SENTENZA N. 70
ANNO 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 290, secondo periodo, in combinato disposto con i commi da 288 a 290, primo periodo; 548; e 602, in combinato disposto con il comma 590, primo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso notificato il 27 febbraio-3 marzo 2020, depositato in cancelleria il 6 marzo 2020 e iscritto al n. 36 del registro ricorsi 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella udienza pubblica del 9 marzo 2021 il Giudice relatore Luca Antonini;
uditi gli avvocati Franco Mastragostino e Maria Chiara Lista per la Provincia autonoma di Trento, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020, e l’avvocato dello Stato Emanuele Feola per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 9 marzo 2021.
1.– Con ricorso notificato il 27 febbraio-3 marzo 2020 e depositato il 6 marzo 2020 (reg. ric. n. 36 del 2020), la Provincia autonoma di Trento, in persona del presidente pro tempore, ha promosso distinte questioni di legittimità costituzionale, tra gli altri, dell’art. 1, commi 290, secondo periodo, in combinato disposto con i commi da 288 a 290, primo periodo; 548; e 602, in combinato disposto con il comma 590, primo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), in riferimento complessivamente agli artt. 3, 117, terzo e quarto comma, 119 – in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – e 120 della Costituzione – in riferimento, quest’ultimo, al principio di leale collaborazione –, nonché in relazione agli artt. 8, 16, 69, 70, 72, 73, 75, 75-bis, 79, 104 e, comunque, al Titolo VI del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e al decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale).
La ricorrente premette che la citata legge di bilancio contiene, al comma 856 dell’art. 1, una clausola di salvaguardia delle autonomie speciali, ai sensi della quale le disposizioni della stessa legge «sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3». Tuttavia, poiché le disposizioni impugnate si riferirebbero espressamente anche alle Province autonome o comunque produrrebbero indirettamente effetti nei loro riguardi, tale clausola non garantirebbe una copertura adeguata alle suddette autonomie speciali.
1.1.– L’impugnato art. 1, comma 548, prevede che «[n]el caso di modifiche della disciplina statale relativa ai tributi erariali, ivi inclusi i tributi propri derivati, che potrebbero produrre effetti sulla finanza della regione Trentino-Alto Adige e delle province autonome di Trento e di Bolzano, sono attivate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, procedure di monitoraggio degli effetti finanziari, al fine di regolare i rapporti finanziari tra lo Stato, la regione e le province autonome di Trento e di Bolzano».
Ad avviso della ricorrente tale norma contrasterebbe con le disposizioni in tema di autonomia finanziaria di cui al Titolo VI dello statuto reg. Trentino-Alto Adige e con le relative norme di attuazione. In particolare, sarebbero violati il d.lgs. n. 268 del 1992, nonché il «principio dell’accordo per la determinazione del livello di concorso agli obiettivi di finanza pubblica sanciti negli artt. 79 e 104 Statuto» e infine il principio di leale collaborazione, di cui all’art. 120 Cost., poiché essa non contempla un’intesa con le Province autonome nel procedimento di emanazione del decreto ministeriale relativo alle procedure di monitoraggio.
Infine, ove la norma impugnata vada interpretata nel senso di escludere la necessità di un accordo per modificare i contenuti e i termini finanziari stabiliti nello statuto di autonomia, sarebbero comunque violati tutti i sopra ricordati parametri statutari e costituzionali, con particolare riguardo, ancora una volta, al principio di leale collaborazione.
1.2.– Dello stesso art. 1 della legge di bilancio per il 2020 è poi impugnato il comma 290, secondo periodo, «in combinato disposto con i commi da 288 a 290, primo periodo».
In base al comma 288, primo periodo, «[a]l fine di incentivare l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, le persone fisiche maggiorenni residenti nel territorio dello Stato, che, fuori dall’esercizio di attività d’impresa, arte o professione, effettuano abitualmente acquisti con strumenti di pagamento elettronici da soggetti che svolgono attività di vendita di beni e di prestazione di servizi, hanno diritto ad un rimborso in denaro, alle condizioni, nei casi e sulla base dei criteri individuati dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui al comma 289». Il successivo comma 290 prevede quindi che «[a]l fine di garantire le risorse finanziarie necessarie per l’attribuzione dei rimborsi e le spese per le attività legate all’attuazione della misura di cui ai commi 288 e 289, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è stanziato su apposito fondo l’importo annuo di euro 3 miliardi per gli anni 2021 e 2022. Il suddetto importo è integrato con le eventuali maggiori entrate derivanti dall’emersione di base imponibile conseguente all’applicazione della predetta misura, come rilevate dalla Commissione istituita ai sensi dell’articolo 10-bis.1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196».
Secondo la ricorrente, in presenza di norme degli statuti di autonomia speciale che stabiliscono compartecipazioni a tributi erariali, le norme statali che disciplinano la destinazione del maggior gettito dei tributi compartecipati dovrebbero essere intese in modo compatibile con i predetti statuti; sul punto richiama le sentenze di questa Corte n. 207 del 2014 e n. 270 del 2017. Le maggiori entrate considerate dalla norma impugnata, infatti, non deriverebbero da maggiorazioni di aliquote di tributi esistenti o dall’istituzione di nuovi tributi, ma sarebbero corrispondenti «al potenziale recupero di tributi evasi (preesistenti)». Pertanto, laddove non si ritenesse applicabile la clausola di salvaguardia contenuta nel comma 856 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019 – soluzione non pacifica –, dovrebbe concludersi per l’illegittimità costituzionale del secondo periodo del comma 290, in combinato disposto con la restante richiamata disciplina. Questo sistema normativo, sempre secondo la ricorrente, sarebbe infatti in contrasto con gli artt. 69, 70, 72, 73, 75 e 75-bis statuto reg. Trentino-Alto Adige e con le relative norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 268 del 1992.
1.3.– Da ultimo, è oggetto di impugnazione il comma 602 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019, «in combinato disposto con il primo periodo del comma 590».
La Provincia autonoma premette che:
– ai sensi della prima norma, «[f]atto salvo quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 57 del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, le disposizioni di cui ai commi da 590 a 600 non si applicano alle regioni, alle province autonome di Trento e di Bolzano, agli enti locali e ai loro organismi ed enti strumentali come definiti dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, nonché ai loro enti strumentali in forma societaria»;
– la seconda, ovvero il comma 590, primo periodo, prevede che: «[a]i fini di una maggiore flessibilità gestionale, di una più efficace realizzazione dei rispettivi obiettivi istituzionali e di un miglioramento dei saldi di finanza pubblica, a decorrere dall’anno 2020, agli enti e agli organismi, anche costituiti in forma societaria, di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, ivi comprese le autorità indipendenti, con esclusione degli enti del Servizio sanitario nazionale, cessano di applicarsi le norme in materia di contenimento e di riduzione della spesa di cui all’allegato A annesso alla presente legge».
Infine, la normativa fatta salva dal comma 602 – ovvero l’art. 57, comma 2, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 2019, n. 157 – dispone che, «[a] decorrere dall’anno 2020, alle regioni, alle Province autonome di Trento e di Bolzano, agli enti locali e ai loro organismi ed enti strumentali, come definiti dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, nonché ai loro enti strumentali in forma societaria cessano di applicarsi» alcune puntuali disposizioni in materia di contenimento e di riduzione della spesa e di obblighi formativi.
La Provincia ricorrente rileva anzitutto che alcune delle norme di contenimento non più applicabili (in forza della previsione da ultimo citata) coinciderebbero con quelle oggetto del comma 590, primo periodo, in quanto inserite anche nel richiamato Allegato A, indicando al riguardo: a) il disposto dell’art. 27 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, e b) quello dell’art. 6, commi 7, 8, 9, 12 e 13, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122.
La ricorrente prospetta quindi il rischio di un’interpretazione letterale delle norme impugnate, secondo la quale il citato art. 57, comma 2, del d.l. n. 124 del 2019, come convertito, avrebbe abolito tali specifici vincoli alla spesa nell’ambito del riconoscimento della maggiore autonomia finanziaria degli enti autonomi, mentre invece le due norme della legge di bilancio – ossia il «comma 602, per effetto del combinato disposto con il comma 590» – ne prevederebbero la loro perdurante operatività, escludendo gli stessi enti dall’ambito di applicazione del comma 590.
In questa prospettiva la ricorrente sottolinea l’irragionevolezza dell’intervento normativo che, «nell’ambito della stessa manovra», avrebbe riconosciuto maggiore autonomia gestionale alle autonomie territoriali – segnatamente con le previsioni di cui ai commi da 591 a 600 e al comma 610 – ma, al contempo, avrebbe mantenuto in vigore alcuni puntuali vincoli aventi la stessa finalità di quelli aboliti.
In conclusione, sarebbe quindi violato il «principio di ragionevolezza nell’ambito della disciplina del riparto delle attribuzioni rispettive dello Stato e delle Province Autonome ed, in particolare, nella materia dell’ordinamento degli Uffici e del personale, nonché dell’organizzazione (art. 8 St.; art. 16 St.; 117, quarto comma, Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001)».
In subordine, l’applicazione diretta delle disposizioni statali impugnate, in quanto norme di dettaglio nella materia di coordinamento della finanza pubblica, si porrebbe in contrasto con l’autonomia finanziaria garantita, in particolare, dall’art. 79, comma 4, dello statuto di autonomia e con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
2.– Con atto depositato il 14 aprile 2020 si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
2.1.– La difesa statale rileva preliminarmente l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del motivo di ricorso concernente il comma 548 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019: tale disposizione è stata infatti abrogata ad opera dell’art. 38-bis, comma 3, lettera d), del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8.
2.2.– Ad avviso dell’Avvocatura, inoltre, il motivo di impugnazione del comma 290, secondo periodo, sarebbe inammissibile anzitutto perché formulato in modo generico. La Provincia avrebbe infatti omesso di precisare quali specifiche «maggiori entrate» previste da tale norma potrebbero costituire proventi da tributi da attribuirle in forza delle norme statutarie – peraltro non individuate – e in ipotesi “distratte” a favore dello Stato.
La censura sarebbe inammissibile anche per l’insufficienza della motivazione e l’incompleta ricostruzione del quadro normativo con riferimento alla clausola di salvaguardia contenuta nella legge di bilancio all’art. 1, comma 856, e alla funzione da questa assolta.
Nel merito, essendo in ogni caso errato il presupposto interpretativo da cui muove la ricorrente, la questione sarebbe comunque non fondata.
2.3.– Quanto all’ultimo motivo di impugnazione, la difesa dello Stato ricostruisce la complessiva disciplina introdotta dai commi da 590 a 602 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019, sottolineando che l’evidente ratio dell’intervento sarebbe quella di semplificare il quadro normativo vigente in materia di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica delle amministrazioni non territoriali, sostituendo alle numerose ed eterogenee disposizioni stratificatesi nel tempo una più organica disciplina.
Ad avviso dell’Avvocatura, il comma 602 avrebbe disposto l’espressa esclusione delle Regioni, delle Province autonome, degli enti locali e dei relativi organismi ed enti strumentali, dall’ambito di applicazione delle norme in esame per il semplice motivo che con riferimento a tali soggetti, il legislatore statale era già intervenuto con la disciplina recata dall’art. 57, comma 2, del d.l. n. 124 del 2019, come convertito; disciplina espressamente fatta salva dall’impugnato comma 602.
2.4.– Il quadro normativo così illustrato porta l’Avvocatura a eccepire l’evidente inammissibilità del motivo di ricorso, formulato non solo in modo perplesso, dubitativo e con «assoluta indeterminatezza del suo oggetto», ma anche senza un’efficace indicazione delle ragioni a sostegno delle violazioni addotte.
2.5.– Nel merito, il motivo sarebbe comunque infondato perché il descritto contesto normativo sarebbe stato interpretato dalla Provincia autonoma in modo errato e parcellizzato.
L’approccio della ricorrente, infatti, trascurerebbe di considerare che l’intervento normativo in esame costituisce un corpo normativo unitario e omogeneo diretto alle sole amministrazioni non territoriali.
La scelta compiuta dal legislatore statale con il richiamato comma 602 non sarebbe pertanto irragionevole e, soprattutto, non darebbe luogo ad alcun trattamento deteriore delle autonomie speciali.
2.6.– Quanto alla prospettazione del motivo articolata in via subordinata, l’Avvocatura ne eccepisce l’inammissibilità per l’estrema genericità, avendo la ricorrente soltanto citato le disposizioni violate, senza indicare le ragioni per cui la norma impugnata vi si porrebbe in contrasto.
Le censure sarebbero comunque infondate per quanto già indicato.
3.– Con istanza depositata il 2 luglio 2020, la difesa della Provincia autonoma di Trento ha dato atto della cessazione della materia del contendere – chiedendone la declaratoria – delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 548, della legge n. 160 del 2019, a seguito dell’abrogazione di questa disposizione da parte dell’art. 38-bis, comma 3, lettera d), del d.l. n. 162 del 2019, come convertito.
4.– Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza.
4.1.– La Provincia ricorrente, in particolare, riconosce che la disposizione da essa impugnata, contenuta nel secondo periodo del comma 290 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019, risulta abrogata dall’art. 1, comma 1097, lettera b), della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), in quanto nel testo attualmente in vigore dello stesso comma 290 «[n]ulla si dice più sulla concorrenza», a copertura del fondo statale ivi menzionato, delle eventuali maggiori entrate derivanti dall’emersione di base imponibile conseguente all’applicazione della misura introdotta dal correlato comma 288; sicché, afferma la ricorrente, «a decorrere dal 1 gennaio 2021 la disposizione impugnata non è più in vigore».
Tuttavia, ritiene che sopravviva l’interesse della Provincia autonoma al mantenimento di una pronuncia di questa Corte. Al riguardo, la difesa della ricorrente ricorda che la previsione delle misure premiali contenuta nei commi da 288 a 290 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019 non era immediatamente applicabile, occorrendo l’emanazione di un apposito regolamento attuativo, adottato poi con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 24 novembre 2020, n. 156 (Regolamento recante condizioni e criteri per l’attribuzione delle misure premiali per l’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronici) ed entrato in vigore il successivo 28 novembre 2020.
Il citato regolamento conterrebbe, all’art. 11, comma 1, ultimo periodo, un riferimento all’eventualità di integrare la disponibilità finanziaria del fondo costituito dalla legge n. 160 del 2019 «con le eventuali maggiori entrate derivanti dall’emersione di base imponibile conseguente all’applicazione del programma, come rilevate dalla commissione di cui all’articolo 10-bis.1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196». Secondo la difesa provinciale, se da un lato questa disposizione dovrebbe ormai «essere allineata alla legislazione sopravvenuta o, ritenuta, comunque, abrogata, in base al principio gerarchico di rapporto fra fonti primarie e secondarie»; tuttavia, dall’altro, rimarrebbe fermo che «la predetta normativa ha trovato applicazione nel corso del 2020» poiché sia la norma legislativa che il regolamento avrebbero «avuto vigenza per un mese».
In conclusione, la ricorrente ritiene quindi di non avere «elementi per escludere che si siano prodotti gli effetti che essa ha inteso contrastare con il ricorso».
4.2.– Nella propria memoria, l’Avvocatura segnala, invece, che lo ius superveniens di cui all’art. 1, comma 1097, lettera b), della legge n. 178 del 2020 farebbe risultare completamente superato il motivo di ricorso relativo al secondo periodo del comma 290 impugnato, «dato che l’abrogazione del medesimo comporta l’inammissibilità della censura per sopravvenuta carenza del suo oggetto».
5.– Nell’udienza, la difesa della Provincia autonoma di Trento ha confermato di ritenere cessata la materia del contendere solo e unicamente delle questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto il comma 548 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019.
L’Avvocatura, ai fini delle valutazioni sull’eventuale cessazione della materia del contendere delle questioni promosse nei confronti del comma 290, secondo periodo, del medesimo art. 1 della legge n. 160 del 2019, ha però evidenziato che l’attuazione di questa norma avrebbe richiesto anche la certificazione delle eventuali maggiori entrate derivanti dall’emersione di base imponibile conseguente all’applicazione sperimentale della predetta misura nel mese di dicembre 2020. A quest’ultimo riguardo, ha aggiunto la difesa statale, non risulta che la commissione prevista dalla norma impugnata abbia certificato tali maggiori entrate che, in ipotesi, avrebbero integrato il fondo statale.
1.– Con il ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 36 del 2020), la Provincia autonoma di Trento ha promosso questioni di legittimità costituzionale di varie disposizioni dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), fra cui quelle recate dai commi 290, secondo periodo, in combinato disposto con i commi da 288 a 290, primo periodo; 548; e 602, in combinato disposto con il comma 590, primo periodo, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 117, terzo e quarto comma, 119 – in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – e 120 della Costituzione – in riferimento, quest’ultimo, al principio di leale collaborazione –, nonché in relazione agli artt. 8, 16, 69, 70, 72, 73, 75, 75-bis, 79, 104 e, comunque, al Titolo VI del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e al decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale).
2.– Resta riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con lo stesso ricorso.
3.– La prima disposizione impugnata – l’art. 1, comma 548, della legge n. 160 del 2019 – prevede che «[n]el caso di modifiche della disciplina statale relativa ai tributi erariali, ivi inclusi i tributi propri derivati, che potrebbero produrre effetti sulla finanza della regione Trentino-Alto Adige e delle province autonome di Trento e di Bolzano, sono attivate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, procedure di monitoraggio degli effetti finanziari, al fine di regolare i rapporti finanziari tra lo Stato, la regione e le province autonome di Trento e di Bolzano».
Ad avviso della ricorrente tale norma contrasterebbe con i «parametri statutari dell’autonomia finanziaria di cui al Titolo VI» dello statuto reg. Trentino-Alto Adige e con le relative norme di attuazione. In particolare, sarebbero violati il d.lgs. n. 268 del 1992, nonché il «principio dell’accordo per la determinazione del livello di concorso agli obiettivi di finanza pubblica sanciti negli artt. 79 e 104 Statuto» e infine il principio di leale collaborazione, di cui all’art. 120 Cost.
In subordine, ove la disposizione impugnata vada interpretata nel senso di escludere la necessità di un accordo per modificare i contenuti e i termini finanziari stabiliti nello statuto di autonomia, sarebbero comunque violati i sopra ricordati parametri statutari e costituzionali, con particolare riguardo, ancora una volta, al principio di leale collaborazione.
3.1.– A decorrere dal 1° marzo 2020, e quindi successivamente alla proposizione del ricorso, la norma impugnata è stata abrogata dall’art. 38-bis, comma 3, lettera d), del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162 (Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2020, n. 8.
Per effetto dello ius superveniens, l’Avvocatura generale ha rilevato l’improcedibilità del motivo di ricorso concernente l’art. 1, comma 548, della legge n. 160 del 2019, per sopravvenuta carenza di interesse, mentre la difesa della Provincia ricorrente ha chiesto, con istanza appositamente depositata, la declaratoria della cessazione della materia del contendere delle questioni di legittimità costituzionale della norma citata.
L’abrogazione della norma impugnata, intervenuta nel corso del giudizio, è senza dubbio satisfattiva delle ragioni avanzate con il ricorso, così come l’assai breve periodo di vigenza della norma impugnata, insieme al contenuto di questa e alla convergente posizione manifestata dalle parti, depongono nel senso che la stessa non ha trovato medio tempore applicazione (da ultimo, sentenze n. 7 del 2021 e n. 200 del 2020).
Va, pertanto, dichiarata cessata la materia del contendere delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 548, della legge n. 160 del 2019.
4.– È poi impugnato il comma 290, secondo periodo, dello stesso art. 1 della legge di bilancio per il 2020, «in combinato disposto con i commi da 288 a 290, primo periodo».
In base al comma 288, «[a]l fine di incentivare l’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, le persone fisiche maggiorenni residenti nel territorio dello Stato, che, fuori dall’esercizio di attività d’impresa, arte o professione, effettuano abitualmente acquisti con strumenti di pagamento elettronici da soggetti che svolgono attività di vendita di beni e di prestazione di servizi, hanno diritto ad un rimborso in denaro, alle condizioni, nei casi e sulla base dei criteri individuati dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui al comma 289».
Il successivo comma 290 prevede quindi che «[a]l fine di garantire le risorse finanziarie necessarie per l’attribuzione dei rimborsi e le spese per le attività legate all’attuazione della misura di cui ai commi 288 e 289, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è stanziato su apposito fondo l’importo annuo di euro 3 miliardi per gli anni 2021 e 2022. Il suddetto importo è integrato con le eventuali maggiori entrate derivanti dall’emersione di base imponibile conseguente all’applicazione della predetta misura, come rilevate dalla Commissione istituita ai sensi dell’articolo 10-bis.1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196». Alla stessa Commissione, organo tecnico del richiamato ministero, quest’ultima disposizione affida la predisposizione della «Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva».
La censura della ricorrente si appunta, in particolare, sulle modalità d’integrazione del fondo statale costituito per l’attribuzione della misura premiale per l’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronici, definita anche «rimborso cashback», in base alla quale tutte le maggiori entrate conseguenti all’emersione di base imponibile, ivi comprese quelle raccolte sul territorio della Provincia autonoma, confluiscono nel suddetto fondo per essere destinate a incrementare i rimborsi agli utilizzatori della moneta elettronica.
Rispetto a tale sistema normativo, che si sviluppa interamente sul piano del rapporto verticale tra lo Stato – che è l’unico soggetto che ha attivato, finanziandolo, il tentativo di emersione dell’evasione fiscale – e le persone fisiche che utilizzano la moneta elettronica, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 69, 70, 72, 73, 75 e 75-bis dello statuto reg. Trentino-Alto Adige e delle relative norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 268 del 1992, che determinano, fra l’altro, la devoluzione alle Province autonome di determinate quote di gettito dei tributi erariali e l’attribuzione alle stesse di tributi propri.
Ciò in forza della pretesa per cui tutte le maggiori entrate raccolte sul territorio della Provincia autonoma e derivanti dal «potenziale recupero di tributi evasi (preesistenti)», dovrebbero essere sempre e comunque assegnate alla Provincia autonoma, a prescindere dal meccanismo che le genera, dal loro ammontare, dalle responsabilità dello Stato in ordine al debito pubblico e dalla stessa necessità di finanziare integralmente le funzioni che alla medesima Provincia risultano assegnate.
4.1.– Come evidenziato nelle memorie delle parti, l’art. 1, comma 1097, lettera b), della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), ha tuttavia soppresso la disposizione contenuta nell’impugnato comma 290, secondo periodo, con decorrenza dal 1° gennaio 2021.
La Provincia autonoma, in ogni caso, ritiene che il suo interesse alla decisione permanga nonostante lo ius superveniens, in assenza di «elementi per escludere che si siano prodotti gli effetti che essa ha inteso contrastare con il ricorso». Andrebbe infatti considerato che: a) la norma impugnata ha avuto vigenza per l’intero anno 2020; b) a decorrere dal 28 novembre 2020, è entrato in vigore l’art. 11 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 24 novembre 2020, n. 156 (Regolamento recante condizioni e criteri per l’attribuzione delle misure premiali per l’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronici) il quale, al comma 1, ultimo periodo, avrebbe ribadito il contenuto della norma impugnata; c) la misura premiale è stata attivata in via sperimentale tra l’8 e il 31 dicembre 2020.
L’Avvocatura generale ritiene, invece, che la censura sia ormai inammissibile «per sopravvenuta carenza del suo oggetto».
4.2.– Una compiuta considerazione dello ius superveniens porta a dichiarare cessata la materia del contendere delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 290, secondo periodo, in combinato disposto con i commi da 288 a 290, primo periodo, della legge n. 160 del 2019.
Va, infatti, innanzitutto rilevato che l’abrogazione della norma impugnata fa sì che, a decorrere dal 1° gennaio 2021, l’integrazione del fondo statale destinato al funzionamento del cashback non può più realizzarsi, in difetto della previsione che consente alla citata commissione ministeriale di rilevare le eventuali maggiori entrate derivanti dall’emersione di base imponibile conseguente all’applicazione della predetta misura.
L’abrogazione medesima dunque soddisfa la pretesa avanzata con il ricorso, anche perché va escluso che l’attivazione in via sperimentale tra l’8 e il 31 dicembre 2020 della misura premiale abbia potuto determinare, in tale periodo, l’applicazione della norma impugnata.
In disparte la pur significativa dichiarazione in udienza della difesa statale nel senso che la suddetta commissione ministeriale non ha compiuto alcuna rilevazione al riguardo, è dirimente, infatti, osservare che gli effetti sulle entrate, anche quelli derivanti dall’applicazione della misura del cashback, sono ormai regolati da una diversa disciplina, non solo interamente sostitutiva di quella impugnata ma, soprattutto, applicabile anche al richiamato periodo di attivazione sperimentale.
La soppressione della norma impugnata ad opera dell’art. 1, comma 1097, lettera b), della legge n. 178 del 2020, è infatti connessa ai commi da 2 a 6 dell’art. 1 della medesima legge, dove si prevede che:
– «[a]l fine di dare attuazione a interventi in materia di riforma del sistema fiscale, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo» del quale è indicata la dotazione per l’anno 2022 e per i successivi anni (comma 2);
– a tale fondo «sono destinate altresì, a decorrere dall’anno 2022 […] risorse stimate come maggiori entrate permanenti derivanti dal miglioramento dell’adempimento spontaneo» (comma 3);
– tali maggiori entrate sono indicate, secondo i criteri fissati dal comma 4, nella «Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva», redatta dalla già richiamata Commissione costituita ai sensi dell’art. 10-bis.1, comma 3, della legge n. 196 del 2009;
– di tali maggiori entrate, la Nota di aggiornamento al DEF indica la quota da destinare al predetto fondo. Inoltre, «[p]er le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano resta fermo quanto previsto dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione e le maggiori entrate permanenti rimangono acquisite ai rispettivi bilanci, nelle quote previste dai predetti statuti speciali» (comma 5);
– sempre a decorrere dal 2022, sono abrogate le disposizioni che avevano previsto l’istituzione del «Fondo per la riduzione della pressione fiscale» (comma 6).
Il meccanismo che conduceva a incrementare i rimborsi cashback alle persone è stato quindi interamente sostituito da una nuova prospettiva che accomuna tutte le maggiori entrate permanenti derivanti dai fenomeni (cashback incluso) che determinano il miglioramento dell’adempimento spontaneo: queste, infatti, vengono destinate a un nuovo fondo rivolto a finanziare interventi in materia di riforma del sistema fiscale. In tal modo il recupero dell’evasione non incrementa più un rimborso diretto alle persone, bensì finanzia la riduzione della pressione fiscale. Siccome tale circostanza potrebbe determinare, sul piano orizzontale del rapporto tra enti, una diminuzione proprio dei gettiti delle imposte statali compartecipate, la norma prevede, in questo caso, una misura di tutela dell’assetto finanziario delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, in modo da mantenerne la corrispondenza con le funzioni attribuite.
Soprattutto però rileva che in tale nuova prospettiva il citato comma 4 dell’art. 1 prevede che «[i]n ciascun anno, ai fini della determinazione delle risorse di cui al comma 3, si considerano le maggiori entrate derivanti dal miglioramento dell’adempimento spontaneo che sono indicate, con riferimento al terzo anno precedente alla predisposizione della legge di bilancio, nell’aggiornamento» della già menzionata relazione redatta dalla commissione ministeriale. La stessa disposizione prosegue prevedendo, tra l’altro, che «[l]e maggiori entrate di cui al periodo precedente sono considerate permanenti se per i tre anni successivi a quello oggetto di quantificazione, la somma algebrica della stima della variazione delle entrate derivanti in ciascun anno dal miglioramento dell’adempimento spontaneo risulta non negativa».
In base al criterio ora descritto le maggiori entrate, da destinare a decorrere dal 2022 al fondo per gli interventi in materia di riforma del sistema fiscale, dovranno essere rilevate considerando il miglioramento dell’adempimento spontaneo in ciascun anno compreso nel triennio precedente alla predisposizione della legge di bilancio e, quindi, per quanto qui interessa, nell’intero anno 2020.
Da ciò consegue che la valutazione degli effetti sulle entrate pubbliche derivanti dall’applicazione sperimentale del cashback dovrà avvenire non più sulla base della norma impugnata, bensì in base al nuovo criterio di quantificazione di tutte le maggiori entrate prodotte nel 2020 che siano riconducibili al miglioramento dell’adempimento spontaneo: categoria questa che, come detto, abbraccia anche l’ipotesi qui in esame.
Le considerazioni fin qui svolte portano, in conclusione, a ritenere intervenute le ragioni della cessata materia del contendere delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 290, secondo periodo, in combinato disposto con i commi da 288 a 290, primo periodo, della legge n. 160 del 2019.
5.– Con l’ultimo motivo di impugnazione, la Provincia autonoma di Trento censura l’art. 1, comma 602, della legge n. 160 del 2019, in combinato disposto con il comma 590, primo periodo, della medesima legge.
Ai sensi della prima norma, «[f]atto salvo quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 57 del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, le disposizioni di cui ai commi da 590 a 600 non si applicano alle regioni, alle province autonome di Trento e di Bolzano, agli enti locali e ai loro organismi ed enti strumentali come definiti dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, nonché ai loro enti strumentali in forma societaria».
La seconda di tali disposizioni, ovvero il comma 590, primo periodo, prevede che: «[a]i fini di una maggiore flessibilità gestionale, di una più efficace realizzazione dei rispettivi obiettivi istituzionali e di un miglioramento dei saldi di finanza pubblica, a decorrere dall’anno 2020, agli enti e agli organismi, anche costituiti in forma societaria, di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, ivi comprese le autorità indipendenti, con esclusione degli enti del Servizio sanitario nazionale, cessano di applicarsi le norme in materia di contenimento e di riduzione della spesa di cui all’allegato A annesso alla presente legge».
Infine, la normativa fatta salva dal comma 602 – ovvero l’art. 57, comma 2, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 2019, n. 157 – dispone che: «[a] decorrere dall’anno 2020, alle regioni, alle Province autonome di Trento e di Bolzano, agli enti locali e ai loro organismi ed enti strumentali, come definiti dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, nonché ai loro enti strumentali in forma societaria cessano di applicarsi» alcune puntuali disposizioni in materia di contenimento e di riduzione della spesa e di obblighi formativi.
La ricorrente, in proposito, prospetta il rischio di un’interpretazione delle norme impugnate secondo la quale il citato art. 57, comma 2, del d.l. n. 124 del 2019, come convertito, avrebbe abolito specifici vincoli alla spesa nell’ambito del riconoscimento della maggiore autonomia finanziaria degli enti autonomi, mentre le due norme della legge di bilancio – ossia il «comma 602, per effetto del combinato disposto con il comma 590» – ne prevederebbero la perdurante operatività, escludendo gli stessi enti dall’ambito di applicazione del comma 590.
Qualora tale interpretazione fosse ritenuta attendibile, a detta della ricorrente sarebbe violato il «principio di ragionevolezza nell’ambito della disciplina del riparto delle attribuzioni rispettive dello Stato e delle Province Autonome ed, in particolare, nella materia dell’ordinamento degli Uffici e del personale, nonché dell’organizzazione (art. 8 St.; art. 16 St.; 117, quarto comma, Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001)».
In subordine, l’applicazione diretta delle disposizioni statali impugnate, in quanto norme di dettaglio nella materia di coordinamento della finanza pubblica, si porrebbe in contrasto con l’autonomia finanziaria garantita, in particolare, dall’art. 79, comma 4, dello statuto di autonomia e con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
5.1.– Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del motivo di impugnazione spiegata dall’Avvocatura «per l’assoluta indeterminatezza del suo oggetto», che sarebbe stato formulato in modo perplesso e dubitativo.
Le questioni, dichiaratamente promosse in via cautelativa e ipotetica, sono ammissibili perché l’interpretazione prospettata non giunge al punto di perdere ogni collegamento con le disposizioni impugnate (ex multis, sentenze n. 177 e n. 144 del 2020).
5.2.– Nel merito, tuttavia, le questioni sono manifestamente infondate, per la palese erroneità del presupposto interpretativo da cui muovono.
Come già emerge dalla relazione governativa al disegno di legge di bilancio 2020, le disposizioni recate dall’art. 1, commi da 590 a 602, della legge n. 160 del 2019 «si inseriscono nel quadro di revisione e di semplificazione della normativa emanata in materia di misure di contenimento della spesa pubblica»; da tale intervento «[r]estano escluse […] le amministrazioni territoriali».
Per un verso, infatti, il comma 590 dispone la cessazione dell’applicazione di un cospicuo numero di disposizioni, contenute nell’Allegato A, in materia di contenimento e di riduzione della spesa; per altro verso, le previsioni di cui ai commi da 591 a 600 dettano una nuova disciplina, sostitutiva di quella posta dalle numerose misure non più applicabili in forza del disposto di cui al comma 590, caratterizzata dalla: a) previsione di un tetto unico per la macrocategoria di «spese per l’acquisto di beni e servizi», che assorbe gli specifici tetti finora previsti per singole voci di spesa; b) riconduzione a un unico versamento al bilancio dello Stato della pluralità dei versamenti prima dovuti; c) semplificazione dei meccanismi di verifica e di asseverazione dell’attuazione della nuova disciplina da parte degli organi amministrativi e di controllo degli enti.
Appare dunque corretta l’affermazione dell’Avvocatura generale secondo cui l’intervento del legislatore statale si presenta come un corpo normativo unitario e omogeneo diretto alle sole amministrazioni non territoriali.
Il comma 602, infatti, prevede espressamente che «le disposizioni di cui ai commi da 590 a 600 non si applicano alle regioni, alle province autonome di Trento e di Bolzano, agli enti locali e ai loro organismi ed enti strumentali come definiti dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, nonché ai loro enti strumentali in forma societaria».
A tale precisazione si accompagna l’altrettanto espressa salvezza di quanto, per gli stessi enti territoriali e relativi organismi ed enti strumentali, disposto dall’art. 57, comma 2, del d.l. n. 124 del 2019 – la cui conversione in legge è avvenuta contestualmente all’esame e all’approvazione del disegno di legge di bilancio – in termini di cessazione dell’applicazione di una serie di misure di contenimento e di riduzione della spesa.
Non vi è dunque alcun motivo logico per ritenere che l’espressione «[f]atto salvo» con cui si apre il comma 602 impugnato possa essere interpretata, in collegamento con il primo periodo del comma 590, nel senso di determinare il “ripristino” di vincoli cessati in forza della previsione di cui all’art. 57, comma 2, del d.l. n. 124 del 2019, come convertito.
L’impossibilità di ricavare dal combinato disposto dei commi 602 e 590, primo periodo, della legge n. 160 del 2019 un precetto lesivo per gli enti territoriali porta a ritenere manifestamente infondate anche le questioni prospettate in via subordinata, atteso che identico ne è il presupposto interpretativo.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso in epigrafe;
1) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 548, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022), promosse, in riferimento al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 della Costituzione, nonché agli artt. 79, 104 e al Titolo VI del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e al decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 290, secondo periodo, in combinato disposto con i commi da 288 a 290, primo periodo, della legge n. 160 del 2019, promosse, in riferimento agli artt. 69, 70, 72, 73, 75 e 75-bis dello statuto reg. Trentino-Alto Adige e al d.l.gs. n. 268 del 1992, dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 602, in combinato disposto con il comma 590, primo periodo, della legge n. 160 del 2019, promosse, in riferimento agli artt. 3, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost. – in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – e agli artt. 8, 16 e 79, comma 4, dello statuto reg. Trentino-Alto Adige, dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2021.