamente, la sussistenza dell’obbligo vaccinale, abbia esercitato il diritto all’autodeterminazione nella scelta dei trattamenti sanitari obbligatori.
La disposizione censurata, secondo il rimettente, contrasterebbe anche con il principio di proporzionalità, sotto il profilo dell’adeguatezza della preclusione automatica e totale di qualsivoglia sostegno economico al dipendente sospeso dal servizio rispetto al fine di interesse pubblico ad essa sotteso, che è quello di evitare il diffondersi del contagio da SARS-CoV-2 negli ambienti sanitari e di garantire la massima sicurezza dei pazienti nell’accesso alle cure. Una volta eliminata dalla disciplina legislativa la possibilità per il datore di lavoro di ricollocare il dipendente inadempiente all’obbligo vaccinale a mansioni diverse, anche inferiori ma comunque retribuite, il regime vigente comporta per il lavoratore una scelta obbligata tra l’adempimento dell’obbligo vaccinale e la sospensione dal servizio senza attribuzione di alcun trattamento economico.
Il TAR osserva che la temporaneità della misura interdittiva adottata dal legislatore non appare idonea a giustificare il sacrificio totale degli interessi antagonisti e che la soppressione di ogni forma di sostegno economico per un periodo di tempo consistente e potenzialmente indeterminato rischia di determinare effetti pregiudizievoli ed irreversibili per la soddisfazione delle essenziali esigenze di vita del dipendente che non abbia adempiuto all’obbligo vaccinale. L’obiettivo di tutela prefigurato dalla norma censurata avrebbe potuto essere realizzato, con pari efficacia, secondo il rimettente, anche con il più mite strumento della temporanea ricollocazione del lavoratore a mansioni diverse, da svolgere in condizioni di sicurezza e compatibilmente con l’organizzazione del servizio (già contemplato dall’art. 4, comma 8, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella versione vigente sino al 26 novembre 2021), o, nell’ipotesi in cui tale soluzione fosse incompatibile con l’organizzazione del servizio, mediante la previsione di un adeguato sostegno economico, con finalità analoghe ai vigenti istituti di sussidio, quali l’assegno sociale o il reddito di cittadinanza.
La privazione automatica ed assoluta di ogni forma di sostegno economico per l’intera durata del periodo di sospensione dal servizio, senza possibilità di prevedere adeguate misure di sostegno economico, sembra al TAR Lombardia irragionevole e sproporzionata anche in riferimento al principio di tutela della dignità dell’individuo, soprattutto nel caso del dipendente sospeso dal servizio che versi in condizioni di indigenza e che, come la ricorrente, sia impossibilitato a procurarsi altrimenti il reddito necessario per attendere alle ordinarie esigenze di vita, per via della conservazione dello status di dipendente pubblico e della conservazione del posto di lavoro, previste quali effetti dell’atto di accertamento, ancorché favorevoli per il lavoratore.
6.2.– Ha depositato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate, per le medesime argomentazioni esposte nelle difese relative ai giudizi di cui sopra.
6.3.– Ha depositato opinione scritta ex art. 4-ter delle Norme integrative, vigente ratione temporis, la Associazione Enrico Toti, chiedendo di accogliere le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Lombardia.
6.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa in data 9 novembre 2022, ribadendo le considerazioni svolte nell’atto di intervento in punto di inammissibilità o di non fondatezza delle questioni.
7.– Con ordinanza del 22 luglio 2022, iscritta al n. 101 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., dell’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui, nel prevedere che «[p]er il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati», esclude, nel periodo di prescritta sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa per inadempimento dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, in relazione al personale di cui alla lettera c) del comma 1 della citata disposizione, l’erogazione dell’assegno alimentare previsto dall’art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957.
7.1.– Il Tribunale di Brescia espone che la ricorrente nel giudizio a quo è una dipendente di azienda sociosanitaria, invalida al 60 per cento, dapprima posta in modalità di lavoro agile, che non ha completato il ciclo vaccinale per le complicanze subite dopo la somministrazione della prima dose e perciò destinataria di provvedimento di sospensione dal lavoro per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale. La medesima ricorrente ha perciò chiesto in via di urgenza di essere reintegrata nel posto di lavoro e nella retribuzione o, quanto meno, di poter ottenere l’assegno alimentare.
Il Tribunale di Brescia ha ripercorso le stesse argomentazioni contenute nell’ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. 2022, censurando l’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021.
7.2.– Ha depositato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate, per le medesime argomentazioni esposte nelle difese relative ai giudizi di cui sopra.
7.3.– Ha depositato opinione scritta ex art. 4-ter delle Norme integrative, vigente ratione temporis, la Associazione Enrico Toti, chiedendo di accogliere le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Brescia.
7.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa in data 9 novembre 2022, ribadendo le considerazioni svolte nell’atto di intervento in punto di inammissibilità o di non fondatezza delle questioni.
8.– Con ordinanza del 23 luglio 2022, iscritta al n. 102 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., dell’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui, nel prevedere che «[p]er il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati», esclude, nel periodo di prescritta sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa per inadempimento dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, in relazione al personale di cui alla lettera c) del comma 1 della citata disposizione, l’erogazione dell’assegno alimentare previsto dall’art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957.
8.1.– Il Tribunale di Brescia espone che le ricorrenti nel giudizio a quo sono dipendenti di azienda sociosanitaria, destinatarie di provvedimento di sospensione dal lavoro per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, le quali hanno chiesto di poter ottenere l’assegno alimentare per tutto il periodo della sospensione.
Il Tribunale di Brescia ha ripercorso le stesse argomentazioni contenute nell’ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. 2022, censurando l’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito.
8.2.– Ha depositato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate, per le medesime argomentazioni esposte nelle difese relative ai giudizi di cui sopra.
8.3.– Ha depositato opinione scritta ex art. 4-ter delle Norme integrative, vigente ratione temporis, la Associazione Enrico Toti, chiedendo di accogliere le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Brescia.
8.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa in data 9 novembre 2022, ribadendo le considerazioni svolte nell’atto di intervento in punto di inammissibilità o di non fondatezza delle questioni.
9.– Con ordinanza del 22 agosto 2022, iscritta al n. 107 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 4 Cost., dell’art. 4, comma 7, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui limita ai soggetti per i quali la vaccinazione può essere omessa o differita, l’adibizione a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
Con la stessa ordinanza, il Tribunale ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., dell’art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui, nel prevedere che «[p]er il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati», esclude, nel periodo di prescritta sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa per inadempimento dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, in relazione al personale di cui al comma 1 della citata disposizione, l’erogazione dell’assegno alimentare previsto dall’art. 42 del CCNL sanità privata.
9.1.– Il Tribunale di Brescia espone che la ricorrente nel giudizio a quo è dipendente di una struttura sanitaria privata, destinataria di provvedimento di sospensione dal lavoro per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, la quale ha chiesto la riammissione in servizio anche con diverse mansioni e di poter ottenere l’assegno alimentare per tutto il periodo della sospensione, come previsto dall’art. 42 del CNNL, secondo cui «[a]l dipendente sospeso cautelativamente è concesso un assegno alimentare nella misura non superiore alla metà dello stipendio, oltre gli assegni per carichi di famiglia».
Il Tribunale di Brescia ha ripercorso le stesse argomentazioni contenute nell’ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. 2022.
9.2.– La lavoratrice ricorrente nel giudizio a quo ha depositato memoria di costituzione, chiedendo di dichiarare fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Brescia, ovvero di indicare una diversa interpretazione dell’art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, nel senso di ritenere comunque dovuta l’erogazione dell’assegno alimentare.
9.3.– Ha depositato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate, per le medesime argomentazioni esposte nelle difese relative ai giudizi di cui sopra.
9.4.– Ha depositato opinione scritta ex art. 4-ter delle Norme integrative, vigente ratione temporis, la Associazione Enrico Toti, chiedendo di accogliere le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Brescia.
9.5.– La parte ha depositato memoria illustrativa in data 9 novembre 2022, con allegata documentazione.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa in data 9 novembre 2022, ribadendo le considerazioni svolte nell’atto di intervento in punto di inammissibilità o di non fondatezza delle questioni.
10.– Con ordinanza del 16 agosto 2022, iscritta al n. 108 del registro ordinanze 2022, il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 4 Cost., dell’art. 4, comma 7, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, richiamato dall’art. 4-ter, comma 2, del citato decreto, nella parte in cui limita ai soggetti per i quali la vaccinazione può essere omessa o differita, l’adibizione a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
Con la stessa ordinanza, il Tribunale ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., dell’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui, nel prevedere che «[p]er il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati», esclude, nel periodo di prescritta sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa per inadempimento dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, in relazione al personale di cui al comma 1, lettera c), della citata disposizione, l’erogazione dell’assegno alimentare previsto dall’art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957.
10.1.– Il Tribunale di Brescia espone che la ricorrente nel giudizio a quo è una dipendente comunale che svolge attività di operatore socioassistenziale in strutture di cui all’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, destinataria di provvedimento di sospensione dal lavoro per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, la quale ha chiesto la riammissione in servizio anche con diverse mansioni e di poter ottenere l’assegno alimentare per tutto il periodo della sospensione, come previsto dall’art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957.
Il Tribunale di Brescia ha ripercorso le stesse argomentazioni contenute nell’ordinanza iscritta al n. 71 reg. ord. 2022.
10.2.– La lavoratrice ricorrente nel giudizio a quo ha depositato memoria di costituzione, chiedendo di dichiarare fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Brescia.
10.3.– Ha depositato atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate, per le medesime argomentazioni esposte nelle difese relative ai giudizi di cui sopra.
10.4.– Ha depositato opinione scritta ex art. 4-ter delle Norme integrative, vigente ratione temporis, la Associazione Enrico Toti, chiedendo di accogliere le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Brescia.
10.5.– La parte ha depositato memoria illustrativa in data 8 novembre 2022.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa in data 9 novembre 2022, ribadendo le considerazioni svolte nell’atto di intervento in punto di inammissibilità o di non fondatezza delle questioni.
11.– Nella pubblica udienza del 30 novembre 2022 sono stati dichiarati inammissibili gli interventi spiegati nel giudizio iscritto al n. 76 reg. ord. 2022.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice del lavoro (nei giudizi iscritti ai numeri 47, 71, 77, 101, 102, 107 e 108 reg. ord. 2022), il Tribunale ordinario di Catania, in funzione di giudice del lavoro (nel giudizio iscritto al n. 70 reg. ord. 2022), il Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro (nel giudizio iscritto al n. 76 reg. ord. 2022), ed il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (nel giudizio iscritto al n. 86 reg. ord. 2022) hanno sollevato, con riferimento ai parametri di volta in volta evocati e comunque complessivamente riconducibili agli artt. 2, 3, 4, 32, secondo comma, e 35 Cost., identiche o analoghe questioni di legittimità costituzionale:
a) dell’art. 4, comma 7, nonché dell’art. 4-ter, comma 2, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui, per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario e per il personale che svolge la propria attività lavorativa nelle strutture sanitarie e sociosanitarie, limitano ai soggetti per i quali la vaccinazione può essere omessa o differita l’adibizione a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, e non prevedono che la medesima ipotesi si applichi anche nei confronti del personale rimasto privo di vaccinazione per una libera scelta individuale;
b) dell’art. 4, comma 5, nonché dell’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui, nel prevedere che «[p]er il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati», escludono, in relazione agli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori di interesse sanitario, nonché al personale di cui alla lettera a) (personale scolastico) ed alla lettera c) (personale occupato nelle strutture di cui all’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992) del comma 1 dell’art. 4-ter, l’erogazione dell’assegno alimentare previsto dalla legge ovvero dalla contrattazione collettiva di categoria in caso di sospensione cautelare o disciplinare nel periodo di sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa per inadempimento dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2.
L’ordinanza di rimessione proveniente dal Tribunale di Padova (iscritta al n. 76 reg. ord. 2022) riguarda poi anche gli artt. 4-bis, comma 1, e 4, commi 1, 4 e 5 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, modificati dapprima dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito, e poi dal d.l. n. 24 del 2022, come convertito, nella parte in cui prevedono per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie l’obbligo vaccinale, anziché l’obbligo di sottoporsi indifferentemente al test molecolare, al test antigenico da eseguire in laboratorio, oppure al test antigenico rapido di ultima generazione, per la rilevazione di SARS-CoV-2.
2.– Per l’ampia coincidenza delle questioni sollevate e dei parametri evocati, i dieci giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
3.– In via preliminare, deve essere confermata l’ordinanza dibattimentale, allegata a questa sentenza, con la quale sono stati dichiarati inammissibili gli interventi spiegati da D. T. ed altri cinque, A. R., D. D.P. ed altri otto, L. B., M. A. ed altri ventotto, V. B. ed altri quarantanove, I. D. e C. M., P. C. ed altri cinque, e dalla Azienda ULSS n. 8 Berica nel giudizio di legittimità costituzionale iscritto al n. 76 reg. ord. 2022.
Non può, peraltro, accogliersi la richiesta, formulata in via subordinata da alcuni intervenienti, di valutare i loro atti di intervento come opinioni scritte ai sensi dell’art. 4-ter delle Norme integrative, vigente ratione temporis: da un lato, infatti, possono rivestire, in forza di tale disposizione, la qualità di amici curiae unicamente le formazioni sociali senza scopo di lucro e i soggetti istituzionali, portatori di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione di costituzionalità; dall’altro, due istituti, (l’intervento e l’opinio dell’amicus curiae) significativamente diversi quanto a presupposti e modalità processuali, non possono concorrere nello stesso atto, né in via alternativa né subordinata.
Del resto, questa Corte ha già più volte sottolineato che la ratio dell’intervento nel giudizio costituzionale è radicalmente diversa, anche sotto il profilo della legittimazione, da quella sottesa alle opinioni degli amici curiae, come diversi sono i termini per l’ingresso in giudizio e le relative facoltà processuali (sentenze n. 259, n. 221 e n. 121 del 2022).
4.– Non sono fondate le eccezioni di inammissibilità svolte negli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Le ordinanze di rimessione recano una adeguata motivazione, in punto di non manifesta infondatezza, delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, indicando le ragioni per le quali sono evocati i parametri di volta in volta menzionati.
I rimettenti hanno, inoltre, ritenuto preclusa l’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate, in ragione della loro univoca formulazione letterale, e ciò consente di superare il vaglio di ammissibilità delle questioni incidentali sollevate, attenendo invece al merito, e cioè alla successiva verifica di fondatezza delle questioni stesse, la correttezza o meno dell’esegesi presupposta (ex multis, sentenze n. 219 e n. 174 del 2022, n. 204 e n. 172 del 2021, n. 150 del 2020 e n. 189 del 2019).
Infine, non possono essere accolte le eccezioni di inammissibilità formulate per l’assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata con riguardo alla previsione di un obbligo vaccinale per alcune categorie di lavoratori ed alle conseguenze che le norme censurate riconnettono all’inadempimento di tale obbligo, quanto, in particolare, alla mancata erogazione di un assegno alimentare in favore del lavoratore sospeso ed alla mancata adibizione dello stesso a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione: invero, i rimettenti hanno chiesto di colmare le lacune conseguenziali all’eventuale accoglimento delle questioni, riconoscendo tali diritti ai lavoratori sospesi per mancato assolvimento dell’obbligo di vaccinazione, mentre l’aspetto inerente alla correttezza di siffatte integrazioni afferisce al merito delle questioni (ex multis, sentenza n. 233 del 2018).
5.– Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Lombardia con l’ordinanza iscritta al n. 86 del registro ordinanze 2022 sono inammissibili.
Il Tribunale rimettente, invero, disattendendo la contraria eccezione proposta dai resistenti, ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto, pur rientrando il rapporto di lavoro dedotto nel giudizio a quo nell’ambito dell’impiego pubblico privatizzato, il petitum sostanziale della controversia contesta l’effetto legale automatico conseguente all’esercizio del potere vincolato di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, ovvero l’immediata sospensione dal servizio senza la previsione di una retribuzione, ancorché ridotta, e senza l’attribuzione di adeguate misure di sostegno. Pertanto, ad avviso del TAR, pur a fronte di un’attività amministrativa priva di margini di valutazione discrezionale, quale quella delineata dalla disciplina in oggetto a tutela dell’interesse pubblico, si configurerebbe una situazione soggettiva di interesse legittimo del privato, tale da radicare la giurisdizione del giudice amministrativo.
5.1.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il difetto di giurisdizione del giudice a quo determina l’inammissibilità delle questioni, per difetto di rilevanza, quando sia palese e rilevabile ictu oculi (ex plurimis, sentenze n. 79 del 2022, n. 65 e n. 57 del 2021, n. 267 e n. 99 del 2020, n. 189 del 2018, n. 106 del 2013 e n. 179 del 1999).
Qualora sussista l’evidenza del vizio, o nel giudizio a quo siano state sollevate specifiche eccezioni a riguardo, come nel caso di specie, è richiesta al giudice rimettente una motivazione esplicita (sentenze n. 65 del 2021 e n. 267 del 2020), rispetto alla quale spetta a questa Corte una verifica esterna e strumentale al riscontro della rilevanza delle questioni (sentenze n. 24 del 2020, n. 52 del 2018 e n. 269 del 2016).
Orbene, la motivazione, alla stregua della quale il rimettente ha ritenuto di disattendere l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, non supera il vaglio della non implausibilità al quale si attiene questa Corte in relazione alla verifica della rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale.
Invero, nel giudizio principale è stato chiesto l’annullamento degli atti di accertamento del mancato adempimento dell’obbligo vaccinale e di sospensione dal lavoro adottati, nei confronti di una operatrice sociosanitaria, da un’azienda sanitaria pubblica. Come riconosciuto dallo stesso TAR rimettente, i provvedimenti in questione sono stati emessi nell’ambito di un rapporto di impiego pubblico contrattualizzato, in relazione al quale la giurisdizione spetta, in via generale, al giudice ordinario. In particolare, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario qualora la domanda del dipendente pubblico, individuata sulla base del petitum sostanziale in funzione della causa petendi, miri alla tutela di posizioni giuridiche soggettive afferenti al rapporto di lavoro, asseritamente violate da atti illegittimi, tra cui un atto di sospensione dal servizio.
Del resto, le sezioni unite civili della Corte di cassazione, con ordinanza 29 settembre 2022, n. 28429, hanno affermato, in un caso analogo a quello in questa sede in esame, che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto l’annullamento dell’atto di sospensione dall’esercizio della professione sanitaria per mancata ottemperanza all’obbligo vaccinale introdotto dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, venendo primariamente in rilievo il diritto soggettivo a continuare ad esercitare la professione sanitaria.
In conformità a tale orientamento, l’evidente carenza di giurisdizione del giudice rimettente comporta l’inammissibilità delle questioni sollevate dal TAR Lombardia.
6.– In via di preliminare definizione del thema decidendum, occorre richiamare il costante orientamento di questa Corte, secondo cui l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle norme e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione, con esclusione della possibilità di ampliare lo stesso al fine di ricomprendervi questioni formulate dalle parti (ex plurimis, sentenze n. 198 del 2022, n. 230, n. 203, n. 147 e n. 49 del 2021, n. 186 del 2020 e n. 7 del 2019).
Non può quindi essere esaminata la distinta questione prospettata dalla parte costituita nel giudizio iscritto al n. 76 reg. ord. 2022, volta a denunciare il contrasto dell’art. 4-bis del d.l. n. 44 del 2021, come modificato dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito, con l’art. 52 (recte: 53) CDFUE. Né, tanto meno, possono essere prese in considerazione le richieste avanzate dall’ANIEF, amicus curiae nel giudizio iscritto al n. 47 reg. ord. 2022, di verificare la legittimità costituzionale dell’art. 4-ter.2 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, introdotto dal d.l. n. 24 del 2022, in riferimento agli artt. 2, 3, 11 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 20 e 21 CDFUE.
7.– Prima di procedere all’esame delle questioni nel merito, appare opportuno effettuare una sia pur sintetica ricostruzione del quadro normativo, caratterizzato da una rapida evoluzione, connessa all’andamento della crisi pandemica da COVID-19 e alle progressive acquisizioni scientifiche validate dagli organismi tecnici preposti.
7.1.– Le disposizioni sottoposte al giudizio di legittimità costituzionale sono contenute nell’ambito delle misure in materia di tutela della salute adottate per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, valutata come «pandemia» dalla dichiarazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) dell’11 marzo 2020, in considerazione dei livelli di diffusività e gravità raggiunti a livello globale. Il d.l. n. 44 del 2021, come convertito, in particolare, era volto, tra l’altro, a disciplinare in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette al contenimento dell’epidemia e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica, con riferimento soprattutto alle categorie più fragili, anche alla luce dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche acquisite.
7.2.– La relazione al d.l. n 44 del 2021 affermava, così, che «[i]n considerazione dei dati sulla diffusione del SARS-CoV-2 sul territorio nazionale, in termini di numero di casi e dell’indice di trasmissibilità dell’infezione, nonché in relazione al tasso di occupazione delle strutture ospedaliere e dei reparti di terapia intensiva, è ormai evidente come la vaccinazione costituisca un’arma imprescindibile nella lotta alla pandemia, configurandosi come un’irrinunciabile opportunità di protezione individuale e collettiva». In prosieguo la relazione aggiungeva: «[l]’introduzione di un siffatto obbligo per le categorie professionali considerate nasce dalla constatazione che la vaccinazione degli operatori sanitari, unitamente alle altre misure di protezione collettiva e individuale per la prevenzione della trasmissione degli agenti infettivi nelle strutture sanitarie e negli studi professionali, ha valenza multipla: consente di salvaguardare l’operatore rispetto al rischio infettivo professionale, contribuisce a proteggere i pazienti dal contagio in ambiente assistenziale e serve a difendere l’operatività dei servizi sanitari, garantendo la qualità delle prestazioni erogate, e contribuisce a perseguire gli obiettivi di sanità pubblica».
Con l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, «in considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2» è stato introdotto l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario «al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza».
Il comma 1 stabilisce che «[l]a vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati».
Il comma 2 prevede che la vaccinazione può essere omessa e differita in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate attestate dal medico di medicina generale.
Nell’iniziale formulazione dell’art. 4 era previsto, al comma 6, che «[l]’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale [dell’inadempimento all’obbligo vaccinale] determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2». Il successivo comma 8 stabiliva che il datore di lavoro provvedesse ad adibire «il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate», sicché solo quando non fosse possibile l’assegnazione a mansioni diverse, non comportanti rischi di diffusione del contagio, non era dovuta la retribuzione, né «altro compenso o emolumento, comunque denominato».
L’originario comma 10 dell’art. 4, con riguardo ai soggetti per i quali la vaccinazione dovesse essere omessa o differita, onerava invece il datore di lavoro di assegnare comunque i lavoratori a mansioni anche diverse, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, «senza decurtazione della retribuzione».
Il d.l. n. 172 del 2021, come convertito, ha prorogato la durata dell’obbligo vaccinale, estendendola di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021; ha ampliato la platea dei destinatari dell’obbligo di vaccinazione; ha mutato competenze e procedimento in ordine all’accertamento del mancato adempimento dell’obbligo vaccinale; ha disposto che l’atto di accertamento dell’inadempimento, adottato da parte dell’Ordine professionale territorialmente competente, «ha natura dichiarativa e non disciplinare»; ha ricondotto ad esso l’effetto della «immediata sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie»; ha stabilito che «[p]er il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati» (art. 4, comma 5); ha limitato l’obbligo datoriale di adibire a mansioni anche diverse con riguardo ai soli lavoratori ai quali, a causa di accertato pericolo per la salute, la vaccinazione debba essere omessa o differita (art. 5, comma 7).
L’obbligo vaccinale è stato poi esteso:
– ai lavoratori comunque impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie (art. 4-bis del d.l. n. 44 del 2021, introdotto dal d.l. n. 122 del 2021, poi sostituito dalla legge n. 133 del 2021, di conversione del d.l. n. 111 del 2021, poi modificato dal d.l. n. 172 del 2021 e dal d.l. n. 24 del 2022 e rispettive leggi di conversione); per questo personale il comma 4 dell’art. 4-bis, mediante rinvio al comma 3 dell’art. 4-ter, ha comportato sempre che l’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale determina l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro; e che, per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati; non è contemplato l’onere datoriale di adibire ad altre mansioni il lavoratore che non abbia voluto vaccinarsi;
– al personale delle strutture sanitarie e sociosanitarie di cui all’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 (art. 4-ter del d.l. n. 44 del 2021, introdotto dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito); per questo personale il comma 3 dell’art. 4-ter prevede sempre che l’atto di accertamento dell’inadempimento determina l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro; e che per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati; non è contemplato l’onere datoriale di adibire ad altre mansioni il lavoratore che non abbia voluto vaccinarsi;
– al personale scolastico del sistema nazionale di istruzione, delle scuole non paritarie, dei servizi educativi per l’infanzia di cui all’art. 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65 (Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera e), della legge 13 luglio 2015, n. 107), dei centri provinciali per l’istruzione degli adulti, dei sistemi regionali di istruzione e formazione professionali e dei sistemi regionali che realizzano i percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (art. 4-ter, comma 1, lettera a, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, introdotto dall’art. 1 del d.l. n. 172 del 2021, come convertito); per tale personale, il comma 3 del medesimo art. 4-ter prevedeva che l’atto di accertamento dell’inadempimento determinasse l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro e che, per il periodo di sospensione, non fossero dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati. Il comma 4 del medesimo art. 4-ter prevedeva, poi, che i dirigenti scolastici e i responsabili delle dette istituzioni provvedessero alla sostituzione del personale docente, educativo ed amministrativo, tecnico e ausiliario sospeso, mediante l’attribuzione di contratti a tempo determinato, destinati a risolversi di diritto nel momento in cui i soggetti sostituiti potessero riprendere l’attività lavorativa, avendo nel frattempo adempiuto all’obbligo vaccinale. L’art. 8, comma 4, del d.l. n. 24 del 2022, come convertito, ha introdotto, in una fase di regressione della pandemia (vedi relazione al disegno di legge di conversione di tale decreto-legge), l’art. 4-ter.1, che non ha più previsto il divieto di svolgimento dell’attività lavorativa, e l’art. 4-ter.2, che ha invece dettato una specifica disciplina per il personale docente ed educativo della scuola, imponendo al dirigente scolastico, in caso di inosservanza dell’obbligo vaccinale, di utilizzare il docente in attività di supporto all’istituzione scolastica; attività, questa, giova aggiungere, delineata dalla contrattazione collettiva di settore;
– al personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, della polizia locale, degli organismi di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 124, recante «Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto», (art. 4-ter, comma 1, lettera b, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, introdotto dall’art. 2 del d.l. n. 172 del 2021, come convertito). Per questo personale, il comma 3 dell’art. 4-ter prevedeva sempre che l’atto di accertamento dell’inadempimento determinasse l’immediata sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro; e che per il periodo di sospensione, non fossero dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati; non era contemplato l’onere datoriale di adibire ad altre mansioni il lavoratore che non avesse voluto vaccinarsi. Anche tale personale è stato poi assoggettato alla disciplina dell’art. 4-ter.1;
– al personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa alle dipendenze del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e all’interno degli istituti penitenziari per adulti e minori (art. 4-ter, comma 1, lettera c, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, introdotto dall’art. 2 del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, e poi art. 4-ter.1);
– al personale delle università, delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica degli istituti tecnici superiori, nonché dei Corpi forestali delle regioni a statuto speciale (art. 2, comma 1, lettera a, del d.l. n. 1 del 2022, come convertito); in considerazione della tecnica normativa utilizzata (inserimento nell’art. 4-ter del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, del comma 1-bis), anche a questo personale si applicavano le già ricordate disposizioni di cui al comma 3 del medesimo art. 4-ter, per essere poi assoggettato alla disciplina dell’art. 4-ter.1;
– agli studenti dei corsi di laurea impegnati nello svolgimento di tirocini pratico-valutativi finalizzati al conseguimento dell’abilitazione all’esercizio di professioni sanitarie (comma 1-bis dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, introdotto dalla legge n. 3 del 2022, di conversione del d.l. n. 172 del 2021); per questa categoria, la previsione dell’obbligo mediante inserimento nell’ambito dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, comporta l’applicabilità alla stessa delle disposizioni per cui la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione, l’accertamento del mancato assolvimento dell’obbligo determina l’immediata sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie e per il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato;
– agli ultracinquantenni (art. 4-quater del d.l. n. 44 del 2021, introdotto dal d.l. n. 1 del 2022, convertito, con modificazioni, nella legge n. 18 del 2022); l’art. 4-sexies del d.l. n. 44 del 2021, inserito dal medesimo d.l. n. 1 del 2022, ha previsto l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di euro cento in caso di inosservanza degli obblighi vaccinali imposti dall’art. 4-quater, nonché dagli artt. 4, 4-bis e 4-ter, sulla base di vari riferimenti temporali, questa sanzione è stata poi estesa, in forza del d.l. n. 24 del 2022, ai casi di inosservanza dell’obbligo di cui agli artt. 4-ter.1 e 4-ter.2.
7.3.– Quanto alla durata dell’obbligo vaccinale, questa è stata originariamente stabilita sino alla completa attuazione del piano vaccinale di cui all’art. 1, comma 457, della legge n. 178 del 2020 (nell’ambito del quale erano stati individuati gli operatori sanitari e sociosanitari sia pubblici che privati tra le categorie prioritarie, in considerazione del rischio più elevato di esposizione all’infezione da COVID-19 e di trasmissione della stessa a pazienti suscettibili e vulnerabili in contesti sanitari e sociali), e comunque non oltre il 31 dicembre 2021; è stata poi prorogata al 15 giugno 2022 per effetto dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, e ancora al 31 dicembre 2022; questo termine è stato infine anticipato al 1° novembre 2022, con il decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali), convertito, con modificazioni, nella legge 30 dicembre 2022, n. 199, in considerazione, per quanto si legge nel preambolo dello stesso, «dell’andamento della situazione epidemiologica che registra una diminuzione dell’incidenza dei casi di contagio da COVID-19 e una stabilizzazione della trasmissibilità sebbene al di sopra della soglia epidemica [e della] necessità di riavviare un progressivo ritorno alla normalità nell’attuale fase post pandemica, nella quale l’obiettivo da perseguire è il controllo efficace dell’endemia».
8.– Le questioni di legittimità costituzionale, indicate nel precedente punto 1 attengono, dunque, alla disciplina degli obblighi vaccinali, e alle conseguenti ricadute sul rapporto di lavoro in caso di inosservanza dell’obbligo, per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socioassistenziali e sociosanitarie nonché nelle strutture di cui all’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 e per il personale scolastico.
9.– Per il loro carattere logicamente preliminare, perché aventi ad oggetto l’introduzione dell’obbligo vaccinale come tale per le riferite categorie di lavoratori del settore della sanità, devono essere scrutinate dapprima le questioni sollevate dal Tribunale di Padova nei confronti dell’art. 4-bis, comma 1, e all’art. 4, commi 1, 4 e 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, modificati dapprima dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito, e poi dal d.l. n. 24 del 2022, come convertito, censurati in riferimento agli artt. 3, 4, 32 e 35 Cost.
10.– Tali questioni non sono fondate in riferimento ad alcuno dei parametri evocati.
10.1.– Occorre, innanzitutto, precisare che tra questi parametri non possono essere considerati quelli desumibili dal regolamento UE n. 953/2021 e dal principio di proporzionalità, di cui all’art. 52, paragrafo 3, CDFUE. Difetta, invero, ogni riferimento, tanto nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, quanto nella sua motivazione, all’art. 117, primo comma, Cost., eventualmente invocato insieme all’art. 11 Cost., che costituiscono il tramite attraverso il quale è possibile dedurre, in un giudizio di legittimità costituzionale, la violazione, da parte di una disposizione di legge nazionale, della normativa europea (ordinanza n. 215 del 2022).
Deve, pertanto, ritenersi che gli indicati richiami contenuti nell’ordinanza di rimessione altro valore non abbiano che quello di concorrere a delineare la portata e il significato delle disposizioni costituzionali evocate.
10.2.– Giova preliminarmente ricordare che, in base alla costante giurisprudenza costituzionale, l’imposizione di un trattamento sanitario, e di un obbligo vaccinale, in particolare, può ritenersi compatibile con l’art. 32 Cost., al ricorrere di tre presupposti: «a) “se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale” (cfr. sentenza n. 307 del 1990); b) se vi sia “la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili” (ivi); c) se nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio – ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica – sia prevista comunque la corresponsione di una “equa indennità” in favore del danneggiato (cfr. sentenza 307 cit. e v. ora legge n. 210/1992)» (sentenza n. 258 del 1994; nello stesso senso, sentenza n. 5 del 2018).
10.2.1.– Il Tribunale di Padova dubita che ricorra il primo di tali presupposti, cioè che, nella specie, il trattamento imposto con l’obbligo vaccinale sia stato diretto a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è stato assoggettato e quello degli altri consociati.
A differenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (ordinanza iscritta al n. 38 reg. ord. 2022, anch’essa discussa nella udienza pubblica del 30 novembre, su cui questa Corte si è pronunciata con la sentenza n. 14 del 2023), il Tribunale di Padova non prospetta dubbi di legittimità costituzionale quanto alla incidenza negativa sullo stato di salute di colui che è assoggettato al trattamento sanitario obbligatorio.
L’ordinanza di rimessione, infatti, sul rilievo che per il personale soggetto all’obbligo vaccinale (nel caso di specie, lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie) il trattamento sanitario è stato imposto non a tutela della salute dei lavoratori, ma di quella degli ospiti che ricevono cura ed assistenza in tali strutture, ritiene che quell’obbligo non sarebbe idoneo a raggiungere lo scopo di preservare la salute degli ospiti, essendo notorio il fatto che la persona che si è sottoposta al ciclo vaccinale può comunque contrarre il virus e quindi contagiare gli altri. Gli stessi dati offerti dall’ISS nei rapporti relativi all’andamento delle infezioni e alla efficacia vaccinale pubblicati il 21 gennaio e il 6 aprile 2022 denoterebbero una progressiva diminuzione dell’efficacia dei vaccini. In questo contesto, sostiene il Tribunale, la garanzia che un lavoratore che si sia sottoposto a vaccinazione non si infetti successivamente e non possa quindi contagiare nessuno sarebbe pari a zero; al contrario, sia pure per un tempo limitato, l’effettuazione di un tampone con risultato negativo offrirebbe una garanzia della inesistenza del virus e della impossibilità di contagiare certamente superiore a zero.
La compressione del diritto alla salute, sub specie di diritto all’autodeterminazione terapeutica, non troverebbe, quindi, giustificazione nell’esigenza di tutelare l’interesse della collettività, e segnatamente l’interesse alla salute degli ospiti delle strutture considerate, con conseguente violazione dell’art. 32 Cost. e irragionevolezza della misura.
Il rimettente sottopone, quindi, a questa Corte il dubbio sulla legittimità costituzionale della norma che ha introdotto l’obbligo vaccinale per il personale sanitario, così privilegiando la tutela della salute come interesse della collettività, a scapito della tutela della salute del singolo individuo.
10.3.– Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il contemperamento del diritto alla salute del singolo (comprensivo del profilo negativo di non essere assoggettato a trattamenti sanitari non richiesti o non accettati) con l’interesse della collettività costituisce il contenuto proprio dell’art. 32 Cost. (sentenze n. 5 del 2018, n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990) e rappresenta una specifica concretizzazione dei doveri di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., nella quale si manifesta «la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 75 del 1992).
E la sentenza n. 218 del 1994 ha avuto modo di affermare che la tutela della salute implica anche il «dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri. Le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell’interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari».
10.3.1.– Le misure approntate dal legislatore non possono, nel caso di specie, non essere valutate tenendo conto della situazione determinata da «un’emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari» (sentenza n. 37 del 2021).
Peculiarità, si deve sottolineare, risultante anche e soprattutto dalle indicazioni formulate dai competenti organismi internazionali.
Invero, l’OMS, con la dichiarazione del 30 gennaio 2020, ha valutato l’epidemia da COVID-19 come un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale.
Successivamente, in considerazione dei livelli di diffusività e gravità raggiunti a livello globale, con la dichiarazione dell’11 marzo 2020, l’OMS ha valutato la situazione sanitaria come «pandemia».
L’OMS, la Commissione europea ed altri organismi internazionali si sono impegnati da subito per il coordinamento della ricerca scientifica e la successiva somministrazione del vaccino.
Già il 20 aprile 2020 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione volta a consentire che gli Stati agissero in modo unito e coordinato contro la pandemia, auspicando un rafforzamento della cooperazione internazionale finalizzata in particolare alla ricerca di trattamenti farmacologici specifici.
Il 19 maggio 2020 l’Assemblea dell’OMS ha invitato gli Stati membri a promuovere attività di ricerca volte alla scoperta di un vaccino da rendere disponibile alle popolazioni di tutti gli Stati.
La Commissione europea, quindi, ha elaborato una strategia comune per l’impiego dei vaccini attraverso le Comunicazioni del 17 giugno 2020 (Strategia dell’Unione europea per i vaccini contro la Covid-19) e del 15 ottobre 2020 (Preparazione per le strategie di vaccinazione e la diffusione di vaccini contro la COVID-19).
Il Consiglio d’Europa ha poi approvato la risoluzione n. 2361/2021 del 27 gennaio 2021, relativa alla distribuzione e alla somministrazione dei vaccini, sottolineando la necessità della massima collaborazione fra gli Stati per assicurare una campagna vaccinale efficiente.
In Italia, il Consiglio dei ministri, con deliberazione del 31 gennaio 2020, ha dichiarato, unicamente ai sensi e per gli effetti dell’art. 7, comma 1, lettera c), e dell’art. 24, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della protezione civile), lo stato di emergenza sanitaria sul territorio nazionale, per sei mesi, proprio in relazione al rischio connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili.
Lo stato di emergenza è stato poi prorogato con diversi provvedimenti fino al 31 marzo 2022, e solo con il d.l. n. 24 del 2022, come convertito, ne è stata disposta la cessazione.
Proprio per effetto dell’intervento pubblico e del sostegno dato alla ricerca scientifica, sono stati approntati – in tempi particolarmente rapidi – vari vaccini finalizzati a contrastare la diffusione del virus. Una volta che questi sono divenuti disponibili, si è quindi proceduto alla predisposizione di uno specifico piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2 (decreti del Ministro della salute 2 gennaio e 12 marzo 2021, adottati ai sensi dell’art. 1, comma 457, della legge n. 178 del 2020) e, solo nell’aprile del 2021, è stato introdotto l’obbligo vaccinale qui in discussione.
È importante sottolineare sin d’ora che l’obbligo di vaccinazione è stato gradualmente introdotto dal legislatore solo dopo alcuni mesi dall’avvio della campagna vaccinale di cui al citato piano, tenendo conto, evidentemente, della non completa adesione allo stesso nell’ambito delle categorie interessate. Il legislatore ha quindi reputato necessaria l’imposizione dell’obbligo «al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza» (art. 4, comma 1, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito).
Alla luce di tale premessa, questa Corte è chiamata a valutare se l’imposizione dell’obbligo vaccinale fosse compatibile con i principi costituzionali.
10.3.2.– In questa prospettiva – nel complesso presa in esame, unitamente alla presente pronuncia, anche e più ampiamente dalla richiamata sentenza n. 14 del 2023 –, l’evoluzione della ricerca scientifica e le determinazioni assunte dalle autorità, sovranazionali e nazionali preposte alla tutela della salute, assumono un rilievo assai significativo. È costante, infatti, nella giurisprudenza costituzionale l’affermazione per cui il sindacato sulla non irragionevolezza della scelta del legislatore di incidere sul diritto fondamentale alla salute, anche sotto il profilo della libertà di autodeterminazione, va effettuato alla luce della concreta situazione sanitaria ed epidemiologica in atto. Invero, nelle ipotesi di conflitto tra i diritti contemplati dall’art. 32 Cost., la discrezionalità del legislatore «deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte» (sentenze n. 5 del 2018 e n. 268 del 2017). Significative sono altresì le «acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002)» (sentenza n. 5 del 2018).
Un intervento in tali ambiti, dunque, «non potrebbe nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore, bensì dovrebbe prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali o sovranazionali – a ciò deputati» (sentenze n. 162 del 2014 e n. 8 del 2011), anche in ragione dell’«“essenziale rilievo” che, a questi fini, rivestono “gli organi tecnico-scientifici” (cfr. sentenza n. 185 del 1998); o comunque dovrebbe costituire il risultato di una siffatta verifica» (sentenza n. 282 del 2002).
Di tali presupposti risulta, del resto, essere stata pienamente consapevole l’autorità competente in materia. Si legge, infatti, nel Piano strategico nazionale dei vaccini approvato con il citato d.m. 12 marzo 2021, che «[L]e raccomandazioni [sui gruppi target a cui offrire la vaccinazione] saranno soggette a modifiche e verranno aggiornate in base all’evoluzione delle conoscenze e alle informazioni su efficacia vaccinale e/o immunogenicità in diversi gruppi di età e fattori di rischio, sulla sicurezza della vaccinazione in diversi gruppi di età e gruppi a rischio, sull’effetto del vaccino sull’acquisizione dell’infezione, e sulla trasmissione o sulla protezione da forme gravi di malattia […]».
10.3.3.– Il fatto che il legislatore abbia operato le proprie scelte sulla base di valutazioni e di dati di natura medico-scientifica, tuttavia, non vale a sottrarre quelle scelte al sindacato di questa Corte, ma comporta che lo stesso dovrà avere ad oggetto l’accertamento della non irragionevolezza e della proporzionalità della disciplina rispetto al dato scientifico posto a disposizione.
Già la sentenza n. 114 del 1998, infatti, ha chiarito che quando la scelta legislativa si fonda su riferimenti scientifici, «perché si possa pervenire ad una declaratoria di illegittimità costituzionale occorre che i dati sui quali la legge riposa siano incontrovertibilmente erronei o raggiungano un tale livello di indeterminatezza da non consentire in alcun modo una interpretazione ed una applicazione razionali da parte del giudice».
10.3.4.– Si deve allora verificare se la scelta del legislatore di introdurre l’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari, anche alla luce della situazione pandemica esistente, sia coerente rispetto alle conoscenze medico-scientifiche del momento (sentenza n. 5 del 2018), quali risultanti dalle rilevazioni e dagli studi elaborati dagli organismi (nazionali e sovranazionali) istituzionalmente preposti al settore, e in particolare dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), dall’ISS e dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA).
Si sono già ricordati, sia pure sinteticamente (punto 10.3.1.), l’importanza attribuita alla ricerca scientifica finalizzata alla predisposizione di vaccini efficaci contro il virus SARS-CoV-2 e l’impegno degli organismi sovranazionali nel rendere possibile la vaccinazione della popolazione nella misura più ampia. È opportuno rilevare anche che la ridotta disponibilità iniziale di dosi ha reso necessario procedere all’attuazione del piano vaccinale prevedendo, appunto, la vaccinazione del personale sanitario in via prioritaria (alla possibile, assai limitata disponibilità delle dosi di vaccino all’inizio dell’attuazione del programma vaccinale fa riferimento il già citato Piano strategico vaccinale). L’introduzione dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario deve quindi essere collocata in una fase nella quale il legislatore ha dovuto, dapprima, tenere conto della effettiva disponibilità di trattamenti vaccinali e successivamente, estendere l’obbligo in questione a ulteriori categorie, secondo valutazioni fondate sul necessario bilanciamento tra costi e benefici.
La disciplina introdotta dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, ha poi subito nel tempo diverse modifiche, in relazione sia alle categorie alle quali doveva essere esteso l’obbligo vaccinale, sia alle conseguenze legate all’inadempimento dello stesso, sia, infine, all’individuazione della sua durata, sulla base del più generale presupposto – già ricordato – che gli interventi normativi finalizzati alla riduzione della circolazione del virus dovessero essere calibrati rispetto all’andamento della situazione sanitaria e delle acquisizioni scientifiche.
In particolare, la disposizione censurata, nella sua versione originaria, prevedeva una precisa scadenza dell’obbligo vaccinale, fissata al 31 dicembre 2021.
L’ambito soggettivo era limitato dal comma 1 dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 agli «esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali». In sede di conversione, l’obbligo è stato riferito agli «esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali». Nel tempo, e sulla base dell’andamento dell’evoluzione della pandemia, nonché di scelte conseguenti alle determinazioni circa la frequenza delle scuole in presenza, alle categorie indicate al precedente punto 7.2.
La durata dell’obbligo è stata più volte modificata, sempre in base all’andamento dei contagi e all’evoluzione della pandemia, subendo diverse proroghe fino al 31 dicembre 2022, per poi essere infine anticipata, come detto, al 1° novembre 2022.
11.– Tanto premesso, si può ora procedere all’esame delle censure formulate dal Tribunale di Padova.
11.1.– Contrariamente all’assunto del giudice rimettente, gli stessi dati esposti nei rapporti dell’ISS menzionati nell’ordinanza di rimessione, lungi dall’evidenziare la inutilità dei vaccini, dimostrano come, soprattutto nella fase iniziale della campagna di vaccinazione, l’efficacia del vaccino – intesa quale riduzione percentuale del rischio rispetto ai non vaccinati – sia stata altamente significativa tanto nel prevenire l’infezione da SARS-CoV-2, quanto nell’evitare casi di malattia severa; e come tale efficacia sia aumentata in rapporto al completamento del ciclo vaccinale.
«[I]n presenza di un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che può venire contratto da chiunque (sentenza n. 127 del 2022)», la decisione del legislatore di introdurre l’obbligo vaccinale in esame (nei limiti soggettivi e temporali di cui si è detto) non può, dunque, reputarsi irragionevole, in quanto è sorretta dalle indicazioni delle competenti Autorità nazionali e sovranazionali alla luce della gravità della situazione che tale vaccinazione era destinata ad affrontare.
La scelta si è rivelata, altresì, ragionevolmente correlata al fine perseguito di ridurre la circolazione del virus attraverso la somministrazione dei vaccini.
La stessa circostanza, evidenziata dal rimettente, che il Ministero della salute abbia dichiarato «tassativamente falsa l’affermazione secondo cui se ho fatto il vaccino contro SARS-CoV-2 e anche il richiamo con la terza dose non posso ammalarmi di Covid-19 e non posso trasmettere l’infezione agli altri», non vale ad inficiare la scelta operata dal legislatore di prescrivere, per le diverse categorie degli operatori sanitari, l’obbligo vaccinale, ma solo a rendere consapevoli i soggetti vaccinati della inevitabile impossibilità di restare del tutto immuni dalla malattia e, ancora prima, dal contagio. Invero, l’affermazione che un vaccino sia efficace solo se esso produca una immunizzazione pari al 100 per cento delle somministrazioni, da un lato, non può ritenersi sorretta da un’adeguata dimostrazione scientifica; dall’altro, non esclude affatto che, in una situazione caratterizzata da una rapidissima circolazione del virus, i vaccini fossero idonei a determinare una significativa riduzione di quella circolazione, con ricadute tanto più apprezzabili in ambienti o in luoghi destinati ad ospitare persone fragili o, comunque, bisognose di assistenza.
Come osservato dall’ISS, «anche se l’efficacia vaccinale non è pari al 100 per cento (come del resto per tutti gli altri vaccini), l’elevata circolazione del virus SARS CoV-2 rende comunque rilevante la quota di casi prevenibile mediante la somministrazione dei vaccini» (sul punto, e più in generale sui dati medico-scientifici a disposizione del legislatore, si veda anche la sentenza n. 14 del 2023, punti 10 e seguenti).
In base a tali considerazioni, l’imposizione di un obbligo vaccinale selettivo, come condizione di idoneità per l’espletamento di attività che espongono gli operatori ad un potenziale rischio di contagio, e dunque a tutela della salute dei terzi e della collettività, si connota quale misura sufficientemente validata sul piano scientifico.
11.2.– Può quindi affermarsi che le disposizioni qui censurate hanno operato un contemperamento del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività. L’estensione dell’obbligo vaccinale ai lavoratori impiegati in strutture residenziali, socioassistenziali e sociosanitarie (le quali vengono in rilievo nel giudizio a quo, potendosi comunque riferire la medesima valutazione a tutte le strutture sanitarie, pubbliche e private) ha costituito, in tale prospettiva, attuazione dell’art. 32 Cost., inteso quest’ultimo come comprensivo del dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, prevenendo il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2 in danno delle categorie più fragili.
E si è trattato di decisione idonea allo scopo che il legislatore si era prefisso, in quanto l’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari ha consentito di perseguire, oltre che la tutela della salute di una delle categorie più esposte al contagio, «il duplice scopo di proteggere quanti entrano con loro in contatto e di evitare l’interruzione di servizi essenziali per la collettività» (sentenza n. 268 del 2017).
In particolare, era necessario assumere iniziative che, nel loro complesso, consentissero di proteggere la salute dei singoli e, ad un tempo, di porre le strutture sanitarie al riparo dal rischio di non poter svolgere la propria insostituibile funzione per la mancanza di operatori sanitari. In proposito, è agevole rilevare che il contagio subito dal personale sanitario ha ricadute non solo sulla salute dei singoli, potendo dallo stesso derivare la compromissione del funzionamento del servizio sanitario nazionale in un periodo in cui, come visto, era indispensabile poter su di esso fare affidamento per assicurare cure adeguate ad una imprevedibile quantità di malati.
Del resto, questa Corte – esaminando una legge regionale che ha previsto la facoltà della Giunta regionale di individuare i reparti dove consentire l’accesso ai soli operatori che si fossero attenuti alle indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente per i soggetti a rischio per esposizione professionale – ha già avuto modo di valorizzare, con riferimento alla vaccinazione degli operatori sanitari, lo «scopo di prevenire e proteggere la salute di chi frequenta i luoghi di cura: anzitutto quella dei pazienti, che spesso si trovano in condizione di fragilità e sono esposti a gravi pericoli di contagio, quella dei loro familiari, degli altri operatori e, solo di riflesso, della collettività. Tale finalità […] è del resto oggetto di attenzione da parte delle società medico-scientifiche, che segnalano l’urgenza di mettere in atto prassi adeguate a prevenire le epidemie in ambito ospedaliero, sollecitando anzitutto un appropriato comportamento del personale sanitario, per garantire ai pazienti la sicurezza nelle cure» (sentenza n. 137 del 2019).
11.3.– Non può certamente ritenersi che la previsione, per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, dell’obbligo di sottoporsi a test diagnostici dell’infezione da SARS-CoV-2 con una elevata frequenza, anziché al vaccino, costituisca un’alternativa idonea ad evidenziare la irragionevolezza o la non proporzionalità della soluzione prescelta dal legislatore.
Invero, la soluzione alternativa proposta dal rimettente è stata utilizzata in ambiti più generali, per l’accesso ai luoghi pubblici da parte di persone non appartenenti a categorie soggette a vaccinazione obbligatoria. Tuttavia, non può non considerarsi, innanzitutto, che, nel caso degli operatori sanitari, tale soluzione sarebbe stata del tutto inidonea a prevenire la malattia (specie grave) degli stessi operatori, con il conseguente rischio di compromettere il funzionamento del servizio sanitario nazionale. Inoltre, l’effettuazione periodica di test antigenici con una cadenza particolarmente ravvicinata (e cioè ogni due o tre giorni) avrebbe avuto costi insostenibili e avrebbe comportato uno sforzo difficilmente tollerabile per il sistema sanitario, già impegnato nella gestione della pandemia (in tal senso vedi anche le considerazioni contenute nella sentenza n. 14 del 2023).
La circostanza – evidenziata dal rimettente – che i tamponi possono essere effettuati anche presso le farmacie e che il costo degli stessi è a carico del lavoratore interessato, non tiene conto del fatto che la gestione dei tamponi grava interamente sul servizio sanitario nazionale (si veda, in proposito, la sentenza n. 171 del 2022, con la quale è stata ritenuta non irragionevole la scelta del legislatore nazionale di escludere le parafarmacie dalla possibilità di effettuare tamponi per l’accertamento del virus SARS-CoV-2, proprio sul rilievo dell’inserimento del sistema delle farmacie, e solo di queste, nell’ambito del servizio sanitario nazionale).
Non appare perciò irragionevole la scelta legislativa di estendere l’obbligo vaccinale ai lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, e, in genere, ai lavoratori del settore della sanità, per aver indebitamente e sproporzionatamente sacrificato la libera autodeterminazione individuale in vista della tutela degli altri beni costituzionali coinvolti ed evitato di propendere per l’opzione alternativa, propugnata dal Tribunale di Padova, di prescrivere la sottoposizione dei lavoratori di tale comparto a periodici test molecolari o antigenici per la rilevazione di SARS-CoV-2.
11.4.– La decisione del legislatore risulta altresì non sproporzionata.
La conseguenza del mancato adempimento dell’obbligo è rappresentata dalla sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, che è destinata a venire meno in caso di adempimento dell’obbligo e, comunque, per la cessazione dello stato di crisi epidemiologica. Il correlato sacrificio del diritto dell’operatore sanitario non ha la natura e gli effetti di una sanzione (come di seguito si chiarirà ai punti 12.1. e 14.4.), non eccede quanto necessario per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, è stato costantemente modulato in base all’andamento della situazione sanitaria e si rivela altresì idoneo e necessario a questo stesso fine.
11.5.– Sulla base delle considerazioni sin qui svolte, deve essere dichiarata non fondata, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4-bis, comma 1, e 4, commi 1, 4 e 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e successivamente modificato.
12.– La questione è altresì non fondata con riferimento agli artt. 4 e 35 Cost.
12.1.– All’inosservanza dell’obbligo vaccinale, la legge impositiva dello stesso attribuisce rilevanza meramente sinallagmatica, cioè solo sul piano degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di lavoro, quale evento determinante la sopravvenuta e temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere attività lavorative che comportassero, in qualsiasi altra forma e in considerazione delle necessità dell’ambiente di cura, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.
Essendo la vaccinazione elevata dalla legge a requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati, il datore di lavoro, messo a conoscenza della accertata inosservanza dell’obbligo vaccinale da parte del lavoratore, è stato tenuto ad adottare i provvedimenti di sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale, ovvero fino al completamento del piano vaccinale nazionale o comunque fino al termine stabilito dalla stessa legge.
In tal senso, la sospensione del lavoratore non vaccinato, prevista dalla disposizione censurata, è in sintonia con l’obbligo di sicurezza imposto al datore di lavoro dall’art. 2087 del codice civile e dall’art. 18 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), con valenza integrativa del contenuto sinallagmatico del contratto individuale di lavoro. Avendo riguardo alla posizione dei lavoratori, la vaccinazione anti SARS-CoV-2 ha, a sua volta, ampliato il novero degli obblighi di cura della salute e di sicurezza prescritti dall’art. 20 del d.lgs. n. 81 del 2008, nonché degli obblighi di prevenzione e controllo stabiliti dal successivo art. 279 per i lavoratori addetti a particolari attività.
12.2.– Il diritto fondamentale al lavoro, garantito nei principi enunciati dagli artt. 4 e 35 Cost., avuto riguardo al dipendente che abbia scelto di non adempiere all’obbligo vaccinale, nell’esercizio della libertà di autodeterminazione individuale attinente alle decisioni inerenti alle cure sanitarie, tutelata dall’art. 32 Cost., non implica necessariamente il diritto di svolgere l’attività lavorativa ove la stessa costituisca fattore di rischio per la tutela della salute pubblica e per il mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza.
Non è dunque in discussione il diritto del lavoratore, esercente una professione sanitaria o operatore di interesse sanitario, o impiegato in strutture residenziali, socioassistenziali e sociosanitarie, che non abbia inteso assolvere all’obbligo vaccinale, di rendere la propria prestazione lavorativa. È piuttosto da verificare se il legislatore, disponendo la sospensione del lavoratore dal servizio fino all’assolvimento di detto obbligo, o fino al completamento del piano vaccinale nazionale, o ancora fino al termine stabilito dalla stessa normativa, pur nell’ampio margine di apprezzamento di cui dispone al fine di dettare i tempi ed i modi del bilanciamento dei valori sottesi agli artt. 4, 32 e 35 Cost., abbia trascurato il rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza (sentenze n. 125 del 2022, n. 59 del 2021 e n. 194 del 2018).
Il che, per le ragioni esposte (supra, punti 11.1. e seguenti), deve escludersi.
13.– Devono ora affrontarsi le questioni relative all’art. 4, comma 7, nonché all’art. 4-ter, comma 2, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, sollevate, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 4, 32 e 35 Cost. nei giudizi di cui ai numeri 71, 76, 77, 107 e 108 reg. ord. 2022, nella parte in cui, per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario e per il personale che svolge la propria attività lavorativa nelle strutture sanitarie e sociosanitarie, limitano ai soggetti per i quali la vaccinazione può essere omessa o differita l’adibizione a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, e non prevedono che la medesima disciplina si applichi anche nei confronti del personale rimasto privo di vaccinazione per una libera scelta individuale.
13.1.– I rimettenti osservano che le disposizioni censurate discriminano ingiustificatamente, ai fini della ricollocazione, coloro che scelgano di non vaccinarsi, a differenza di quanto stabilito per i soggetti per i quali la vaccinazione può essere omessa o differita, oppure per il personale docente ed educativo della scuola, con riferimento al quale è imposto al dirigente scolastico di utilizzare il lavoratore inadempiente all’obbligo vaccinale in attività di supporto alla istituzione scolastica.
13.2.– Anche tali questioni devono essere dichiarate non fondate.
13.3.– Si sono delineati nel precedente punto 7 i tratti caratterizzanti del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, in forza del quale il legislatore ha imposto temporaneamente un obbligo selettivo di vaccinazione a lavoratori che prestano servizio in alcuni settori connotati da una percentuale di rischio di contagio da SARS-CoV-2, in considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2 e allo scopo altresì di mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza. Connotandosi la vaccinazione come «requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati», la mancata sottoposizione ad essa ha dato luogo a una sopravvenuta provvisoria impossibilità per il dipendente di svolgere attività lavorative comportanti il rischio di diffusione del contagio. Il datore di lavoro, venuto a conoscenza della inosservanza dell’obbligo vaccinale da parte del lavoratore, è stato vincolato ad adottare il provvedimento di sospensione dal servizio.
13.4.– A fronte dell’iniziale soluzione prescelta nella versione originaria dell’art. 4, comma 8, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, che onerava il datore di lavoro ad adibire, «ove possibile, a mansioni, anche inferiori», purché diverse da quelle che implicassero contatti interpersonali o comportassero il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, a seguito della modifica introdotta dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito, sulla base dei dati prodotti dall’ISS nel novembre 2021, il legislatore ha scelto di non esigere più dal datore di lavoro, nei rapporti riguardanti lavoratori esercenti le professioni sanitarie o operatori di interesse sanitario, o impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie (a differenza di quanto stabilito per il personale docente ed educativo della scuola), uno sforzo di cooperazione volto alla utilizzazione del personale inadempiente in altre mansioni, mediante adozione di diverse modalità di esecuzione delle rispettive prestazioni lavorative.
La disciplina censurata poggia, quindi, sull’evidente presupposto che per i menzionati comparti lavorativi, con riferimento ai quali la legge ha avvertito la speciale esigenza di mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, ovvero di servizi svolti a contatto con persone in situazione di fragilità, non poteva obbligarsi il datore di lavoro ad adibire i soggetti che non avessero inteso vaccinarsi a mansioni comunque idonee ad evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, come è invece richiesto dall’art. 4, comma 7, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, per i soggetti che avessero dovuto omettere o differire la vaccinazione in ragione di un accertato pericolo per la salute.
La disposizione censurata si fonda sul rilievo che un più ampio dovere datoriale di cosiddetto repêchage, quale quello auspicato dai rimettenti, non fosse compatibile con le specificità di tali organizzazioni aziendali, se non al rischio di mettere in pericolo la salute del lavoratore stesso, degli altri lavoratori e dei terzi, portatori di interessi costituzionali prevalenti sull’interesse del dipendente di adempiere per poter ricevere la retribuzione. Le disposizioni censurate hanno escluso, cioè, l’opportunità di addossare al datore un obbligo generalizzato di adottare accomodamenti organizzativi, non ravvisando, in rapporto alle categorie professionali in esame, le condizioni della fungibilità e della sia pur parziale idoneità lavorativa residua del dipendente non vaccinato, condizioni sempre necessarie, in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione, per giustificare la permanenza di un apprezzabile interesse datoriale a una diversa prestazione lavorativa.
13.5.– È vero, del resto, che la situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa in cui si viene a trovare il dipendente che non abbia adempiuto all’obbligo vaccinale deriva pur sempre da una scelta individuale di quest’ultimo e non da un fatto oggettivo. Nondimeno il legislatore, proprio nel rispetto della eventuale scelta del lavoratore di non attenersi all’obbligo vaccinale, si è limitato a prevedere la sospensione del rapporto di lavoro, disciplinando la fattispecie alla stregua di una impossibilità temporanea non imputabile. Di conseguenza, poiché la prestazione offerta dal lavoratore che non si è sottoposto all’obbligo vaccinale non è conforme al contratto, come integrato dalla legge, è certamente giustificato il rifiuto della stessa da parte del datore di lavoro e lo stato di quiescenza in cui entra l’intero rapporto è semplicemente un mezzo per la conservazione dell’equilibrio giuridico-economico del contratto.
Parimenti, poiché il datore di lavoro può eccepire l’inosservanza dell’obbligo di sicurezza da parte del lavoratore e pertanto rifiutarsi di ricevere la sua prestazione fino a quando questi non provveda a vaccinarsi, neppure egli è stato costretto dal legislatore ad adeguare la propria organizzazione per assegnare al dipendente mansioni che non comportassero il rischio di contagio da SARS-CoV-2; ciò tanto più comprensibilmente nel contesto di quegli specifici comparti normativamente selezionati per la particolare incidenza del fine di tutela della salute pubblica e del mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione dei rispettivi servizi, svolti a contatto con soggetti in situazione di fragilità.
Per effetto del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, che ha fatto venir meno il dovere datoriale di repêchage a mansioni disponibili non comportanti un rischio di contagio (se non per i soggetti esentati dalla vaccinazione per motivi di salute), il datore di lavoro che rifiuta la prestazione del lavoratore non versa, pertanto, in mora credendi, essendo, piuttosto, tale rifiuto implicato dalla carenza di un requisito essenziale di carattere sanitario per lo svolgimento della prestazione stessa.
13.6.– Il bilanciamento dei principi sottesi agli artt. 4, 32 e 35 Cost., realizzato dal legislatore nella individuazione dei tempi e dei modi della vaccinazione, risulta perciò esercitato negli artt. 4, comma 7, e 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, in modo non irragionevole.
La scelta operata di non prevedere per i lavoratori, esercenti le professioni sanitarie o operatori di interesse sanitario, o impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, che avessero deciso di non vaccinarsi, un obbligo del datore di lavoro di adibizione a mansioni anche diverse, a differenza di quanto invece stabilito per coloro che dovessero omettere o differire la vaccinazione a causa di accertato pericolo per la salute o per il personale docente ed educativo della scuola, non risulta contraria ai principi di eguaglianza e di ragionevolezza. Tale scelta, giacché correlata alle condizioni di idoneità richieste per l’espletamento di peculiari attività lavorative, appare, piuttosto, suffragata dalla necessità dell’adozione di misure provvisorie, indispensabilmente collegate alla evoluzione delle conoscenze scientifiche, culminando in un bilanciamento tra il diritto fondamentale al lavoro del dipendente, la libertà di autodeterminazione individuale attinente alle decisioni inerenti alle cure sanitarie e la tutela della salute pubblica, cui si correla l’esigenza di mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza.
Il diverso trattamento normativo cui sono soggetti i lavoratori esercenti le professioni sanitarie o operatori di interesse sanitario, o impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, è giustificato dal maggior rischio di contagio sia per se stessi che per le persone particolarmente fragili in relazione al loro stato di salute o all’età avanzata; e ciò costituisce ragione sufficiente per regolare diversamente le conseguenze della mancata sottoposizione a vaccinazione rispetto a lavoratori, quali quelli occupati negli istituti scolastici, che rendono le loro prestazioni in situazioni non omogenee, così come rispetto a lavoratori che siano esentati dalla vaccinazione per motivi di salute.
Alla scelta del legislatore non è stata verosimilmente estranea neppure la considerazione che l’obbligo di ripescaggio costituisce per il datore di lavoro un significativo fattore di rigidità organizzativa, dal quale, non irragionevolmente, si sono volute sollevare le strutture sanitarie e assistenziali, quelle più esposte, cioè, all’impatto della pandemia.
13.7.– Non può, del resto, non considerarsi che la adibizione a mansioni diverse, prescritta invece dall’art. 4, comma 7, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, in favore dei soggetti che avessero dovuto omettere o differire la vaccinazione per motivi di salute, costituisce misura eccezionale di natura solidaristica, imposta dalla legge al datore di lavoro anche ove non fossero concretamente disponibili nell’organizzazione aziendale posti idonei ad evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2, facendo così salvo il diritto del lavoratore alla retribuzione pur ove questi non rendesse effettivamente la sua prestazione.
Anche tali questioni, pertanto, devono essere dichiarate non fondate.
14.– Devono infine esaminarsi le questioni relative all’art. 4, comma 5, nonché all’art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, sollevate, in riferimento complessivamente agli artt. 2, 3 e 32, secondo comma, Cost., nei giudizi di cui ai numeri 47, 70, 71, 101, 102, 107 e 108 reg. ord. 2022, nella parte in cui tali norme, nel prevedere che «[p]er il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati», escludono, in relazione al personale di cui al comma 1 della citata disposizione, nonché al personale di cui alle lettere a) e c) del comma 1 dell’art. 4-ter, l’erogazione dell’assegno alimentare previsto dalla legge ovvero dalla contrattazione collettiva in caso di sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa per il mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2.
Per i rimettenti tale scelta legislativa sarebbe contraria al canone di ragionevolezza e discriminatoria.
14.1.– Le considerazioni sinora svolte inducono a ritenere non fondate anche tali questioni.
14.2.– Si è già evidenziato che, nel meccanismo degli artt. 4, 4-bis e 4-ter del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, e sue successive modifiche, la mancata sottoposizione a vaccinazione ha determinato la sopravvenuta e temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere le proprie mansioni, e la sospensione del medesimo lavoratore ha rappresentato per il datore di lavoro l’adempimento di un obbligo nominato di sicurezza, inserito nel sinallagma contrattuale.
L’effetto stabilito dalle norme censurate, secondo cui al lavoratore che decida di non sottoporsi alla vaccinazione non sono dovuti, nel periodo di sospensione, «la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati», giustifica, pertanto, anche la non erogazione al lavoratore sospeso di un assegno alimentare (in misura non superiore alla metà dello stipendio, come, ad esempio, previsto per gli impiegati civili dello Stato dall’art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957, e in altri casi dalla contrattazione collettiva), considerando che il lavoratore decide di non vaccinarsi per una libera scelta, in ogni momento rivedibile.
14.3.– In sostanza, poiché nel periodo di sospensione del dipendente non vaccinato, pur essendo formalmente in essere il rapporto, è carente medio tempore la sussistenza del sinallagma funzionale del contratto, la negazione altresì del diritto all’erogazione di un assegno alimentare in favore del lavoratore inadempiente all’obbligo vaccinale, che i rimettenti riconducono all’applicazione delle norme censurate, si giustifica quale conseguenza del principio generale di corrispettività, essendo il diritto alla retribuzione, come ad ogni altro compenso o emolumento, comunque collegato alla prestazione lavorativa, eccetto i casi in cui, mancando la prestazione lavorativa in conseguenza di un illegittimo rifiuto del datore di lavoro, l’obbligazione retributiva sia comunque da quest’ultimo dovuta.
14.4.– L’interpretazione delle disposizioni in esame prescelta dai rimettenti valorizza la portata onnicomprensiva del riferimento testuale a ogni emolumento, inteso come ogni entrata o beneficio che trovi causa nel rapporto di lavoro, tale perciò da escludere altresì il diritto all’assegno alimentare del lavoratore non vaccinato. Questa interpretazione non può comunque dirsi costituzionalmente illegittima con riguardo al diverso trattamento riservato alle situazioni del lavoratore del quale sia stata disposta la sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare, in base all’art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957 o al sopravvenuto contratto collettivo di comparto, come stabilito dall’art. 59 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421) e poi dall’art. 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).
La disciplina dell’assegno alimentare invocata nelle ordinanze di rimessione, quale fattispecie cui raffrontare le norme censurate per verificarne la ragionevolezza, configura la sospensione come misura provvisoria, priva di carattere sanzionatorio e piuttosto disposta cautelarmente nell’interesse pubblico (ordinanze n. 541 e n. 258 del 1988), destinata ad essere travolta dall’esaurimento dei paralleli procedimenti, il che rende improponibile la comparazione. Invero, la scelta del legislatore di equiparare quei determinati periodi di inattività lavorativa alla prestazione effettiva trova lì giustificazione nella esigenza sociale di sostegno temporaneo del lavoratore per il tempo occorrente alla definizione dei relativi giudizi e alla verifica della sua effettiva responsabilità, ancora non accertata.
Se, quindi, in tali casi, il riconoscimento dell’assegno alimentare si giustifica alla luce della necessità di assicurare al lavoratore un sostegno allorquando la temporanea impossibilità della prestazione sia determinata da una rinuncia unilaterale del datore di lavoro ad avvalersene e da atti o comportamenti che richiedono di essere accertati in vista della prosecuzione del rapporto, ben diverso è il caso in cui, per il fatto di non aver adempiuto all’obbligo vaccinale, è il lavoratore che decide di sottrarsi unilateralmente alle condizioni di sicurezza che rendono la sua prestazione lavorativa, nei termini anzidetti, legittimamente esercitabile.
14.5.– I rimettenti fanno leva, altrimenti, sull’argomento che l’assegno alimentare, concesso ai sensi dell’art. 82 del d.P.R. n. 3 del 1957 o previsto dalla contrattazione collettiva, secondo diffusa interpretazione giurisprudenziale, non ha natura retributiva, ma assistenziale, in quanto non rappresenta il corrispettivo dell’attività lavorativa svolta, ma trova fondamento nell’assicurazione delle esigenze di vita di colui che risulta comunque medio tempore dipendente. Avendo l’assegno alimentare lo scopo di fornire una fonte di reddito al dipendente pubblico e alla sua famiglia, di carattere temporaneo, in quanto limitato al periodo di efficacia della sospensione dal servizio, si reputa dai giudici a quibus che la relativa corresponsione spetti ope legis e indipendentemente dalla sua specifica previsione nel provvedimento di sospensione. In tale prospettiva, l’assegno alimentare in favore dell’impiegato sospeso costituirebbe un diritto soggettivo di automatica applicazione, nonostante la temporanea interruzione del termine sinallagmatico dello svolgimento della prestazione da parte del lavoratore.
Anche muovendo da tale premessa interpretativa, tuttavia, rimane smentita la conclusione che configuri quale soluzione costituzionalmente obbligata l’accollo al datore di lavoro della erogazione solidaristica, in favore del lavoratore che non abbia inteso vaccinarsi e che sia perciò solo temporaneamente inidoneo allo svolgimento della propria attività lavorativa, di una provvidenza di natura assistenziale, esulante dai diritti di lavoro, atta a garantire la soddisfazione delle esigenze di vita del dipendente e della sua famiglia.
Posto cioè che l’erogazione dell’assegno alimentare rappresenta per il datore di lavoro un costo netto, senza corrispettivo, non è irragionevole che il legislatore ne faccia a lui carico quando l’evento impeditivo della prestazione lavorativa abbia carattere oggettivo, e non anche quando l’evento stesso rifletta invece una scelta – pur legittima – del prestatore d’opera.
Anche tali questioni, pertanto, devono essere dichiarate non fondate.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 5, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76 – come sostituito dall’art. l, comma l, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3 – sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con l’ordinanza iscritta al n. 86 del registro ordinanze 2022;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, e dell’art. 4, commi 1, 4 e 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito – come modificati dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito, e dal decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza, e altre disposizioni in materia sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52 – sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 32 e 35 Cost., dal Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza iscritta al n. 76 del registro ordinanze 2022;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 7, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito – come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, nonché come richiamato dall’art. 4-ter, comma 2, del medesimo d.l. n. 44 del 2021 – sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 32 e 35 Cost., dal Tribunale ordinario di Brescia e dal Tribunale ordinario di Padova, entrambi in funzione di giudici del lavoro, con le ordinanze iscritte ai numeri 71, 76, 77, 107 e 108 del registro ordinanze 2022;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4-ter, comma 4, e 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, il secondo come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.l. n. 172 del 2021, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, secondo comma, Cost., dal Tribunale ordinario di Brescia e dal Tribunale ordinario di Catania, entrambi in funzione di giudici del lavoro, con le ordinanze iscritte ai numeri 47, 70, 71, 101, 102, 107 e 108 del registro ordinanze 2022.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° dicembre 2022.
F.to:
Silvana SCIARRA, Presidente
Stefano PETITTI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2023.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Allegato: