SENTENZA N. 84
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giuliano AMATO;
Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia 19 maggio 2021, n. 7 (Legge di semplificazione 2021), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 20 luglio 2021, depositato in cancelleria il 27 luglio 2021, iscritto al n. 40 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;
udito nell’udienza pubblica dell’8 marzo 2022 il Giudice relatore Luca Antonini;
uditi l’avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Alessandra Zimmitti e Piera Pujatti per la Regione Lombardia;
deliberato nella camera di consiglio dell’8 marzo 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato a mezzo posta elettronica certificata il 20 luglio 2021 e depositato il successivo 27 luglio (reg. ric. n. 40 del 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso – in riferimento agli artt. 97, 117 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Lombardia 19 maggio 2021, n. 7 (Legge di semplificazione 2021).
È impugnato, segnatamente, il comma 1 di questa disposizione, il quale stabilisce che, «[i]n considerazione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e della necessità di assicurare la funzionalità operativa delle strutture della Giunta regionale, tenuto altresì conto delle specifiche competenze ed esperienze professionali acquisite, i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato del personale con qualifica dirigenziale presso la Giunta, stipulati ai sensi dell’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), previa selezione pubblica, in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, sono prorogati di dodici mesi rispetto alla loro attuale scadenza».
1.1.– Il ricorrente ritiene che tale norma violi, innanzitutto, l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in riferimento alla materia «ordinamento civile», anche in relazione all’art. 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), applicabile alle Regioni in virtù del successivo comma 6-ter.
Al riguardo, l’Avvocatura generale premette che il citato art. 19, comma 6, disciplina il conferimento degli incarichi di funzioni dirigenziali a soggetti esterni ai ruoli dell’amministrazione, stabilendo, tra l’altro, che la loro durata non può eccedere il termine di tre anni per gli incarichi “apicali” o di funzione dirigenziale di livello generale e quello di cinque anni per gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale non generale.
Quindi osserva che, secondo la giurisprudenza costituzionale, l’attribuzione degli incarichi dirigenziali esterni «si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato», con la conseguenza che la disciplina «del rapporto che sorge per effetto della conclusione di quel negozio giuridico» apparterrebbe alla materia dell’ordinamento civile (è citata la sentenza n. 324 del 2010).
Del resto, proprio sulla base di tali argomenti – precisa la difesa statale – questa Corte avrebbe dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma regionale diretta, analogamente a quella oggetto dell’odierna impugnazione, a disporre la proroga della durata di incarichi dirigenziali in essere (è citata la sentenza n. 310 del 2011).
L’impugnato art. 3, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2021, disponendo la proroga di dodici mesi, rispetto alla loro attuale scadenza, dei contratti in essere al momento della sua entrata in vigore, invaderebbe quindi la competenza statale nella materia «ordinamento civile», ponendosi, in ogni caso, in contrasto con l’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, perché non garantirebbe il rispetto dei limiti di durata massima prescritti da tale disposizione.
1.2.– Sarebbero altresì violati gli artt. 97 e «117 della Costituzione, anche in relazione» agli artt. 1, comma 3, 4, 14 e 27, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001.
Ad avviso della difesa statale, infatti, gli atti inerenti all’instaurazione e alla gestione dei rapporti di lavoro dovrebbero essere riservati – in ossequio al principio della separazione tra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e quelle di gestione amministrativa – alla competenza delle «figure di vertice dirigenziale», alle quali il legislatore regionale, disponendo direttamente la proroga degli incarichi dirigenziali esterni, si sarebbe invece sovrapposto, ledendo la «imparzialità della pubblica amministrazione».
D’altra parte, poiché il principio della separazione fra politica e amministrazione sarebbe sancito dagli artt. 4 e 14 del d.lgs. n. 165 del 2001, al cui rispetto le Regioni a statuto ordinario sarebbero tenute secondo quanto previsto dagli artt. 1, comma 3, e 27, comma 1, dello stesso decreto legislativo, la sua compromissione determinerebbe anche la violazione dell’art. 117 Cost.
2.– Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, nella persona del Presidente della Giunta regionale, chiedendo di dichiarare inammissibili o comunque non fondate le questioni promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri.
2.1.– L’eccepita inammissibilità discenderebbe: in primo luogo, dall’assertività del ricorso, il quale non specificherebbe in che modo sarebbero state lese le competenze legislative statali; in secondo luogo, dalla natura ipotetica delle questioni, che sarebbero state in sostanza prospettate sul presupposto, indimostrato, che la norma regionale impugnata possa essere interpretata nel senso: a) di non imporre il rispetto degli indicati limiti di durata degli incarichi esterni, determinandone quindi il possibile superamento; b) di disporre direttamente, a prescindere dunque da un successivo atto di gestione, la proroga degli incarichi stessi.
2.2.– Nel merito, le questioni sarebbero comunque non fondate.
2.2.1.– Prendendo le mosse dalla dedotta invasione della competenza statale in materia di ordinamento civile, la resistente ritiene che, al contrario, l’art. 3, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2021 sia espressione della propria competenza residuale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale.
La proroga oggetto della norma censurata, infatti, sarebbe stata introdotta in conseguenza della sospensione delle procedure selettive per il conferimento degli incarichi dirigenziali «in conformità alle disposizioni statali per il contenimento dell’epidemia» e sarebbe, pertanto, preordinata a evitare un «vuoto amministrativo» e ad assicurare la funzionalità degli uffici della Giunta regionale.
D’altro canto, nemmeno risulterebbero violati i limiti temporali degli incarichi dirigenziali esterni previsti dal legislatore statale, poiché i contratti interessati dall’impugnato art. 3, comma 1, sarebbero stati stipulati, come espressamente previsto dalla norma regionale stessa, ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, sicché la loro durata «non potr[ebbe] che» essere quella stabilita da tale disposizione. Ciò che sarebbe avvalorato dalla circostanza che tali contratti, da un lato, avrebbero ad oggetto incarichi dirigenziali di livello non generale e sarebbero, quindi, soggetti al termine massimo quinquennale (e non triennale); dall’altro, come emergerebbe dalla allegata deliberazione della Giunta regionale 31 maggio 2021, n. 4812, sarebbero stati sottoscritti a seguito di avviso pubblico del 2017 per una durata inferiore a cinque anni. La proroga di dodici mesi «disposta nel 2021» sarebbe pertanto rispettosa del suddetto limite.
2.2.2.– Anche le questioni promosse in riferimento agli artt. 97 e 117 Cost. sarebbero non fondate.
Secondo la resistente, infatti, il principio della separazione tra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e quelle di gestione non sarebbe violato, in quanto il legislatore regionale avrebbe autorizzato «i soggetti preposti agli uffici di vertice» a disporre la proroga, senza sostituirsi a questi ultimi, come confermato dalla successiva adozione di un apposito provvedimento amministrativo – la deliberazione della Giunta regionale poc’anzi citata – con il quale gli incarichi in discorso sono stati, per l’appunto, prorogati.
3.– Con memoria depositata il 15 febbraio 2022, la Regione Lombardia ha ribadito le argomentazioni già illustrate nell’atto di costituzione in giudizio e ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni ivi formulate.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 40 del 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia 19 maggio 2021, n. 7 (Legge di semplificazione 2021), il quale così recita: «[i]n considerazione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e della necessità di assicurare la funzionalità operativa delle strutture della Giunta regionale, tenuto altresì conto delle specifiche competenze ed esperienze professionali acquisite, i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato del personale con qualifica dirigenziale presso la Giunta, stipulati ai sensi dell’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), previa selezione pubblica, in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, sono prorogati di dodici mesi rispetto alla loro attuale scadenza».
1.1.– Il ricorrente ritiene che questa disciplina violi l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in relazione alla materia «ordinamento civile», incidendo su rapporti di lavoro in essere e determinando il superamento dei limiti di durata massima degli incarichi dirigenziali prescritti dall’art. 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), applicabile anche alle Regioni secondo quanto previsto dal successivo comma 6-ter.
Risulterebbero, inoltre, violati gli artt. 97 e «117 della Costituzione, anche in relazione» agli artt. 1, comma 3, 4, 14 e 27, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, in quanto il legislatore regionale, ledendo il principio di «imparzialità della pubblica amministrazione», si sarebbe sovrapposto alle «figure di vertice dirigenziale», alle quali – in ossequio al principio di separazione tra politica e amministrazione sancito dalle citate disposizioni legislative – dovrebbe essere invece riservata la competenza in ordine all’adozione degli atti relativi alla gestione dei rapporti di lavoro.
2.– In via preliminare, occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa della Regione Lombardia, che investono le singole censure articolate con il ricorso.
2.1.– In particolare, quanto alla questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., la Regione eccepisce anzitutto un difetto di motivazione in merito alle concrete modalità della dedotta lesione delle competenze statali.
L’eccezione è priva di pregio.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, il ricorrente ha l’onere, sia di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali lamenta la violazione, sia di specificare le ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati, adducendo una, sia pure sintetica, argomentazione a sostegno delle censure (ex plurimis, sentenze n. 17 del 2022 e n. 234 del 2021).
Nella specie il ricorrente è chiaro nell’illustrare la doglianza, dal momento che, dopo avere ricordato la giurisprudenza di questa Corte sulla disciplina degli incarichi dirigenziali di cui all’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, sostiene l’invasione della competenza statale in materia di «ordinamento civile» poiché la norma regionale interverrebbe su rapporti già sorti senza rispettare i previsti limiti di durata massima degli incarichi dirigenziali.
2.1.1.– Sotto quest’ultimo aspetto, la difesa regionale eccepisce l’inammissibilità della questione in parola anche in ragione della sua natura ipotetica.
Nemmeno questa eccezione è fondata.
In disparte la considerazione che la costante giurisprudenza costituzionale ammette che, nei giudizi in via principale, possano essere promosse anche questioni ipotetiche (ex plurimis, sentenze n. 70 e n. 38 del 2021), l’odierno ricorrente denuncia, in ogni caso, il vizio di illegittimità costituzionale rilevando che l’impugnato art. 3, comma 1, prorogherebbe in modo indiscriminato di dodici mesi tutti i contratti in essere al momento della sua entrata in vigore, senza stabilire il necessario rispetto dei precisi limiti temporali fissati dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001.
2.2.– È fondata, invece, l’eccezione di inammissibilità per carenza di motivazione in relazione alla seconda censura, che il ricorrente ha genericamente formulato in riferimento all’intero art. 117 Cost., evocando apoditticamente gli artt. 4 e 14 del d.lgs. n. 165 del 2001.
Il ricorso, infatti, sostenendo la violazione, con riguardo a tale parametro, del principio di separazione tra politica e amministrazione, non specifica in alcun modo a quale materia esso sarebbe ascrivibile e, quindi, nemmeno precisa quale competenza statale sarebbe incisa dall’art. 3, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2021.
La questione promossa in riferimento all’art. 117 Cost. deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile.
3.– Benché non eccepita, deve essere rilevata d’ufficio l’inammissibilità anche della censura concernente la violazione dell’art. 97 Cost., in relazione al principio di imparzialità della pubblica amministrazione.
Il ricorrente, infatti, ritiene che tale principio sia pregiudicato poiché la norma regionale impugnata priverebbe le «figure di vertice dirigenziale» della competenza spettante loro a gestire gli incarichi dirigenziali.
Nell’argomentare la doglianza, tuttavia, il ricorso non si confronta, neanche succintamente, con la disciplina statale degli incarichi dirigenziali, alla stregua della quale gli incarichi “apicali” e quelli di funzione dirigenziale di livello generale sono conferiti, in realtà, su proposta del Ministro, ovvero proprio dell’organo di indirizzo politico-amministrativo, mentre solo gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale non generale sono attribuiti dai dirigenti generali (artt. 16, comma 1, lettera b, e 19, commi 3, 4 e 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, questi ultimi richiamati dall’evocato art. 19, comma 6, del medesimo decreto legislativo).
Inoltre, l’Avvocatura generale trascura del tutto di considerare il rapporto tra la norma censurata e le funzioni dirigenziali previste dalla legge della Regione Lombardia 7 luglio 2008, n. 20 (Testo unico delle leggi regionali in materia di organizzazione e personale), che, quanto alla dirigenza della Giunta regionale, contempla diverse figure: in particolare, quelle del direttore, del dirigente di servizio, del dirigente di ufficio, del dirigente di funzione ispettiva o di vigilanza e, infine, del dirigente di progetto o di ricerca.
In questo modo, la censura statale omette persino di indicare a quale tra le varie figure dirigenziali regionali la norma impugnata avrebbe dovuto riservare la competenza a prorogare gli incarichi già attribuiti.
Le evidenziate lacune conducono alla declaratoria di inammissibilità in parte qua del ricorso per incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento (ex plurimis, sentenze n. 170 del 2021, n. 265 del 2020 e n. 154 del 2019).
4.– La questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. è fondata.
4.1.– La norma regionale impugnata, dal contenuto sostanzialmente provvedimentale, dispone la proroga di dodici mesi, rispetto alla loro scadenza, dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere al momento della sua entrata in vigore, stipulati per il conferimento degli incarichi dirigenziali presso la Giunta regionale ai sensi dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, ovvero con soggetti esterni ai ruoli dell’amministrazione.
4.2.– In via generale, va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte gli interventi legislativi che incidono sui rapporti lavorativi in essere sono ascrivibili alla materia «ordinamento civile», dovendosi per converso ricondurre alla materia residuale dell’organizzazione amministrativa regionale quelli che intervengono “a monte”, in una fase antecedente all’instaurazione del rapporto, e riguardano profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale (ex plurimis, sentenze n. 39 e n. 9 del 2022; n. 195, n. 25 e n. 20 del 2021; n. 273, n. 194 e n. 126 del 2020; n. 241 del 2018).
Con specifico riferimento agli incarichi dirigenziali esterni di cui all’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, inoltre, va precisato che secondo questa Corte il loro conferimento «si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato» e la disciplina del relativo rapporto, compresa quella afferente alla sua durata massima, appartiene alla materia dell’ordinamento civile (sentenza n. 324 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 257 del 2016 e n. 310 del 2011).
4.3.– L’art. 3, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2021 ricade pertanto nell’ambito materiale dell’ordinamento civile, in quanto attiene a contratti di lavoro in essere, influendo sulla relativa durata.
4.3.1.– Peraltro, il legislatore regionale ha realizzato tale interferenza “a valle” del rapporto di lavoro, adottando una formulazione onnicomprensiva, che investe tutti i contratti in essere, prorogandoli «di dodici mesi rispetto alla loro attuale scadenza», quale che essa sia e, quindi, a prescindere dalla durata complessiva, che invece l’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce in tre anni per gli incarichi “apicali” o di funzione dirigenziale di livello generale e in cinque anni per quelli di direzione degli uffici di livello dirigenziale non generale.
Rileva, al riguardo, la considerazione che la difesa della Regione Lombardia – a fronte del carattere chiaramente provvedimentale della norma censurata, che la rende soggetta a un controllo di costituzionalità particolarmente severo – non ha dimostrato il rispetto dei menzionati limiti temporali. Questo, infatti, non può essere desunto né dalla circostanza per cui detti contratti sarebbero stati stipulati a seguito di «avviso pubblico del 2017» – ciò che non è di per sé solo sufficiente ad escludere l’evidenziato sconfinamento –, né dall’allegata deliberazione della Giunta regionale 31 maggio 2021, n. 4812, dalla quale non emerge la durata complessiva degli incarichi in questione e nemmeno, in ogni caso, la conferma che essi fossero gli unici in corso di esecuzione al momento dell’entrata in vigore della norma impugnata.
4.4.– I rilievi svolti conducono a concludere che l’art. 3, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2021 viola la competenza legislativa statale nella materia dell’ordinamento civile.
4.5.– Del resto, la fattispecie in esame è sostanzialmente differente da quella considerata da questa Corte nella sentenza n. 128 del 2020 in relazione a una norma regionale concernente la proroga di incarichi di posizione organizzativa, dal momento che non ricorrono, nel caso qui scrutinato, specifiche ed eccezionali ragioni di natura pubblicistico-organizzativa che facciano ritenere la disposizione impugnata prevalentemente riferibile alla materia dell’ordinamento e organizzazione amministrativa regionale.
Non è, infatti, condivisibile la tesi della resistente, secondo cui la censurata proroga sarebbe stata indotta dall’impossibilità, causata dalla sospensione delle procedure selettive «in conformità alle disposizioni statali per il contenimento dell’epidemia», di procedere al conferimento degli incarichi prossimi alla scadenza.
Fin dal decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, infatti, il legislatore statale ha disposto la sospensione delle sole procedure concorsuali (sempre che la valutazione dei candidati non potesse avvenire su base curriculare o in modalità telematica) e ha lasciato, invece, espressamente ferma la possibilità di svolgere le procedure per il conferimento degli incarichi dirigenziali in via telematica (art. 87, comma 5, le cui previsioni, introdotte in via temporanea, sono state poi nella sostanza reiterate dalla successiva normativa statale sull’emergenza e dai numerosi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con i quali sono state adottate misure volte al contenimento della curva epidemiologica).
D’altronde, l’asserita sospensione dedotta dalla resistente è smentita anche dalla stessa documentazione da essa depositata: dalla deliberazione della Giunta regionale dianzi richiamata emerge, infatti, che la Regione Lombardia – nel conferire alcuni incarichi dirigenziali vacanti o che sarebbero divenuti tali dal successivo 1° giugno – ha preventivamente ricercato i dirigenti di ruolo disponibili svolgendo un’apposita procedura selettiva.
5.– Sulla scorta delle argomentazioni che precedono, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2021.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia 19 maggio 2021, n. 7 (Legge di semplificazione 2021);
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 7 del 2021, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 97 e 117 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 marzo 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria l'1 aprile 2022.