SENTENZA N. 14
ANNO 2021
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO;
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata nel procedimento penale a carico di M. M., con ordinanza del 18 febbraio 2020, iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2021 il Giudice relatore Stefano Petitti;
deliberato nella camera di consiglio del 14 gennaio 2021.
1.– Con ordinanza del 18 febbraio 2020, iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2020, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata solleva, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che, nei procedimenti per i delitti ivi indicati, l’assunzione della testimonianza in sede di incidente probatorio, richiesta dal pubblico ministero o dalla persona offesa dal reato, debba riguardare la persona minorenne che non sia anche persona offesa dal reato.
1.1.– Il rimettente, in qualità di GIP, premette di essere stato investito dal pubblico ministero della richiesta di procedere con incidente probatorio, secondo quanto prevede la norma censurata, all’assunzione della testimonianza di A. P., persona offesa dal reato di cui all’art. 609-quater (Atti sessuali con minorenne) del codice penale, e di A. T., minorenne già escussa in precedenza mediante sommarie informazioni testimoniali in quanto a conoscenza di circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
Preliminarmente, l’ordinanza introduttiva del presente giudizio prende atto della circostanza che, secondo un recente orientamento giurisprudenziale del giudice di legittimità (è richiamata Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 26 luglio 2019, n. 34091), il provvedimento con cui il giudice rigetta la richiesta di ammissione all’incidente probatorio presentata ai sensi della disposizione censurata sarebbe da qualificarsi come abnorme.
Anche muovendo da ciò, il rimettente ritiene di dubbia ragionevolezza «la previsione di imporre la anticipazione in sede predibattimentale della audizione di minorenni che siano meri testimoni rispetto ai fatti per i quali si procede», soprattutto in considerazione del fatto che ciò avverrebbe «a prescindere da ogni valutazione in concreto in ordine alla specificità del singolo caso, alla concreta prevedibilità o meno di possibili conseguenze traumatiche della loro audizione, alla esigenza o meno di anticipata audizione degli stessi».
Il fine di evitare possibili fenomeni di vittimizzazione secondaria non si ravviserebbe, infatti, nel caso in cui il testimone da audire in sede di incidente probatorio non sia anche persona offesa, non essendovi motivo di presumere necessariamente né che la audizione dibattimentale possa essere di per sé traumatizzante, né che la memoria del teste (nel caso concreto ultrasedicenne) «si perda nei tempi ordinariamente necessari per la istruttoria dibattimentale», fermo restando che, ove ciò rischi di avvenire, l’escussione anticipata del testimone minorenne potrebbe essere disposta sulla base dei presupposti di cui all’art. 392, comma 1, lettere a) e b), cod. proc. pen. (è richiamata, sul punto, l’ordinanza di questa Corte n. 108 del 2003).
Una volta che l’incidente probatorio del testimone minorenne risulti invece «correlato solo ed esclusivamente alla tipologia dei reati ed alla età del testimone», se ne dovrebbe ricavare ad avviso del rimettente una «immotivata perdita del contatto tra il dichiarante e l’organo deputato a emettere sentenza, con violazione, senza alcuna necessità o utilità processuale, dell’ordinaria necessità che le dichiarazioni siano rese davanti al giudice dibattimentale nel prosieguo competente a decidere» (è evocata la sentenza di questa Corte n. 205 del 2010).
Secondo l’ordinanza di rimessione, tale vulnus non troverebbe peraltro rimedio nella previsione dell’art. 190-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen., secondo il quale nel caso in cui si proceda, tra l’altro, per il reato di cui all’art. 609-quater cod. pen., la parte può essere risentita solamente «se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze». Si tratterebbe infatti di norma eccezionale e suscettibile di applicazione discrezionale da parte del giudice del dibattimento, che per l’effetto non rileverebbe «ai fini della immotivata deroga alla regola generale per cui la prova si forma nel dibattimento» e che finirebbe per determinare, in uno con la rinnovata audizione del teste, una «doppia sollecitazione emotiva e mnemonica dello stesso», tanto più da evitare quando quest’ultimo sia minorenne.
Analogamente non dirimente ai fini della prospettazione del dubbio di legittimità costituzionale sarebbe poi la previsione contenuta nell’art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen. che, nel prevedere la documentazione integrale delle dichiarazioni testimoniali con mezzi di produzione fonografica o audiovisiva, non consentirebbe la percezione diretta e immediata dei contenuti emersi nel corso della testimonianza, né consentirebbe al giudice di gestire direttamente l’esame del teste, «cogliendo nell’immediatezza le sfumature e valutando gli eventuali profili meritevoli di approfondimento».
Peraltro, osserva il rimettente, già gli artt. 472, ultimo comma, e 498 cod. proc. pen. prevedono, anche in sede dibattimentale, modalità di escussione del testimone minorenne idonee a tutelarne la condizione di fragilità.
La norma censurata, pertanto, non troverebbe giustificazione né nella «mera veste di minorenne del teste», né nella gravità dei reati per i quali si procede, né «in una necessità di tutela del teste, che ove non sia persona offesa non vi è motivo di ritenere (a priori e indistintamente, per il solo titolo di reato, peraltro anche meno grave di altri per i quali non è imposta la effettuazione di incidente probatorio) abbia necessità di particolare attenzione, al fine di evitare allo stesso traumatizzazioni secondarie».
Dall’arbitrarietà della scelta legislativa, consistente nella mancata previsione «anche per la persona minorenne [del]la necessità che la stessa rivesta il ruolo di persona offesa» e nella conseguente sottrazione della audizione del mero teste alla ordinaria sede dibattimentale, discenderebbe pertanto, ad avviso del rimettente, la violazione degli evocati parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 111 Cost.
La questione sarebbe altresì rilevante, anche in considerazione del fatto che il giudice rimettente non ravvisa, nel caso di specie, la sussistenza della necessità di procedere a incidente probatorio correlata a situazioni di pregiudizio per la veridicità delle dichiarazioni della testimone minorenne ove differite alla sede dibattimentale o a esigenze di particolare tutela della stessa, tali da giustificare comunque il ricorso all’assunzione della testimonianza anticipata alla sede incidentale.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata con l’ordinanza indicata in epigrafe sia dichiarata manifestamente infondata.
Il presupposto da cui muove il rimettente, vale a dire l’obbligatorietà dell’ammissione della testimonianza del minorenne che non sia anche persona offesa in sede di incidente probatorio, nel caso in cui si proceda per uno dei reati elencati nel censurato art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen., è ritenuto insussistente dall’Avvocatura, ad avviso della quale la ratio della disposizione censurata e i progressivi ampliamenti dei suoi presupposti di operatività non sono tali da privare il giudice per le indagini preliminari di un margine di discrezionalità nel valutare il possibile rigetto della richiesta.
Ciò si ricaverebbe, innanzi tutto, dal tenore testuale della norma censurata che, prevedendo che il pubblico ministero o la persona sottoposta alle indagini abbiano la facoltà di chiedere l’assunzione della testimonianza del minorenne in sede di incidente probatorio, non potrebbe non attribuire un’analoga facoltà anche al giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta, che verrebbe altrimenti privato del potere di effettuare un bilanciamento dei valori in gioco «che gli consenta di optare per l’incidente probatorio solo laddove ricorrano effettive esigenze di tutela del minore».
La sussistenza di un simile spazio di valutazione discrezionale sarebbe altresì comprovata dalla molteplicità delle tutele previste per le modalità di assunzione della testimonianza delle vittime vulnerabili, e dei minori in particolare. In tal senso andrebbero infatti considerati sia lo stesso art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. per il fatto di consentire l’attivazione dell’incidente probatorio al di fuori delle ragioni di urgenza e indifferibilità richieste nei casi di cui al comma 1 del medesimo articolo, sia la «legittimazione di modalità di audizione tutelanti, volte ad evitare tanto l’esame diretto, tanto i contatti tra accusato e dichiarante» di cui all’art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen. Tale ultima previsione, in particolare, abilita il giudice a conformare discrezionalmente le modalità di escussione del minore tanto con riferimento al luogo dell’assunzione della prova (che può avvenire anche extra moenia), quanto al tempo dell’esame (che può avvenire anche oltre il termine di dieci giorni stabilito dall’art. 398, comma 2, lett. c, cod. proc. pen.), quanto, infine, alle specifiche «modalità particolari» di escussione.
Con riguardo alle medesime finalità andrebbero poi considerati gli specifici presupposti per la rinnovazione dibattimentale della testimonianza prevista dal richiamato art. 190-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen.
Dalle disposizioni richiamate e da quella censurata in particolare, tutte poste a tutela dei soggetti minorenni coinvolti nel processo penale, non si potrebbe tuttavia ricavare alcun obbligo del giudice a fare ricorso alle forme e modalità di assunzione delle prove ivi previste, «dovendosi lasciare spazio alla discrezionalità del giudice nel valutare il corretto bilanciamento dei valori costituzionali in gioco».
1.– Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata, con l’ordinanza indicata in epigrafe, solleva, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che, nei procedimenti per i delitti ivi indicati, l’assunzione della testimonianza in sede di incidente probatorio, richiesta dal pubblico ministero o dalla persona offesa dal reato, debba riguardare la persona minorenne che non sia anche persona offesa dal reato.
1.1.– Il rimettente ritiene che l’ammissione, ai sensi della norma censurata e nei casi ivi previsti, della testimonianza del minorenne mero testimone in sede di incidente probatorio sottrarrebbe l’audizione del teste alla ordinaria sede dibattimentale, senza che ciò possa trovare una giustificazione né nella «mera veste» di minorenne del teste, né nella gravità dei reati per i quali si procede, né, infine, nella necessità che questi venga tutelato a priori e indistintamente nel caso in cui non sia la persona offesa dal reato.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata manifestamente infondata. L’ordinanza di rimessione, infatti, muoverebbe da un erroneo presupposto interpretativo, consistente nell’asserito obbligo, per il giudice, di ammettere l’assunzione anticipata della testimonianza richiesta ai sensi della disposizione censurata. Al contrario, dalla ricostruzione del tessuto normativo in cui quest’ultima si inserisce si ricaverebbe che al giudice debba essere attribuito il potere di valutare discrezionalmente se ammettere la testimonianza del minorenne mero testimone e di stabilire le idonee modalità di assunzione, alla luce del bilanciamento che questi è chiamato a operare tra le esigenze di tutela del minore e il rispetto delle garanzie dell’indagato.
2.1.– Preliminarmente, occorre rilevare come la questione sollevata nell’odierno giudizio, contrariamente a quanto eccepito dall’Avvocatura, muova da un presupposto interpretativo non privo di plausibilità. L’interpretazione della disposizione censurata contenuta nell’ordinanza di rimessione, nella parte in cui assume che il giudice sia tenuto ad ammettere la testimonianza del minorenne in sede di incidente probatorio, pur in assenza di diritto vivente trova riscontro nella giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 26 luglio 2019, n. 34091, richiamata nell’ordinanza di rimessione, sezione terza penale, sentenza 22 novembre 2019, n. 47572), sebbene in riferimento alla testimonianza della persona offesa minorenne e nonostante il contrasto, sul distinto profilo dell’impugnabilità o meno del rigetto della richiesta di incidente probatorio, con altra giurisprudenza, peraltro successiva all’ordinanza di rimessione (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 2 settembre 2020, n. 25996). E ciò, in ossequio alla costante giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi sufficiente ai fini della valutazione di ammissibilità della questione prospettata (ex multis, sentenze n. 187 del 2019, n. 135 del 2018, n. 42 del 2017, n. 262 del 2015).
3.– Ciò chiarito, è necessario, prima di esaminare le censure, ricostruire il tenore e la ratio della disposizione censurata, oltre che le caratteristiche essenziali del sistema normativo al cui interno essa si inserisce.
3.1.– L’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. prevede che «[n]ei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 572, 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 609-undecies e 612-bis del codice penale il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1. In ogni caso, quando la persona offesa versa in condizione di particolare vulnerabilità, il pubblico ministero, anche su richiesta della stessa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della sua testimonianza».
Con tale disposizione, introdotta dall’art. 13 della legge 15 febbraio 1996, n. 66 (Norme contro la violenza sessuale), il legislatore ha inteso dettare presupposti e condizioni per l’assunzione in sede di incidente probatorio del contributo testimoniale proveniente da soggetti vulnerabili (quali, elettivamente, i minorenni) in vario modo coinvolti in procedimenti penali diretti all’accertamento di reati riguardanti la sfera sessuale. La deroga che in questo modo è stata introdotta rispetto agli ordinari presupposti che governano la formazione anticipata della prova rispetto al dibattimento (disciplinati dal comma 1 del medesimo art. 392 cod. proc. pen.) ha visto allargarsi nel tempo la sua portata, come è dimostrato dalle numerose modifiche legislative, che non solo hanno ampliato il novero dei reati indicati quali presupposto per la formulazione della richiesta dello strumento incidentale, ma hanno anche esteso la categoria dei soggetti tutelati da audire. L’originaria limitazione alla testimonianza resa dal minore di anni sedici, in particolare, è venuta meno a seguito della sostituzione del comma in parola disposta dall’art. 9, comma 1, lettera b), del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori) convertito, con modificazioni, nella legge 23 aprile 2009, n. 38, che ha esteso a tutti i minori, anche ultrasedicenni (siano o meno persone offese dal reato), nonché alle persone offese maggiorenni, la possibilità di essere auditi come testimoni in sede di incidente probatorio. Da ultimo, per effetto della modifica apportata dall’art. 1, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212 (Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI), tale possibilità è stata ulteriormente estesa, senza che peraltro rilevi il reato per cui si procede, alla persona offesa che versi in condizione di «particolare vulnerabilità».
3.2.– Strettamente correlate a quella censurata sono poi le disposizioni mediante le quali il legislatore ha disciplinato le modalità speciali di acquisizione della testimonianza del minore in sede di incidente probatorio.
A tal riguardo, viene innanzi tutto in rilievo l’art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 14, comma 2, della legge n. 66 del 1996, secondo il quale ove si proceda per i reati ivi elencati (oggi in larga parte coincidenti, pur non senza difetti di coordinamento, con quelli di cui all’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. a seguito delle modifiche medio tempore intervenute), «il giudice, ove fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano minorenni, con l’ordinanza di cui al comma 2, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all’incidente probatorio, quando le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno». Tale previsione costituisce il correlato procedurale della norma censurata, nel senso che prevede la necessità di apprestare modalità e condizioni “protette” di assunzione della testimonianza del minore (e non più del solo minore di sedici anni, per effetto della modifica disposta dall’art. 9, comma 1, lettera c, n. 2 del d.l. n. 11 del 2009) che siano rispettose della sua libertà e dignità, demandandone al giudice l’individuazione in concreto.
Nella medesima direzione, perché caratterizzate dallo stesso intento legislativo, devono poi essere richiamate le disposizioni contenute nell’art. 498, commi 4 e seguenti, cod. proc. pen., mediante le quali il legislatore ha introdotto modalità di audizione del testimone minorenne incentrate sull’esame “attutito” di cui al comma 4 (che assegna al presidente il compito di condurre l’esame «su domande e contestazioni proposte dalle parti», anche avvalendosi dell’ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile) e su quello “protetto” di cui al comma 4-bis (che a sua volta rimanda alle modalità previste dal già richiamato art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen.). Entrambe tali previsioni, applicabili anche all’esame testimoniale condotto in sede di incidente probatorio per effetto del rinvio contenuto nell’art. 401, comma 5, cod. proc. pen., unitamente a quella contenuta nel comma 4-ter del medesimo articolo, riferita però all’esame del minore ovvero del maggiorenne infermo di mente che siano vittime del reato, sono infatti contrassegnate da un’analoga esigenza di graduazione delle modalità di protezione dei testimoni minorenni in sede di assunzione della testimonianza, la cui individuazione in concreto è, anche rispetto ad esse, affidata al giudice procedente.
3.3.– Come emerge dai lavori parlamentari che hanno condotto all’approvazione della citata legge n. 66 del 1996, l’introduzione della nuova ipotesi di incidente probatorio di cui alla norma oggi censurata – ritenuto «speciale o atipico» (sentenza n. 92 del 2018) perché svincolato dall’ordinario presupposto della non rinviabilità della prova al dibattimento – era rivolta soprattutto a tutelare la personalità del minore, consentendogli di uscire al più presto dal circuito processuale per aiutarlo a liberarsi più rapidamente dalle conseguenze psicologiche dell’esperienza vissuta. Tale ratio giustificatrice è stata, in seguito, ulteriormente avvalorata dall’introduzione, operata con l’art. 13, comma 2, della legge 3 agosto 1998, n. 269 (Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù), del comma 1-bis all’art. 190-bis, cod. proc. pen., che stabilisce oggi che, laddove si proceda per alcuni dei reati di cui all’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen., il minore degli anni diciotto, già escusso in sede di incidente probatorio, possa essere chiamato a deporre nuovamente in dibattimento «solo se [l’esame] riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze».
4.– Poste tali premesse, la questione deve essere dichiarata non fondata.
4.1.– La disposizione censurata disciplina i presupposti e le condizioni per l’ammissione della testimonianza del soggetto minorenne in sede di incidente probatorio, nel caso in cui si proceda per alcuni delitti contro l’assistenza familiare (art. 572 cod. pen.) ovvero contro la libertà individuale (artt. 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 609-undecies e 612-bis, cod. pen.). Essa si inserisce, come si è visto, in un più ampio sistema normativo, che testimonia nel suo complesso, anche in conseguenza dell’adozione di normative di fonte sovranazionale (tra cui, in particolare, la direttiva n. 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI), lo spazio dato dall’ordinamento, anche con riguardo al processo penale, a «provvedimenti e misure tesi a garantire una risposta più efficace verso i reati contro la libertà e l’autodeterminazione sessuale, considerati di crescente allarme sociale, anche alla luce della maggiore sensibilità culturale e giuridica in materia di violenza contro le donne e i minori», cui si è associata «la volontà di approntare un sistema più efficace per sostenere le vittime, agevolandone il coinvolgimento nell’emersione e nell’accertamento delle condotte penalmente rilevanti» (sentenza n. 1 del 2021).
4.2.– Questa Corte ha più volte preso in esame il complesso normativo in cui si inserisce la norma censurata e ha rinvenuto, in particolare, il fondamento dei presupposti e delle modalità di assunzione della testimonianza del minorenne in sede di incidente probatorio, nonché dei bilanciamenti che esso sottende, in due ordini di concomitanti finalità.
4.2.1.– La prima finalità, di natura extraprocessuale, è quella di tutelare la libertà e la dignità del minorenne rispetto al rischio che l’assunzione della testimonianza esponga quest’ultimo al trauma psicologico associato alla sua esperienza in un contesto giudiziario penale, nel quale «[i] fattori atti a provocare una maggiore tensione emozionale sono il dover deporre in pubblica udienza nell’aula del tribunale, l’essere sottoposti all’esame e al controesame condotto dal pubblico ministero e dai difensori e il trovarsi a testimoniare di fronte all’imputato, la cui sola presenza può suggestionare e intimorire il dichiarante» (sentenza n. 92 del 2018).
Come questa Corte ha infatti ritenuto nella sentenza n. 63 del 2005, «[r]endere testimonianza in un procedimento penale, nel contesto del contraddittorio, su fatti e circostanze legati all’intimità della persona e connessi a ipotesi di violenze subìte, è sempre esperienza difficile e psicologicamente pesante: se poi chi è chiamato a deporre è persona particolarmente vulnerabile, più di altre esposta ad influenze e a condizionamenti esterni, e meno in grado di controllare tale tipo di situazioni, può tradursi in un’esperienza fortemente traumatizzante e lesiva della personalità». Tale assunto, che come si è detto era all’origine delle scelte compiute con la legge n. 66 del 1996, costituisce quindi la prima ratio giustificatrice di un’opzione legislativa che, pur rappresentando «una eccezione rispetto alla regola generale per cui la prova si forma nel dibattimento» (ordinanza n. 108 del 2003), trova nondimeno la sua giustificazione nel fatto che essa è riferita a «reati rispetto ai quali si pone con maggiore intensità ed evidenza l’esigenza di proteggere la personalità del minore, nell’ambito del suo coinvolgimento processuale» (sentenza n. 529 del 2002).
L’assunzione anticipata della testimonianza del minorenne, attraverso il ricorso all’incidente probatorio speciale, deve essere pertanto in primo luogo ricondotta al rilievo costituzionale da attribuirsi ad «esigenze di salvaguardia della personalità del minore» (sentenza n. 262 del 1998), che nella norma censurata si traducono in una presunzione di indifferibilità o di non ripetibilità del relativo contributo testimoniale, rivolta in prima battuta a preservare il minore «dagli effetti negativi che la prestazione dell’ufficio di testimone può produrre in rapporto alla [sua] peculiare condizione» (sentenza n. 92 del 2018), mediante la sua sottrazione, in linea di principio, allo strepitus fori e la previsione di una sua rapida fuoriuscita dal circuito processuale.
4.2.2.– La seconda e concorrente finalità perseguita dall’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen., è invece di natura endoprocessuale ed è connessa alla circostanza che l’anticipazione della testimonianza alla sede incidentale, tanto più laddove si proceda per reati attinenti alla sfera sessuale, è rivolta anche a garantire la genuinità della formazione della prova, atteso che la assunzione di essa in un momento quanto più prossimo alla commissione del fatto costituisce anche una garanzia per l’imputato, perché lo tutela dal rischio di deperimento dell’apporto cognitivo che contrassegna, in particolare, il mantenimento del ricordo del minore. Come questa Corte ha ritenuto, da ultimo, nella già richiamata sentenza n. 92 del 2018, «[i]l trauma cui il minore è esposto durante l’esame testimoniale si ripercuote, d’altronde, negativamente sulla sua capacità di comunicare e di rievocare correttamente e con precisione i fatti che lo hanno coinvolto, o ai quali ha assistito, rischiando così di compromettere la genuinità della prova». Ma già nell’ordinanza di questa Corte n. 583 del 2000, il meccanismo di cui alla norma censurata, pur nella sua eccezionalità rispetto alle ordinarie forme e modalità di assunzione delle prove, è stato giustificato sulla base dell’assunto per cui «la possibilità – prevista dalla norma impugnata – di anticipare, attraverso il ricorso all’incidente probatorio, l’assunzione di testimonianze appare, piuttosto, essenzialmente intesa ad assicurare efficacia e genuinità della prova, quando si tratti di raccogliere testimonianze potenzialmente soggette a subire, col decorso del tempo, per le particolari condizioni del minore, condizionamenti che le possano rendere meno genuine o meno utili al fine degli accertamenti cui è volto il processo» (così, analogamente, sentenze n. 529 del 2002 e n. 114 del 2001).
Va inoltre considerato che ove la richiesta, presentata ai sensi del citato art. 392, comma 1-bis, sia avanzata dal pubblico ministero, l’art. 393, comma 2-bis, cod. proc. pen. (introdotto dall’art. 13, comma 2, della legge n. 66 del 1996) obbliga quest’ultimo a depositare, all’atto della richiesta, tutti gli atti di indagine compiuti, e l’art. 398, comma 3-bis, cod. proc. pen. (introdotto dall’art. 14, comma 1, della legge n. 66 del 1996) attribuisce alla persona sottoposta alle indagini e ai difensori delle parti il diritto di ottenere copia degli atti depositati. Ciò consente che l’indagato abbia quindi accesso agli atti di indagine compiuti sino a quel momento, così da essere in condizione di esercitare il suo diritto al contraddittorio in sede di esame testimoniale del minorenne.
5.– Il concorso di tali finalità, peraltro, se da un lato sorregge la disposizione censurata e il sistema normativo in cui essa si inserisce, dall’altro lato non fa tuttavia venir meno la sua già richiamata natura eccezionale, poiché essa, nel momento in cui consente l’ingresso di contenuti testimoniali in una fase antecedente a quella dibattimentale, sulla base, peraltro, di una presunzione di indifferibilità e di non rinviabilità di essi in ragione della natura dei reati contestati e della condizione di vulnerabilità dei soggetti da audire, introduce una deroga al principio fondamentale di immediatezza della prova. Tale principio «postula – salve le deroghe espressamente previste dalla legge – l’identità tra il giudice che acquisisce le prove e quello che decide (ordinanze n. 431 e n. 399 del 2001)» (ordinanza n. 318 del 2008) e risulta anche «strettamente correlato al principio di oralità» (sentenza n. 132 del 2019).
La natura eccezionale dell’istituto in parola si apprezza, in particolare, anche in relazione allo specifico profilo oggetto della censura di illegittimità costituzionale sollevata dal rimettente, poiché l’equiparazione che, almeno in linea di principio, l’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. introduce tra il contributo testimoniale del minorenne persona offesa dal reato e quello del minorenne mero testimone non appare affatto priva di giustificazione, poiché la presunzione di un’analoga condizione di vulnerabilità che avvince le due categorie di soggetti, per il fatto di essere chiamati a testimoniare su fatti legati all’intimità e connessi a violenze subite o alle quali si è assistito, è da ritenersi conforme a dati di esperienza generalizzati, riassumibili nella formula dell’id quod plerumque accidit (tra le altre, sentenze n. 253 del 2019 e n. 268 del 2016). È infatti tutt’altro che implausibile che una medesima esigenza di protezione induca il giudice ad assumere in via anticipata, ove i soggetti indicati dalla disposizione censurata lo richiedano, la testimonianza non solo del minorenne che sia persona offesa dal reato, ma anche del minorenne mero testimone, poiché la vulnerabilità che qualifica quasi in re ipsa la posizione del primo, in ragione della tipologia dei reati elencati nell’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen., può ritenersi non irragionevolmente sussistente anche in relazione al secondo, tenuto conto che il minorenne può ben essere chiamato a riferire su fatti che ha appreso (senza poterne spesso elaborare adeguatamente la portata) o a cui addirittura ha assistito, e che peraltro si svolgono con frequenza nell’ambiente domestico o comunque familiare.
Tale circostanza, seppure conduce a ritenere che la norma censurata non sia in parte qua costituzionalmente imposta, la pone tuttavia al riparo dall’incostituzionalità prospettata dall’ordinanza di rimessione di cui al presente giudizio. L’aver in linea di principio presuntivamente equiparato, quanto all’anticipazione dell’assunzione testimoniale, il minorenne vittima del reato al minorenne mero testimone risponde infatti ad una scelta che non trascende la sfera di discrezionalità riservata al legislatore nella conformazione degli istituti processuali anche in materia penale (sentenze n. 137 del 2020, n. 31 e n. 20 del 2017, n. 216 del 2016), con la conseguenza che essa non può essere ritenuta manifestamente irragionevole.
5.1.– È doveroso infine osservare come l’eccezione che la disposizione censurata introduce rispetto al principio di immediatezza della prova e alla sua conseguente formazione in dibattimento risulta compensata dalla circostanza che le modalità di assunzione anticipata della prova testimoniale del minore e, più in generale, del soggetto vulnerabile sono disciplinate dalle disposizioni codicistiche sopra richiamate in modo tale da garantire il diritto di difesa della persona sottoposta alle indagini, con particolare riferimento al contributo che questi può dare alla formazione della prova nel rispetto del principio costituzionale del contraddittorio.
La natura non manifestamente irragionevole, nel senso anzidetto, dell’eccezione costituita dalla disposizione oggetto di scrutinio si ricava, innanzi tutto, dal disposto dell’art. 398, comma 5-bis, secondo periodo, cod. proc. pen., là dove esso prevede che «[l]e dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di produzione fonografica o audiovisiva». Contrariamente a quanto assume il rimettente, che vede in tale norma un vulnus al potere del giudice, privato della percezione diretta ed immediata del dichiarante, essa si pone in realtà a presidio dei diritti del soggetto indagato, perché scongiura l’eventualità che i contenuti della testimonianza assunta in sede incidentale nelle forme dell’audizione protetta vengano documentati, in vista del loro utilizzo in dibattimento, nelle ordinarie forme solamente scritte, connotando così ulteriormente l’incidente probatorio, e in particolar modo quello speciale, quale «istituto che si proietta verso l’utilizzazione dibattimentale» (ordinanza n. 358 del 2004).
Anche alla luce di tali modalità più garantite di utilizzo in dibattimento delle dichiarazioni testimoniali rese dal minore in sede di incidente probatorio, secondo quanto prevede la disposizione da ultimo richiamata, assume rilievo la circostanza che al giudice spetta un ampio margine di flessibilità nel definire modalità di escussione del testimone minorenne idonee a garantire un adeguato bilanciamento tra l’esigenza di preservare la libertà e la dignità di quest’ultimo e le garanzie difensive dell’imputato.
Il combinato disposto dei richiamati articoli 398, comma 5-bis, e 498, commi 4 e 4-bis, cod. proc. pen. attribuisce infatti al giudice procedente un vasto spettro di soluzioni, che vanno dalla possibilità di impiegare un contraddittorio pieno, con facoltà per il pubblico ministero e per il difensore di porre domande dirette al minorenne, in particolare laddove il giudice ritenga che «l’esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste» (art. 498, comma 4, secondo periodo, cod. proc. pen.), alle forme contrassegnate da un grado via via crescente di protezione per il soggetto vulnerabile, di cui si è dato conto.
Così, ove il giudice ritenga che né la condizione personale del minorenne mero testimone chiamato a deporre (magari perché prossimo alla maggiore età, come nel giudizio a quo), né la delicatezza o scabrosità del suo contributo testimoniale giustifichino forme di audizione protetta, tali da comprimere legittime esigenze di contraddittorio con la difesa della persona sottoposta alle indagini, egli potrà pur sempre evitare che l’escussione avvenga nelle forme protette di cui al citato art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen. (da disporre solo quando «le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno») o anche solo nella forma dell’esame attutito di cui all’art. 498, comma 4, primo periodo, cod. proc. pen., ripristinando così il contraddittorio pieno con l’indagato.
6.– In conclusione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. deve essere dichiarata non fondata in riferimento a entrambi i parametri evocati dall’ordinanza di rimessione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Stefano PETITTI, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2021.