Sentenza n. 14 del 2023

8. Antonio Iannuzzi, Vaccinazioni obbligatorie, dati scientifici e consenso informato: a margine delle sentenze n. 14 e 15 del 2023 della Corte costituzionale, per g.c. di Nomos

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, e dell’art. 1 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), promosso dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana nel procedimento vertente tra G. G. e l’Università degli studi di Palermo, con ordinanza del 22 marzo 2022, iscritta al n. 38 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visti l’atto di costituzione di G. G., l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché quelli di D. D.P. e altri e M. A., di R. S. e G. V., di A. C. e S. M., di V. B. e altri e M. D.M., di G. L. e altri e A. B., di L. B., di S. P. e altri e di P. C.;

udito nell’udienza pubblica del 30 novembre 2022 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

uditi gli avvocati Gabriele Fantin e Orsola Costanza per D. D.P. e altri, per M. A., e per S. P. e altri, Orsola Costanza per V. B. altri, per M. D.M., per G. L. e altri e per A. B., Nicolò Fiorentin per L. B., Paola Chiandotto per sé medesima, Augusto Sinagra e Angelo Di Lorenzo per R. S., G. V., A. C. e S. M., Vincenzo Sparti e Sergio Sparti per G. G. e gli avvocati dello Stato Enrico De Giovanni e Beatrice Gaia Fiduccia per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 1° dicembre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 22 marzo 2022, iscritta al n. 38 del registro ordinanze 2022, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, nella parte in cui prevede, da un lato, l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 per il personale sanitario e, dall’altro lato, per effetto dell’inadempimento dello stesso, la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, per contrasto con gli artt. 3, 4, 32, 33, 34 e 97 della Costituzione; nonché dell’art. 1 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), nella parte in cui non prevede l’espressa esclusione dalla sottoscrizione del consenso informato delle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, e dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui non esclude l’onere di sottoscrizione del consenso informato nel caso di vaccinazione obbligatoria, per contrasto con gli artt. 3 e 21 Cost.

1.1.– Nell’ambito del contenzioso tra uno studente iscritto al terzo anno del corso di laurea in Infermieristica e l’Università degli studi di Palermo, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana veniva adito per la riforma dell’ordinanza cautelare del TAR Sicilia, che aveva negato la sospensione dell’efficacia del provvedimento del 27 aprile 2021 con il quale il Rettore e il Direttore generale dell’Università disponevano che i tirocini di area medico-sanitaria «potranno proseguire in presenza all’interno delle strutture sanitarie a seguito della somministrazione vaccinale anti Covid-19».

Il giudice a quo, con ordinanza del 17 gennaio 2022, n. 38, disponeva approfondimenti istruttori affidati ad un collegio, composto dal Segretario generale del Ministero della salute, dal Presidente del Consiglio superiore di sanità operante presso il Ministero della salute e dal Direttore generale di prevenzione sanitaria. Il Collegio, in data 25 febbraio 2022, depositava una relazione, corredata da documentazione illustrativa, rendendo i chiarimenti richiesti.

Nell’ordinanza di rimessione, il giudice a quo – premessa la non fondatezza di talune eccezioni preliminari sollevate dall’appellante – si sofferma sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, ritenendo di non condividere l’asserita inapplicabilità agli studenti tirocinanti dell’obbligo vaccinale per la prevenzione da SARS-CoV-2 introdotto dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, in considerazione sia dell’ampiezza della previsione («riferita alla categoria degli operatori sanitari» destinatari dell’obbligo vaccinale) della normativa applicabile ratione temporis alla data di adozione dell’atto impugnato, sia della ratio della stessa, identificabile nella finalità di proteggere la salute di chi frequenta i luoghi di cura, in particolare dei pazienti, che spesso si trovano in condizione di fragilità e sono esposti a gravi pericoli di contagio.

In particolare, il giudice rimettente rileva che, alla luce di tali considerazioni, l’impugnato provvedimento, adottato il 27 aprile 2021, cioè nel vigore dell’originaria formulazione dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, deve considerarsi legittimo, senza che a tale conclusione ostino le sopravvenienze normative che hanno, di volta in volta, riformulato la disposizione, fino a pervenire al testo, dalla cui lettura sembrerebbe desumersi che il legislatore abbia inteso introdurre l’obbligo vaccinale per gli studenti tirocinanti solo in sede di conversione del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3. Tale interpretazione, infatti, non era enucleabile dal testo originario della norma.

Tanto premesso, e confutate una serie di osservazioni esposte dall’appellante, il giudice a quo rimettente passa a trattare il profilo della non manifesta infondatezza.

1.2.– Con riferimento al primo gruppo di questioni, il giudice a quo parte dalla giurisprudenza costituzionale in materia di vaccinazioni obbligatorie, secondo la quale l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute della singola persona (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto delle altre persone e con l’interesse della collettività. In particolare viene ricordato come questa Corte (con le sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990) abbia precisato che – ferma la necessità che l’obbligo vaccinale sia imposto con legge – la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost. alle seguenti condizioni: a) se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; b) se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze «che appaiano normali e, pertanto, tollerabili»; c) se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria.

Il rimettente sottolinea, quindi, di doversi rifare alla richiamata giurisprudenza per valutare l’attuale piano vaccinale obbligatorio, pure nella dichiarata consapevolezza di confrontarsi «con i principi affermati dalla Corte, in riferimento, va sottolineato, a situazioni per così dire ordinarie, non ravvisandosi precedenti riferiti a situazioni emergenziali ingenerate da una grave pandemia».

Tanto premesso, afferma che, nel caso in esame, può dirsi soddisfatto – oltre che il presupposto sub c), stante la riconducibilità, ex art. 20 del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2022, n. 25, dell’obbligo vaccinale in esame alla disciplina di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati) – il presupposto sub a).

In particolare, il Collegio rimettente sostiene la natura non sperimentale dei vaccini per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. Per essi – viene ricordato – non è stata omessa alcuna delle tradizionali fasi di sperimentazione; semplicemente, data l’impellenza della situazione pandemica, dette fasi sono state condotte in parallelo, in sovrapposizione parziale, il che ha consentito di accelerare l’immissione in commercio dei farmaci.

Viene dunque rammentato che – come evincibile dalla relazione trasmessa a seguito della propria ordinanza istruttoria – l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata è lo strumento che permette alle autorità regolatorie di approvare un farmaco rapidamente in presenza di una necessità urgente, garantendo, comunque, che il vaccino approvato soddisfi i rigorosi standard dell’Unione europea quanto a sicurezza, efficacia e qualità, ma senza considerare concluso il processo di valutazione al momento dell’immissione in commercio, in quanto si prevede che gli sviluppatori presentino dati supplementari sul vaccino anche successivamente.

Il Collegio rimettente ammette altresì la persistenza della validità dell’approccio vaccinale che, sebbene introdotto in una fase emergenziale, mantiene «la propria legittimità (o meglio, necessità) anche nell’attuale fase, nonostante l’intervenuta approvazione di alcuni farmaci che consentono la terapia dei soggetti contagiati». E ciò in quanto l’efficacia delle terapie in questione dipende dalla tempestività nella somministrazione, non agevole da assicurare in considerazione dell’esordio della patologia da SARS-CoV-2 (che perlopiù presenta una sintomatologia simil-influenzale) e della durata del cosiddetto periodo finestra (allorquando il test presenta un risultato falso-negativo).

Il giudice a quo, inoltre, pur partendo dalla constatazione che soggetti vaccinati sono in grado di infettarsi e infettare, sostiene che tale dato è inidoneo a scardinare la razionalità complessiva della campagna di vaccinazione. Essa, pur se concepita con l’obiettivo di conseguire una rarefazione dei contagi e della circolazione del virus, era tesa anche allo scopo di evitare il decorso ingravescente della patologia verso forme severe necessitanti di ricovero in ospedale, obiettivo tuttora conseguito dal sistema preventivo in atto. Il profilo della tutela della collettività si ravviserebbe, in sostanza, nella minore pressione sulle strutture di ricovero e di terapia intensiva derivante dalla maggiore estensione della platea dei vaccinati.

Sul punto, vengono condivise – secondo considerazioni già offerte dal medesimo rimettente nella propria precedente ordinanza istruttoria – le valutazioni espresse nella decisione del Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 20 ottobre 2021, n. 7045, secondo cui, in applicazione del principio costituzionale di solidarietà, in fase emergenziale, il principio di precauzione, che trova applicazione anche in ambito sanitario, opera in modo inverso rispetto all’ordinario. Esso, infatti, richiede al decisore pubblico di consentire o, addirittura, imporre l’utilizzo di terapie che, pur sulla base di dati non completi (come è nella procedura di autorizzazione condizionata), assicurino più benefici che rischi, in quanto il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore al reale nocumento per una intera società, senza l’utilizzo di quel farmaco.

Viene altresì ricordato che, con la successiva sentenza della medesima terza sezione, 28 febbraio 2022, n. 1381, il giudice amministrativo indicato ha sottolineato come i monitoraggi dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e dell’Istituto superiore di sanità (ISS), abbiano evidenziato l’elevata efficacia vaccinale nel prevenire l’ospedalizzazione, il ricovero in terapia intensiva e il decesso. Proprio la minore pressione sulle strutture sanitarie comporterebbe un vantaggio per la tutela della collettività, le cui necessità di assistenza sanitaria non potrebbero essere adeguatamente soddisfatte in situazioni di costante emergenza (tanto per esigenze legate all’infezione da SARS-CoV-2, quanto per esigenze legate ad altre patologie).

1.2.1.– Così concluso con riferimento al parametro sub a), il giudice rimettente ravvisa insuperabili elementi di criticità con riferimento al profilo sub b), relativamente ai cosiddetti eventi avversi, sotto i seguenti aspetti.

Il Collegio rimettente premette di doversi discostare dai precedenti del Consiglio di Stato (sentenze n. 1381 del 2022 e n. 7045 del 2021), i quali avevano escluso la ricorrenza di profili di dubbio in ordine alla proporzionalità dell’obbligo vaccinale, in quanto, all’epoca, non risultava (e non era stato dimostrato in giudizio) che il rischio degli effetti avversi non rientrasse «nella media, tollerabile, degli eventi avversi già registrati per le vaccinazioni obbligatorie in uso da anni». E ciò in quanto tale conclusione viene ritenuta fondata su dati successivamente revisionati – essendo stato pubblicato dall’AIFA il rapporto annuale sulla sicurezza dei vaccini per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 nel febbraio 2022 – e, comunque, superata dalle emergenze istruttorie.

Il Collegio rimettente segnala che dai nuovi dati risulta che il numero di eventi avversi da vaccini per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 è superiore alla «media […] degli eventi avversi già registrati per le vaccinazioni obbligatorie in uso da anni», e, per di più, lo è di diversi ordini di grandezza. Sulla base di tali dati conclude per una necessaria «rivisitazione degli orientamenti giurisprudenziali fin qui espressi sulla base di dati ormai superati», nel senso che il vaccino incide negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato a vaccinarsi, oltre quelle conseguenze «che appaiano normali e, pertanto, tollerabili».

Per giungere a tale conclusione il giudice a quo sostiene, innanzitutto, che il sistema di raccolta dei dati in ordine agli effetti collaterali – limitato, allo stato, alla sola farmacovigilanza passiva – condurrebbe a una sottostima (e comunque a un’incertezza sull’entità) degli eventi avversi da vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. Rileva, poi, quanto segue: «[v]ero è che le reazioni gravi costituiscono una minima parte degli eventi avversi complessivamente segnalati; ma il criterio posto dalla Corte costituzionale in tema di trattamento sanitario obbligatorio non pare lasciare spazio ad una valutazione di tipo quantitativo, escludendosi la legittimità dell’imposizione di obbligo vaccinale mediante preparati i cui effetti sullo stato di salute dei vaccinati superino la soglia della normale tollerabilità, il che non pare lasciare spazio all’ammissione di eventi avversi gravi e fatali, purché pochi in rapporto alla popolazione vaccinata, criterio che, oltretutto, implicherebbe delicati profili etici (ad esempio, a chi spetti individuare la percentuale di cittadini “sacrificabili”). Pare quindi che, non potendosi, in generale, mai escludere la possibilità di reazioni avverse a qualunque tipologia di farmaco, il discrimen, alla stregua dei criteri rinvenibili dalla richiamata giurisprudenza costituzionale, vada ravvisato nelle ipotesi del caso fortuito e imprevedibilità della reazione individuale. Ma nel caso in questione, l’esame dei dati pubblicati nel sito EudraVigilance disaggregati per Stato segnalatore evidenzia una certa omogeneità nella tipologia di eventi avversi segnalati dai vari Paesi (in disparte il maggiore o minore afflusso di dati, evidenziato dai Consulenti della parte appellante), il che lascia poco spazio all’opzione caso fortuito/reazione imprevedibile».

1.2.2.– Il Collegio rimettente, infine, si sofferma sull’inadeguatezza del triage pre-vaccinale. Per giungere a tale conclusione – pur dicendosi consapevole della insostenibilità logistica e finanziaria, in una situazione di vaccinazione di massa, di uno screening anch’esso di massa – valorizza fondamentalmente tre aspetti: 1) il difetto di coinvolgimento del medico di base, unico detentore di un’approfondita conoscenza dei propri assistiti; 2) l’assenza di previsione di esami di laboratorio, quali accertamenti diagnostici da eseguire prima della vaccinazione, o test, inclusi quelli di carattere genetico; 3) la mancanza di un test per la rilevazione dell’infezione da SARS-CoV-2, idoneo a evidenziare una condizione di infezione in atto.

1.3.– In ordine al secondo gruppo di questioni, relativo alla mancata esclusione dell’onere di sottoscrizione del consenso informato nel caso di trattamenti sanitari obbligatori e, in particolare, di vaccinazione obbligatoria, il giudice a quo espone che, per quanto emerge dall’istruttoria effettuata, al momento dell’anamnesi pre-vaccinale, in conformità alla normativa in questione, viene effettivamente raccolto il consenso informato.

Il rimettente si confronta con la posizione dell’organismo incaricato dell’istruttoria – a parere del quale, nel caso di vaccinazione obbligatoria, il consenso andrebbe inteso quale presa visione da parte del cittadino delle informazioni fornite – ma la reputa non condivisibile in quanto, da un punto di vista letterale, logico e giuridico, il consenso dovrebbe essere espresso a valle di una libera autodeterminazione volitiva, inconciliabile con l’adempimento di un obbligo previsto dalla legge.

Da ciò deriverebbe, dunque, l’intrinseca irrazionalità del dettato normativo, in quanto sarebbe richiesta la sottoscrizione di tale manifestazione di volontà all’atto della sottoposizione ad una vaccinazione indispensabile ai fini dell’esplicazione di un diritto costituzionalmente tutelato quale il diritto al lavoro.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi le questioni di legittimità costituzionale inammissibili e, nel merito, non fondate.

2.1.– In via preliminare vengono sollevate diverse eccezioni di inammissibilità con riferimento al primo gruppo di questioni.

2.1.1.– Viene, innanzitutto, eccepita l’erronea identificazione delle disposizioni denunciate. E ciò in quanto l’art. 4 è censurato limitatamente ai suoi commi 1 e 2, espressamente nella parte in cui prevede, da un lato, l’obbligo vaccinale per il personale sanitario «e, dall’altro lato, per effetto dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, la sospensione dell’esercizio delle professioni sanitarie».

La difesa dello Stato sostiene però che la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie sarebbe prevista quale conseguenza determinata dall’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale al comma 4, disposizione non altrimenti denunciata nell’ordinanza di rimessione.

2.1.2.– Le questioni sarebbero inammissibili anche per difetto assoluto di motivazione con riferimento agli artt. 3, 4, 33 e 34 Cost.

La motivazione riferita alle richiamate disposizioni costituzionali si sostanzierebbe in una mera enunciazione dei diritti che queste riconoscono, supportata da un semplice rimando per relationem a «tutte le motivazioni sopra articolate», le quali, tuttavia, sono illustrate con esclusivo riferimento alla verifica di conformità della previsione dell’obbligo vaccinale per i sanitari rispetto al solo art. 32 Cost.

2.1.3.– Ulteriori profili di inammissibilità deriverebbero dal fatto che il giudice rimettente avrebbe «erroneamente elevato a condizione di compatibilità costituzionale della legge impositiva dell’obbligo vaccinale elementi operanti su altro piano di rilevanza giuridica».

Il giudice a quo, nell’evocare la sentenza n. 307 del 1990 per valorizzare il richiamo alle «cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l’arte prescrivono in relazione alla sua natura», trascurerebbe di considerare che questa Corte tratta di circostanze con specifico riferimento alla sfera risarcitoria, e cioè alla verifica dei presupposti per il rimedio risarcitorio, e non già reputandole condizione di legittimità costituzionale di una legge impositiva dell’obbligo vaccinale.

2.1.4.– Infine, viene eccepito che il rimettente avrebbe affermato l’insussistenza della condizione di compatibilità costituzionale «relativa alla non eccedenza la normale tollerabilità degli effetti avversi» della vaccinazione tramite l’espressione di un «giudizio di rilevanza (e prognosi) del numero e della tipologia degli eventi avversi al vaccino sindacando elementi di valutazione regolati nel sistema da disposizioni generali non altrimenti impugnati».

Sotto tale profilo, il giudice a quo avrebbe omesso di considerare come il sistema generale della farmacovigilanza e quello specifico sulle vaccinazioni siano regolati non dal censurato art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, ma da disposizioni generali, non sottoposte al giudizio di legittimità costituzionale, e da fonti di normazione secondaria.

2.2.– Quanto al merito, l’Avvocatura generale dello Stato – con riferimento al primo gruppo di questioni – ricorda che questa Corte ha fissato con chiarezza le condizioni in presenza delle quali la legge impositiva di un trattamento sanitario può ritenersi conforme al parametro costituzionale di cui all’art. 32 Cost., richiamate anche dal giudice rimettente.

La difesa dello Stato – premesso il mero richiamo alla condizione legata alla previsione dell’indennizzo, stante la pacifica riconducibilità della vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 obbligatoria per gli esercenti le professioni sanitarie all’art. 1 della legge n. 210 del 1992 – svolge una serie di argomentazioni tese a comprovare che il trattamento vaccinale è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri (condizione sulla quale lo stesso rimettente concorda).

2.2.1.– Si sofferma, dunque, sulla circostanza che l’obbligo vaccinale «non incid[e] negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili», oggetto di contestazione da parte del rimettente sotto diversi profili: numero di eventi avversi, inadeguatezza della farmacovigilanza passiva e attiva, inadeguatezza del triage pre-vaccinale per il mancato coinvolgimento dei medici di famiglia, assenza di approfonditi accertamenti (esami di laboratorio o accertamenti diagnostici) e di test di positività/negatività all’infezione da SARS-CoV-2.

In risposta alle specifiche argomentazioni – sempre con il necessario conforto dei dati tecnico-scientifici offerti dalle autorità ed organismi competenti (con relativa allegazione della documentazione dell’AIFA, dell’ISS e del Ministero della salute) – l’Avvocatura generale dello Stato sostiene che il sistema assicurava (e assicura) il rispetto del parametro costituzionale della non eccedenza la normale tollerabilità dell’evento avverso, correttamente inteso.

Per giungere a tale conclusione ricostruisce la procedura di autorizzazione dei vaccini e sostiene il carattere «non sperimentale» del vaccino per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2; espone le modalità di realizzazione dell’attività di farmacovigilanza attiva e passiva, affermando l’attendibilità dei dati raccolti sull’incidenza di eventi avversi conseguenti alla vaccinazione; sostiene l’irrilevanza – ai fini della verifica del rispetto dell’art. 32 Cost. e comunque di qualsiasi altro parametro costituzionale – del mancato coinvolgimento dei medici di famiglia nel triage pre-vaccinale, nonché della mancanza nella fase di triage di approfonditi accertamenti e di test di positività/negatività all’infezione da SARS-CoV-2.

2.2.2.– In chiusura della trattazione del primo gruppo di questioni, la difesa dello Stato, tirando le fila di quanto esposto, affronta le argomentazioni svolte dal giudice rimettente.

Innanzitutto sostiene che vi sarebbe la prova del vantaggio per la salute dei singoli e della collettività, ribadendo l’attendibilità dei dati scientifici utilizzati a tal fine.

In secondo luogo, in ordine alla non eccedenza la normale tollerabilità delle conseguenze avverse sullo stato di salute di chi vi è assoggettato, sostiene che tale condizione sarebbe stata erroneamente applicata dal rimettente. E ciò in quanto – secondo quanto attestato dalle autorità e dagli organismi competenti – non sarebbero state identificate reazioni avverse o rischi specifici tali da inficiare significativamente per gravità o frequenza i benefici della vaccinazione. Come riportato nel contributo offerto dall’AIFA, il numero complessivo di eventi avversi post-vaccinazione segnalati ai sistemi di farmacovigilanza nazionali (come la Rete nazionale di farmacovigilanza in Italia) o sovranazionali (come EudraVigilance in Europa) non potrebbe essere considerato un indicatore dei rischi connessi alla specifica vaccinazione: un elevato numero di segnalazioni di eventi avversi a seguito dell’inoculazione di vaccini per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 non sarebbe indicativo di maggiori rischi ad essi correlati, quanto piuttosto di una maggiore attenzione da parte di operatori sanitari e cittadini alla sicurezza di questi vaccini e di un maggior funzionamento dei sistemi di farmacovigilanza passiva.

La difesa dello Stato valorizza il fatto che le condizioni di efficacia, di sicurezza e di qualità del farmaco sarebbero state comunque vagliate dall’AIFA (già il nono Rapporto dell’AIFA sulla sorveglianza dei vaccini per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 illustrava chiaramente l’affidabilità delle autorizzazioni concesse) e la permanenza stessa delle condizioni di sicurezza del farmaco sarebbe assicurata dalla stessa Agenzia nell’esercizio dell’attività di farmacovigilanza che ex lege le compete.

Infine, sostiene la non veridicità dell’affermazione del giudice a quo relativa all’aumento dei casi avversi. Sul punto viene segnalato che, anche in base ai dati rinvenibili nell’ultimo Rapporto dell’AIFA sulla sorveglianza dei vaccini per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, l’andamento nel tempo delle segnalazioni rispetto al numero di dosi somministrate, con riferimento al primo trimestre 2022, sarebbe stabile per tutti i vaccini, dunque sovrapponibile a quello riportato nei precedenti rapporti e proporzionale alle somministrazioni effettuate, come evidenziato in modo particolare dal trend osservato per le somministrazioni e le segnalazioni di sospetta reazione avversa al booster vaccinale, sebbene su scale con ordini di grandezza assai diversi.

In chiusura, segnala la mancata ponderazione, da parte del rimettente, del fatto che la disposizione censurata ha introdotto un obbligo vaccinale settoriale e non generalizzato, che sarebbe del tutto coerente con la tutela della salute dei pazienti e con l’affidamento che gli stessi ripongono nella somministrazione delle cure in condizioni di massima sicurezza. La prospettiva del Collegio rimettente, dunque, non considererebbe la peculiare posizione dei sanitari e la specifica ratio dell’obbligo vaccinale loro imposto, mentre proprio quest’ultima farebbe comprendere il punto di equilibrio che il legislatore ha individuato nel bilanciamento tra la libertà di autodeterminazione del singolo e le esigenze di interesse pubblico, e tra queste, in primis, quelle concernenti la tenuta dei presidi ospedalieri e la garanzia, per chi necessita di cura e assistenza, di poterle ricevere in condizioni di massima sicurezza e di minor rischio di contagio possibile.

2.3.– Con riferimento al secondo gruppo di questioni, infine, l’Avvocatura generale dello Stato ne sostiene l’irrilevanza, l’inammissibilità e la manifesta infondatezza.

2.3.1.– Le questioni vengono reputate, innanzitutto, irrilevanti, perché si baserebbero su un’interpretazione errata delle disposizioni censurate. Ci si troverebbe, infatti, di fronte non a un’ipotesi di consenso informato ex art. 1 della legge n. 219 del 2017, ma a una mera informativa, come segnalato dall’organismo incaricato dell’istruttoria nel giudizio a quo.

Tale considerazione condurrebbe altresì all’inammissibilità della questione per aberratio ictus.

2.3.2.– Le questioni sarebbero, comunque, manifestamente infondate.

E ciò in quanto si potrebbe parlare di consenso solo laddove esso fosse esercitabile, con la conseguente possibilità di rifiutare il trattamento sanitario, circostanza esclusa ex lege nelle ipotesi di vaccinazione obbligatoria. Questa considerazione, dunque avrebbe dovuto far comprendere al Collegio rimettente che la disposizione censurata, per evidenti ragioni logiche, non può che essere interpretata nel senso che essa già determina l’esclusione dalla sottoscrizione del consenso informato nelle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori.

2.4.– In data 9 novembre 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria nella quale si dà atto della recente evoluzione normativa, relativa all’art. 7 del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali), convertito, con modificazioni, nella legge 30 dicembre 2022, n. 199, che ha apportato alcune modifiche alla disposizione censurata, anticipando al 1° novembre 2022 il termine finale di scadenza dell’obbligo vaccinale (comma 1), il termine finale di efficacia della sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie per il caso di accertato suo inadempimento (comma 5) e il termine finale di requisito ai fini dell’iscrizione all’albo degli ordini professionali del suo adempimento (comma 6), termini tutti sino ad allora (nell’ultima versione dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito) fissati al 31 dicembre 2022.

Viene sostenuto che la norma sopravvenuta si porrebbe in piena continuità e coerenza con la pregressa normativa. Essa rappresenterebbe, infatti, un adeguamento dell’originaria previsione alla valutazione attuale della situazione pandemica, la quale avrebbe reso congruente e ragionevole anticipare la cessazione dell’obbligo vaccinale e delle conseguenze del suo inadempimento rispetto al termine precedentemente individuato, in considerazione della diminuzione dell’incidenza dei casi di contagio da SARS-CoV-2 e della stabilizzazione della trasmissibilità.

Ulteriori osservazioni sulle questioni di legittimità costituzionale in esame riguardano, in particolare, gli sviluppi relativi alle autorizzazioni all’immissione in commercio di alcuni vaccini. Si segnala infatti che, in data 16 settembre 2022, il Comitato per i medicinali ad uso umano (CHMP) dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha raccomandato di convertire le autorizzazioni all’immissione in commercio subordinate a condizioni dei vaccini per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 Comirnaty (vaccino di BioNTech/Pfizer) e Spikevax (vaccino di Moderna) in autorizzazioni all’immissione in commercio standard, che non dovranno più essere rinnovate annualmente. Precisamente, il Comitato ha ritenuto che il corpus di letteratura scientifica prodotto dopo l’autorizzazione, inclusi sperimentazioni e studi aggiuntivi, compresi gli studi osservazionali, ha fornito dati rassicuranti su aspetti chiave come la capacità dei vaccini di prevenire la forma severa dell’infezione da SARS-CoV-2. La raccomandazione riguarda i vaccini Comirnaty e Spikevax già autorizzati e le relative versioni adattate, presenti e future, compresi i vaccini Comirnaty Original/Omicron BA.1, Comirnaty Original/Omicron BA.4/5 e Spikevax bivalent Original/Omicron BA.1.

3.– Con atto depositato il 17 maggio 2022, si è costituito G. G., appellante nel giudizio principale, chiedendo di dichiarare costituzionalmente illegittime le disposizioni censurate.

3.1.– Egli parte dal carattere di novità proprio del virus SARS-CoV-2, evidenziando che l’intrinseca diversità del fenomeno sul piano medico-sanitario impedirebbe, in radice, di attingere a decisioni di questa Corte su precedenti fenomeni e campagne vaccinali per rinvenire un valido criterio orientativo delle scelte da compiere e valutativo di quelle già compiute.

Premessa la assoluta novità del virus in esame e della tecnica vaccinale cosiddetta a mRNA, mai utilizzata prima sul piano vaccinale, sostiene il carattere «sperimentale» del trattamento e la conseguente sua esclusione dall’alveo dell’art. 32 Cost., in quanto quest’ultimo si riferirebbe unicamente ai trattamenti sanitari accreditati.

4.– In data 9 novembre 2022 la parte ha depositato una «memoria illustrativa su taluni profili di carattere scientifico» (con allegata documentazione), nella quale, in sostanza, ribadisce di ritenere sussistente la violazione dell’art. 32 Cost. sotto il profilo dell’ingiustificata compressione del diritto all’autodeterminazione terapeutica in assenza di beneficio per la collettività, sulla base delle seguenti considerazioni: inidoneità dei farmaci genici ad evitare le ospedalizzazioni ed i decessi; efficacia delle cure domiciliari; non bilanciabilità del diritto alla salute allo stato attuale delle conoscenze scientifiche.

5.– Nel presente giudizio sono state presentate numerose opiniones (Droit uniforme ASBL, Associazione ContiamoCI e Fondazione Centro studi allineare sanità e salute, Comitato per il diritto alla cura domiciliare nell’epidemia di COVID-19, Associazione umanità e ragione, Noi avvocati per la libertà_NAL, Dr. S. S. ( Presidente commissione albo degli odontoiatri di La Spezia, Corvelva APS, Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino ( ONDAV, Comitato radicale scienza è coscienza, Confederazione legale per i diritti dell’uomo, Associazione CoScienze critiche, Associazione coordinamento del movimento italiano per la libertà di vaccinazione ( COMILVA ODV, Associazione libera scelta Campania, Comitato immuni per sempre, Avvocati liberi e Organizzazione mondiale per la vita ( OMV) ai sensi dell’art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nonché depositati numerosi atti di intervento.

Alcuni di questi ultimi sono stati presentati con l’indicazione in epigrafe di “intervento/opinione”, accompagnati dalla richiesta che venga esaminata la possibilità di considerare il proprio atto alla stregua di opinio, formulando un’istanza del seguente tenore: «in via subordinata, tenersi in considerazione, per quanto ritualmente possibile, la presente manifestazione della opinione giuridica di un comune e concorde consesso di Amici Curiae aderenti, anche in quanto comunque rappresentativa del comune sentire di quanti hanno rifiutato il trattamento».

5.1.– Tutti gli interventi e le opinioni presentano un contenuto omogeneo.

Alcuni sono presentati da esercenti professioni sanitarie non vaccinati, destinatari della sospensione ex art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito. Altri, invece, sono presentati da ultracinquantenni (e, in alcuni casi, prossimi al compimento dei 50 anni), destinatari dell’obbligo vaccinale ex art. 1 del decreto-legge 7 gennaio 2022, n. 1 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza COVID-19, in particolare nei luoghi di lavoro, nelle scuole e negli istituti della formazione superiore), convertito, con modificazioni, nella legge 4 marzo 2022, n. 18.

Sotto il profilo della legittimazione, tutti gli intervenienti assumono di rivestire la «medesima condizione di diritto sostanziale dell’impugnante incidentale di cui all’ordinanza» di rimessione o «posizioni giuridiche sostanziali individuali identiche o comunque direttamente connesse per strettissima dipendenza rispetto alla parte privata principale e quindi accomunate dal concreto esito del presente giudizio, stante il carattere trasversale della questione incidentale sollevata su uno dei generali e preliminari presupposti di ammissibilità costituzionale dello stesso an dell’imposizione di un qualsiasi obbligo vaccinale».

Quanto al merito della questione in esame, viene sostenuta l’illegittimità costituzionale dell’imposizione dell’obbligo vaccinale, contestando, in sintesi, la sicurezza e l’efficacia dei vaccini per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 oggetto del predetto obbligo, nonché la criticità del sistema di farmacovigilanza passiva, oltreché l’irragionevolezza dell’imposizione dell’obbligo vaccinale alle persone dotate di immunità naturale.

Considerato in diritto

1.– Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con ordinanza del 22 marzo 2022, iscritta al n. 38 del registro ordinanze 2022, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 4, 32, 33, 34 e 97 Cost., dell’art. 4, commi 1 e 2, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui prevede, da un lato, l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 per il personale sanitario e, dall’altro lato, per effetto dell’inadempimento dello stesso, la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie.

Ha sollevato altresì questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 21 Cost., dell’art. 1 della legge n. 219 del 2017, e dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui tali disposizioni non escludono espressamente l’onere di sottoscrizione del consenso informato nei casi, rispettivamente, di trattamenti sanitari obbligatori e di vaccinazione obbligatoria.

2.– Va preliminarmente confermata l’inammissibilità degli interventi ad adiuvandum spiegati nel presente giudizio, per le ragioni indicate nell’ordinanza letta all’udienza del 30 novembre 2022, allegata alla presente sentenza.

Né è ipotizzabile una sorta di conversione dell’atto di intervento inammissibile in una manifestazione dell’opinio di amicus curiae, come richiesto da alcuni intervenienti, sia pure «in via subordinata». Le significative differenze tra i due istituti, quanto a presupposti e modalità processuali, non ne consentono la compresenza nello stesso atto, in via alternativa o subordinata.

3.– Nell’esporre il primo gruppo di questioni di legittimità costituzionale, che hanno ad oggetto l’imposizione dell’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 per il personale sanitario, con la correlata sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie nell’ipotesi di inadempimento a esso, il giudice a quo muove dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni obbligatorie, rilevando come, in riferimento all’art. 32 Cost., un trattamento sanitario obbligatorio, disposto ex lege, sia ammissibile alle seguenti condizioni: a) se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; b) se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze «che appaiano normali e, pertanto, tollerabili»; c) se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (tra le altre, sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).

Il giudice rimettente si dichiara consapevole di confrontarsi «con i principi affermati dalla Corte, in riferimento […] a situazioni per così dire ordinarie, non ravvisandosi precedenti riferiti a situazioni emergenziali ingenerate da una grave pandemia». Conviene, in punto di fatto e alla luce degli esiti dell’istruttoria disposta nel giudizio principale, in contrapposizione con le doglianze dell’appellante, che non possono essere contestate la metodologia di conteggio dei decessi e il correlato dato ufficiale relativo alla mortalità, nonché la gravità della patologia SARS-CoV-2; condivide le risultanze istruttorie sulla natura non sperimentale dei vaccini per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, oggetto per contro di autorizzazione all’immissione in commercio condizionata.

3.1.– Passando al merito delle censure, il giudice a quo, pur riconoscendo la sussistenza delle condizioni sub a) e c) elaborate dalla richiamata giurisprudenza costituzionale, ravvisa insuperabili elementi di criticità con riferimento alla residua condizione sub b), concernente il profilo delle conseguenze, sullo stato di salute di colui che è obbligato, oltre la normale tollerabilità (cosiddetti eventi avversi).

Partendo dalla considerazione che, dai dati più recenti, risulterebbe che il numero di eventi avversi da vaccini per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 sia superiore alla «media […] degli eventi avversi già registrati per le vaccinazioni obbligatorie in uso da anni», e, per di più, «lo è di diversi ordini di grandezza», il rimettente ritiene necessaria una «rivisitazione degli orientamenti giurisprudenziali fin qui espressi sulla base di dati ormai superati», nel senso che il vaccino inciderebbe negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato a vaccinarsi, oltre quelle conseguenze «che appaiano normali e, pertanto, tollerabili».

Il Consiglio di giustizia amministrativa esprime al riguardo dubbi «circa l’adeguatezza del sistema di monitoraggio fin qui posto in essere», limitato, allo stato, alla sola farmacovigilanza passiva, e lamenta una sottostima (e comunque un’incertezza sull’entità) degli eventi avversi da vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. Sostiene poi, come meglio si dirà, che dalla giurisprudenza costituzionale emergerebbe un orientamento che esclude «la legittimità dell’imposizione di obbligo vaccinale mediante preparati i cui effetti sullo stato di salute dei vaccinati superino la soglia della normale tollerabilità, il che non pare lasciare spazio all’ammissione di eventi avversi gravi e fatali».

3.2.– Il Collegio rimettente, infine, lamenta l’inadeguatezza del triage pre-vaccinale.

Per giungere a tale conclusione il giudice a quo – pur dicendosi consapevole della insostenibilità logistica e finanziaria, in una situazione di vaccinazione di massa, di uno screening anch’esso di massa – valorizza fondamentalmente tre aspetti: 1) il mancato coinvolgimento del medico di base – che normalmente ha un’approfondita conoscenza dei propri assistiti – nel triage pre-vaccinale, che viene demandato al personale sanitario che esegue la vaccinazione; questo, a sua volta, deve affidarsi alle capacità (inevitabilmente variabili) del soggetto avviato alla vaccinazione di rappresentare (nella ristretta tempistica a ciò destinata) fatti e circostanze rilevanti circa le proprie condizioni generali di salute; 2) la mancata previsione della presentazione di esami di laboratorio, quali accertamenti diagnostici da eseguire prima della vaccinazione, o test, inclusi quelli di carattere genetico, al fine di esentare dalla vaccinazione o sottoporre preventivamente a idonea terapia farmacologica soggetti che evidenzino specifici profili di rischio; 3) la mancata previsione dell’esecuzione di un test per la rilevazione di SARS-CoV-2, idoneo a evidenziare una condizione di infezione in atto, che – secondo il rimettente – sconsiglierebbe la somministrazione del vaccino, avuto riguardo al rischio di reazione anomala del sistema immunitario.

4.– Tanto premesso, è preliminarmente necessario esaminare le eccezioni di inammissibilità, tutte relative al primo gruppo di questioni, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

4.1.– L’eccezione di aberratio ictus non è fondata.

L’Avvocatura generale dello Stato sostiene, innanzitutto, che siano state erroneamente identificate le disposizioni denunciate nel sollevare le questioni. E ciò in quanto l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, è censurato limitatamente ai commi 1 e 2, nella parte in cui – secondo quanto asserito dal Collegio rimettente – prevede, da un lato, l’obbligo vaccinale per il personale sanitario «e, dall’altro lato, per effetto dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, la sospensione dell’esercizio delle professioni sanitarie». In realtà la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie sarebbe prevista quale conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale dal successivo comma 4 (recte, nella versione censurata dal rimettente e applicabile ratione temporis: comma 6, identificabile come comma 4 nella successiva versione derivante dalle modifiche apportate all’art. 4 dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito), disposizione non altrimenti denunciata nell’ordinanza di rimessione.

La tesi non può essere condivisa, in quanto il vulnus lamentato dal giudice rimettente – identificato, per come si evince chiaramente dall’apparato motivazionale e dalla prospettazione della questione di legittimità costituzionale, nell’imposizione dell’obbligo vaccinale – deriva direttamente dalle disposizioni censurate. Infatti, il comma 1 prevede espressamente che la vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 costituisce «requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati». I commi successivi del censurato art. 4 si limitano a disciplinare le modalità operative di accertamento dell’inadempimento, disponendo, infine, che l’«adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2» (comma 6) e le conseguenze operative a specificare quale sia la conseguenza, e cioè la sospensione, e non, ad esempio, la cessazione del rapporto lavorativo.

L’eccezione deve essere pertanto rigettata.

4.2.– Va invece accolta l’eccezione di inammissibilità per difetto assoluto di motivazione con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 4, 33 e 34 Cost.

E anzi, tale vizio è ravvisabile con riferimento a tutti i parametri diversi dall’art. 32 Cost.

Invero, essi vengono evocati esclusivamente al punto 19.b.6) dell’ordinanza di rimessione, ove il CGARS si limita, però, alla mera enunciazione degli articoli con l’esplicitazione dei diritti che questi riconoscono, rimandando a tutte le motivazioni «sopra articolate». Queste ultime sono quelle illustrate al precedente punto 18 della medesima ordinanza, le quali, tuttavia, si concentrano esclusivamente sulla verifica della conformità della previsione dell’obbligo vaccinale per il gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’art. 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali), rispetto al (solo) art. 32 Cost. e sulla base della giurisprudenza costituzionale a esso riferita.

Deve quindi dichiararsi la manifesta inammissibilità per difetto di motivazione delle censure con riferimento ai parametri diversi dall’art. 32 Cost.

4.3.– Altri profili di inammissibilità eccepiti dall’Avvocatura generale dello Stato impingono il merito delle questioni sollevate e vanno pertanto esaminati in quella sede.

La difesa erariale eccepisce, in primo luogo, che il rimettente – nel valorizzare il passo della sentenza di questa Corte n. 307 del 1990 in cui si fa riferimento alle «cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l’arte prescrivono in relazione alla sua natura» – avrebbe «erroneamente elevato a condizione di compatibilità costituzionale della legge impositiva dell’obbligo vaccinale elementi operanti su altro piano di rilevanza giuridica», ovverosia la verifica dei presupposti per il rimedio risarcitorio. Ma tali considerazioni non attengono a profili di ammissibilità.

Ad analoghe conclusioni si deve giungere con riferimento all’eccezione per omessa censura delle disposizioni generali che disciplinano il sistema della farmacovigilanza e quello specifico sulle vaccinazioni.

Invero, i dubbi e le criticità sostenute dal giudice rimettente, in ordine al sistema della farmacovigilanza e al sistema di raccolta dei dati relativi alle conseguenze delle vaccinazioni, rappresentano una mera argomentazione posta a supporto delle censure, mentre oggetto del dubbio di legittimità costituzionale è solo la previsione dell’obbligo vaccinale (e della correlata sospensione dall’esercizio della professione). La disposizione censurata è quella che impone l’obbligo vaccinale ed è stata correttamente individuata.

4.4.− Né sussistono dubbi sulla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto nel giudizio a quo è impugnato il provvedimento del Rettore e del Direttore generale dell’università con il quale si subordinava alla somministrazione vaccinale anti COVID-19 la prosecuzione dei tirocini di area medico-sanitaria in presenza all’interno delle strutture sanitarie.

5.– Nel merito, per la trattazione della prima questione sollevata in riferimento all’art. 32 Cost., occorre partire dalla ricostruzione dei criteri, ricordati dallo stesso giudice rimettente, alla luce dei quali questa Corte ha valutato la compatibilità con l’art. 32 Cost. di una legge impositiva di un trattamento sanitario.

Essi, già elencati nella sentenza n. 258 del 1994, sono indicati come segue: «a) “se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale” (cfr. sentenza 1990 n. 307); b) se vi sia “la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili” (ivi); c) se nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio – ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica – sia prevista comunque la corresponsione di una “equa indennità” in favore del danneggiato (cfr. sentenza 307 cit. e v. ora legge n. 210/1992)». Da una lettura complessiva degli indicati criteri si evince che il rischio di insorgenza di un evento avverso, anche grave, non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un obbligo vaccinale, costituendo una tale evenienza titolo per l’indennizzabilità.

Questa Corte ha affermato con chiarezza che l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto negativo di non assoggettabilità a trattamenti sanitari non richiesti o non accettati) con il coesistente diritto degli altri e quindi con l’interesse della collettività (sentenze n. 5 del 2018, n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).

Come efficacemente espresso nella sentenza n. 218 del 1994, la tutela della salute implica anche il «dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri. Le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell’interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari».

5.1.– Nell’ambito di questo contemperamento tra le due declinazioni, individuale e collettiva, del diritto alla salute, l’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio trova giustificazione in quel principio di solidarietà che rappresenta «la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 75 del 1992).

È costante, nella giurisprudenza costituzionale, l’affermazione della centralità di tale principio, soprattutto in ambito sanitario, in considerazione del «rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività» (sentenza n. 307 del 1990): «in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno p[uò] essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico» (ancora sentenza n. 307 del 1990, richiamata anche dalla sentenza n. 107 del 2012).

5.2.– Sotto quest’ultimo profilo, questa Corte è sempre partita dalla consapevolezza che esiste un rischio di evento avverso anche grave con riferimento ai vaccini e, ancor prima, a tutti i trattamenti sanitari (sentenze n. 268 del 2017, n. 118 del 1996 e n. 307 del 1990). E ha, pertanto, sostenuto che, fino a quando lo sviluppo della scienza e della tecnologia mediche non consentirà la totale eliminazione di tale rischio, la decisione di imporre un determinato trattamento sanitario attiene alla sfera della discrezionalità del legislatore, da esercitare in maniera non irragionevole (sentenza n. 118 del 1996).

È stato, infatti, precisato che, «poiché tale rischio non sempre è evitabile, è allora che la dimensione individuale e quella collettiva entrano in conflitto» (sentenza n. 118 del 1996). Ci si trova di fronte a un rischio, «preventivabile in astratto – perché statisticamente rilevato – ancorché in concreto non siano prevedibili i soggetti che saranno colpiti dall’evento dannoso. In questa situazione, la legge che impone l’obbligo della vaccinazione […] compie deliberatamente una valutazione degli interessi collettivi ed individuali in questione, al limite di quelle che sono state denominate “scelte tragiche” del diritto […]» (sentenza n. 118 del 1996).

Da tale consapevolezza nasce, del resto, l’affermazione, costante da parte di questa Corte, in ordine all’indefettibilità del riconoscimento dell’indennizzo estesa anche in relazione alle vaccinazioni raccomandate (tra le tante, sentenze n. 118 del 2020 e n. 268 del 2017).

5.3.– Alla luce di quanto sin qui esposto, innanzitutto, non può essere condiviso l’argomento svolto in via principale dal giudice rimettente.

Questi, sul punto, rileva – come si è accennato – quanto segue: «[v]ero è che le reazioni gravi costituiscono una minima parte degli eventi avversi complessivamente segnalati; ma il criterio posto dalla Corte costituzionale in tema di trattamento sanitario obbligatorio non pare lasciare spazio ad una valutazione di tipo quantitativo, escludendosi la legittimità dell’imposizione di obbligo vaccinale mediante preparati i cui effetti sullo stato di salute dei vaccinati superino la soglia della normale tollerabilità, il che non pare lasciare spazio all’ammissione di eventi avversi gravi e fatali, purché pochi in rapporto alla popolazione vaccinata, criterio che, oltretutto, implicherebbe delicati profili etici (ad esempio, a chi spetti individuare la percentuale di cittadini “sacrificabili”). Pare quindi che, non potendosi, in generale, mai escludere la possibilità di reazioni avverse a qualunque tipologia di farmaco, il discrimen, alla stregua dei criteri rinvenibili dalla richiamata giurisprudenza costituzionale, vada ravvisato nelle ipotesi del caso fortuito e imprevedibilità della reazione individuale. Ma nel caso in questione, l’esame dei dati pubblicati nel sito EudraVigilance disaggregati per Stato segnalatore evidenzia una certa omogeneità nella tipologia di eventi avversi segnalati dai vari Paesi (in disparte il maggiore o minore afflusso di dati, evidenziato dai Consulenti della parte appellante), il che lascia poco spazio all’opzione caso fortuito/reazione imprevedibile» (punto 18.4. dell’ordinanza di rimessione).

Il passaggio argomentativo si presta, per la verità, a una qualche incertezza interpretativa, dovuta al fatto che non emerge con chiarezza se il rimettente deduca l’illegittimità costituzionale dell’imposizione del trattamento sanitario dalla semplice possibilità della verificazione di eventi avversi gravi che, in quanto tali, sarebbero «non tollerabili», oppure, se, consapevole della difficoltà di «escludere la possibilità di reazioni avverse a qualunque tipologia di farmaco», reputi determinante che le reazioni avverse gravi siano riconducibili a ipotesi di caso fortuito e di imprevedibilità della reazione individuale, solo in tale ultimo caso potendo essere «tollerabili».

A prescindere da tale incertezza, peraltro, va osservato che il giudice a quo sembra non considerare che la giurisprudenza costituzionale ha affermato con chiarezza (sulla base dei ricordati criteri) che il rischio remoto di eventi avversi anche gravi non possa, in quanto tale, reputarsi non tollerabile, costituendo piuttosto − come si è detto − titolo per l'indennizzo. Non può, pertanto, condividersi la lettura che il Collegio rimettente dà della giurisprudenza di questa Corte, la quale ha, per contro, affermato che devono ritenersi leciti i trattamenti sanitari, e tra questi le vaccinazioni obbligatorie, che, al fine di tutelare la salute collettiva, possano comportare il rischio di «conseguenze indesiderate, pregiudizievole oltre il limite del normalmente tollerabile» (sentenza n. 118 del 1996).

Ugualmente priva di riscontro nella giurisprudenza di questa Corte è l’affermazione che sarebbero tollerabili le reazioni avverse (unicamente) «nelle ipotesi del caso fortuito e imprevedibilità della reazione individuale». Il rimettente, partendo da ciò, esclude la ricorrenza di tali ipotesi nelle vaccinazioni in esame, in nome di «una certa omogeneità nella tipologia di eventi avversi segnalati dai vari Paesi». Invero – al di là della natura del tutto apodittica di tale ultimo assunto, privo di dati posti a suo supporto – questa Corte, nell’esaminare le leggi impositive di obblighi vaccinali, non ha mai introdotto questa sorta di “filtro”, ma si è sempre attenuta ai dati scientifici relativi alla sicurezza del vaccino, rispetto ai quali non conta in sé l’omogeneità della tipologia di eventi avversi, quanto piuttosto l’incidenza a livello generale del loro manifestarsi anche in relazione alla loro gravità.

Del resto, proprio l’eventualità che si manifesti un evento avverso è la ragione della previsione dell’indennizzo che, a differenza del risarcimento del danno, spetta anche in presenza di un rischio imprevedibile rispetto al suo ricadere sulla specifica persona (sentenze n. 5 del 2018, n. 268 del 2017, n. 107 del 2012, n. 118 del 1996 e n. 307 del 1990).

Va quindi ribadito che tale conclusione non è scalfita dalla ravvisabilità del rischio di evento avverso, anche grave. Come già sopra ricordato, questa Corte ha sempre preso le mosse dalla consapevolezza che esiste e non è evitabile un rischio di evento avverso (anche grave) con riferimento ai vaccini e, ancor prima, a tutti i trattamenti sanitari (sentenze n. 5 del 2018, n. 268 del 2017, n. 118 del 1996 e n. 307 del 1990).

6.– Ciò premesso, la soluzione della questione sottoposta a questa Corte deve muovere da un suo corretto inquadramento e, in particolare, dalla individuazione della risposta che la Costituzione fornisce per le ipotesi in cui entrino in conflitto le due dimensioni, individuale e collettiva, della salute, contemplate dal ricordato art. 32 Cost.

Come anticipato, talora il conflitto tra le due dimensioni può perfino condurre a che «il perseguimento dell’interesse alla salute della collettività, attraverso trattamenti sanitari, come le vaccinazioni obbligatorie, pregiudichi il diritto individuale alla salute, quando tali trattamenti comportino, per la salute di quanti ad essi devono sottostare, conseguenze indesiderate, pregiudizievoli oltre il limite del normalmente tollerabile» (sentenza n. 118 del 1996). È stato affermato espressamente che «[t]ali trattamenti sono leciti, per testuale previsione dell’art. 32, secondo comma, della Costituzione, il quale li assoggetta ad una riserva di legge, qualificata dal necessario rispetto della persona umana e ulteriormente specificata da questa Corte, nella sentenza n. 258 del 1994, con l’esigenza che si prevedano ad opera del legislatore tutte le cautele preventive possibili, atte a evitare il rischio di complicanze. Ma poiché tale rischio non sempre è evitabile, è allora che la dimensione individuale e quella collettiva entrano in conflitto» (ancora sentenza n. 118 del 1996).

In ipotesi di ineliminabile conflitto, si è affermato nella medesima pronuncia, la legge che impone l’obbligo della vaccinazione – come già ricordato – «compie deliberatamente una valutazione degli interessi collettivi e individuali in questione, al limite di quelle che sono state denominate “scelte tragiche” del diritto: le scelte che una società ritiene di assumere in vista di un bene (nel nostro caso, l’eliminazione della poliomielite) che comporta il rischio di un male (nel nostro caso, l’infezione che, seppur rarissimamente, colpisce qualcuno dei suoi componenti). L’elemento tragico sta in ciò, che sofferenza e benessere non sono equamente ripartiti tra tutti, ma stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli altri. Finché ogni rischio di complicanze non sarà completamente eliminato attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnologia mediche […] la decisione in ordine alla sua imposizione obbligatoria apparterrà a questo genere di scelte pubbliche».

È innegabile come tale (potenziale) conflitto tra il diritto alla salute del singolo e quello della collettività sia divenuto attuale in tutta la sua drammaticità di fronte al deflagrare di «un’emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari» (sentenza n. 37 del 2021). L’Organizzazione mondiale della sanità, con la dichiarazione del 30 gennaio 2020, ha valutato l’epidemia da COVID-19 come un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale; successivamente, in considerazione dei livelli di diffusività e gravità raggiunti a livello globale, con la dichiarazione dell’11 marzo 2020, è stata valutata come «pandemia». La delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, dal canto suo, ha dichiarato, per sei mesi, lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, successivamente più volte prorogato sino alla cessazione disposta con il decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52.

A questa Corte spetta vagliare se, a fronte del rilevato conflitto, il legislatore abbia esercitato la propria discrezionalità nel rispetto dell’art. 32 Cost., e cioè operando un bilanciamento tra le suddette dimensioni del diritto alla salute non irragionevole e non sproporzionato rispetto alla finalità perseguita. In altri termini deve valutare se, in quella situazione data, la scelta del legislatore sia stata adottata, nell’esercizio di discrezionalità politica, in modo compatibile con i princìpi costituzionali.

Tale sindacato, dunque, essendo riferito alle scelte del legislatore, deve muoversi lungo due direttrici principali: la valutazione della situazione di fatto, cioè, nel caso in esame, della pandemia e l’adeguata considerazione delle risultanze scientifiche disponibili in merito all’efficacia e alla sicurezza dei vaccini.

7.– Quanto alla situazione di fatto, va osservato che le peculiarità delle condizioni epidemiologiche esistenti al momento dell’introduzione dell’obbligo vaccinale – e, cioè, la loro gravità e l’imprevedibilità del decorso (attestate dalla dichiarazione dell’Organizzazione mondiale della sanità dell’11 marzo 2020, sopra ricordata) – comportano diverse conseguenze.

Innanzi tutto, la compresenza di diritti e doveri – alla base del fondamento solidaristico della nostra Costituzione già in via generale e in periodi ordinari – trova una sua concreta esplicitazione in materia di salute, all’art. 32 Cost.; tale disposizione, infatti, si muove tra le due dimensioni del «fondamentale diritto dell’individuo» e dell’«interesse della collettività», imponendo espressamente il loro contemperamento. E l’interesse della collettività di cui all’art. 32 Cost. costituisce la declinazione, nel campo della tutela alla salute, dei doveri di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. Dunque, tutte le volte in cui le due dimensioni entrano in conflitto, secondo la giurisprudenza sopra ricordata, il diritto alla salute individuale può trovare una limitazione in nome dell’interesse della collettività, nel quale trova considerazione il diritto (individuale) degli altri in nome di quella solidarietà “orizzontale”, che lega ciascun membro della comunità agli altri consociati (sentenza n. 288 del 2019). I doveri inderogabili, a carico di ciascuno, sono infatti posti a salvaguardia e a garanzia dei diritti degli altri, che costituiscono lo specchio dei diritti propri: al legislatore tocca bilanciare queste situazioni soggettive e a questa Corte assicurare che il bilanciamento sia stato effettuato correttamente.

Su altro versante, più generale, va considerato che il sindacato sulla non irragionevolezza della scelta del legislatore di incidere sul diritto fondamentale alla salute, anche sotto il profilo della libertà di autodeterminazione, va effettuato alla luce della concreta situazione sanitaria ed epidemiologica in atto. La giurisprudenza costituzionale ha infatti chiarito che, nelle ipotesi di conflitto tra i diritti contemplati dall’art. 32 Cost., la discrezionalità del legislatore «deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017)» (sentenza n. 5 del 2018).

8.– A ciò va aggiunto – come anticipato – che tale discrezionalità deve essere esercitata dal legislatore alla luce «delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002)» (sentenza n. 5 del 2018).

Difatti, un intervento in tali ambiti «non potrebbe nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore, bensì dovrebbe prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali o sovranazionali – a ciò deputati, dato l’“essenziale rilievo” che, a questi fini, rivestono “gli organi tecnico-scientifici” (cfr. sentenza n. 185 del 1998); o comunque dovrebbe costituire il risultato di una siffatta verifica» (sentenza n. 282 del 2002). Si tratta, pertanto, pur sempre di esercizio di discrezionalità politica, ancorché fondata (necessariamente) su evidenze scientifiche.

8.1.– Non va dimenticato che la connotazione medico-scientifica degli elementi in base ai quali il legislatore deve operare le proprie scelte non esclude la sindacabilità delle stesse da parte di questa Corte (sentenza n. 282 del 2002), ma il sindacato riguarda, in tal caso, la coerenza della disciplina con il dato scientifico posto a disposizione, oltre che la non irragionevolezza e la proporzionalità della disciplina medesima.

8.2.− Questa Corte accerta, innanzitutto, se il legislatore, nell’esercizio del suo potere discrezionale, si sia tenuto all’interno di un’area di attendibilità scientifica, alla luce delle migliori conoscenze raggiunte in quel momento storico, quali definite dalle autorità medico-scientifiche istituzionalmente preposte.

Ciò che la Corte può e deve verificare, pertanto, è, innanzitutto, se la scelta del legislatore di introdurre l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 43 del 2006, anche alla luce della situazione pandemica esistente, sia suffragata e coerente, o meno, rispetto alle conoscenze medico-scientifiche del momento (sentenza n. 5 del 2018), quali tratte dagli organismi nazionali e sovranazionali istituzionalmente preposti al settore.

E in questa scelta, come già affermato da questa Corte, «la tempestività della risposta all’evoluzione della curva epidemiologica è fattore decisivo ai fini della sua efficacia» (sentenza n. 37 del 2021). Dover effettuare una scelta tempestiva comporta che essa venga fatta, necessariamente, allo stato delle conoscenze scientifiche del momento e nella consapevolezza della loro fisiologica provvisorietà. Del resto, tutte le volte che una decisione implichi valutazioni tecnico-scientifiche, il legislatore sceglie tra le possibili opzioni che la scienza offre in quel momento storico. E la scelta tra le possibili opzioni, che inevitabilmente racchiudono una intensità diversa e quindi un diverso grado di limitazione dei diritti, è esercizio di discrezionalità politica che, nei limiti della sua ragionevolezza e proporzionalità, non può essere sostituita da una diversa scelta di questa Corte.

D’altro canto, è innegabile che ogni legge elaborata sulla base di conoscenze medico-scientifiche è per sua natura transitoria, perché adottata allo stato delle conoscenze del momento e destinata ad essere superata a seguito dell’evoluzione medico-scientifica.

E però, di contro, proprio perché il legislatore deve esercitare la propria discrezionalità sulla base delle conoscenze medico-scientifiche fornite dalle autorità di settore al momento dell’assunzione della decisione, è fondamentale una piena valorizzazione della «dinamica evolutiva propria delle conoscenze medico-scientifiche che debbono sorreggere le scelte normative in campo sanitario» (sentenza n. 5 del 2018). Come chiarito già in passato da questa Corte, un intervento non irragionevole alla luce delle condizioni epidemiologiche e delle conoscenze scientifiche in atto non esclude, e anzi impone, che, mutate le condizioni, la scelta possa (e debba) essere rivalutata e riconsiderata.

La disciplina, dunque, può e deve mutare in base all’evoluzione della situazione sanitaria che si fronteggia e delle conoscenze scientifiche acquisite.

La genetica e originaria transitorietà della disciplina, così come la previsione di elementi di flessibilizzazione e monitoraggi che consentano l’adeguamento delle misure all’evoluzione della situazione di fatto che è destinata a fronteggiare, sono elementi che incidono sulla verifica della legittimità costituzionale della normativa (sentenza n. 5 del 2018).

Sul punto, si evidenzia sin d’ora che l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, ha subíto nel tempo diverse modifiche, in relazione tanto alle conseguenze legate all’inadempimento dell’obbligo vaccinale, quanto, soprattutto, all’individuazione della durata dell’obbligo.

E anzi, è l’intera disciplina relativa alla gestione della pandemia ad aver subito continue modifiche in risposta all’evoluzione della situazione sanitaria nonché delle conoscenze mediche. Basti pensare alle limitazioni imposte alla libertà di circolazione, al diritto allo studio e all’esercizio delle attività produttive e lavorative, che sono state nel tempo modificate e infine revocate, sempre sulla base dell’andamento della situazione epidemiologico-sanitaria e dell’evoluzione degli strumenti offerti dalla scienza medica per fronteggiarla.

In particolare, per quanto qui di più stretto interesse, la disposizione censurata, nella sua versione originaria (oggetto della questione in esame), prevedeva una precisa scadenza dell’obbligo vaccinale, fissata al 31 dicembre 2021. Tale termine è stato più volte modificato, proprio in base all’andamento dei contagi e all’evoluzione della pandemia, subendo diverse proroghe fino al 31 dicembre 2022, per poi essere infine anticipato (rispetto a quest’ultima data) al 1° novembre 2022.

Siffatta anticipazione è stata disposta con il d.l. n. 162 del 2022, come convertito, in considerazione, per quanto si legge nel preambolo dello stesso, «dell’andamento della situazione epidemiologica che registra una diminuzione dell’incidenza dei casi di contagio da COVID-19 e una stabilizzazione della trasmissibilità sebbene al di sopra della soglia epidemica [e della] necessità di riavviare un progressivo ritorno alla normalità nell’attuale fase post pandemica, nella quale l’obiettivo da perseguire è il controllo efficace dell’endemia».

A ciò si aggiunga che, con specifico riferimento al sistema di monitoraggio per le reazioni conseguenti ai vaccini per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, da un lato sono stati predisposti specifici monitoraggi sull’andamento epidemiologico da parte del Ministero della salute (secondo quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 aprile 2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale», rispetto al quale si segnala in particolare il decreto del Ministro della salute 30 aprile 2020, recante «Adozione dei criteri relativi alle attività di monitoraggio del rischio sanitario di cui all’allegato 10 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 aprile 2020»; dall’altro, sono state attuate le relative attività di sorveglianza da parte dell’AIFA con cadenza trimestrale, che confluiscono in rapporti concernenti tutti i dati sulle reazioni determinate dalla somministrazione dei vaccini.

9.– Tanto premesso, dunque, sul costante adeguamento della disciplina in esame all’andamento della situazione epidemiologico-sanitaria e all’evoluzione delle conoscenze medico-scientifiche, è opportuno procedere a un’analisi, sia pur di tipo sintetico, di queste ultime.

Infatti, come detto, il sindacato richiesto a questa Corte presuppone di verificare se il legislatore – utilizzando il dato medico-scientifico posto a disposizione dalle autorità di settore – si sia mantenuto in un’area di “attendibilità scientifica” e se abbia assunto una decisione non irragionevole nonché idonea e non sproporzionata rispetto alla finalità perseguita.

10.– Per far ciò occorre confrontarsi, innanzitutto, con i contributi elaborati dall’AIFA, dall’ISS, dal Segretariato generale del Ministero della salute, dalla Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute e dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria, tutti depositati dall’Avvocatura generale dello Stato in allegato all’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

10.1.– Il principale dato medico-scientifico garantito dalle autorità istituzionali nazionali ed europee, preposte al settore, è costituito, fin dal momento dell’adozione della disposizione censurata e a tutt’oggi, dalla natura non sperimentale del vaccino e dalla sua efficacia, oltre che dalla sua sicurezza.

10.2.– Relativamente ai primi due profili – che lo stesso giudice rimettente sostanzialmente non contesta – convergono le conclusioni dell’AIFA, dell’ISS e del Segretariato generale del Ministero della salute.

Viene innanzitutto attestato che i «vaccini anti COVID-19 non possono in alcun modo considerarsi sperimentali», poiché «[i] vaccini attualmente in uso nella campagna vaccinale in Italia […] sono vaccini regolarmente immessi in commercio dopo aver completato l’iter per determinarne qualità, sicurezza ed efficacia» (così, testualmente, la nota dell’ISS sopra menzionata, pagina 2).

Come attestato più dettagliatamente dall’AIFA, tali vaccini sono oggetto di autorizzazioni all’immissione in commercio condizionate (CMA), sulla base di un protocollo preesistente e già utilizzato in passato in ambito europeo per una serie di medicinali destinati a soddisfare un elevato bisogno terapeutico insoddisfatto (così la nota dell’AIFA sopra menzionata, pagina 9).

Ciò posto, l’Unione europea ha quindi ritenuto che, a fronte di minacce gravi per la salute pubblica, quale è senz’altro la pandemia, la scelta tecnica di ricorrere alla CMA rappresentasse la scelta migliore al fine di garantire la tutela della salute. E ciò in quanto «questa autorizzazione certifica che la sicurezza, l’efficacia e la qualità dei medicinali autorizzati, nel caso specifico del vaccino, sono comprovate e che i benefici sono superiori ai rischi» (pagina 8 della nota dell’AIFA). Sempre secondo quanto attestato dall’AIFA, nessuna delle fasi dello sviluppo pre-clinico e clinico (test di qualità, valutazione dell’efficacia e del profilo di sicurezza) dei vaccini è stata omessa e il numero dei pazienti coinvolti negli studi clinici è lo stesso di quello relativo a vaccini sviluppati con tempistiche standard. È stato infatti possibile «affiancare temporalmente le diverse fasi di sviluppo clinico e di arruolare negli studi di fase 3 un numero molto elevato (decine di migliaia) di partecipanti» (pagina 10 della nota dell’AIFA).

Sull’efficacia della vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 si sofferma l’ISS, esponendo che «[l]a vaccinazione anti-COVID-19 costituisce una misura di prevenzione fondamentale per contenere la diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2. Numerose evidenze scientifiche internazionali hanno dimostrato l’elevata efficacia dei vaccini anti-COVlD-19 disponibili ad oggi, sia nella popolazione generale sia in specifici sottogruppi di categorie a rischio, inclusi gli operatori sanitari» (pagine 2 e 3 della nota dell’ISS). Al di là della fisiologica eterogeneità delle risposte immunitarie dei singoli individui e della maggiore capacità della variante Omicron di eludere l’immunità rispetto alle varianti precedenti, viene attestato che «la protezione rimane elevata specialmente nei confronti della malattia severa o peggior esito» (pagina 3 della nota dell’ISS). L’ISS chiarisce, inoltre, che «anche se l’efficacia vaccinale non è pari al l00%, ma del resto nessun vaccino ha una tale efficacia, l’elevata circolazione del virus SARS-CoV-2 rende comunque rilevante la quota di casi prevenibile» (pagina 5 della nota dell’ISS).

10.3.– Quanto al profilo della sicurezza, l’AIFA, come sopra riportato, sostiene con chiarezza che la CMA «certifica che la sicurezza, l’efficacia e la qualità dei medicinali autorizzati, nel caso specifico del vaccino, sono comprovate e che i benefici sono superiori ai rischi».

Inoltre – affrontando specificamente le criticità segnalate dal Collegio rimettente – l’Agenzia attesta l’assoluta attendibilità del sistema di raccolta dati, basato sulla farmacovigilanza passiva (pagine da 16 a 23 della nota dell’AIFA), e, soprattutto, evidenzia la differenza tra «segnalazioni di eventi avversi dopo vaccini anti-COVID-19» e «analisi del segnale» (pagine da 23 a 25 della nota dell’AIFA). Alla base della segnalazione dell’evento avverso vi è infatti il solo criterio temporale, il quale, tuttavia, è condizione necessaria ma non sufficiente a stabilire un nesso causale fra vaccinazione ed evento (pagine da 23 a 25 della nota dell’AIFA).

Secondo le conclusioni esposte, «la maggior parte delle reazioni avverse ai vaccini sono non gravi e con esito in risoluzione completa. Le reazioni avverse gravi hanno una frequenza da rara a molto rara e non configurano un rischio tale da superare i benefici della vaccinazione. Non è stato inoltre osservato alcun eccesso di decessi a seguito di vaccinazione e il numero di casi in cui la vaccinazione può aver contribuito all’esito fatale dell’evento avverso è estremamente esiguo e comunque non tale da inficiare il beneficio di tali medicinali» (pagine 26 e 27 della nota dell’AIFA).

Sempre relativamente al profilo della sicurezza, l’ISS, a sua volta, attesta che «[a]d oggi miliardi di persone nel mondo sono state vaccinate contro COVID-19. I vaccini anti SARS-CoV-2 approvati sono stati attentamente testati e continuano ad essere monitorati costantemente. Numerose evidenze scientifiche internazionali hanno confermato la sicurezza dei vaccini anti-COVID-19» (pagina 6 della nota dell’ISS). Si segnala, infine, la mole di dati di sicurezza relativi ai soggetti che hanno ricevuto un vaccino per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, posto che, secondo l’EMA, fino all’inizio di aprile 2022 sono state più di 868 milioni le dosi di vaccini somministrate alle persone nell’UE e nello Spazio economico europeo (SEE), concludendo nel senso che «[d]ai dati emerge che la stragrande maggioranza degli effetti collaterali noti dei vaccini COVID-19 sono lievi e di breve durata. Problemi di sicurezza classificabili come gravi sono estremamente rari» (pagina 8 della nota dell’ISS).

11.– Alla luce dei dati sin qui ripercorsi, deve ritenersi che le autorità scientifiche attestino concordemente la sicurezza dei vaccini per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 oggetto di CMA e la loro efficacia nella riduzione della circolazione del virus (come emerge dalla diminuzione del numero dei contagi, nonché del numero di casi ricoverati, in area medica e in terapia intensiva, e dall’entità dei decessi associati al SARS-CoV-2 relativi al periodo che parte dall’inizio della campagna di vaccinazione di massa risalente a marzo-aprile 2021).

Ed è su questi dati scientifici – forniti dalle autorità di settore e che non possono perciò essere sostituiti con dati provenienti da fonti diverse, ancorché riferibili a “esperti” del settore – che si è basata la scelta politica del legislatore; legislatore che altrimenti, anziché alle autorità istituzionali, avrebbe dovuto affidarsi a “esperti” non è dato vedere con quali criteri scelti.

Appare evidente, dunque, in coerenza con il dato medico-scientifico che attesta la piena efficacia del vaccino e l’idoneità dell’obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus, la non irragionevolezza del ricorso ad esso, «[a] fronte di “un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che può venire contratto da chiunque” (sentenza n. 127 del 2022)» (sentenza n. 171 del 2022), caratterizzato da rapidità e imprevedibilità del contagio.

12.– Tale valutazione di non irragionevolezza e idoneità allo scopo vale con particolare riferimento agli esercenti le professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 43 del 2006.

E infatti, l’obbligo vaccinale per tali soggetti consente di perseguire, oltre che la tutela della salute di una delle categorie più esposte al contagio, «il duplice scopo di proteggere quanti entrano con loro in contatto e di evitare l’interruzione di servizi essenziali per la collettività» (sentenza n. 268 del 2017).

12.1.– Quest’ultima finalità era particolarmente avvertita in un momento in cui, da un lato, il sistema sanitario nel suo complesso era sottoposto ad un gravissimo stress, dovendo affrontare – oltre a crescenti richieste di assistenza domiciliare – un enorme e incessante incremento di ricoveri per i pazienti affetti da patologia da SARS-CoV-2, con conseguente congestione delle strutture ospedaliere e dei reparti intensivi, e, dall’altro lato, si assisteva a una crescente diffusione del contagio tra il personale sanitario.

Sotto quest’ultimo profilo, basti ricordare che l’ISS, nella menzionata nota, sostiene espressamente che «gli operatori sanitari sono tra le categorie ad alto rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 potendosi infettare più facilmente prendendosi cura dei pazienti e/o interagendo con altro personale sanitario» (pagina 5 della nota dell’ISS).

D’altro canto, il Segretariato generale del Ministero della salute attesta con nettezza il significativo impatto della campagna vaccinale sulla circolazione del SARS-CoV-2 tra gli operatori sanitari: «a seguito dell’avvio della campagna vaccinale c’è stata una netta riduzione della percentuale dei casi tra gli operatori sanitari rispetto al resto della popolazione: a fine dicembre 2020 la percentuale dei casi tra gli operatori sanitari rispetto al resto della popolazione si attestava a circa il 6%, mentre a fine febbraio 2021, in concomitanza con il completamento del ciclo vaccinale e il conseguente sviluppo dell’immunità, risultava poco al di sopra dell’1,5%» (pagina 28 della nota del Segretariato generale del Ministero della salute).

Su altro versante, la predetta situazione di congestionamento si rivelava ancor più allarmante in quanto, in un sistema sanitario prevalentemente proiettato sulla gestione della pandemia, determinava un’estrema difficoltà di disporre cure e ricoveri per i pazienti non affetti da patologia SARS-CoV-2. Sul punto basti segnalare le osservazioni della Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute, la quale, sulla base di una lettura comparativa dei volumi dei ricoveri ospedalieri degli anni 2019-2020, attesta una netta flessione dell’erogazione complessiva dei ricoveri del 2020 rispetto all’anno precedente con una perdita in termini di volumi di circa 1 milione e mezzo di ricoveri (pagina 2 della nota della Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute), flessione «che ha con tutta probabilità determinato l’impossibilità di curarsi di pazienti affetti da patologie diverse dal COVID-19» (pagina 3 della medesima nota).

12.2.– Con specifico riferimento al – differente ma complementare – scopo di proteggere quanti entrano in contatto con gli esercenti le professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 43 del 2006, è opportuno ricordare che già in passato questa Corte – esaminando una legge regionale che prevede la facoltà della Giunta regionale di individuare i reparti dove consentire l’accesso ai soli operatori che si siano attenuti alle indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente per i soggetti a rischio per esposizione professionale – ha avuto modo di valorizzare, con riferimento alla vaccinazione degli operatori sanitari, lo «scopo di prevenire e proteggere la salute di chi frequenta i luoghi di cura: anzitutto quella dei pazienti, che spesso si trovano in condizione di fragilità e sono esposti a gravi pericoli di contagio, quella dei loro familiari, degli altri operatori e, solo di riflesso, della collettività. Tale finalità […] è del resto oggetto di attenzione da parte delle società medico-scientifiche, che segnalano l’urgenza di mettere in atto prassi adeguate a prevenire le epidemie in ambito ospedaliero, sollecitando anzitutto un appropriato comportamento del personale sanitario, per garantire ai pazienti la sicurezza nelle cure» (sentenza n. 137 del 2019).

D’altronde, come segnalato anche dall’ISS nella sopra citata nota, «[l]e infezioni tra gli operatori sanitari hanno un impatto negativo sulla salute individuale e collettiva sia direttamente che indirettamente. Infatti non solo l’operatore sanitario può a sua volta trasmettere l’infezione più facilmente a pazienti tra cui soggetti fragili ad alto rischio di sviluppare forme gravi di malattia ma, indirettamente, le procedure di isolamento e quarantena che si renderebbero necessarie a seguito di un’eventuale infezione possono provocare danno al sistema sanitario nazionale in termini di garanzia e continuità nell’erogazione delle cure» (pagina 5 della nota ISS). Con ciò, peraltro, evidenziando, ancora una volta, la possibile ricaduta in termini di rischio di interruzione del servizio sanitario.

12.3.– Della convergenza, in capo agli esercenti le professioni sanitarie e operatori di interesse sanitario di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 43 del 2006, di queste plurime valutazioni − che giustificano un trattamento differenziato per tali soggetti −, vi è traccia anche nella Relazione illustrativa del d.l. n. 44 del 2021: «L’introduzione di un siffatto obbligo per le categorie professionali considerate nasce dalla constatazione che la vaccinazione degli operatori sanitari, unitamente alle altre misure di protezione collettiva e individuale per la prevenzione della trasmissione degli agenti infettivi nelle strutture sanitarie e negli studi professionali, ha valenza multipla: consente di salvaguardare l’operatore rispetto al rischio infettivo professionale, contribuisce a proteggere i pazienti dal contagio in ambiente assistenziale e serve a difendere l’operatività dei servizi sanitari, garantendo la qualità delle prestazioni erogate, e contribuisce a perseguire gli obiettivi di sanità pubblica».

12.4.– Fortemente significativa è, infine, sotto il profilo di diritto comparato, la tendenziale omogeneità della soluzione, adottata in altri Paesi, nel senso della obbligatorietà della vaccinazione legata a certe professioni, tra le quali spiccano, per tutte – pur nell’ambito di una certa variabilità delle altre categorie soggettive coinvolte e pur nella diversità degli approcci che emerge dal confronto tra i vari ordinamenti –, quelle sanitarie.

In particolare, va segnalato che l’obbligo vaccinale per gli esercenti attività in ambito sanitario è stato introdotto, tra l’altro, in Francia e in Germania, nonché nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America. E, come meglio esposto in seguito, le Corti, anche costituzionali, di alcuni Paesi hanno ritenuto la legittimità dell’obbligo, facendo ricorso ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità, utilizzati in modo non dissimile da come sviluppati nel nostro ordinamento.

13.– Verificata, dunque, in coerenza con il dato medico-scientifico che attesta la piena efficacia del vaccino nei sensi sopra esaminati, l’idoneità dell’obbligo vaccinale degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 43 del 2006, rispetto alla finalità di ridurre la circolazione del virus – funzionale al duplice scopo, sopra ricordato, di proteggere quanti entrano con loro in contatto e di evitare l’interruzione di servizi essenziali per la collettività –, e quindi la non irragionevolezza del ricorso ad esso, va ora valutato il profilo concernente l’osservanza del principio di proporzionalità rispetto alle finalità perseguite.

Come già affermato da questa Corte, quando si è in presenza di una questione concernente il bilanciamento tra due diritti, «il giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative si avvale del cosiddetto test di proporzionalità, che “richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi” (sentenza n. 1 del 2014, richiamata, da ultimo, dalle sentenze n. 137 del 2018, n. 10 del 2016, n. 272 e n. 23 del 2015 e n. 162 del 2014)» (sentenza n. 20 del 2019).

13.1.– Sotto tale aspetto, la misura deve ritenersi non sproporzionata, in primo luogo, perché non risultavano, a quel tempo, misure altrettanto adeguate rispetto allo scopo prefissato dal legislatore per fronteggiare la pandemia. E ciò vale, in particolare, per la soluzione alternativa prospettabile (utilizzata in ámbiti più generali, per l’accesso ai luoghi pubblici da parte di soggetti non appartenenti a categorie soggette a vaccinazione obbligatoria), rappresentata dall’effettuazione periodica di test diagnostici dell’infezione da SARS-CoV-2. Innanzitutto perché, dovendo essere effettuati con una cadenza particolarmente serrata (e cioè ogni due o tre giorni), avrebbero avuto costi insostenibili e avrebbero comportato un intollerabile sforzo per il sistema sanitario, già impegnato nella gestione della pandemia, tanto a livello logistico-organizzativo, quanto per l’impiego di personale. D’altro canto, l’esito del test non è immediatamente disponibile rispetto al momento della sua effettuazione: esso, pertanto, nasce già “obsoleto”, posto che l’esito può essere già stato superato da un contagio sopravvenuto nel frattempo, con il fisiologico rischio della presenza nei luoghi di cura di soggetti inconsapevolmente contagiati.

13.2.– Sempre con riferimento al rispetto della proporzionalità, va, altresì, rilevato che la conseguenza del mancato adempimento dell’obbligo è rappresentata dalla sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, con reintegro al venir meno dell’inadempimento dell’obbligo e, comunque, dello stato di crisi epidemiologica.

La scelta – che non riveste natura sanzionatoria – si muove nell’ambito della responsabilità del legislatore di individuare una conseguenza calibrata, in termini di sacrificio dei diritti dell’operatore sanitario, che sia strettamente funzionale rispetto alla finalità perseguita di riduzione della circolazione del virus.

E ciò tanto in termini di durata, posto che, secondo quanto già sopra evidenziato, il legislatore ha introdotto, sin dall’inizio, una durata predeterminata dell’obbligo vaccinale, modificandola, costantemente, in base all’andamento della situazione sanitaria, giungendo ad anticiparla appena la situazione epidemiologica lo ha consentito; quanto in termini di intensità, trattandosi di una sospensione del rapporto lavorativo, senza alcuna conseguenza di tipo disciplinare, e non di una sua risoluzione.

13.3.– È interessante notare come in altri ordinamenti, e segnatamente in quello francese, la giurisprudenza, rigettando un’istanza che mirava alla presentazione di una question prioritaire de constitutionnalité degli artt. 12 e 14 della legge 5 agosto 2021, n. 1040, abbia sostenuto che il fatto che l’art. 14 – concernente le conseguenze dell’inadempimento degli obblighi vaccinali – non preveda la risoluzione del contratto di lavoro o la cessazione dalle funzioni delle persone interessate, bensì la sospensione del rapporto, fa propendere per «una conciliazione non manifestamente squilibrata fra le esigenze costituzionali discendenti dal diritto al lavoro e al diritto alla tutela della salute» (Conseil d’État, sezioni V e VI riunite, 28 gennaio 2022, n. 457879, paragrafo 12).

Diversamente, in altri ordinamenti, quali la Germania, il Regno Unito e gli Stati Uniti d’America, è stata introdotta la possibilità di ricorrere al licenziamento (indipendentemente dalla frequenza con cui, nella prassi, vi si sia fatto ricorso).

In particolare, in Germania, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che, sebbene la libertà di esercitare una professione tuteli anche la volontà del singolo di mantenere il posto di lavoro sì da non ammettere tutte quelle misure che sortiscono l’effetto di obbligare il singolo a rinunciare a un determinato posto di lavoro (Rn. 246), la previsione dell’obbligo vaccinale è tuttavia giustificata in quanto posta a tutela delle persone più vulnerabili (Rn. 254). In particolare, risulta: a) legittimo lo scopo perseguito (Rn. 256); b) adeguata la misura prescelta per il suo raggiungimento, non ravvisandosi misure alternative che comportino un minore sacrificio (Rn. 257, ma anche 189 e seguenti); c) adeguato il bilanciamento operato tra lo scopo perseguito e la gravità del sacrificio comportato (Rn. 258-266) (Tribunale costituzionale federale, ordinanza 27 aprile 2022, 1 BvR 2649/21).

14.– Non colgono nel segno, infine, le doglianze – che, peraltro, meritano attenta considerazione anche in sede legislativa – svolte dal giudice rimettente in ordine alla mancata adozione di «misure di mitigazione» e «misure di precauzione» ad accompagnamento dell’obbligo vaccinale, a suo parere rinvenibili in alcune carenze del triage pre-vaccinale: il mancato coinvolgimento dei medici di medicina generale e l’assenza, prima della inoculazione del vaccino, di adeguati accertamenti, analisi e test diagnostici, nonché dello stesso test sierologico.

14.1.– Quanto al primo profilo, di norma la pratica vaccinale in Italia non prevede un coinvolgimento nel triage del medico di medicina generale o del pediatra di libera scelta. Come esposto nella richiamata nota del Segretariato generale del Ministero della salute, le vaccinazioni previste dai calendari vaccinali regionali sono in genere eseguite, salvo talune eccezioni che qui non rilevano, presso i servizi di vaccinazione delle aziende sanitarie locali o provinciali delle varie regioni da parte degli operatori di sanità pubblica (medici igienisti, assistenti sanitari, infermieri).

Di norma, dunque, il medico di medicina generale non assolve un ruolo primario nella valutazione dell’eleggibilità di un assistito a una vaccinazione, anche in relazione alle vaccinazioni contemplate in via ordinaria nel Piano nazionale di prevenzione vaccinale. Questa valutazione compete, infatti, ai medici vaccinatori, che sono all’uopo adeguatamente formati e che assumono la decisione di procedere o meno con la vaccinazione dell’interessato.

Ciò non toglie, peraltro, che il medico di medicina generale, per espressa previsione del già ricordato comma 2 del censurato art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, ha affiancato i medici vaccinatori nella verifica della presenza delle cause di esenzione dalla vaccinazione e, pertanto, ha nei fatti assolto un ruolo tutt’altro che secondario nel percorso di accompagnamento dei relativi assistiti nell’ambito della campagna vaccinale, proprio in considerazione della conoscenza del paziente e della sua storia clinica.

14.2.– Nemmeno può convenirsi con l’assunto del giudice a quo secondo il quale non sono state predisposte adeguate «misure di precauzione» ad accompagnamento dell’obbligo vaccinale, quali adeguati accertamenti in fase di triage pre-vaccinale.

Nella pratica, l’anamnesi pre-vaccinale è una pratica standardizzata attraverso la quale è possibile stabilire la presenza di eventuali controindicazioni o di precauzioni rispetto alla vaccinazione, attraverso una serie di precise e semplici domande, a cui possono e devono seguire, se del caso, eventuali ulteriori approfondimenti, ivi inclusi, raramente, accertamenti diagnostici o consulti clinici con il medico di medicina generale o il medico specialista che assiste il soggetto. Il personale sanitario che esegue una vaccinazione deve infatti verificare la presenza di controindicazioni e/o di precauzioni in ogni persona prima di somministrare qualsiasi vaccino, secondo un consolidato protocollo.

Con riferimento al rilievo conferito dal rimettente alla mancata somministrazione di test pre-vaccinali, va considerato come normalmente per le vaccinazioni non sia prevista l’effettuazione di simili test per stabilire il profilo di sicurezza relazionato a un determinato individuo. Non sono richiesti esami di laboratorio o altri accertamenti diagnostici da eseguire di routine prima della vaccinazione, in quanto non esiste alcuna evidenza che supporti l’utilità di un loro utilizzo esteso, in maniera aprioristica, a tutti i soggetti candidati alla vaccinazione: non esistono test, inclusi quelli di carattere genetico, che vengano raccomandati come test pre-vaccinali (pagina 28 della nota del Segretariato generale del Ministero della salute).

Del resto, come il Presidente del Consiglio rammenta nel proprio atto di intervento, le principali autorità sanitarie in ambito internazionale, inclusi l’Organizzazione mondiale della sanità e i Centers for disease prevention and control statunitensi, non raccomandano l’esecuzione di alcun test pre-vaccinale per la vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2.

La considerazione che normalmente per le vaccinazioni non sia prevista l’effettuazione di un test in ordine alla patologia di riferimento vale anche con riguardo alla mancata effettuazione del test sierologico.

14.3.– Occorre, infine, soffermarsi anche sul profilo più generale delle cautele o condotte che lo stato delle conoscenze scientifiche e l’arte prescrivono in relazione alla attuazione ed esecuzione materiale del trattamento sanitario.

Impregiudicato il diritto a un indennizzo in caso di eventi avversi comunque riconducibili al vaccino, inerenti a quel rischio ineliminabile di cui si è già detto sopra, resta ferma la responsabilità civile di cui all’art. 2043 del codice civile per l’ipotesi in cui «il danno ulteriore sia imputabile a comportamenti colposi attinenti alle concrete misure di attuazione […] o addirittura alla materiale esecuzione del trattamento stesso» (sentenza n. 307 del 1990).

Questa Corte, infatti, facendo riferimento alla «necessità che il soggetto vaccinando sia messo quanto più possibile al riparo dai rischi di complicanze da vaccino», rimarca come tali «esigenze cautelative […] già trovino un primo livello di risposta nella doverosità dell’osservanza, in sede di attuazione ed esecuzione del trattamento obbligatorio, di quelle “cautele o […] modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l’arte prescrivono in relazione alla sua natura”, e la cui violazione fonda […] la tutela aquiliana ex art. 2043 cit.» (sentenza n. 258 del 1994; ma anche, in termini, la sentenza n. 307 del 1990).

15.– Alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte deve quindi dichiararsi non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento all’art. 32 Cost., dell’art. 4, commi 1 e 2, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui prevede, da un lato, l’obbligo vaccinale per il personale sanitario e, dall’altro lato, per effetto dell’inadempimento dello stesso, la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie.

16.– Ugualmente non fondate sono le questioni sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 21 Cost., dell’art. 1 della legge n. 219 del 2017, nella parte in cui non prevede l’espressa esclusione dalla sottoscrizione del consenso informato nelle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, e dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui non esclude l’onere di sottoscrizione del consenso informato nel caso di vaccinazione obbligatoria.

16.1.– Il consenso informato, quale condizione per la liceità di qualsivoglia trattamento sanitario, trova fondamento nell’autodeterminazione, nelle scelte che riguardano la propria salute, intesa come libertà di disporre del proprio corpo, diritti fondamentali della persona sanciti dagli artt. 2, 13, 32 Cost. e dagli artt. 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Secondo quanto disposto dall’art. 1 della legge n. 219 del 2017, «nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge». Più precisamente, il consenso del paziente deve essere libero e consapevole, preceduto da informazioni complete, aggiornate e comprensibili relative a diagnosi, prognosi, benefici e rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, possibili alternative e conseguenze dell’eventuale rifiuto al trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi.

Orbene – premessa la rilevanza della raccolta del consenso anche ai fini di un’adeguata emersione dei dati essenziali per una completa e corretta anamnesi pre-vaccinale, destinata, tra l’altro, come sopra ricordato, a valutare l’eleggibilità del soggetto interessato alla vaccinazione – la natura obbligatoria del vaccino in esame non esclude la necessità di raccogliere il consenso informato, che viene meno solo nei casi espressamente previsti dalla legge, come disposto dal comma 1 dell’art. 1 della citata legge n. 219 del 2017.

L’obbligatorietà del vaccino lascia comunque al singolo la possibilità di scegliere se adempiere o sottrarsi all’obbligo, assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge.

Qualora, invece, il singolo adempia all’obbligo vaccinale, il consenso, pur a fronte dell’obbligo, è rivolto, proprio nel rispetto dell'intangibilità della persona, ad autorizzare la materiale inoculazione del vaccino.

17.– In conclusione, le questioni di legittimità costituzionale sollevate vanno dichiarate in parte manifestamente inammissibili e in parte non fondate.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, nella parte in cui prevede, da un lato, l’obbligo vaccinale per il personale sanitario e, dall’altro lato, per effetto dell’inadempimento stesso, la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 33, 34 e 97 della Costituzione, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, sollevata, in riferimento all’art. 32 Cost., dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana con l’ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), nella parte in cui non prevede l’espressa esclusione della sottoscrizione del consenso informato nelle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, e dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, nella parte in cui non esclude l’onere di sottoscrizione del consenso informato nel caso di vaccinazione obbligatoria, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 21 Cost., dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° dicembre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2023.

 

Allegato:

Ordinanza letta all'udienza del 30 novembre 2022