SENTENZA N. 57
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati) e dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), terzo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promossi dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria con ordinanze del 23 e del 16 giugno 2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri 124 e 144 del registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 39 e 42, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visti gli atti di costituzione di G. B., G. D., G.C. D.S. e quello, fuori termine, di Pasquale Cananzi nella qualità di curatore dei minori S. B., C.M. D.S. e R.P. D.S., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 marzo 2021 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi gli avvocati Carlo Fiorio per G. B., Donatella Nucera per G. D., G.C. D.S., Marcello Manna per G.C. D.S. e l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 9 marzo 2021.
1.– Con due ordinanze, di analogo tenore, del 16 giugno 2020 (r.o. n. 144 del 2020) e del 23 giugno 2020 (r.o. n. 124 del 2020) il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 30, 31, secondo comma, 32 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 3 e 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questioni di legittimità costituzionale:
a) dell’art. 4 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati), «nella parte in cui non prevede che i colloqui cui hanno diritto i detenuti o gli internati sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41-bis della L. 26 luglio 1975, n. 354 possono essere svolti a distanza con i figli minorenni mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e minorile»;
b) dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), terzo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), «nella parte in cui non prevede che i colloqui sostitutivi con i figli minorenni possono essere autorizzati a distanza, in alternativa a quelli telefonici, con modalità audiovisive».
1.1.– Secondo quanto riferito nelle ordinanze di rimessione, gli incidenti di costituzionalità si collocano nell’ambito di procedimenti de potestate, che hanno portato il Tribunale rimettente a dichiarare decaduti dalla responsabilità genitoriale due detenuti condannati a lunghe pene detentive per reati di stampo mafioso e sottoposti allo speciale regime previsto dall’art. 41-bis, comma 2, ordin. penit.; a co-affidare i rispettivi figli minorenni al servizio sociale – anche a supporto delle capacità educative della madre; ed a impartire una serie di ulteriori disposizioni intese ad assicurare il benessere psico-fisico e il regolare sviluppo della personalità dei minori.
In questo contesto, il giudice a quo si trova investito di istanze con le quali i due detenuti chiedono di essere autorizzati ad effettuare colloqui audiovisivi a distanza con i figli tramite la piattaforma Skype, lamentando (in particolare, nel caso di cui all’ordinanza r.o. n. 144 del 2020) di non poter avere altrimenti contatti con loro a causa delle stringenti limitazioni introdotte al fine di fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Ad avviso del rimettente, l’effettuazione di tali colloqui risponderebbe al preminente interesse dei minori al mantenimento di un rapporto affettivo con il genitore detenuto.
L’accoglimento delle istanze risulterebbe, tuttavia, precluso alla luce di quanto disposto, in relazione all’emergenza sanitaria, dall’art. 4 del d.l. n. 29 del 2020.
1.2.– Ad illustrazione dell’assunto, il rimettente osserva come plurime disposizioni dell’ordinamento penitenziario e del relativo regolamento di esecuzione attribuiscano rilievo ai legami familiari, specialmente al fine di salvaguardare il figlio minorenne dai pregiudizi che la detenzione del genitore può provocargli.
In questo contesto, viene in precipua considerazione l’istituto dei colloqui, la cui disciplina generale è dettata principalmente dall’art. 18 ordin. penit. e dall’art. 37 del d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), i quali riconoscono il diritto del recluso ad avere colloqui con i congiunti e, per ragionevoli motivi, con altre persone, previa autorizzazione del direttore dell’istituto o, per gli imputati fino alla sentenza di primo grado, dell’autorità giudiziaria che procede. Particolare favore viene accordato ai colloqui con i familiari (art. 18, quarto comma, ordin. penit.): e ciò soprattutto nell’ottica di preservare «il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie di età minore» (art. 61, comma 2, del d.P.R. n. 230 del 2000).
Il diritto in questione subisce, tuttavia, significative limitazioni per i detenuti e gli internati sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41-bis, comma 2, ordin. penit., introdotto con obiettivi di neutralizzazione della pericolosità degli appartenenti alla criminalità organizzata. Il comma 2-quater, lettera b), terzo periodo, del citato articolo prevede, infatti, per i detenuti e gli internati in regime speciale un solo colloquio al mese con i familiari e i conviventi, da svolgere ad intervalli di tempo regolari e con particolari modalità (locali attrezzati per impedire il passaggio di oggetti, controllo audiovisivo), mentre i colloqui con persone diverse sono possibili solo in «casi eccezionali determinati volta per volta dal direttore dell’istituto». Solo per coloro che non abbiano effettuato colloqui visivi può essere, inoltre, autorizzato un colloquio telefonico mensile di dieci minuti con i familiari, sottoposto a registrazione.
In questo panorama è venuta, peraltro, recentemente a calarsi la normativa introdotta in via d’urgenza al fine di fronteggiare l’epidemia da COVID-19.
L’art. 4 del d.l. n. 29 del 2020 ha, infatti, stabilito che, «[a]l fine di consentire il rispetto delle condizioni igienico-sanitarie idonee a prevenire il rischio di diffusione del COVID-19, negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni, a decorrere dal 19 maggio 2020 e sino alla data del 30 giugno 2020, i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati a norma degli articoli 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, 37 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, e 19 del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, possono essere svolti a distanza, mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e minorile o mediante corrispondenza telefonica, che può essere autorizzata oltre i limiti di cui all’articolo 39, comma 2, del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 e all’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo n. 121 del 2018».
La norma mira, in sostanza, a limitare il rischio di contagio connesso all’ingresso di soggetti esterni nelle strutture penitenziarie, garantendo il diritto dei reclusi al mantenimento delle relazioni affettive tramite l’ampliamento dei contatti telefonici e audiovisivi.
La disposizione risulta, tuttavia, riferita ai soli colloqui previsti dagli artt. 18 ordin. penit. e 37 del d.P.R. n. 230 del 2000. Essa opererebbe, quindi, esclusivamente in rapporto ai detenuti in regime ordinario, e non anche per quelli sottoposti al regime speciale, i cui colloqui sono regolati in modo distinto dall’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), ordin. penit. Tale preciso dato testuale escluderebbe che della norma di emergenza in questione possa darsi un’interpretazione diversa, costituzionalmente orientata.
1.3.– Su questa premessa, il giudice a quo dubita, peraltro, della legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. n. 29 del 2020, nella parte in cui non prevede che i colloqui con i figli minorenni cui hanno diritto i detenuti e gli internati sottoposti al regime speciale possano essere svolti a distanza mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e minorile.
Le questioni sarebbero rilevanti, in quanto la norma censurata imporrebbe, allo stato, il rigetto dell’istanza del detenuto: istanza sulla quale il rimettente si ritiene, d’altro canto, competente a provvedere.
Il divieto dei colloqui audiovisivi a distanza posto dalla norma denunciata inciderebbe, infatti, non soltanto sui diritti del detenuto (contro la cui lesione possono attivarsi i rimedi previsti dall’ordinamento penitenziario davanti alla magistratura di sorveglianza), ma anche sul diritto soggettivo del minore a mantenere rapporti affettivi con il genitore, anche se detenuto: posizione, questa seconda, da reputare anzi preminente, alla luce di precise indicazioni delle fonti sovranazionali (quali, in specie, l’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e l’art. 24, paragrafo 2, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – CDFUE –, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007), e la cui tutela risulterebbe affidata al giudice civile minorile, «quale giudice naturale de potestate (art. 25 Cost.)».
Le azioni esercitabili innanzi al giudice minorile e al giudice di sorveglianza sarebbero, d’altra parte, distinte. Tra esse vi sarebbe coincidenza solo quanto a «personae (il genitore detenuto e il figlio minore), petitum mediato (il colloquio a distanza, per la realizzazione del diritto ai rapporti affettivi), causa petendi passiva (dal punto di vista e nei confronti dell’Amministrazione penitenziaria, nella sua posizione di esecutore del dictum della legge, così come interpretato dal giudice)». Diversi risulterebbero invece «il petitum immediato (la pronuncia giurisdizionale di autorizzazione ai colloqui a distanza tra le due personae anzidette da parte del giudice minorile civile; la pronuncia di annullamento di eventuale diniego amministrativo penitenziario da parte del magistrato di sorveglianza in sede di reclamo) e la causa petendi attiva (essendo distinta e prevalente la posizione giuridica del figlio minorenne rispetto a quella del genitore detenuto)».
Osserva ancora il giudice a quo che, quando il legislatore ha inteso ripartire la competenza «in materia di diritti del minore alla genitorialità (anche affettiva)» secondo uno specifico criterio, è intervenuto con norme apposite, quale, ad esempio, quella dell’art. 38 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 318 (Disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie), che definisce i rapporti tra la competenza del giudice minorile e quella del giudice civile investito di un giudizio avente ad oggetto anche lo status coniugalis. In assenza di previsioni di tal fatta, l’eventuale concorso tra le competenze del giudice minorile e del magistrato di sorveglianza non potrebbe essere, quindi, risolto nel senso dell’esclusività di una di esse.
Ritenere che, in materia di rapporti affettivi tra figlio minorenne e genitore detenuto, sussista un’implicita preferenza legislativa per la competenza del giudice di sorveglianza, capace di attrarre per connessione anche la cognizione sulla posizione del minore, apparirebbe d’altronde soluzione contraria alla logica stessa della specializzazione della magistratura minorile, tale da generare sospetti di incostituzionalità, sotto il profilo della menomazione della tutela giurisdizionale del minore. Tale soluzione non consentirebbe, tra l’altro, di dar voce alle istanze di cui sono portatori il pubblico ministero minorile e il curatore speciale dei minori, nominato nell’ambito dei procedimenti a quibus, trattandosi di soggetti non legittimati ad intervenire nel procedimento davanti al magistrato di sorveglianza.
1.4.– Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza delle questioni, il censurato art. 4 del d.l. n. 29 del 2020 violerebbe anzitutto l’art. 3 Cost., introducendo una disparità di trattamento fra i figli minorenni dei detenuti sottoposti al regime speciale e i figli minorenni dei detenuti in regime ordinario, non giustificabile con le finalità proprie del regime detentivo differenziato.
Come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, infatti, sebbene la disciplina del cosiddetto “carcere duro” possa essere ritenuta conforme a Costituzione in ragione della specificità dei reati per i quali viene applicata e dell’esigenza di recidere legami criminali tanto stretti da non essere destinati a cessare con la carcerazione, come quelli di stampo mafioso, pur tuttavia, e proprio per questo, deve escludersi che essa possa contemplare misure che, per il loro contenuto, non siano riconducibili a concrete esigenze di ordine e sicurezza: misure che si tradurrebbero in ingiustificate deroghe all’ordinario regime carcerario, assumendo una portata puramente afflittiva.
Da questo punto di vista, l’applicazione generalizzata e indistinta del divieto di colloqui audiovisivi a distanza sconterebbe il limite di essere frutto di un bilanciamento operato ex ante dal legislatore, a prescindere da una verifica in concreto dell’esistenza delle esigenze di sicurezza e senza possibilità di adattamenti calibrati sulle peculiarità dei singoli casi: rappresentando, con ciò, una misura sproporzionata.
La norma censurata si porrebbe, altresì, in contrasto con gli artt. 2 e 30 Cost., comprimendo il diritto inviolabile del minore a intrattenere rapporti affettivi con il genitore detenuto, idonei a garantire un corretto sviluppo della sua personalità e una condizione di benessere psico-fisico: violazione apprezzabile, peraltro, anche dalla prospettiva del condannato, tra i cui diritti fondamentali parimente rientra quello al mantenimento delle relazioni familiari.
Sarebbero violati, ancora, l’art. 31, secondo comma, Cost., secondo cui la Repubblica «[p]rotegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo»; l’art. 32 Cost., posto che l’impossibilità di avere, per un lungo lasso di tempo, contatti audiovisivi con il padre sarebbe fonte di sicuro pregiudizio per l’«integrità psico-fisica» del minore; nonché l’art. 27, terzo comma, Cost., in forza del quale la pena non deve tradursi in trattamenti contrari al senso di umanità e deve avere una finalità rieducativa, consentendo trattamenti idonei al recupero sociale del reo: obiettivo in relazione al quale va attribuita centrale rilevanza al mantenimento dei rapporti familiari e, soprattutto, genitoriali.
La norma denunciata si porrebbe, infine, in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 3 e 8 CEDU, che, rispettivamente, vietano pene inumane e degradanti e garantiscono il diritto al rispetto alla vita familiare.
1.5.– Il giudice a quo estende, peraltro, tale complesso di censure anche all’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), terzo periodo, ordin. penit., nella parte in cui non prevede che i colloqui sostitutivi del colloquio visivo tra il detenuto in regime speciale e i figli minorenni possano svolgersi – in alternativa alla corrispondenza telefonica – nella forma del colloquio audiovisivo a distanza.
Le questioni di legittimità costituzionale inerenti a tale disposizione “a regime” sarebbero anch’esse rilevanti, in quanto il problema della tutela dei minorenni nei giudizi a quibus si continuerebbe a porre anche dopo il 30 giugno 2020 (termine finale di operatività dell’art. 4 del d.l. n. 29 del 2020). L’emergenza epidemiologica sarebbe destinata, infatti, a protrarsi anche successivamente a tale data, rendendo rischiosi gli spostamenti sul territorio nazionale (e ciò particolarmente per uno dei minori coinvolti nel procedimento di cui all’ordinanza r.o. n. 144 del 2020, affetto da una patologia cronica).
A prescindere, peraltro, dai motivi di carattere sanitario, occorrerebbe considerare che le trasferte per i colloqui visivi comportano oneri economici non facilmente sostenibili e, quanto ai minorenni, anche problemi legati alle assenze scolastiche, tenuto conto del fatto che i penitenziari ospitanti i detenuti in regime speciale sono collocati quasi tutti nel Nord, nel Centro dell’Italia e in Sardegna: donde un’ingiustificata discriminazione tra i minorenni, in relazione alle condizioni economiche e di salute, alle condizioni familiari e alla distanza chilometrica dall’istituto penitenziario che ospita il genitore.
La possibilità – già prevista per la sola fase dell’emergenza sanitaria e unicamente per i detenuti comuni – di colloqui sostituitivi audiovisivi a distanza consentirebbe di superare tali difficoltà, garantendo il superiore interesse del minore e condizioni di uguaglianza sostanziale.
Il rimettente esclude, anche in questo caso, che sia praticabile un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata – pur prospettata, in precedenza, da una parte della giurisprudenza di legittimità e di merito – rilevando che i colloqui audiovisivi a distanza sono stati previsti espressamente, per i soli detenuti in regime ordinario, dall’art. 4 del d.l. n. 29 del 2020: ciò, a riprova del fatto che essi non possono ritenersi insiti nel disposto del previgente art. 41-bis ordin. penit.
2.– Si sono costituiti, nei due giudizi di costituzionalità, i detenuti istanti e, in quello relativo all’ordinanza r.o. n. 124 del 2020, anche la madre dei minori, parte del procedimento a quo, i quali hanno svolto deduzioni adesive alla prospettazione del Tribunale rimettente, chiedendo l’accoglimento delle questioni.
Le parti costituite nel giudizio relativo all’ordinanza r.o. n. 124 del 2020 hanno limitato, peraltro, tale richiesta alle sole questioni concernenti la norma “a regime”, ritenendo che l’interesse per le questioni relative all’art. 4 del d.l. n. 29 del 2020 sia venuto meno a seguito della mancata conversione in legge di tale decreto.
3.– È intervenuto, altresì, in entrambi i giudizi, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha rilevato, in via preliminare, come successivamente alle ordinanze di rimessione, il censurato art. 4 del d.l. n. 29 del 2020 sia stato abrogato dall’art. 1, comma 3, della legge 25 giugno 2020, n. 70 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, recante misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19) e trasfuso nell’art. 2-quater del citato d.l. n. 28 del 2020.
Una norma analoga è stata indi inserita nell’art. 221, comma 10, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, in legge 17 luglio 2020, n. 77.
Sussisterebbero, pertanto, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, i presupposti per il trasferimento delle questioni su quest’ultima disposizione.
Nel merito, tutte le questioni sarebbero, peraltro, infondate.
La scelta legislativa di mantenere il trattamento restrittivo in tema di colloqui per i detenuti in regime speciale non sarebbe, infatti, irragionevole, rispondendo all’esigenza – cui tale regime è preordinato – di garantire la sicurezza pubblica, evitando che i membri detenuti di organizzazioni criminali mantengano contatti con gli affiliati in libertà e continuino a impartire loro direttive: esigenza difficilmente salvaguardabile ove si permettesse alle persone sottoposte a tale regime di collegarsi esternamente da remoto, sia pure con accorgimenti e controlli particolari.
Per altro verso, se è vero che i detenuti in regime speciale possono aver subito una compressione del diritto ai colloqui con i figli nel periodo di emergenza, a causa delle limitazioni agli spostamenti, è altrettanto vero che tali limitazioni hanno colpito, in termini di compressione dei diritti fondamentali, la generalità dei cittadini.
Le misure adottate per fronteggiare l’emergenza sanitaria – tra le quali è ricompresa la disciplina in questione – apparirebbero, d’altronde, del tutto congrue e proporzionate, in quanto finalizzate alla salvaguardia del bene primario della salute collettiva.
L’Avvocatura generale dello Stato ricorda, infine, come la Corte europea dei diritti dell’uomo, con indirizzo consolidato, abbia ritenuto compatibili con l’art. 8 CEDU le restrizioni ai colloqui e alle visite dei familiari per i detenuti in regime speciale, in quanto giustificate dalle finalità proprie di tale regime.
1.– Con due ordinanze di rimessione di analogo tenore, il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria dubita della legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati), il quale stabilisce che, al fine di prevenire il rischio di diffusione del COVID-19, negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni, dal 19 maggio 2020 e sino al 30 giugno 2020, «i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati a norma degli articoli 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, 37 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, e 19 del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, possono essere svolti a distanza, mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e minorile o mediante corrispondenza telefonica», la quale può essere autorizzata oltre i limiti stabiliti dalla normativa vigente.
Sul presupposto che, a fronte dei riferimenti normativi in essa contenuti, la disposizione debba ritenersi applicabile esclusivamente ai colloqui dei detenuti in regime ordinario, il rimettente la censura nella parte in cui non consente che si svolgano tramite collegamento audiovisivo a distanza anche i colloqui con i figli minorenni cui hanno diritto i detenuti e gli internati sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41-bis, comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà).
La norma di emergenza denunciata violerebbe, per tal verso, l’art. 3 della Costituzione, introducendo una disparità di trattamento fra i figli minorenni dei detenuti sottoposti al regime speciale e i figli minorenni dei detenuti in regime ordinario, non giustificabile con le finalità proprie del cosiddetto “carcere duro”, le quali non possono legittimare, comunque sia, misure che, per il loro contenuto, non siano riconducibili a concrete esigenze di ordine e sicurezza: profilo sotto il quale il divieto indiscriminato dei colloqui audiovisivi a distanza, a prescindere da una verifica in concreto dell’esistenza delle esigenze di sicurezza e senza possibilità di adattamenti calibrati sulle peculiarità dei singoli casi, rappresenterebbe una misura sproporzionata.
Sarebbero violati, altresì, gli artt. 2 e 30 Cost., per la compressione del diritto inviolabile del minore a mantenere rapporti affettivi con il genitore detenuto e del reciproco diritto fondamentale di quest’ultimo al mantenimento delle relazioni familiari; l’art. 31, secondo comma, Cost., che impone alla Repubblica di proteggere l’infanzia; l’art. 32 Cost., posto che l’impossibilità di fruire per un lungo lasso di tempo di contatti audiovisivi con il genitore detenuto – stanti gli ostacoli ai colloqui in presenza connessi all’emergenza epidemiologica da COVID-19 – sarebbe fonte di pregiudizio per l’integrità psico-fisica del minore; e, ancora, l’art. 27 Cost., terzo comma, per cui la pena non può contrastare con il senso di umanità e deve mirare al recupero sociale del reo, al qual fine assume centrale rilievo il mantenimento dei rapporti familiari, e genitoriali in specie.
Viene denunciata, infine, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 3 e 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, i quali, rispettivamente, vietano pene inumane e degradanti e garantiscono il diritto al rispetto alla vita familiare.
Il giudice a quo estende, peraltro, tali censure anche alla norma “a regime” di cui all’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), terzo periodo, ordin. penit., nella parte in cui non prevede che i colloqui sostitutivi di quelli visivi con i figli minorenni, cui in base ad essa hanno diritto i detenuti in regime speciale, possano essere svolti – in alternativa alla corrispondenza telefonica – con modalità audiovisive a distanza.
Esclusa, anche in questo caso, la praticabilità di una interpretazione conforme a Costituzione della norma censurata, il rimettente osserva come, a prescindere dai motivi di carattere sanitario, le trasferte per i colloqui visivi possano comportare oneri economici non facilmente sostenibili e, quanto ai minorenni, anche problemi legati alle assenze scolastiche, legati alla distanza tra il loro luogo di residenza e l’istituto penitenziario che ospita il genitore: situazione, questa, generatrice essa pure di ingiustificate disparità di trattamento.
2.– Le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche, concernenti le medesime disposizioni. I relativi giudizi vanno pertanto riuniti per essere definiti con unica decisione.
3.– In via preliminare, deve essere dichiarata l’inammissibilità della costituzione in giudizio (qualificata come atto di intervento) dell’avv. Pasquale Cananzi, nella qualità di curatore speciale dei minori S. B., C.M. D.S. e R.P. D.S., da considerare parti dei giudizi a quibus (sentenza n. 1 del 2002; Corte di cassazione, sezione prima civile, 25 gennaio 2021, n. 1471), in quanto avvenuta solo il giorno prima dell’udienza pubblica, e dunque largamente oltre il termine, stabilito dall’art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) e dall’art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, di venti giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’atto introduttivo del giudizio: termine che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ha natura perentoria (ex plurimis, sentenze n. 222 e n. 24 del 2018, e n. 219 del 2016).
4.– Ciò posto, l’esame nel merito delle questioni risulta precluso da un assorbente profilo di inammissibilità delle medesime, legato al difetto di competenza del giudice a quo.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, stante l’autonomia del giudizio di costituzionalità rispetto a quello dal quale la questione proviene, il difetto di competenza del giudice a quo – al pari del difetto di giurisdizione – determina l’inammissibilità della questione, per irrilevanza, solo quando sia palese, ossia riscontrabile ictu oculi (ex plurimis, sentenza n. 136 del 2008, ordinanze n. 144 del 2011, n. 318 e n. 252 del 2010, e n. 82 del 2005; con particolare riguardo a questioni attinenti allo stesso art. 41-bis ordin. penit., sentenza n. 349 del 1993).
Tale ipotesi ricorre nel caso in esame.
Il giudice a quo è, infatti, un Tribunale per i minorenni investito di procedimenti civili de potestate, che lo hanno portato a dichiarare decaduti dalla responsabilità dei genitori, a sensi dell’art. 330 del codice civile, due detenuti in regime speciale, condannati a lunghe pene per reati di stampo mafioso, e ad impartire una serie di disposizioni a tutela del benessere psico-fisico e del corretto sviluppo della personalità dei loro figli minorenni. In questo ambito, il rimettente si trova investito di istanze con le quali i due detenuti chiedono di essere autorizzati ad effettuare colloqui audiovisivi a distanza con i figli, tramite strumenti informatici: istanze in rapporto alla cui decisione il giudice a quo reputa rilevanti le questioni sollevate.
Il rimettente appare, tuttavia, palesemente privo di qualsiasi competenza in materia di autorizzazione dei colloqui dei detenuti: competenza che non può essere in alcun modo fatta discendere da quella per la dichiarazione di decadenza dalla responsabilità dei genitori, riconosciuta al tribunale per i minorenni dall’art. 38 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 318 (Disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie).
Per precisa indicazione della legge penitenziaria (art. 18, decimo comma, ordin. penit., art. 37, commi 1 e 2, del d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, recante «Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà»), i colloqui – ma anche la corrispondenza telefonica e «gli altri tipi di comunicazione» – dei detenuti sono autorizzati, per gli imputati fino alla sentenza di primo grado, dall’autorità giudiziaria che procede (individuata ai sensi dell’art. 11, comma 4, ordin. penit.); dopo tale sentenza e per i condannati in via definitiva (quali i detenuti istanti nei giudizi a quibus), dal direttore dell’istituto, i cui provvedimenti sono suscettibili di reclamo davanti al magistrato di sorveglianza, ai sensi degli artt. 35-bis e 69, comma 6, lettera b), ordin. penit.
Nelle ordinanze di rimessione, il giudice a quo svolge, in verità, ampie argomentazioni per dimostrare di fruire anch’esso di un potere autorizzatorio, quando si discuta dei colloqui con figli minorenni.
Il nucleo del suo ragionamento è che la preclusione dei colloqui audiovisivi a distanza, posta (in assunto) dalle norme censurate nei confronti dei detenuti in regime speciale, sarebbe, per così dire, “bivalente”: inciderebbe, cioè, non solo sui diritti del detenuto (la cui tutela spetta alla magistratura di sorveglianza), ma anche sui diritti del minore, la cui tutela – che assumerebbe, anzi, un rilievo preminente, alla luce di note indicazioni delle fonti sovranazionali – resterebbe affidata al tribunale per i minorenni, quale «giudice naturale de potestate». In assenza di specifiche disposizioni che regolino i rapporti tra tali competenze, sarebbe giocoforza ritenere che le stesse concorrano.
La tesi appare, peraltro, ictu oculi insuscettibile di avallo. La legge di ordinamento penitenziario reca plurime disposizioni nelle quali viene in rilievo l’interesse dei figli minorenni del detenuto: basti pensare, ad esempio, agli istituti – finanche più pregnanti, in tal ottica, di quello dei colloqui – della detenzione domiciliare speciale della madre (o, quando questa sia deceduta o impossibilitata, del padre) per accudire figli in tenera età (art. 47-quinquies, ordin. penit.), o dell’assistenza all’esterno dei figli stessi (art. 21-bis ordin. penit.). Il solo fatto che siano coinvolti interessi dei minori non significa affatto che alla competenza dei giudici di sorveglianza, specificamente prevista per l’accesso a tali misure dall’ordinamento penitenziario (artt. 21, comma 4, 21-bis, comma 1, 70, primo comma), possa sovrapporsi una concorrente competenza del tribunale civile minorile.
L’idea di una competenza concorrente di due diverse autorità in rapporto al medesimo provvedimento – con conseguente rischio di decisioni contrastanti – si presenta, d’altronde, palesemente confliggente con una logica di sistema.
5.– Per tali ragioni, e a prescindere da ogni altro possibile rilievo – anche quanto alle premesse ermeneutiche che fondano i dubbi di costituzionalità – le questioni vanno dichiarate inammissibili.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile la costituzione in giudizio dell’avv. Pasquale Cananzi, nella qualità di curatore dei minori S. B., C.M. D.S. e R.P. D.S., parti dei giudizi a quibus;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29 (Misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per delitti di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso, o per delitti di associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti o per delitti commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o con finalità di terrorismo, nonché di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché, infine, in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati) e dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b), terzo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 30, 31, secondo comma, 32 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 3 e 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, palazzo della Consulta, il 9 marzo 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2021.