SENTENZA N. 24
ANNO 2020
Commento alla decisione di
Guglielmo Leo
per g.c. di Sistema Penale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Marta CARTABIA;
Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada),come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e come modificato dall’art. 19, comma 2, lettere a) e b), della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale) e dall’art. 8, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 18 aprile 2011, n. 59 (Attuazione delle direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE concernenti la patente di guida), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per le Marche e dal Tribunale ordinario di Lecco con ordinanze del 24 luglio 2018 e del 28 gennaio 2019, rispettivamente iscritte al n. 163 del registro ordinanze 2018 e al n. 105 del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 46, prima serie speciale, dell’anno 2018 e 28, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Udito nella camera di consiglio del 15 gennaio 2020 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
deliberato nella camera di consiglio del 16 gennaio 2020.
Ritenuto in fatto
1.– Adito, con ricorso proposto avverso un provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida a persona sottoposta alla misura della libertà vigilata, il Tribunale amministrativo regionale per le Marche ha sollevato, con l’ordinanza iscritta al n. 163 del reg. ord. 2018, «questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), per contrasto con gli articoli 3, 4, 16 e 35 della Costituzione, nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” – invece che “può provvedere” – alla revoca della patente nei confronti di coloro che sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali».
1.1.– In punto di rilevanza, il rimettente premette che il magistrato che ha adottato la misura della libertà vigilata nei confronti della ricorrente, con lo stesso provvedimento, le ha anche concesso di poter continuare a fare uso della patente «in costanza di misura di sicurezza per ragioni legate all’attività lavorativa», ed osserva che tale possibilità è stata «tuttavia vanificata dalla revoca del titolo di guida disposta dal Prefetto di Ancona nell’esercizio del potere – appunto vincolato – previsto dal richiamato art. 120, comma 2, del codice della strada».
1.2.– Il Tribunale a quo ravvisa, quindi, nell’automatismo della revoca della patente, «profili, non manifestamente infondati, di disparità di trattamento, sproporzionalità e irragionevolezza incidenti sulla libertà personale, sul diritto al lavoro e sulla libertà di circolazione», con conseguente vulnus dei parametri evocati.
Ulteriore motivo di irragionevolezza della norma denunciata è stato individuato dallo stesso giudice nella «contraddizione tra scopi e poteri esercitati dalle diverse autorità (Giudice e Prefetto) di fronte alla medesima vicenda». E ciò in quanto, diversamente dal Prefetto, «[i]l magistrato di sorveglianza esercita un potere discrezionale, ai sensi degli articoli 228 del codice penale e 190 disp. att. del codice di procedura penale, nello stabilire le prescrizioni alle quali deve attenersi la persona sottoposta a libertà vigilata […] “in modo da agevolare mediante il lavoro il riadattamento della persona alla vita sociale” [e] “da non rendere difficoltosa alla persona che vi è sottoposta la ricerca di un lavoro […]”».
1.3.– Per cui, conclusivamente, auspica il rimettente che la revoca amministrativa della patente, nei confronti dei soggetti sottoposti a misure di sicurezza personale, sia appunto sottratta all’automatismo previsto dalla norma denunciata, con dichiarazione di illegittimità costituzionale, di tipo sostitutivo, analoga a quella da questa Corte già adottata, con sentenza n. 22 del 2018, con riguardo all’identico meccanismo di revoca della patente previsto dalla medesima disposizione nei confronti dei soggetti condannati per reati in materia di stupefacenti.
2.– In altro successivo giudizio, di analogo contenuto, anche il Tribunale ordinario di Lecco, con ordinanza iscritta al n. 105 del reg. ord. 2019, dubita della legittimità costituzionale, in parte qua, del medesimo art. 120, comma 2, cod. strada, per contrasto con l’art. 3 Cost.
Argomenta, a sua volta, detto giudice che, «con particolare riferimento alle misure di sicurezza, prevedere un trattamento unitario e automatico appare irragionevole di fronte alla molteplicità di situazioni (che presuppongono una pericolosità del soggetto più o meno grave e non necessariamente incidono sui requisiti fisici e morali necessari per guidare) e di misure di sicurezza che potrebbero essere applicate (più o meno rigorose e più o meno protratte nel tempo)».
Lo stesso rimettente si riporta poi alle condivise motivazioni esposte nella precedente ordinanza del TAR Marche. E precisa di aver ritenuto opportuno sollevare la medesima questione di legittimità costituzionale, «atteso che la citata sentenza n. 22 del 2018 aveva già dichiarato manifestamente inammissibile la questione sollevata dal Giudice amministrativo in quanto carente di giurisdizione».
3.– In entrambi i riferiti giudizi incidentali non vi è stata costituzione di parti, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per le Marche e il Tribunale ordinario di Lecco – con le due ordinanze di cui si è detto nel Ritenuto in fatto e che, per l’identità del petitum, possono riunirsi per essere congiuntamente esaminate e decise – dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e come modificato dall’art. 19, comma 2, lettere a) e b), della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale) e dall’art. 8, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 18 aprile 2011, n. 59 (Attuazione delle direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE concernenti la patente di guida), nella parte in cui dispone che il prefetto «provvede» – invece che «può provvedere» – alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza personale, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, e secondo il primo giudice a quo anche con gli artt. 4, 16 e 35 Cost.
2.– Preliminarmente va riconosciuta l’ammissibilità della questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale delle Marche.
Detto giudice non ignora la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione – richiamata anche da questa Corte nella sentenza n. 22 del 2018 – per cui i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 120 cod. strada, in quanto incidenti su diritti soggettivi e non inerenti a materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sono riservati alla cognizione del giudice ordinario.
Ma non implausibilmente motiva che la questione sollevata, «se fondata, esplicherebbe […] effetti anche sulla giurisdizione», in quanto l’auspicata “discrezionalità”, in luogo dell’automatismo, del provvedimento prefettizio di revoca della patente, «renderebbe la posizione soggettiva [da esso incisa] di interesse legittimo». Argomento, questo, che, al di là della sua opinabilità, vale comunque ad escludere che nella specie la giurisdizione del giudice amministrativo possa ritenersi ictu oculi manifestamente insussistente.
3.– Il novellato art. 120 cod. strada, sotto la rubrica «Requisiti morali per ottenere il rilascio dei titoli abilitativi di cui all’art. 116», nei suoi commi 1 e 2, così testualmente dispone:
«1. Non possono conseguire la patente di guida i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali […], le persone condannate per i reati [in materia di stupefacenti] di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi […]»;
«2. […] se le condizioni soggettive indicate al primo periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente di guida […]».
3.1.– Il comma 2 della suddetta disposizione è già stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 22 del 2018, «nella parte in cui – con riguardo all’ipotesi di condanna per reati di cui agli artt. 73 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), dispone che il prefetto “provvede” – invece che “può provvedere” – alla revoca della patente».
Ciò sul rilievo che «[l]a disposizione denunciata – sul presupposto di una indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida – ricollega, infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità». E anche in considerazione della contraddizione insita nel fatto che «– agli effetti dell’adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur si ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in senso identicamente negativo sulla titolarità della patente) – mentre il giudice penale ha la “facoltà” di disporre, ove lo ritenga opportuno, il ritiro della patente, il prefetto ha invece il “dovere” di disporne la revoca».
3.2.– Ragioni analoghe a quelle poste a base della sentenza n. 22 del 2018 ricorrerebbero, secondo i giudici a quibus, anche con riguardo all’automatismo della revoca, in via amministrativa, della patente, prevista, dal medesimo comma 2 dell’art. 120 cod. strada, a seguito della sottoposizione del suo titolare a misura di sicurezza personale.
Dal che, appunto, la prospettazione della questione odierna.
4.– La questione è fondata.
4.1. – Anche con riguardo alla revoca prefettizia del titolo di abilitazione alla guida che consegue alla fattispecie ora in esame, lo stesso effetto – la sopravvenienza, cioè, di una condizione ostativa al mantenimento del titolo abilitativo – è indifferenziatamente ricollegato ad una pluralità di fattispecie non sussumibili in termini di omogeneità, poiché connotate dalla pericolosità, più o meno grave, del soggetto e dalla varietà e diversa durata delle misure di sicurezza personali previste dall’art. 215 del codice penale ovvero da leggi speciali: misure che, ove non detentive (come la libertà vigilata, i divieti di soggiorno in determinati comuni o province e di frequentazioni di osterie), sono pur tutte compatibili con la possibilità di utilizzare il titolo di abilitazione alla guida.
La pericolosità sociale – da cui consegue l’applicabilità delle misure di sicurezza alle persone che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato, ovvero anche un fatto non previsto come reato in casi particolari determinati dalla legge (art. 202 cod. pen.) – è di regola accertata, infatti, dal giudice sulla base di tutti quegli elementi che (ex art.133 cod. pen.) rilevino come indice di gravità del fatto commesso e della capacità a delinquere del soggetto che ne è autore.
L’irrogazione delle misure di sicurezza è essenzialmente “individualizzata” – quanto al tipo di misura da applicare, alla durata da computare e alle prescrizioni da osservare – in funzione della specificità delle situazioni soggettive che sono sottoposte all’autorità giudiziaria. La quale, a tal fine, esercita un potere connotato da elementi di discrezionalità.
Con riferimento alla misura della libertà vigilata (che viene in rilievo in entrambi i procedimenti a quibus) ciò è, in particolare, dimostrato dall’art. 228 cod. pen., che al comma 4 stabilisce che «la sorveglianza deve essere esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona alla vita sociale», e analogamente dall’art. 190 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che all’ultimo comma, a sua volta, dispone che «la vigilanza è esercitata in modo da non rendere difficoltosa alla persona che vi è sottoposta la ricerca di un lavoro e da consentirle di attendervi con la necessaria tranquillità».
La finalità di tutela di siffatte esigenze personali, familiari e lavorative, perseguita dal legislatore anche nei confronti dei soggetti sottoposti a misure di sicurezza, innegabilmente rischia di rimanere frustrata dall’applicazione “automatica” della revoca della patente di guida da parte del prefetto, a fronte della irrogazione di ogni e qualsiasi misura di sicurezza personale al suo titolare, senza una valutazione “caso per caso” delle condizioni che rendano coerente, o meno, la revoca del titolo abilitativo alla funzione rieducativa della misura irrogata.
4.2. – In ciò sta anche la contraddizione, che l’ordinamento irragionevolmente consente, tra le misure che, nei confronti del medesimo soggetto e in relazione alla stessa condizione di sua pericolosità sociale, sono rispettivamente adottabili dal magistrato di sorveglianza – il quale, nel disporre la misura di sicurezza, “può” consentire al soggetto che vi è sottoposto di continuare a fare uso della patente di guida – e dal prefetto, il quale, viceversa, sulla base della norma censurata, “deve” poi, comunque, revocarla.
4.3. – Da qui, (anche) con riguardo alle fattispecie in esame, i profili di violazione dei principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, che comportano il contrasto dell’art. 120, comma 2, cod. strada con l’art. 3 Cost. (assorbita restando ogni altra censura) e la conseguente sua declaratoria di illegittimità costituzionale, nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” – invece che “può provvedere” – alla revoca della patente nei confronti di coloro che sono sottoposti a misure di sicurezza personali.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e come modificato dall’art. 19, comma 2, lettere a) e b), della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale) e dall’art. 8, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 18 aprile 2011, n. 59 (Attuazione delle direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE concernenti la patente di guida), nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” – invece che “può provvedere” – alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza personale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2020.