SENTENZA N. 166
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giuliano AMATO;
Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 130 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», promosso dal Tribunale ordinario di Paola, in composizione monocratica, nel procedimento vertente tra F. M. e Generali Italia spa, F. R. e D. R., con ordinanza del 2 novembre 2020, iscritta al n. 171 del registro ordinanze 2021, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numero n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 maggio 2022 il Giudice relatore Maria Rosaria San Giorgio;
deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 2 novembre 2020, iscritta al numero 171 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Paola, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 130 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», denunziandone il contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
1.1.– Il rimettente riferisce che, nel giudizio promosso da F. M. contro Generali Italia spa, F. R. e D. R., avente a oggetto il risarcimento dei danni conseguenti a un sinistro stradale, è chiamato a provvedere sulla richiesta di liquidazione di compenso avanzata dal professionista designato per l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio medico-legale.
Ad avviso del giudice a quo, trattandosi di incarico riguardante accertamenti medici sulla persona, l’onorario dovrebbe essere determinato, ai sensi dell’art. 21 della Tabella allegata al decreto del Ministro della giustizia 30 maggio 2002 (Adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale), in un importo compreso tra euro 48,03 ed euro 290,77, avuto riguardo, ai sensi dell’art. 51, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002, alla difficoltà, alla completezza e al pregio della prestazione resa dall’ausiliario.
Inoltre, non ricorrendo il presupposto dell’urgenza, non andrebbero riconosciuti gli aumenti previsti dal comma 2 del citato art. 51 del d.P.R. n. 115 del 2002; né potrebbe trovare applicazione l’art. 52, comma 1, del medesimo testo unico, non essendo la prestazione resa dal consulente tecnico di eccezionale importanza, complessità e difficoltà.
Sull’importo liquidato dovrebbe poi essere praticata la diminuzione di un terzo, in considerazione del ritardo in cui sarebbe incorso il consulente tecnico, in applicazione del comma 2 del citato art. 52, nonché l’ulteriore riduzione della metà prevista dall’art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002, in quanto la parte attrice è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
1.2.– In punto di rilevanza, il Tribunale di Paola ritiene di non poter provvedere sull’istanza di liquidazione senza fare applicazione della norma censurata, a mente della quale, nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario gli importi spettanti all’ausiliario del magistrato sono, appunto, ridotti della metà.
1.3.– Con riferimento alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo assume che la disposizione in scrutinio, nella parte in cui non esclude che la diminuzione di un terzo degli importi spettanti all’ausiliario del magistrato sia operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, sia affetta da irragionevolezza, al pari dell’analoga norma, dettata per il processo penale dall’art. 106-bis del medesimo d.P.R., la quale, per tale ragione, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, in riferimento rispettivamente all’ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte, con le sentenze n. 192 del 2015 e n. 178 del 2017.
1.3.1.– A sostegno di tale assunto, il rimettente argomenta che la norma censurata si inscrive nel medesimo plesso normativo, costituito dagli artt. 50 e 54 del d.P.R. n. 115 del 2002 e dal citato d.m. del 30 maggio 2002, con il quale si raccorda l’omologa riduzione prescritta dall’art. 106-bis per il processo penale.
A tale riguardo, il giudice a quo rileva che i richiamati art. 50 – il quale demanda la determinazione dell’entità delle spettanze dell’ausiliario del magistrato alle tabelle approvate con decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze – e art. 54 – che stabilisce che «[l]a misura degli onorari fissi, variabili e a tempo è adeguata ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nel triennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze» –, essendo collocati nel Titolo VII della Parte II del d.P.R. n. 115 del 2002, riguardano tutti i processi.
Sottolinea, ancora, il rimettente che le Tabelle alle quali fa riferimento il suddetto art. 50, dopo l’approvazione, con d.m. 30 maggio del 2002, non sono state mai aggiornate.
In tale assetto normativo – soggiunge il giudice a quo – si è inserito l’art. 106-bis, introdotto dall’art. 1, comma 606, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», con il quale la riduzione dei compensi liquidati a carico dello Stato è stata prevista, ancorché nella inferiore misura di un terzo, anche per il processo penale.
Nell’ordinanza di rimessione sono riportati ampi stralci della motivazione della sentenza di questa Corte n. 192 del 2015, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di tale ultima disposizione e, in particolare, i passaggi nei quali la pronuncia ha evidenziato che il legislatore, nell’introdurre, con l’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, un significativo e drastico intervento di riduzione dei compensi spettanti, tra gli altri, all’ausiliario del magistrato, non poteva ignorare che si trattasse di importi che, a norma dell’art. 54 del medesimo d.P.R., avrebbero dovuto essere rivalutati ogni tre anni, in relazione alla variazione, accertata dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
L’adeguamento previsto dal citato art. 54, ha sottolineato la sentenza indicata, non era mai intervenuto dall’emanazione del d.m. del 30 maggio 2002, così che, dopo oltre un decennio di inerzia amministrativa, la base tariffaria sulla quale calcolare i compensi risultava ormai seriamente sproporzionata per difetto, anche a voler considerare, come richiede l’art. 50 del d.P.R. n. 115 del 2002, che la misura degli onorari in esame, rapportata alle vigenti tariffe professionali, deve essere contemperata in relazione alla natura pubblicistica della prestazione richiesta.
Ricorda il rimettente che, sulla base di tali premesse, la sentenza n. 192 del 2015 ha rilevato che la mancata considerazione dell’omesso adeguamento ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, rende la novella del 2013 irragionevole, posto che, viene sottolineato citando la pronuncia indicata, «non è riconducibile ai pur ampi margini spettanti alla discrezionalità legislativa una scelta attuata senza una preliminare valutazione complessiva della materia, necessaria per compiere un ragionevole bilanciamento tra esigenze di contenimento della spesa e remunerazione, sia pure secondo i ricordati criteri di contemperamento, degli incarichi in questione».
La Corte – prosegue l’ordinanza di rimessione, sempre citando la sentenza n. 192 del 2015 – ha quindi ritenuto manifestamente irragionevole «un intervento di riduzione della spesa erariale in materia di giustizia – pur, come tale, sicuramente riferibile alla discrezionalità legislativa nel contesto della congiuntura economico-finanziaria – adottato senza attenzione a che la riduzione operi su tariffe realmente congruenti con le stesse linee di fondo del d.P.R. n. 115 del 2002: dunque su tariffe, da un lato, proporzionate (sia pure per difetto, tenendo conto del connotato pubblicistico) a quelle libero-professionali (che per parte loro, nell’ambito di una riforma complessiva dei criteri di liquidazione, sono state aggiornate) e, dall’altro, preservate nella loro elementare consistenza in rapporto alle variazioni del costo della vita».
Il Tribunale di Paola ha poi richiamato la sentenza n. 178 del 2017, con la quale questa Corte ha esteso la dichiarazione di illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost., dell’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 agli onorari del consulente tecnico di parte.
Ad avviso del giudice a quo, la medesima ratio decidendi, che fa discendere l’irragionevolezza della disposizione dall’essere il significativo e drastico intervento di riduzione dei compensi intervenuto su tariffe ormai già seriamente sproporzionate per difetto, in quanto non aggiornate da oltre un decennio, dovrebbe condurre alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002 nella parte in cui non esclude che la diminuzione della metà degli importi spettanti all’ausiliario del magistrato sia operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 del citato testo unico.
Osserva, in proposito, il Tribunale di Paola che la disposizione censurata, non solo si innesta, al pari dell’art. 106-bis, sugli artt. 50 e 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, ma prevede una riduzione ancora maggiore di quella, pari a un terzo, stabilita per il processo penale, e che, ciò nondimeno, gli importi tariffari di cui alle tabelle ministeriali approvate con d.m. 30 maggio 2002 non sono stati mai aggiornati.
Né il riferimento alle pronunce costituzionali aventi ad oggetto l’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 implicherebbe un indebito parallelismo tra ambiti processuali differenti e quindi la negazione dell’indiscussa discrezionalità del legislatore nel compiere scelte diverse in relazione a modelli processuali distinti.
È ben vero, argomenta il rimettente, che, come in diverse occasioni evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, il legislatore può modulare diversamente il compenso dell’ausiliario nel processo civile e in quello penale.
Nondimeno, in nessuno dei suddetti giudizi la legge può introdurre drastiche riduzioni di compensi «limitandosi a prescrivere un adeguamento di fatto mai realizzato, nonostante il cospicuo tempo decorso».
In aggiunta, non costituirebbe un «apprezzabile elemento differenziale», ai fini dello scrutinio di legittimità costituzionale, la circostanza che l’art. 130, ora in esame, fosse inserito nel corpo del d.P.R. n. 115 del 2002 sin dalla sua emanazione, mentre l’art. 106-bis è stato introdotto solo con l’art. 1, comma 606, lettera b), della legge n. 147 del 2013, dal momento che le norme «non sono date una volta per tutte ed irrigidite nella configurazione iniziale, ma vivono e si definiscono nel tempo attraverso le continue applicazioni che ricevono nei nuovi contesti (ordinamentali, ma anche economico-sociali), nei quali operano».
Lo scrutinio di ragionevolezza andrebbe pertanto condotto interpretando la norma nel contesto ordinamentale sussistente al momento della sua applicazione.
Sottolinea, ancora, il giudice rimettente che, nel caso di specie, l’applicazione della disposizione censurata condurrebbe alla liquidazione di un compenso per il consulente tecnico d’ufficio pari ad euro 145,38, e tale importo risulterebbe inadeguato all’attuale valore economico e sociale dell’attività svolta, alla durata dell’incarico e alla stessa dignità della professione esercitata dal consulente, pur tenendo conto dell’interesse pubblico che permea la disciplina degli ausiliari del magistrato e del patrocinio a spese dello Stato.
Da ultimo, il giudice a quo rileva che il tenore letterale della disposizione denunciata non rende praticabile un’interpretazione conforme all’art. 3 Cost.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la dichiarazione di non fondatezza della questione.
2.1.– Ad avviso della difesa statale, le enunciazioni espresse nelle sentenze n. 192 del 2015 e n. 178 del 2017 non sarebbero invocabili in riferimento alla disposizione in questione, in quanto riguardano il processo penale, la cui diversità, rispetto al processo civile, è stata in più occasioni valorizzata dalla giurisprudenza costituzionale in ragione della differenza tra le situazioni comparate, costituite, da una parte, dagli interessi civili, e, dall’altra, dalle situazioni tutelate che sorgono per effetto dell’esercizio dell’azione penale.
Osserva, ancora, l’Avvocatura generale dello Stato che la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 non può estendersi anche alla norma censurata, posto che la novella legislativa scrutinata nelle sentenze n. 192 del 2015 e n. 178 del 2017 è stata esaminata «tenendo conto del fatto che si tratta di disposizione inserita in un contesto con una base tariffaria introdotta nel 2002 e mai rivista, nonostante la previsione di aggiornamento triennale contenuta nell’art. 54 del citato testo unico».
Le citate pronunce di illegittimità costituzionale – chiarisce l’interveniente – si basano «sulle ragioni della valutazione compiuta dal legislatore del 2013, intervenuto su una materia già caratterizzata dalla incongruità dei compensi previsti dalle tabelle adottate nel 2002», né può considerarsi priva di rilievo, ai fini del sindacato di ragionevolezza, la circostanza per la quale la norma censurata, a differenza dell’art. 106-bis, fosse già inserita nell’originario corpo del d.P.R. n. 115 del 2002.
Contrariamente a quanto assunto dal rimettente, l’originario inserimento dell’art. 130 nel t.u. sulle spese di giustizia sarebbe determinante, in quanto, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, il mancato aggiornamento periodico dei compensi per gli ausiliari del magistrato è dipeso da omissioni amministrative non risolvibili attraverso un intervento della Corte, ma con «altri rimedi», come il ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione ex art. 117 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo).
Nel giudizio di legittimità costituzionale dette omissioni costituirebbero dunque un mero inconveniente di fatto.
Da ultimo, il Presidente del Consiglio dei ministri rammenta che la disciplina del patrocinio a spese dello Stato è riconducibile alla materia processuale, nella quale il legislatore gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Paola, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 130 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)» – a mente del quale, in caso di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, gli importi spettanti, tra gli altri, all’ausiliario del magistrato sono ridotti della metà –, denunziandone il contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
1.1.– Ad avviso del rimettente, la norma censurata, nella parte in cui non esclude che tale decurtazione sia operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, introdurrebbe una significativa diminuzione di compensi già seriamente sproporzionati per difetto, perché computati sulla base di parametri mai aggiornati dall’approvazione delle Tabelle allegate al Decreto del Ministro della giustizia 30 maggio 2002 (Adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale).
La disposizione in scrutinio sarebbe quindi affetta da irragionevolezza, al pari della norma, di analoga portata precettiva, dettata dall’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 per il processo penale, la quale, proprio in forza dell’anomalia qui denunziata, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, in riferimento rispettivamente all’ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte, con le sentenze di questa Corte n. 192 del 2015 e n. 178 del 2017.
2.– La questione è fondata.
2.1.– La relazione funzionale che, attraverso l’atto di designazione, si instaura tra l’ausiliario del magistrato e l’ufficio giudiziario costituisce un munus publicum (sentenze n. 102 del 2021 e n. 88 del 1970), dal cui utile svolgimento sorge un diritto al compenso disciplinato dalle disposizioni del Titolo VII della Parte II del d.P.R. n. 115 del 2002, nonché, in forza del rinvio operato dall’art. 50 di tale testo unico, da tabelle approvate con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’art. 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri).
La ratio di tale plesso normativo – il quale, essendo espressamente riferito, come indicato nel Titolo VII, agli «[a]usiliari del magistrato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario», detta una disciplina comune a tutti gli ordinamenti processuali – è orientata a contemperare il carattere pubblicistico della funzione di ausilio dell’attività giudiziaria con l’esigenza di non svilire l’impegno garantito dal professionista designato.
L’adeguatezza della remunerazione dell’ausiliario, imposta dal principio di ragionevolezza, è assicurata dal rapporto di proporzionalità tra i valori tabellari dei compensi e le corrispondenti tariffe libero-professionali di mercato, ancorché con una riduzione, avuto riguardo alla connotazione pubblicistica dell’istituto (sentenze n. 89 del 2020 e n. 192 del 2015).
Se ne trae conferma dalla formula dell’art. 50, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, il quale individua il parametro di base per la determinazione ministeriale degli importi relativi agli onorari per gli ausiliari del magistrato «nelle tariffe professionali esistenti, eventualmente concernenti materie analoghe», sia pure avvertendo della necessità di contemperare tale metodo di quantificazione con la natura pubblicistica della prestazione resa.
2.2.– All’indicata finalità di bilanciamento tra l’interesse al contenimento delle spese del processo e l’esigenza di remunerazione dei professionisti designati risponde anche la fissazione, ad opera della normativa in esame (artt. 51, 52 e 53 del d.P.R. n. 115 del 2002), di criteri di liquidazione volti a commisurare il quantum delle spettanze all’entità, alla complessità e all’urgenza dell’opera prestata, «senza dar luogo a duplicazioni di sorta e senza svilire l’impegno assicurato dall’ausiliario» (sentenza n. 90 del 2019).
2.3.– Ancora, in linea con le indicate direttrici, l’art. 54 t.u. spese di giustizia stabilisce che l’adeguamento della misura degli onorari deve avvenire ogni tre anni, in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), «dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente, attraverso un decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, adottato di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze».
2.4.− Nei procedimenti in cui vi sia ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nei quali l’ordinamento tende a garantire a coloro che non sono in grado di sopportare il costo di un processo «l’effettività del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il secondo comma [dell’] art. 24 Cost. espressamente qualifica come diritto inviolabile» (sentenza n. 157 del 2021), è cruciale l’individuazione di un «punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia» (sentenza n. 47 del 2020).
A tale ultima esigenza risponde l’art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002, qui in scrutinio, a mente del quale i compensi spettanti al difensore, all’ausiliario del magistrato e al consulente di parte sono ridotti della metà.
Questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi sulla ragionevolezza di tale decurtazione, affermando, con specifico riferimento agli onorari del difensore, che «la garanzia costituzionale del diritto di difesa non esclude, quanto alle sue modalità, la competenza del legislatore a darvi attuazione sulla base di scelte discrezionali non irragionevoli» (ordinanza n. 350 del 2005).
In merito alla dimidiazione imposta dall’art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002, si è anche precisato che, stante l’ampia discrezionalità del legislatore nella materia in questione – essendo il patrocinio a carico dell’erario un istituto di diritto processuale –, il criterio di determinazione del compenso spettante al difensore della parte ammessa allo stesso non impone al professionista un sacrificio tale da risolvere il ragionevole legame che intercorre tra l’onorario a lui spettante e il relativo valore di mercato, trattandosi semplicemente di una modalità parzialmente diversa di determinazione del compenso medesimo (ordinanza n. 122 del 2016).
3.– Come sopra ricordato, questa Corte si è già espressa anche in merito alla particolare situazione, oggetto del presente giudizio, in cui la riduzione imposta in ragione dell’ammissione di una parte al patrocinio a spese dello Stato operi su un onorario la cui base tariffaria non sia stata aggiornata alle variazioni del potere di acquisto della moneta.
La più volte citata sentenza n. 192 del 2015, alle cui argomentazioni si è allineata la successiva pronuncia n. 178 del 2017, ha, anzitutto, rilevato che il legislatore, nel prevedere – attraverso l’introduzione dell’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 – che, come nei procedimenti civili, anche in quelli penali con ammissione della parte al patrocinio per i non abbienti debba farsi luogo alla riduzione, sia pure nella diversa misura di un terzo, degli onorari spettanti, tra gli altri, all’ausiliario del magistrato, «non poteva ignorare come si trattasse di compensi che, a norma dell’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, avrebbero dovuto essere periodicamente rivalutati».
L’adeguamento previsto dall’art. 54 del citato testo unico – evidenziava nell’occasione questa Corte – non è mai intervenuto dall’emanazione del decreto ministeriale del 30 maggio 2002, così che, dopo oltre un decennio di inerzia amministrativa, la base tariffaria sulla quale calcolare i compensi risultava già allora seriamente sproporzionata per difetto, pur considerando il contemperamento imposto dalla natura pubblicistica della prestazione.
Sulla scorta di tali premesse, è stato ritenuto affetto da irragionevolezza l’intervento di riduzione della spesa erariale in materia di giustizia adottato dal legislatore senza verificare che la decurtazione operasse su importi effettivamente congruenti con le stesse linee di fondo del d.P.R. n. 115 del 2002, «dunque su tariffe, da un lato, proporzionate (sia pure per difetto, tenendo conto del connotato pubblicistico) a quelle libero-professionali (che per parte loro, nell’ambito di una riforma complessiva dei criteri di liquidazione, sono state aggiornate) e, dall’altro, preservate nella loro elementare consistenza in rapporto alle variazioni del costo della vita» (sentenza n. 192 del 2015).
È stata quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, come introdotto dall’art. 1, comma 606, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella parte in cui non esclude che la diminuzione di un terzo degli importi – rispettivamente spettanti all’ausiliario del magistrato (sentenza n. 192 del 2015) e al consulente tecnico di parte (sentenza n. 178 del 2017) nel processo penale – sia operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002.
3.1.– Questa Corte ha inteso così conservare la norma censurata, sia pure condizionandone l’applicazione all’adeguamento tabellare alle scadenze indicate dalla legge, di modo che il giudice comune possa praticare la riduzione dei compensi solo quando la tariffa posta a fondamento del provvedimento di liquidazione sia conforme alla prescrizione di aggiornamento periodico.
Tale soluzione riposa sull’assunto per il quale l’adeguamento imposto dall’art. 54 del citato d.P.R. 115 del 2002 svolge una fondamentale funzione di riequilibrio e di stabilizzazione del sistema, in quanto assicura la ragionevolezza della liquidazione, pur a fronte di una riduzione delle tariffe (sentenza n. 89 del 2020).
3.2.– Il dispositivo delle sentenze n. 192 del 2015 e n. 178 del 2017 sottende un’enunciazione di portata generale che, contrariamente a quanto ritenuto dall’Avvocatura generale dello Stato, trascende la ragione contingente che ha dato occasione allo scrutinio di irragionevolezza dell’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, identificabile nella obsolescenza degli importi tabellari nel momento in cui la novella legislativa del 2013 ha esteso la riduzione dei compensi anche al processo penale.
L’irragionevolezza della norma censurata risiede dunque nella possibilità, derivante dalla sua combinazione con il sistema di determinazione dei compensi delineato dagli artt. 50 e 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, che il dimezzamento imposto dall’ammissione al patrocinio a spese dello Stato operi su una base tariffaria già di per sé sproporzionata per difetto.
Un meccanismo normativo siffatto, invero, produce effetti incongrui rispetto al fine perseguito, ove la prevista riduzione si associ all’omesso adeguamento ministeriale dell’importo base.
3.3.– È ben vero che il patrocinio a spese dello Stato è espressione di un bilanciamento rimesso alla discrezionalità del legislatore, il quale può conseguire il risultato della garanzia dell’accesso alla tutela giurisdizionale conformando gli istituti nel modo che reputa più opportuno, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate (sentenze n. 80 e 47 del 2020, n. 97 del 2019; ordinanza n. 3 del 2020).
Nondimeno, una norma che, come quella in scrutinio, decurti significativamente la remunerazione di un’attività professionale svolta nell’interesse della giustizia, può ritenersi ragionevole solo se la misura del sacrificio inflitto al professionista sia correttamente calibrata rispetto al fine di riduzione della spesa erariale.
Come già ricordato, affinché tale canone di adeguatezza possa ritenersi soddisfatto, la decurtazione deve essere operata su tariffe preservate nella loro elementare consistenza in relazione alle variazioni del costo della vita (sentenza n. 192 del 2015).
Tale enunciazione deve essere ribadita anche in riferimento alla fattispecie ora in esame, nella quale il rapporto di proporzione tra l’onorario dell’ausiliario e la tariffa libero-professionale sarebbe irrimediabilmente reciso, ove la già pesante riduzione della metà intervenisse su importi tabellari che, a causa della protratta svalutazione, risultino già di per sé significativamente distanti dai valori di mercato.
3.4.– Né, in senso contrario, può annettersi rilievo ai profili di specificità del processo penale rispetto alle liti civili addotti dalla difesa dello Stato per escludere la riproducibilità, nell’odierno giudizio, della ratio decidendi posta a base della dichiarazione di illegittimità costituzionale del meccanismo di riduzione degli onorari previsto per il processo penale.
La peculiarità di quest’ultimo rispetto ai procedimenti civili o amministrativi si coglie soprattutto nella diversità dell’azione penale rispetto alle domande proposte davanti ai giudici dei diritti o degli interessi, per la quale è approntato, proprio in considerazione delle particolari esigenze di difesa del soggetto che la subisce, un sistema di garanzie che ne assicuri al meglio l’effettività (sentenze n. 157 del 2021 e n. 237 del 2015).
La necessità di garantire ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione, prevista dall’art. 24, terzo comma, Cost., non postula che «gli appositi istituti» siano modellati in termini sovrapponibili per tutti i tipi di azione e di giudizio (sentenze n. 35 del 2019 e n. 237 del 2015).
3.4.1.– Se a diversi processi possono corrispondere, in base a scelte discrezionali del legislatore, discipline differenziate anche degli stessi istituti (sentenza n. 78 del 2002), per converso, nel caso in cui la legge delinei, in riferimento alla medesima fattispecie, normative per il processo civile e per quello penale sostanzialmente sovrapponibili − come avviene nella specie, sia pure con la significativa differenza delle decurtazioni dei compensi tra un terzo e la metà rispettivamente spettanti agli ausiliari del magistrato − una differente modulazione dello scrutinio di ragionevolezza si rivelerebbe ingiustificata.
Tale situazione ricorre nella fattispecie, qui in esame, della liquidazione dei compensi per l’ausiliario del magistrato in caso di ammissione al patrocinio a carico dell’erario, rispetto alla quale il legislatore, estendendo al processo penale il meccanismo di decurtazione degli onorari già previsto, sia pure in misura maggiore, per gli altri giudizi, ha inteso allineare, con specifico riferimento alla materia in esame, i diversi sistemi processuali.
Non può, inoltre, trascurarsi come una finalità di unificazione della normativa emerga dalla stessa disciplina dell’adeguamento tariffario, che il Titolo VII della Parte II del t.u. spese di giustizia riferisce espressamente a tutti i processi, ivi compreso quello penale.
Né, del resto, la ratio decidendi delle indicate sentenze n. 192 del 2015 e n. 178 del 2017 valorizza le peculiarità del processo penale, esprimendo, invece, un generale canone di proporzionalità e di adeguatezza nel bilanciamento tra giusta remunerazione del professionista ed esigenze della spesa pubblica, che trascende le particolarità dei singoli modelli processuali.
4.– In definitiva, il mancato funzionamento del meccanismo di equilibrio insito nell’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002 recide la necessaria correlazione tra il compenso per l’ausiliario del magistrato ed i valori di mercato, così facendo venir meno quel rapporto di connessione razionale e di proporzionalità tra il mezzo predisposto dal legislatore e il fine che lo stesso ha inteso perseguire, che è alla base della ragionevolezza della scelta legislativa (sentenza n. 102 del 2021).
5.– Per tali ragioni, l’art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non esclude che la riduzione della metà degli importi spettanti all’ausiliario del magistrato sia operata in caso di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 130 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui non esclude che la riduzione della metà degli importi spettanti all’ausiliario del magistrato sia operata in caso di applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2022.